'The Watchers on the Wall' è un episodio ricco di azioni e buoni propositi, che però non riesce mai ad innalzarsi al di sopra di un episodio perfettamente confezionato ma colpevolmente privo di anima.
L'ottavo episodio della quarta stagione di Game of thrones aveva messo moltissima carne al fuoco, portando alla ribalta numerosi cambiamenti di alleanze e strategie. Al di là del Mare Stretto, ad esempio, Daenerys ha scoperto che il fidato Jorah Mormont aveva iniziato la sua carriera ad Essos come spia di Westeros, e informatore per Lord Varys. La scoperta del tradimento spinge Khaleesi a cacciare via il suo braccio destro, salvandolo tuttavia dalla pena di morte. A Nord invece Ramsey Snow riesce, con l'aiuto e la paura di Reek/Theon, a conquistare non solo la stima del padre, ma anche il cognome. Ora non è più uno Snow perduto tra gli orfani del Nord: ora è un Bolton a tutti gli effetti. A Nido dell'Aquila, intanto, Petyr Baelish deve difendere se stesso dal consiglio che lo accusa non troppo velatamente di essere l'assassino di Lysa Arryn: Ditocorto troverà un'alleata inaspettata in Sansa, che riscrive la verità dei fatti a proprio favore. Forse la discendente di Eddard Stark ha capito che nel mondo di Westeros bisogna farsi furbi e cominciare a plasmare il mondo con bugie e tornaconti. Ma il momento clou dell'episodio è rappresentato dal duello, ad Approdo del Re, tra Ser Gregor, la Montagna, e Oberyn, la Vipera. Un duello che dovrà sancire la differenza tra la vita e la morte per Tyrion Lannister. Il duello rappresenta, per il principe di Dorne, una vendetta contro l'uomo che ha ucciso sua sorella; e infatti, per tutta la durata della tenzone, Oberyn chiede e anzi pretende una confessione. Le sue capacità di spadaccino, leggendarie in tutta Westeros e non solo, lo portano ad un passo dalla vittoria: ma l'eccessiva sicurezza in se stesso gli si ritorce contro e così finisce sotto le mani di Gregor che nell'arco di qualche secondo – e dopo aver confessato i propri crimini – gli fa esplodere il cranio. Tutta la scena sembra una concretizzazione del discorso che il Mastino aveva fatto ad Arya qualche episodio fa: meglio avere un'armatura e una spada piuttosto che perdere tempo a ballare intorno al proprio avversario. Vicino alla Barriera, nel frattempo, comincia il tanto atteso attacco dei bruti, ed è da questo punto che comincia il fantomatico episodio nove, dal titolo The Watchers on the Wall.
Il nono, fantomatico, episodio di questa stagione di Game of Thrones si concentra esclusivamente sugli uomini della Barriera che si preparano a ricevere il tanto temuto attacco da parte degli uomini di Mance Ryder. Uno scontro altamente atteso anche dagli spettatori, che però si vedono offrire uno spettacolo magistrale a livello tecnico, ma povero per quel che riguarda l'emozione. Proprio come si diceva qualche recensione fa, Il trono di spade è una serie che poggia le proprie migliori qualità non sulle scene d'azione, ma sul cuore che spesso queste scene mettono in risalto. Non a caso i momenti migliori di questa stagione accadono proprio quando l'azione è relegata quasi ai limiti del quadro: basta pensare al discorso di Tyrion durante il suo processo, o al bellissimo monologo che Oberyn fa quando si offre come campione. Anche in questo nono episodio, in effetti, nonostante il molto materiale che si aveva a disposizione, la sequenza migliore è quella dove l'azione è ritardata, lasciata oltre il limite di una porta da abbattere. Mentre in alto, sulla barriera, bruti e corvi combattono, decidendo il destino di personaggi importanti e allungando ancora di più il proverbiale brodo con storie secondarie di dubbia utilità, nelle profondità dei tunnel uno sparuto gruppo di eroi si appresta ad affrontare la morte, sotto forma di giganti. Ed in questo momento di coraggio e consapevolezza, in quel tunnel oscuro, riecheggiano le parole del giuramento dei Guardiani della notte: «Io sono la sentinella che veglia sulla barriera. Io sono il fuoco che arde contro il freddo, la luce che porta l'alba, il corno che risveglia i dormienti, lo scudo che veglia sui domini degli uomini. Io consacro la mia vita e il mio onore ai Guardiani della Notte. Per questa notte e per tutte le notti a venire». La scena ci fa venire i brividi e rappresenta il momento più alto dell'intero episodio. Peccato duri così poco.
