[Roma 2016] Louise en Hiver, la recensione
'Louise en Hiver' (tradotto, in inglese, come Louise by the shore) è un piccolo gioiellino della cinematografia d'animazione francese, che apre riflessioni profonde e da elogiare, vestendosi dell'abito della malinconia per raccontare la storia di una donna anziana che si riappropria di sé e dei propri ricordi.
di Erika Pomella / 17.10.2016 Voto: 8/10
Presentato all'interno dell'undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, dove è arrivato in collaborazione con la sezione autonoma di Alice nella Città, Louise en Hiver (tradotto, in inglese, come Louise by the shore) è un piccolo gioiellino della cinematografia d'animazione francese, e porta la firma di Jean-François Laguionie. Pur facendo parte della sezione parallela che si dedica soprattutto al cinema per ragazzi, la pellicola di Laguionie non è propriamente una pellicola destinata ad un pubblico troppo giovane, dal momento che presenta riflessioni e scene che sembrano essere state scritte per spettatori più adulti.
La storia è quella dell'anziana Louise che, a seguito di un malfunzionamento del suo orologio, perde l'ultimo treno che dovrebbe riportarla a casa, in città, dopo un'estate passata in una località balneare. Così la donna rimane in completa solitudine in un luogo che viene isolato dall'alta marea e che sembra sottostare alle leggi del mare. Per un anno Louise sarà costretta a passare il suo tempo con l'unica compagnia di se stessa e, più avanti, dell'amico canino Pepe, in quella che ben presto si trasformerà in un'avventura alla ricerca di se stessa, tra una certa riappropriazione fisica e il recupero di una memoria creduta ormai persa.
Louise en Hiver è un film che già dai tratti dell'animazione da cui è formata presenta la sua appartenenza ad un mondo europeo, a tratti autoriale, che lo distanziano molto dai "fratelli" d'oltreoceano. Il tratto del disegno, infatti, è quasi minimale e ridotto all'osso, un tratto che non insegue necessariamente l'aderenza ad un prototipo di qualsivoglia realismo, ma che sembra attingere piuttosto ad una dimensione a-temporale, una dimensione che sembra più vicina alle favole da raccontare vicino al camino. Un tratto, infine, che ben si sposa con la storia messa in scena e con le riflessioni che essa solleva.
Perché mentre Louise ritrova la se stessa bambina, inseguendo sogni che profumano di giorni d'infanzia, lo spettatore assiste anche allo spettacolo di una donna anziana che si riappropria non solo della propria età, ma anche del proprio diritto di essere quella che è. Guardandosi allo specchio Louise scopre – come se li vedesse per la prima volta – i propri capelli bianchi e le proprie rughe. Scopre di essere sì una donna anziana, ma anche una donna. Una persona che esiste e che, a ben guardare, sa davvero cavarsela da sola, senza mai andare nel panico. In questo senso Louise en Hiver presenta una riflessione sull'invecchiamento che è veramente da elogiare, specie in questo momento storico in cui tutti i segni del tempo che passano vengono respinti e cacciati quasi fossero delle malattie.
E a condire il tutto c'è un serpeggiante e non troppo sotterraneo senso di malinconia e di nostalgia per ciò che è stato da conferire alla pellicola un sapore struggente, capace di commuovere anche in assenza di dramma. Il regista, inoltre, a volte ricorre persino al macabro e al thriller per raccontare una storia che invece mira alla positività e all'ottimismo. Nonostante la parte centrale sia un po' lenta, rendendo più ostica la visione, Louise en Hiver resta un piccolo film adorabile che vi scalderà il cuore.