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Georgetown, recensione del film di Christoph Waltz

Esordio alla regia per l'attore premio Oscar, con un thriller tratto da un vero fatto di cronaca nera, che lo vede affiancato nel cast da Vanessa Redgrave e Annette Bening.

C'è sempre curiosità attorno al debutto come regista di un attore affermato, e l'ultimo, in ordine di tempo, a tentare il salto dietro alla cinepresa (se non si conta un film per la tv tedesca) è Christoph Waltz, portato al successo planetario da Quentin Tarantino, che gli ha fatto vincere 2 premi Oscar lanciandolo nell'olimpo dello star system. 

Georgetown lo vede nella doppia veste di regista e protagonista, nel ruolo di Ulrich Mott, un tedesco emigrato dalla Germania negli Stati Uniti, che sposa Elsa Brecht (Vanessa Redgrave), giornalista molto più anziana di lui, grazie alla quale fa carriera nel circolo di politici, diplomatici e uomini d'affari della Washington che conta (Georgetown è un distretto della capitale). Una notte Elsa viene trovata morta nella casa coniugale e poco dopo Ulrich è sospettato di omicidio. Mentre si svolgono le indagini, viene ripercorsa con una serie di flashback la complicata relazione della coppia.

Il film si ispira a una storia vera, raccontata nell'articolo The worst marriage in Georgetown pubblicato dal New York Times Magazine, mentre la sceneggiatura del film è firmata da David Auburn, rinomato commediografo (autore, tra le altre cose, di Proof, da cui fu tratto l'omonimo film). Anche Georgetown è un film dall'impianto sostanzialmente teatrale, con pochi personaggi centrali e ambientato quasi tutto in interni. La storia che racconta è sicuramente intrigante, anche perché i temi che affronta si prestano a diverse chiavi di lettura: c'è un rapporto di coppia anomalo, dove gli equilibri di potere si alternano e si invertono, e quindi (in un periodo in cui si discute molto di parità di genere) anche la figura di una donna affermata, di successo, ma non per questo meno incline a errori e debolezze; e c'è la parabola dello straniero alla scalata del sogno americano, con una riflessione su merito e opportunità, esposta con caustica ironia. Su un impianto da thriller, il film quindi aggiunge alle corde drammatiche anche tocchi di commedia, e perfino legal drama; tanti spunti insomma, forse troppi per una trama che sembra non riuscire mai a decidere bene quali privilegiare e finisce così per trascurare alcuni aspetti che sarebbe stato interessante approfondire.

Il personaggio che Waltz sceglie per sé rimanda ad alcuni dei ruoli ambigui in cui si è specializzato, forse più di tutti al pittore Walter Keane in Big Eyes di Tim Burton, per quei modi accattivanti ma sottilmente prevaricatori; qui però quella che dovrebbe essere l'evoluzione del personaggio è in realtà piuttosto prevedibile fin dall'inizio, e anche se la parte offre numerose sfumature, queste non sono sempre ben bilanciate, anche a causa di un'ultima parte più frettolosa.
Come le graziose villette a schiera, gli eleganti alberghi e i ristoranti di lusso che inquadra, il film mantiene un aspetto impeccabile e ben pettinato, per un'opera che sta fra il cinema d'autore europeo e una produzione indipendente americana, anche nel cast, dove il neo-regista può contare su due grandi attrici come Vanessa Redgrave e Annette Bening (madre e figlia nel film), parte di una storia interessante, ma dal potenziale parzialmente inespresso.

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