Il caftano blu, la recensione del film di Maryam Touzani
La regista marocchina di 'Adam' realizza un film che racconta un triangolo amoroso tra affetto, segreti e dolore, mostrando anche alcuni aspetti difficili nella società del suo Paese e sottolineando il rispetto per i mestieri artigianali di una volta.
di Matilde Capozio / 20.09.2023 Voto: 6/10
Tra le nuove uscite di settembre nelle sale italiane troviamo Il caftano blu, presentato nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes nel 2022, e poi scelto anche per rappresentare il Marocco agli Oscar 2023; si tratta del secondo film diretto dall’attrice e regista marocchina Maryam Touzani, dopo l’esordio con Adam (2019) da cui riprende la protagonista Lubna Azabal.
La storia si svolge a Salè, città del Marocco nordoccidentale, dove vive la coppia composta dal sarto Halim (Saleh Bakri, attore palestinese visto anche nel film italiano Salvo, con Luigi Lo Cascio) e da sua moglie Mina (Lubna Azabal, vista anche in La donna che canta, Ustica, Tutti pazzi a Tel Aviv), che da molti anni gestiscono insieme, nella medina della città, un rinomato negozio dove si confezionano caftani tradizionali; Halim realizza gli indumenti, rigorosamente a mano, senza l’ausilio di macchinari, e la moglie si occupa di gestire i rapporti con fornitori e clienti. Un giorno nella bottega fa il suo arrivo l’apprendista Youssef (Ayoub Missioui), giovane e affascinante, che con la sua presenza inizia a portare turbamenti e tensioni all’interno della coppia, non solo in negozio, ma anche a casa. Il matrimonio di Mina e Halim, però, è minacciato non solo da segreti mai confessati, ma anche da altri elementi che mettono a dura prova marito e moglie.
Un omaggio al lavoro artigianale ormai in fase di sparizione
Maryam Touzani realizza così un film che porta all’interno della vita quotidiana di una coppia, tra le mura domestiche e al lavoro, mostrandone le abitudini ormai consolidate che scandiscono le loro giornate, percorse da una corrente sotterranea forse non evidente a prima vista, ma sempre presente, come in attesa di un cambiamento.
Fin dal titolo, inoltre, Il caftano blu esprime il suo voler essere un omaggio al lavoro artigianale, già presente nel precedente Adam (i cui personaggi lavoravano in una pasticceria), mostrando l’aspetto tattile di stoffe e bottoni, che vengono toccati, accarezzati, misurati e lavorati con estrema cura, con l’obiettivo di realizzare qualcosa di bello e di unico che, come spiega il protagonista, deve durare e resistere al passare del tempo, quasi come un’opera d’arte, fino a consegnare all’indumento stesso qualcosa della storia e dell’anima di chi lo ha creato, trattandosi allo stesso tempo di un’arte ormai in fase di sparizione; è forse questa stessa cura e paziente impegno che è stata applicata anche al matrimonio di Halim e Mina, la cui unione si è cementata nel tempo, cercando di resistere alle difficoltà da più parti.
Con l’arrivo di Youssef e l’iniziale ostilità di Mina, la trama sembra cominciare a prendere una direzione che però poi, col procedere della storia, assume anche sfumature diverse, introducendo nella vicenda nuove dimensioni, che incidono indelebilmente sui rapporti fra i protagonisti. Il film diventa così un ritratto sulle diverse forme d’amore, su come il sentimento e i rapporti di forza all’interno delle relazioni possano essere ridefiniti, e anche su come a volte la prospettiva di un destino ineluttabile possa cambiare lo sguardo sulle cose, influenzando le scelte e le decisioni da prendere.
Ciò che è presente nella storia, ma resta comunque sullo sfondo, come scenario, è il contesto sociale e culturale entro cui si muovono i personaggi, che viene mostrato in un paio di scene (la serata al bar, l’incontro con le guardie) ma che forse sarebbe stato interessante approfondire di più, per delineare al meglio alcuni aspetti della società marocchina, specialmente per quanto riguarda la posizione della donna e soprattutto l’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità (che nel Paese è un reato, punibile con il carcere).
Una storia che si sviluppa con lentezza e attenzione ai dettagli
Il caftano blu è anche un film che sembra rivolgere allo spettatore quello stesso invito ad aspettare che viene dato ai clienti impazienti e frettolosi di ottenere i loro abiti, perché si prende certamente il suo tempo per raccontare la sua storia; la trama contiene molti momenti di silenzio, e quindi anche i personaggi vengono sviluppati soprattutto attraverso i loro gesti e gli sguardi, e quindi non attraverso dialoghi che ne avrebbero potuto rivelare, verbalmente ed esplicitamente, alcuni dettagli in più, specialmente sul loro passato.
Alcuni passaggi della vicenda sono in parte prevedibili, fino a portare ad una conclusione che dunque è coerente con i suoi messaggi, e che non cerca a tutti i costi la sorpresa o lo stupore. Quello che viene messo in evidenza, anche grazie al lavoro di squadra dei tre interpreti principali, è piuttosto l’affetto e la tenerezza nei confronti dei personaggi, la delicatezza dei piccoli gesti, mescolando intensità dei sentimenti e pacatezza della discrezione, cercando di evitare facili forme di giudizio.
Il caftano blu è quindi un film che invita alla tolleranza e alla libertà nel pensiero e nel modo di vivere la propria vita, rimarcando l’importanza dell’amore, e anche della cura e della passione che si mettono in ciò che si fa, tanto nei sentimenti quanto nel proprio mestiere.