L’Hermine, la recensione
'L'Hermine' è una commedia ante-litteram, un perfetto esempio di sceneggiatura attenta e calibrata, su cui danza, maestoso, Fabrice Luchini nel ruolo di un giudice intransigente, ma pronto ad innamorarsi di nuovo.
di Erika Pomella / 20.09.2015 Voto: 8/10
Nella lingua francese esiste un'espressione proverbiale che recita avoir des atomes crochus avec quelqu'un e che può essere tradotta con un "avere gli atomi incrociati con qualcuno". Sebbene questa frase idiomatica miri semplicemente a indicare la vicinanza tra due persone che hanno molto in comune, l'espressione sembra quanto meno adatta a descrivere anche i personaggi di L'Hermine, commedia francese di Christian Vincent, presentato in concorso alla 72° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, dove ha vinto il premio (meritatissimo!) per la miglior sceneggiatura e la coppa volti per il suo protagonista Fabrice Luchini.
Xavier Racine (Luchini) è un giudice della corte di Assise di Saint-Omer, famoso per l'inflessibilità con cui assegna le condanne degli imputati che è portato a giudicare. Nel pieno di un'influenza che lo costringe a prendere medicine anche solo per stare sveglio, il giudice deve ora valutare il caso di un infanticidio che ha più di un punto oscuro. In giuria sono chiamati cittadini francesi, tra cui anche la bella (Sidse Babett Knudsen), un'infermiera che in passato aveva avuto in cura Racine per circa due mesi: un tempo che l'hermine aveva sfruttato per innamorarsene. Nella sala del tribunale, allora, un duplice spettacolo viene messo in scena:da una parte il giudizio di un uomo che non fa altro che ripetere che non ha ucciso la propria bambina, e dall'altra un giudice impietoso ma giusto, che di colpo ricorda di avere un cuore palpitante sotto la toga della giustizia.
Dicevamo, in apertura di recensione, che l'hermine è una pellicola che meritatamente è stata premiata per la scrittura su cui poggia le sue basi. In effetti è proprio la sceneggiatura, prima ancora della forte interpretazione di Fabrice Luchini, il vero punto di forza di questa pellicola francofona. Già dalla scelta del nome del protagonista, infatti, si evince la precisa attenzione verso i vari elementi che compongono lo script: Fabrice Luchini è Racine, e proprio come i personaggi del drammaturgo francese, è un antieroe, un uomo in balia di passioni più grandi di lui, che vive l'amore più come fatalità che come scelta. Xavier è, insieme, un uomo razionale e un uomo fatto di viscere, che cerca di trovare un equilibrio fra questi due mondi che, ne L'Hermine, nascono e si sviluppano all'interno di una sala di tribunale che diventa palcoscenico di tragedie umane. L'uomo accusato di aver ucciso la figlia, che se ne sta con gli occhi bassi, ma le spalle fiere; la compagna, che sembra non rendersi conto di quanto accade intorno a lei; i giurati, con le loro storie sfuggenti e le loro personalità dirompenti, che sbracciano e sgomitano per ritagliarsi un posto all'interno del quadro. E poi, di nuovo, Xavier Racine, sempre attento al protocollo, un saccente so-tutto-io che ammonisce e corregge, che cerca di seguire le regole fino a sembrare arrogante, ma che alla fine non riesce a impedire ai suoi occhi di correre dall'altra parte del banco, dove c'è l'amata.
La pellicola di Vincent è una commedia, nessun dubbio su questo, ma è un nuovo modo di percepirla: è una commedia basata sulle seconde possibilità, sui fantasmi dei ricordi, sul lento incedere di due atomi che si somigliano e che si riavvicinano dopo un periodo di distanza. L'Hermine è un film fatto di un fiume di parole, che poggia le sue fondamenta sui dialoghi brillanti, sui monologhi, sulle testimonianze che ballano sul confine tra surreale e grottesco. E il tempo passa via come se volasse, mentre lo spettatore si diverte e ride, e riflette en passant su alcuni nodi della giurisprudenza transalpina. Il tutto accompagnato dalla verve di Luchini che, se in conferenza stampa è apparso irrefrenabile e logorroico, davanti alla macchina da presa è maestoso e misurato, una figura emblematica su cui scivola l'ottima colonna sonora, capeggiata dalla ballata romantica di Claire Denamour Dreamers.