I leoni di Sicilia, recensione della nuova serie Disney+

La terra trema. È l’inizio dell’Ottocento, in un piccolo paese della Calabria, quando un terremoto scuote e scardina l’esistenza di un gruppo di esseri umani. Le case vengono giù, insieme alla possibilità di continuare a vivere come era stato fino a quel momento. Paolo Florio (uno straordinario Vinicio Marchioni) decide allora di sradicare tutta la sua famiglia, abbandonare la Calabria e trasferirsi a Palermo, dove il cognato gli ha assicurato un locale da adibire a drogheria per vendere le spezie. Insieme a lui parte sua moglie Giuseppina (Donatella Finocchiaro), che è restia a lasciare la sua casa per seguire un marito che non ama e che spesso la tratta come una pezza per i piedi. Per fortuna, però, insieme alla coppia e a loro figlio Vincenzo (che nella versione adulta sarà interpretato da Michele Riondino), parte anche Ignazio Florio (Paolo Briguglia), fratello di Paolo e unico alleato di Giuseppina. A Palermo, però, i fratelli Florio non hanno immediatamente successo: percepiti come stranieri e “pezzenti” dai siculi i due faticheranno non proprio a veder decollare la loro attività. Questa, in breve, è la trama de I leoni di Sicilia, serie tv che debutterà su Disney+ il prossimo 25 ottobre con i primi quattro episodi, mentre gli altri quattro saranno disponibili a partire dal 1 novembre.

Tratto dall’omonimo e bellissimo romanzo di Stefania Auci – che vi consigliamo di leggere – I leoni di Sicilia è stato presentato alla stampa durante la diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, dove sono stati presentati i primi due episodi. La prima cosa che salta immediatamente all’occhio, in questa serie diretta da Paolo Genovese, è la bravura degli interpreti messi in gioco. Serie in costume dal respiro internazionale, sebbene legata ad un angolo di mondo e ad una cultura che (forse) non esiste nemmeno più, I leoni di Sicilia funziona perché funzionano gli attori che sono stati scelti per dare volto alla narrazione romanticizzata di una delle famiglie più note d’Italia. Il racconto delle vicende dei Florio, ricadendo senza sforzo nello schema e nel genere dei drammi famigliare, mette in scena tutti gli archetipi del caso: la tragedia iniziale, le difficoltà ad ambientarsi in un mondo nuovo, gli abusi domestici in matrimoni in cui la donna era utile solo a pulire e fare bambini e, persino, un amore taciuto ma non silenzioso, che porta con sé la sfumatura tragica di un sogno mai realizzato. Tutti elementi, questi, che non solo si sposano bene insieme nella sceneggiatura di Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, ma che diventano elementi vivi e concreti proprio grazie alle interpretazioni di tutto il cast, che rendono la storia verosimile e coinvolgente, scevra di quel “muro invisibile” che a volte spinge lo spettatore ad avvertire davvero il peso della macchina da presa, che impedisce l’immersione. Cosa che invece non accade nei primi due episodi dello show, la cui ora di durata fila via come il proverbiale bicchier d’acqua.