Da quando Game of Thrones è apparso sugli schermi degli spettatori di tutto il mondo, si è radicata una tradizione ben precisa, che vuole che il nono episodio sia quello clou, quel turning point dal quale non si può tornare indietro. Tutto, infatti, è cominciato nella prima stagione, quando nell'episodio contrassegnato dal numero 9 avevamo maledetto Martin per l'addio ad Eddard Stark, il capostipite dei Lupi che, ad oggi, rimane ancora uno dei personaggi migliori. L'anno dopo il 9 aveva accompagnato la battaglia delle Acque Nere: una guerra tra acqua e fuoco, tra paura e vittoria, che ci aveva tenuto con il fiato sospeso. Lo scorso anno – e lo ricordiamo perfettamente, visto che siamo ancora qui a piangere – le nozze rosse hanno annegato il nono episodio, strappandoci Robb Stark e Vento Grigio in una delle scene più drammatiche e dolorose di sempre. Era dunque logico aspettarci anche per questa stagione un evento di ugual portata, non solo per il peso narrativo all'interno del racconto, ma anche per le cicatrici che avrebbe lasciato nel nostro cuore già provato. The Watcher on the Wall così ci prepara a dire addio a Ygritte, la ragazza dei bruti, la donna baciata dal fuoco. Però, per quanto ci dispiaccia ammetterlo, la morte non ha rappresentato quel momento di catarsi che ci aspettavamo. A meno che non siate grandi sostenitori di Jon Snow, per cui tutto ciò che lo riguarda vi strappa un sorriso o una ferita sanguinante, la morte di Ygritte vi lascerà quasi indifferenti. Questo principalmente per due motivi. Il primo è da ricercare nella volontà di farla morire per forza nell'episodio nove. Dopo aver diviso il terzo libro in due stagioni, la ferma decisione di non far vedere quasi mai né i bruti né i guardiani – di modo che il materiale fosse abbastanza per arrivare a questo nono episodio – ha di certo minato l'empatia del pubblico.
Dopo la morte della scorsa puntata, in cui avevamo detto addio ad Oberyn, la cui figura ha riempito questa quarta stagione, ritrovare di colpo Ygritte e tutto il suo amore/odio per Jon Snow ha avuto quasi un effetto straniante. Perché a questa donna bella e combattente, che nasconde il proprio dolore sotto denti digrignati e frecce acuminate, non ci avevamo più pensato. Il secondo motivo è che la morte avviene in maniera troppo veloce, improvvisa, quasi gettata lì a caso. E se è vero che nel disegno generale della vicenda l'amore tra Jon Snow e Ygritte è solo una lacrima in mezzo all'oceano, non si può negare che il loro rapporto proibito e rubato è stato uno dei motori trainanti che ha permesso al personaggio di Jon Snow di venire un po' fuori, di evolversi e trasformarsi in qualcosa di più interessante rispetto al figlio bastardo di Ned Stark (?) non amato ma pieno di intelligenza. Quello che ricaviamo è un addio che vorrebbe tendere all'epico, ma che invece rimane ancorato alla superficie, senza nessun guizzo aggiuntivo. Ci dispiace che Ygritte sia morta? Certo. Ma non la rimpiangeremo mai come potremmo fare per Ned Stark, per Khal Drogo, per Robb Stark o Oberyn … E non solo perché questi personaggi appena citati siano, a nostro avviso, maggiori rispetto a lei, ma perché loro hanno avuto la possibilità di accomiatarsi dalla serie in modo memorabile, degno, in cui veniva loro riconosciuto uno status. Ygritte, dopo avercela fatta amare e aver creato il tormentone del you know nothing Jon Snow, viene infine lasciata nelle spire dell'oblio, designata quasi come "ostacolo" per il bastardo di Grande Inverno. Un dolore utile alla rinascita; è come se la morte di Ygritte rappresentasse per Jon Snow quelle ceneri da cui una Fenice può risorgere. Fuoco per fuoco. Quello che si ottiene, in tutto questo, è un episodio scialbo, a tratti noioso, privo di anima. Ecco allora che a tutti quelli che si lamentavano di una stagione quasi del tutto priva di scene d'azione, The Watchers on the Wall risponde con uno degli episodi più deboli di tutta la serie. E dire che gli elementi interessanti non mancano: dal piano sequenza che cerca di abbracciare tutta la battaglia, alla già citata scena nei tunnel, fino alla decisione finale di Jon Snow di andare incontro a Mance Ryder per cercare di risolvere le sorti della guerra. Ma la battaglia è priva di mordente, pathos e cuore. E' una giustapposizione di frecce e asce e sangue: tutto montato in modo corretto, ma privato dell'alito della vita. A meno che voi non siate ferventi fedeli di Jon Snow o di Ygritte, l'episodio vi apparirà a tratti vuoto, a tratti inutile. Non disperate però: il prossimo promette scintille del colore dell'oro!
• La scena all'interno del tunnel, quando risentiamo il bellissimo giuramento dei Guardiani della notte.
• Il piano sequenza che accompagna la battaglia.
• La morte di Ygritte.
• La storia d'amore tra Sam e Gilly, abbastanza inutile.
• Che tutto l'episodio fosse concentrato solo sul Nord.
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