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Recensione La moglie del sarto

'La moglie del sarto' è un film che cerca di ripescare nel passato per proporre un cinema basato sui personaggi e sulle loro storie, in un contesto culturale particolare: quello degli anni '60. Il risultato è una pellicola artificiosa, con una regia troppo televisiva che appanna il buon lavoro svolto dal cast, spesso volutamente sopra le righe.

Rosetta Pignataro (Maria Grazia Cucinotta) è un'avvenente donna di 42 anni che, nel profondo Sud della Calabria, vive una vita agiata e di successo con suo marito Edmondo, sarto per soli uomini, considerato quasi unanimamente il più agile di tutto il paese. Quando però il destino si rivolta contro la famiglia Pignataro, con la morte improvvisa di Edmondo, Rosetta sarà costretta ad andare avanti da sola, con l'aiuto della figlia Sofia (Marta Gastini), in un mondo fatto di antichi maschilismi e di pregiudizi fin troppo fondati nel contesto culturale del paese e di una nazione arretrata.

Massimo Scaglione recupera un'allure che ha caratterizzato il nostro paese negli anni '60, così tanto da lasciare residui anche al giorno d'oggi, quando il concetto di patriarcato assoluto viene continuamente messo in discussione. I fantastici anni '60 su cui si fantastica in continuazione e che nella mente rimandando immagini di abiti a pois e make-up piene di pagode, sulle note dei successi di Vianello e Morandi, vengono recuperati dal regista con un intento più sincero. Quegli anni fantastici, infatti, ne La moglie del sarto, sono visti come una sorta di epoca buia in cui la vita di una donna aveva senso e concretezza solo in funzione di una figura maschile dalla quale dipendere. Un mondo in cui non solo il femminismo sembrava una vera e propria utopia, ma in cui bastava poco per spingere le malelingue a parlar male di una donna bella e sola. Abitudine, questa, molto più radicata nel Sud, terra di tradizioni e di recupero del passato, tanto che anche oggi è possibile, in alcuni paesi sperduti del sud, trovare tracce di questo modo di pensare.

Ecco allora che il centro nevralgico de La moglie del sarto è rappresentato proprio dalla figura di Rosetta e, in minima parte, di sua figlia Sofia, che diventano il bersaglio di maledicenze e cattiverie gratuite. La donna, prima ben vista e ben voluta da tutto il paese, finisce con il diventare una macchia nera, una sorta di diavolo in gonnella appena l'ombra di suo marito esce dallo schermo. Una donna sola, costretta a combattere con le unghie e con i denti per difendere non solo se stessa, ma anche ciò che le appartiene. Perchè mentre tutti la additano con voci piene di sospetto, Rosetta è anche costretta a fronteggiare l'assessore Cordano (un fastidiosissimo Ninni Bruschetta), che vuol toglierle la sartoria per poter costruire un albergo di lusso e andare incontro al tanto decantato progresso. Ed è proprio sugli attori che si basano gli elementi migliori del film, seppur con le esagerazioni delle interpretazioni.

La regia di Scaglione cerca di andare a fondo di questi personaggi, cercando di offrire un cinema capace di far rivivere il passato. A mancare, però, è una forte aderenza alla realtà. Nonostante lo scenario bellissimo di un paese calabrese, che sembra essere spuntato proprio dall'epoca narrata, La moglie del sarto pecca di una regia scialba, che forse risulterebbe più adatta per un prodotto televisivo. A questo si aggiunge anche una certa artificiosità di intenti e ricostruzione che mette in bella mostra la "falsità" dell'intera operazione, minacciando così la fruizione spettatoriale, che ne esce inevitabilmente intaccata.

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