L’Uomo Invisibile, recensione dell’horror con Elisabeth Moss
Elisabeth Moss è la protagonista di una nuova versione del classico horror che ha già dato vita a numerosi adattamenti per il cinema, e che nelle mani dell'autore di Saw diventa una metafora sulle relazioni violente.
di Matilde Capozio / 04.04.2020 Voto: 6/10
L'uomo invisibile si apre con la fuga, in piena notte, di Cecilia Kass (Elisabeth Moss), una donna che scappa da un'enorme villa affacciata sul mare e soprattutto da un uomo (Oliver Jackson-Cohen), che scopriamo essere Adrian Griffin, il suo compagno violento e manipolatore. Cecilia trova rifugio a casa di amici e qualche giorno dopo riceve la notizia dell'apparente suicidio di Adrian; ben presto però la donna comincia a notare alcuni fenomeni inspiegabili e inquietanti accanto a sé e ad avere la sensazione di non essersi liberata del tutto di lui.
L'uomo invisibile è una delle figure classiche del cinema (e della letteratura) horror, a partire dal romanzo di H.G.Wells pubblicato nel 1897 che ha dato vita a una celebre trasposizione cinematografica nel 1933, seguita da diversi adattamenti più o meno ufficiali (tra gli ultimi L'uomo senza ombra con Kevin Bacon).
Dietro questa nuova versione c'è la Blumhouse Productions, specializzata in horror a basso costo che anche qui impiega un budget modesto per quella che, ciononostante, è stata lanciata come una delle opere più attese di questo inizio anno (uscita da noi direttamente a noleggio in streaming a causa della chiusura delle sale cinematografiche).
Il film, scritto e diretto da Leigh Whannell (un esperto del genere, essendo autore di Saw e Insidious) si ispira molto liberamente al racconto originario, ponendo al centro della scena il personaggio femminile e l'uomo invisibile come antagonista, con l'intento di attualizzare la storia che va oltre la semplice ambientazione nel presente: la vicenda di Cecilia diventa infatti metafora delle donne in fuga da una relazione abusiva con uomini violenti, spinte a rinunciare tanto al rapporto con familiari e amici quanto alla propria carriera, con il conseguente strascico di traumi, paure e sensi di colpa, oltre alla difficoltà di chiedere aiuto ed essere ritenute attendibili.
A livello cinematografico, il film sfrutta le potenzialità offerte dal personaggio, nel modo di inquadrare spazi e oggetti, con la cinepresa diventa l'occhio invisibile che spia la protagonista inconsapevole, e anche la versione "corporea" dell'uomo è mutata rispetto ai primi film: non più bende e cappello ma una più futuristica tutina che ricorda quella dei supereroi. Dopo un inizio in cui viene lasciata montare la suspense e svelare lentamente il pericolo, nell'ultima parte il film diventa piuttosto un thriller d'azione, con inseguimenti, sparatorie, tutto il repertorio del genere.
Affidandosi a un'interprete drammatica affermata come Elisabeth Moss (protagonista in tv di The Handmaid's Tale), lontano dall'ironia e dal gusto anche un po' camp che contraddistingueva molti dei classici del genere horror, la storia si concentra quindi sul punto di vista della protagonista, lasciando da parte l'aspetto scientifico e anche un vero e proprio approfondimento psicologico degli altri personaggi.
Il film di Whannell è dunque una variante sul tema che offre spunti inediti e originali inseriti in un contesto più convenzionale e diretto a un vasto pubblico, un esperimento interessante dove non tutti gli elementi funzionano allo stesso modo.