

Recensione Lucy di Luc Besson
'Lucy' è un film visivamente inattaccabile, con un sottotesto incredibilmente pop e divertente, che però ha il demerito di prendere la strada sbagliata: quella in cui, cioè, Besson comincia a prendersi troppo sul serio, capendo di aver messo troppa carne ad un fuoco che dura solo 90 minuti.
di Erika Pomella / 28.09.2014 Voto: 6/10
Luc Besson. Difficile iniziare la recensione di un suo film senza prima aver fatto una premessa su questo autore ghiotto di cinema, che dirige, scrive e produce con la maniacalità di un uomo che ha fatto della settima arte un'ossessione da cui non riesce a liberarsi. Luc Besson, che ha regalato al mondo tre gioielli come il toccante Lèon, il bellissimo Nikita e il fantascientifico Il quinto elemento. Ed è a quest'ultimo che ci ricolleghiamo perchè, dopo aver parlato ai bambini e a coloro che ancora inseguono i draghi in cieli ormai sgombri, Besson torna alle origini, Besson torna alla fantascienza pura. Lucy è la sua ultima pellicola, in cui una sempre prorompente Scarlett Johansson interpreta una normale (?) studentessa universaria che, a seguito di un incontro inaspettato e di un altro inaspettato uso di una qualche sostanza non meglio identificata, riesce a trasformare se stessa nella versione più evoluta dell'essere umano, riuscendo a toccare il 100% delle potenzialità del cervello, trasformarsi in una sorta di robot.
Lo spunto iniziale – quello cioè di una sostanza del tutto nuovo che porta l'uomo a conoscere le vere potenzialità del proprio cervello – sembra strizzare l'occhio al thriller con Bradley Cooper, Limitless, nel quale un uomo con velleità di scrittore si imbatteva in una pillola che, da una parte, lo rendeva un genio iper attivo pieno di successo, e dall'altro invece lo portava nel mezzo di una guerra dal quale sembra impossibile uscire. Come abbiamo detto, però, questo è solo lo spunto iniziale di Lucy e, in definitiva, l'unico elemento che lo collega al film appena citato. Per il resto l'ultima fatica di Besson è un film che sembra non curarsi troppo della trama, cercando invece di sviscerare ai massimi livelli non tanto le potenzialità del cervello umano, quanto piuttosto quello del genere scientifico. Ecco allora che anche le trovate più assurde sembrano accettabili se lasciate ai piedi del Dio dello scy-fy, a cui tutto sembra essere concesso: con tanto di volo, telecinesi, capacità di leggere nel pensiero altrui e mille altre amenità del genere.
Eppure, in un primo momento, Lucy riesce ad ingannare il suo spettatore. La pellicola, infatti, ad un primo sguardo si presenta così profondamente pop, così piena di azione e di scelte surreali, da risultate divertente e pronta, forse, a diventare un ennesimo cult. Non un successo di critica, ma uno di quei guilty pleasure che popolano la libreria di qualsiasi cinefilo che si rispetti. Poi, però, Besson fa un errore madornale: comincia a prendersi troppo sul serio. E sebbene la sua regia continui a rimanere solida, facilmente riconoscibile e piena dei topoi delle sue produzioni – la corsa per Parigi, ad esempio, non manca mai – è la storia stessa che comincia a risentire la stanchezza, con la fruizione che comincia a farsi confusa, a tratti indispettita da un'offerta contenutistica che sembra strasbordare dai circa novanta minuti di minutaggio.
Lucy è la storia di una supereroina dei nostri tempi, una donna che modifica se stessa e si scopre sempre umana. E' anche, però, un caleidoscopio visivo di situazione al limite dell'accettabile, che sarebbe divertente seguire e fingere di credere possibile, se non fosse che, in alcuni tratti, Besson sembri dimenticare che il suo obiettivo dovrebbe essere quello di divertire il pubblico, e non lasciarlo in balia di un dottore – interpretato da Morgan Freeman – che sente il bisogno di educare il pubblico, propinandogli una sciorinata di concetti simil-filosofici che, da soli, bastano ad abbassare (e di molto!) il livello complessivo dell'opera che, se si fosse fermata all'esplosione pop-up, sarebbe stata un successo quasi garantito.