La ragazza d'autunno
La ragazza d'autunno

La ragazza d’autunno, la recensione


Pur con un minutaggio forse eccessivo, 'La Ragazza d'Autunno' è un affresco brutale e soverchiante di un'umanità distrutta e di una femminilità che sembra essersi smarrita nei campi di battaglia. Straziante, ma esteticamente ineccepibile.
Voto: 7/10

Diretto da Kantemir Balagov e presentato prima nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes dello scorso anno e poi al Torino Film Festival, La Ragazza d'Autunno è una pellicola che insegue l'orrore di cui spesso ci dimentichiamo quando abbiamo a che fare con racconti bellici: alla tragedia della guerra, dei corpi esposti ad una probabile fine, ne segue sempre un'altra. Alla gioia della fine del secondo conflitto mondiale, festeggiato col sollievo e l'immancabile senso di colpa dei sopravvissuti, segue un periodo pieno di altrettanti orrori, di altrettante lotte per la sopravvivenza che forse fa ancora più paura perché nemico non è visibile, non è riconoscibile dai colori sopra una divisa, né è fatto di un corpo che si può distruggere o annientare. Ed è da questo orrore che parte il film di Balagov: ci troviamo a Leningrado subito dopo la fine della guerra, nel 1945. Le persone vivono stipate in grandi edifici, rispettando il contesto storico di una Russia dove non c'erano case di proprietà, ma stanze in palazzi più grandi, con aree e vite in comune. Gli autobus si riempiono in fretta quando fuori è ancora buio, con un assalto alle porte che sembra sottintendere (in modo tutt'altro che velato) il bisogno di riuscire a salire, di andare avanti, di raggiungere una meta e, insieme, uno scopo.

La protagonista del film è Iya (Viktoria Miroshnichenko), una ragazza che lavora in un ospedale della città dove vengono accolti i feriti che tornano a casa, quest'umanità distrutta, frammentaria, fatta a pezzi che cerca di ricostruirsi una vita. Iya viene chiamata Spilungona per via della sua altezza (da qui il titolo originale del film, Dylda), ma è una ragazza gentile, spesso silenziosa. Tuttavia a caratterizzare la nostra protagonista è il lascito della sua partecipazione alla guerra: per via dello stress post-traumatico ha sviluppato una sorta di paralisi. In alcuni momenti, infatti, Iya si incanta, si isola, diventando quasi una statua di carne e sangue che non funziona più come gli altri esseri umani. E, infine, Iya si prende cura di un bambino che ama, ma che in realtà è il figlio di Masha (Vasilisa Perelygina), migliore amica di Iya, sua compagna al fronte ed ora di ritorno a casa per trascinarsi anche lei in strade fatte di rovine architettoniche e macerie umane. Quando una disgrazia pone le ragazze una di fronte all'altra inizierà un lungo percorso quasi dantesco alla ricerca di un'umanità che sembra essere scomparsa e al desiderio di sentirsi di nuovo donna.

La Ragazza d'Autunno è un film fatto di sconfitta. Nonostante l'uso di toni caldi, che sembrano quasi voler abbracciare i protagonisti suggerendo un'idea di speranza di là da venire, la pellicola di Balagov è un racconto fatto di eroi spezzati, di umanità umiliate. Un racconto dove la propaganda di stato – fatta di sforzi bellici, di eroi coraggiosi e di battaglie necessarie – diventa un mero appiglio per quei soldati degradati ad ammassi di carne non più funzionanti. Un appiglio, dunque, retorico che serve solo come mera consolazione per non rischiare di scivolare nella follia. Ma la regia è senz'altro abile del dirigere questa parte del racconto, affrescando corpi mutilati e sorrisi spezzati nella lucidità della consapevolezza: nonostante i buon umori forzati, i giochi a emulare i suoni degli animali e la ripetizione quasi pedissequa delle ideologie russe, i soldati con cui Iya entra in contatto e di cui si prende cura sono in realtà uomini che sanno quello che sono diventati e, soprattutto, quello che non vogliono più essere. E in questo contesto Iya diventa una sorta di pietas incarnata, un emissario della morte e insieme un angelo custode: si spinge verso scelte e azioni che ne rispecchiano l'aspetto quasi albino, prosciugato di vitalità.

Un sentimento che sembra smorzarsi quando la migliore amica torna a casa e la storia di Iya diventa la storia di Iya e Masha: due sopravvissute col cuore spezzato, che vivono questa loro "seconda possibilità" con atteggiamenti se non proprio opposti comunque discordanti: Masha è esuberante, sopra le righe, rumorosa e ebbra di vita, pur con la morte nel cuore. Iya, al contrario, sorride e si lascia guidare, come fa il proverbiale naufrago con la marea. Accetta quello che Masha chiede, che quasi pretende: diventa creta nelle mani dell'amica, che è fatta anche lei di materiali ormai deperiti.

In questa Leningrado distrutta persino i corpi delle due donne sono campi di battaglie che portano i segni del conflitto concluso: La Ragazza d'Autunno è dunque un film al femminile, in cui la femminilità – o, meglio, una certa idea di femminilità – è però costretta ad estinguersi e a diventare un faro che sembra in grado di dissipare l'oscurità della tristezza e che, al tempo stesso, appare così dannatamente difficile da raggiungere. Tanto Masha quanto Iya cercano qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa in cui cominciare a sperare: ma le loro mani sembrano troppo stanche per chiudersi intorno a qualcosa e perciò l'unica cosa che possono fare è andare avanti, cercare di restare in piedi, di non lasciarsi sopraffare di nuovo. Combattono con i mezzi di chi non ha niente, se non la propria disperazione e l'emergere di un'ossessione pronta quasi a diventare malattia.

Kantemir Balagov non risparmia niente allo spettatore: non usa allegorie o simboli per dire qualcosa, ma mostra la sua idea di un mondo caduto nelle spire di un autunno che sembra essere senza fine: dall'immagine straziante di un soldato che mima il volo di un uccello pur avendo un braccio mutilato alle giostre di amplessi che invece della vita sembrano portare solo altre dosi di disperazioni. Ed è questo il punto forte della pellicola: il nudo racconto di una vita che non è vita, di un controllo che non è autocontrollo e di un desiderio che è solo concretizzazione di un senso di colpa. La sceneggiatura essenziale, che non ricorre ad orpelli stilistici, permette allo spettatore di sentire sulla propria carne tutti gli eventi che vengono mostrati, dai più "comuni" a quelli che invece mostrano il lato più brutale di quel dopoguerra dove le promesse non sono state mantenute.

La pecca de La Ragazza d'Autunno è forse l'eccessiva lunghezza, il dilatarsi di momenti e situazioni che, se da una parte aiutano senz'altro a dare la specifica idea di una vita avvolta nella gelatina del vuoto esistenziale, dall'altra mettono a dura prova l'attenzione dello spettatore.

Valutazione di Erika Pomella: 7 su 10
La ragazza d’autunno
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