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Il sacrificio del cervo sacro, recensione del film

Colin Farrell e Nicole Kidman sono i protagonisti di un originale dramma con risvolti horror, dal regista di The Lobster.

Storie originali e bizzarre, crude e metaforiche, tra mito e tragedia: sono alcune delle caratteristiche delle opere di Yorgos Lanthimos, regista e sceneggiatore greco che da qualche anno si è imposto sulla scena come uno dei più interessanti esponenti del cinema d'autore europeo, amato dai principali festival ma anche dalle star di Hollywood; la consacrazione internazionale è arrivata con The Lobster, candidato all'Oscar per la miglior sceneggiatura originale, e che vedeva protagonista Colin Farrell.

La collaborazione fra l'attore e il regista continua adesso con Il sacrificio del cervo sacro, che schiera nel suo variegato cast anche Nicole Kidman, l'inglese Barry Keoghan (una delle rivelazioni di Dunkirk di Christopher Nolan), e un inatteso cameo di Alicia Silverstone.

Steven, il protagonista del film, sembra avere una vita perfetta: un'affermata carriera come cardiochirurgo, una bellissima moglie, due figli, una splendida casa, ma c'è un dettaglio misterioso, vale a dire la sua amicizia con l'adolescente Martin. Inizialmente non sappiamo quale sia il legame tra di loro, ma la presenza del ragazzo comincia a sconvolgere la vita familiare dell'uomo con esiti imprevedibili.

La sceneggiatura del film, scritta da Lanthimos con l'abituale collaboratore Efthymis Filippou e premiata al Festival di Cannes 2017, contiene più di un riferimento all'Ifigenia in Aulide di Euripide.

La storia però non è una semplice rilettura o una versione aggiornata della tragedia greca, bensì un'opera che mescola e trascende i generi: una struttura da thriller che fa montare lentamente la suspense, particolari inspiegabili e cruenti secondo i canoni del genere horror, una parabola sulla violenza e la mostruosità nascoste sotto la facciata della borghesia, che attinge anche alla Bibbia allo stesso modo che alla cultura pop.

Quello di Lanthimos è un cinema molto attento alla forma, dal modo in cui costruisce le inquadrature all'uso della musica, e all'interno del quadro si muovono gli attori, la cui recitazione è spesso volutamente rigida, quasi innaturale.

Tanta eleganza formale è quindi, in questo caso, sinonimo di una certa freddezza: ritmo lento e solenne che in alcuni punti risulta eccessivamente prolisso, e la storia punta su simbolismi e metafore a scapito dell'originalità.

Il regista conferma però di possedere uno sguardo originale e di essere ormai garanzia di un ottimo cast, coniugando stili e influenze per un risultato interessante e personale.

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