La vita dopo i figli, recensione del film Netflix
'La Vita dopo i Figli' è una commedia che, grazie alla chimica tra il cast, riesce a divertire senza sforzo, sfiorando anche temi per nulla scontati.
di Erika Pomella / 05.08.2019 Voto: 7/10
È sbarcato da pochissimi giorni su Netflix La vita dopo i figli, pellicola di Cindy Chupack, produttrice che debutta alla regia cinematografica dopo due cortometraggi e un episodio della serie da lei prodotta I'm dying up here. Per questo debutto quasi al femminile, la regista ha potuto fare affidamento su un cast che definire di tutto rispetto sarebbe usare un fragile eufemismo. Le tre protagoniste sono infatti Patricia Arquette, Felicity Hoffman e Angela Bassett. Tutte e tre nei panni di tre mamme che hanno delle difficoltà a stringere un vero e proprio rapporto con i figli (maschi, naturalmente) ora che sono diventati adulti e che sembrano essersi costruiti una vita lontano da chi ha dato loro la nascita.
Carol Walker (Bassett) non riesce ancora del tutto a superare la morte del marito e suo figlio Matt (Sinqua Walls) vive a New York conducendo una vita da famoso redattore. Gillian (Arquette) ha un matrimonio all'apparenza perfetto, ma non sa niente del cuore spezzato del figlio Daniel (Jake Hoffman). Helen (Huffman) è una donna ancora incredibilmente affascinante e attenta al suo aspetto fisico, sposata in seconde nozze con un uomo che l'adora e consapevole dell'omosessualità del figlio Paul (Jake Lacy), sebbene lui non abbia mai fatto ufficialmente outing con lei. Quando i tre figli si dimenticano di chiamare le loro madri nel giorno della festa della mamma le tre donne, che sono amiche da tempo, dopo una lunga sorsata di bourbon, decidono di andare a New York e rimanere in città finché non avranno ristabilito un vero contatto e una vera relazione con i ragazzi che hanno cresciuto.
La vita dopo i figli si presenta al primo sguardo dello spettatore come una commedia pura e semplici: tre donne si catapultano nella vita dei figli, senza preavviso e con l'ingombro delle proprie emozioni, dando il via ad una serie di aneddoti e scene volte a far nascere il sorriso e il divertimento in chi guarda. E da questo punto di vista il film funziona bene. Si tratta di una commedia leggera, che non punta a nessuna pretesa di stampo intellettuale e che si "accontenta" di viaggiare con la leggerezza tipica di quei film utili per passare una serata piacevole, spegnendo il cervello e le preoccupazioni.
Questa componente funziona soprattutto grazie alla forte chimica che esiste tra le tre donne protagoniste. Non solo i personaggi che mettono in scena appaiono credibili come donne che hanno passato molti anni a condividere le merende dei figli: ma tra le tre grandi interpreti scorre una chimica pazzesca, una sorta di empatia naturale che si trasmette anche allo spettatore, che si sente spinto con maggiore efficacia a seguire le disavventure di queste donne che non sanno più cosa sono, ora che i figli sono diventati grandi e sembrano non aver più bisogno né dei loro consigli, né tantomeno della loro presenza.
Ed è questo il secondo livello che il film presenta.Pur non volendo in alcun modo scivolare negli abiti più spigolosi di un film di attualità sociale o di impegno, la pellicola riflette molto sul ruolo che alcune donne inseguono per tutta la vita- quello materno – per poi scoprirsi prive di qualsiasi altro punto di riferimento, una volta che i figli sono cresciuti. In questo senso è lampante il discorso che il personaggio di Angela Bassett fa al figlio quando gli dice: tu sai chi sei senza di me. Sono io che devo capire chi sono senza di te. In effetti, come forse è facilmente intuibile dal titolo italiano, la vita dopo i figli è un pellicola che con il sorriso della commedia cerca di seguire il percorso di queste donne che devono riprendere in mano la propria vita, scegliendo di prenderne il controllo e di essere le protagoniste delle proprie esistenze, a prescindere da coloro a cui hanno dato la vita. Allo stesso tempo anche il titolo originale spinge su questo senso di smarrimento improvviso: in inglese maternità si dice motherhood. Quando la pellicola inizia e appaiono i titoli di testa, la M di Motherhood cade, come se non ci fosse più bisogno di lei. Sullo schermo allora compare la scritta Otherhood, un termine che potrebbe essere tradotto con Estraneità.
E anche chi non è patito di linguistica e delle mille sfaccettature che le parole possono avere, specie se accompagnate ad un racconto specifico, sicuramente noterà con quale facilità linguistica una parola tanto calda e intima come maternità passa a quello che potrebbe essere il suo contrario ideologico, l'estraneità. Ma a chi sono estranee queste donne? Ai propri figli o a se stesse?
È sempre il personaggio di Angela Bassett a sollevare la questione, quando chiede a suo figlio di elencare dieci cose che il ragazzo sa di sua madre. Senza svelarvi come proceda questa "sfida", quello che interessa notare è che sono le madri, in questo film, a doversi ricordare chi sono. Così Carol ricorda di quanto amasse ballare e dipingere; Gillian si rende conto degli sbagli che ha fatto per troppo spirito di protezione e Helen si renderà conto della fortuna che ha, sebbene sia stata sempre lei la prima a remarsi contro.
Come abbiamo detto qualche riga più su La vita dopo i figli è una commedia, un film pensato e fatto per divertire la platea, spesso giocando anche su qualche stereotipo di troppo; ma è interessante notare che, nonostante questo intento popolare (inteso nel senso più nobile del termine), la pellicola si soffermi a riflettere su un tema che non viene trattato così spesso come sarebbe lecito aspettarsi. Un tema che potrebbe essere decisamente attuale, visto e considerato che nel 2019 non sono poi così poche le persone che pensano che una donna possa realizzarsi solo nel diventare madre, come se dietro questo ruolo non ci fosse una persona e una personalità.