La ricompensa del gatto, la recensione
'La ricompensa del gatto' è uno spettacolo continuo di circa settanta minuti, dove lo spettatore viene trasportato in un'altra dimensione, in un sogno dai colori pastello e dalle invenzioni narrative capaci di lasciare basiti.
di Erika Pomella / 18.02.2016 Voto: 8/10
Haru è una bambina dal cuore d'oro che, sin dall'infanzia, si è sempre preoccupata di salvare i gatti, magari dividendo il piatto con una piccola randagia affamata. Un giorno, quando ha circa diciassette anni, salva un gatto dal rischio di essere investito; la sua buona azione, che sembra solo quella di una ragazza amante degli animali, ha però dei risvolti inaspettati. Sì, perché il felino che ha salvato è il principe del regno dei gatti! E, per ringraziarla del servizio prestato alla famiglia reale, il Re dei Gatti le concede il privilegio di diventare sposa di uno dei suoi figli. Non che Haru abbia l'ambizione di diventare la sposa di un gatto, ma non ha neanche il tempo di mostrare le sue rimostranze perché viene rapita e portata nel Regno, dove cominceranno le sue meravigliose avventure, con la compagnia del Barone e dell'immenso Muta, del corvo Toto.
La ricompensa del gatto è il film di Hiroyuki Morita del 2002 che può essere considerato senza sforzo come uno spin-off fantasy della pellicola I sospiri del mio cuore, di Yoshifumo Kondo e scritto dal padre dello studio Ghibli, Hayao Miyazaki. Nel film del 1995, infatti, la protagonista Shizuko, durante un viaggio in treno, incontra uno strano gatto grasso – lo stesso che aiuterà Haru nel suo viaggio a metà strada tra il sogno e la veglia -, che la conduce in un negozio dove si innamora della figura di un gatto regale (il Barone che aiuterà Haru), sul quale comincia a scrivere una storia per inseguire il suo sogno di diventare una scrittrice a tutti gli effetti.
A ben guardare, dunque, con un po' di immaginazione, La ricompensa del gatto può essere visto come la trasposizione cinematografica di quel primo romanzo che Shizuka scriveva con la forza dell'ambizione e dell'innamoramento legato alla prima storia partorita dalla propria mente e concretizzatasi su una pagina bianca. E già questo legame – ponte tra i due film rappresenta uno dei motivi di maggior seduzione del film di Morita che, come quasi sempre con i film d'animazione dello studio Ghibli, arriva in Italia con un ritardo quasi imbarazzante.
Al di là di questo legame narrativo e immaginativo, però, La ricompensa del gatto irretisce per la sua realizzazione, per questa favola per tutte le età, in cui una ragazzina insicura e incapace di rapportarsi con il mondo esterno, imparerà a superare le sue paure e i suoi limiti, avviando quel processo di crescita che è sempre stato una sorta di status quo nei film dello studio Ghibli. Inoltre, a ben guardare, non mancano i riferimenti anche a classici del cinema "per ragazzi"; l'intera vicenda, infatti, potrebbe essere una rilettura o un continuo omaggio anche a Il meraviglioso mondo di Oz, con una ragazza accompagnata da tre compagni, di cui uno – il corvo – che viene chiamato Toto, come il cagnolino tanto amato da Dorothy. Il risultato è uno spettacolo continuo di circa settanta minuti, dove lo spettatore viene trasportato in un'altra dimensione, in un sogno dai colori pastello e dalle invenzioni narrative capaci di lasciare basiti.