'Grace di Monaco', scelto come film d'apertura al festival di Cannes, è una pellicola priva di anima e di spessore, che si contenta di raccontare in maniera superficiale un anno della vita di una delle donne più significative del panorama culturale del Novecento.
L'anno è il 1962 e Grace Kelly (Nicole Kidman), ormai principessa di Monaco da otto anni, si sente ancora un'estranea nel paese dove credeva di trovare la felicità. Il popolo monegasco non sembra comprenderla, né essere pronto ad accettarla. Non aiuta nemmeno l'arrivo improvviso di Alfred Hitchcock che propone alla sua stella e musa di prendere parte al suo prossimo film, un progetto dal titolo Marnie. Quando la notizia che la loro principessa sarebbe pronta a tornare a vestire i suoi panni d'attrice, Grace si sente spaccata a metà, divisa tra passato e presente, tra la sua natura americana e il suo obbligo monegasco. Suo marito, il principe Ranieri (Tim Roth) non sembra rendersi conto della profonda infelicità di sua moglie, preso com'è da una crisi con il presidente francese Charles de Gaulle, che minaccia di inglobare Monaco alla Francia, se il governo non tasserà i suoi cittadini, devolvendo gli introiti alla Francia stessa. In questo clima di estorsione e ricatti politici, Grace si sente più che mai sola, e neanche l'aiuto del suo amico più fidato (Frank Langella) riuscirà a toglierle di dosso una crescente sensazione di disagio.
"La vera favola è credere che la mia vita sia stata una favola": è con questa citazione che si apre il film Grace di Monaco, pellicola scelta come film d'apertura al Festival di Cannes che, proprio da oggi, sta portando star e lustrini sulla croisette più famosa della Costa Azzurra, dove i Grimaldi hanno preso le distanze da questa operazione cinematografica. Il regista Olivier Dahan si cimenta nel ritratto di una delle donne più amate di tutti i tempi, una vera e propria icona di stile e di umanità, che ha finito col diventare una sorta di idolo, tanto da spingere – ad esempio – il cantante Mika a dedicarle un pezzo. Il regista già nel 2006 si era cimentato con un'opera biografica, dirigendo il bellissimo La vie en rose, film incentrato sulla vita di Edith Piaf che portò l'allora quasi sconosciuta Marion Cotillard a vincere l'Oscar per la sua incredibile interpretazione. Otto anni fa avevamo davanti un film quasi sporco, ma pieno di emozione, cuore e stomaco. Un film che riusciva perfettamente a insinuarsi tra le note della mome Piaf, restituendo allo spettatore un forte senso di verosimiglianza che permetteva alla magia del cinema di entrare in azione: travalicando così i fatti reali e scendendo a patti con una magia narrativa fatta di luce e interpretazioni. Sebbene possa apparire fuori luogo, se non del tutto errato, paragonare i due film – fosse anche solo per le eroine messe in campo – il paragone è legittimato proprio dal fatto che con una pellicola come questa alle spalle, Dahan sapesse come maneggiare la materia biografica.
La storia, ahinoi, non si ripete con Grace di Monaco. La bella principessa e musa di Hitchcock è interpretata dall'attrice australiana Nicole Kidman, che non riesce in alcun modo a restituire lo stesso senso di eleganza e di rassegnazione pacata che ha sempre accompagnato la vita dell'attrice che abbandonò Hollywood per rappresentare uno dei sogni più diffusi tra le bambine sotto gli otto anni: sposare un principe. Dei suoi sogni, dei suoi tormenti, della sua anima spaccata a metà resta ben poco. Restano i primi e i primissimi piani della Kidman, con gli occhi quasi sempre lucidi e arrossati per il pianto trattenuto. Grace Kelly, allora, viene ridotta ad una donna spesso troppo lamentosa, troppo pronta a piangersi addosso. E la cosa più grave è che Nicole Kidman non diventa mai Sua Altezza Serenissima, ma resta sempre ancorata a se stessa e al suo ruolo. Accanto a lei Tim Roth, sebbene poco verosimile nei panni di Ranieri, riesce comunque a trascendere se stesso, finendo con il ritrarre un uomo severo, conservatore, inconsciamente contrario alla modernizzazione che proclama voler diffondere.
Ma il vero problema di Grace di Monaco è che manca di anima e di cuore. Sullo schermo scorre un anno della vita della principessa, eppure niente di quello che deve affrontare ci tocca. L'empatia non scatta mai e tutto quello che abbiamo è una sequenza di immagini mozzafiato sul mare cristallino della costa azzurra e una trama che sembra essere uscita dalla più infima soap opera televisiva, con intrighi, tradimenti e spie. Manca la vita, in questo film: manca la rabbia, la passione, lo stomaco. Manca quella scintilla capace di far funzionare tutto. La regia stessa è anonima e insipida e quando – raramente – tende a volersi mostrare finisce con il sembrare il lavoro goffo di un regista alle prime armi. Anche la sceneggiatura non aiuta questa operazione, che si mostra fallimentare quasi su tutti i fronti: lo svolgimento del racconto avviene in maniera superficiale, appena abbozzata, come se non fosse importante scavare nelle motivazioni e negli incontri, decidendo appunto di soffermarsi su un aspetto melodrammatico che, alla lunga, indispettisce anche lo spettatore più fedele a Grace Kelly.
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