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Legend, la recensione
'Legend' è una pellicola che colpisce quasi senza mostrare il pugno e che sorprende per la capacità del regista di orchestrare anche una rissa in cui i due contendenti sono interpretati dallo stesso attore, che grida, morde e ama sulle note di una colonna sonora mai banale e mai invadente. Maestoso Tom Hardy.
di Erika Pomella / 25.10.2015 Voto: 8/10
A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, nell'East End londinese non c'era nessuno che ignorasse una delle più semplici regole della strada: mai mettersi contro i gemelli Kray. Due fratelli, due criminali dall'aurea simile, ma opposta, Reginald e Ronald Krays, portati sul grande schermo da Brian Helgeland in Legend, in cui l'attore britannico Tom Hardy interpreta entrambi i personaggi, aggiungendo un tassello alla sua carriera già piena di prove istrioniche degne di nota. Prendendo spunto dal libro di John Pearson Brian Helgeland dirige un gangster movie sui generis, dove il crimine rimane ai margini del quadro, quasi quanto un hitchcockiano macguffin volto solo a portare in superficie il vero fulcro dell'opera, il cuore pulsante di due gemelli che non potevano sopravvivere senza l'altro e nonostante l'altro, in un rapporto di amore e odio di shakespeariana memoria.
Tom Hardy, come abbiamo detto, si fa letteralmente in due. Da una parte interpretando il bellissimo Reggie, un gangster vecchia scuola, tutto eleganza e sorrisi disarmanti, che sembra quasi strizzare l'occhio a Frank Sinatra. Un uomo che ambisce alla vetta, che anela il potere e a cui piace l'immagine di se stesso avvolto in costosi abiti. Reggie è freddo, calcolatore e violento: in lui vive anche un'anima più pacata e dolce, un'anima che emerge quando c'è di mezzo la bella Frances (Emily Browning) voce narrante del film e fidanzata ingenua e vulnerabile. Dall'altra parte dello steccato, però, c'è Ronnie, che proprio di Frances sembra essere geloso, per paura che la ragazza possa portargli via l'unico che non gli ha mai voltato le spalle. Ronnie è un sociopatico compulsivo, senza controllo, che non conosce alcun tipo di limite una volta che si è messo in testa qualcosa. Un omosessuale attivo – come gli piace sottolineare in un dialogo estremamente brillante – che non pensa all'amore, ma solo a placare quella sete e quegli istinti senza i quali non sarebbe altro che un guscio vuoto; un uomo spezzato che ritrova un briciolo di umanità solo attraverso l'affetto del fratello gemello, quello stesso fratello che lo mette in ombra, con la sua educazione e la sua disarmante bellezza.
Perché – ed è qui che si evince la bravura di regista e attore principale – Tom Hardy riesce a creare due gemelli uguali, ma diversi. Reggie, tutto occhi blu e fascino magnetico; e Ronnie, nascosto dietro occhiali che sembrano richiamare quelli del Ritchie di From Dusk Till Dawn. Il primo fatto di lineamenti decisi, a tratti spigolosi; l'altro arrotondato da una pelle più gonfia, dal morso inverso che fa uscire la mascella, dal naso storto. Ed è proprio in queste differenze minime ma fondamentali che Legend permette allo spettatore di credere a quanto gli viene mostrato. Non tanto un film sulla malavita à la Scorsese, ma il racconto della fragilità, dei dubbi e delle paure che si nascondevano dietro i volti dei più grandi criminali degli anni '60 londinesi. Tom Hardy arriva dunque a riscrivere il concetto stesso di talento, plasmandolo a proprio piacimento, diventandone quasi l'emblema ultimo. Affascinante, poi selvaggio, poi ironico, poi di nuovo violento, il Bane di The Dark Knight Rises calamita lo sguardo sullo schermo, reggendo sulle proprie spalle massicce il peso di un racconto ad un primo sguardo patinato, ma in grado di aprire ferite profonde nell'animo dello spettatore.
Brian Helgeland è abile nel creare un universo diegetico credibile e appassionante, dove alla banalità del biopic controbilancia un'ironia inaspettata e quasi cartoonistica, con scene esilaranti che non sono altro che l'anticamera di un tragico destino che attende dietro l'angolo. Elegante e commovente, Legend è una pellicola che colpisce quasi senza mostrare il pugno, che irretisce per la bravura dei suoi interpreti e che sorprende per la capacità del regista di orchestrare una rissa in cui i due contendenti sono interpretati dallo stesso attore, che grida, morde e ama sulle note di una colonna sonora mai banale e mai invadente. Da brividi.