Full Monty – La serie, la recensione dello show su Disney+
'Full Monty - La serie' ha appena debuttato su Disney+. Ecco la nostra recensione del sequel del film del 1997
di Erika Pomella / 08.07.2023 Voto: 7/10
Era il 1997 quando al cinema arrivò Full Monty, pellicola britannica diretta da Peter Cattaneo e sceneggiata da Simon Beaufoy diventata poi un vero e proprio cult nonché manifesto di un certo tipo di cinismo e humour totalmente inglese. Venticinque anni dopo Full Monty – Squattrinati organizzati continua ad essere una pellicola scorretta e divertente, incentrata su degli operai che, dopo il fallimento della fabbrica della loro cittadina sperduta nell’entroterra inglese, decidevano di improvvisarsi spogliarellisti con la speranza di poter guadagnare abbastanza per poter continuare a mantenere se stessi e le persone che facevano parte della loro vita. Personaggi borderline, sfortunati, comici e patetici a fasi interne, che non rispondevano a nessun tipo di standard per quanto riguardava il mondo degli spogliarelli e che si gettava in questa avventura con l’ingenuità dei disperati.
Come dicevamo, sono passati venticinque anni dall’uscita di quella pellicola e ora la storia di Full Monty torna in Full Monty – La serie, disponibile su Disney+ (dove potete trovare anche il film originale) a partire dal cinque luglio 2023. Una serie che, bisogna dirlo subito, potrebbe non essere quello che vi aspettate. Infatti, gli spettatori che si avvicineranno a questo prodotto con la speranza di vedere una copia carbone del film del 1997 rimarranno delusi, perché la serie non si pone affatto l’obiettivo di seguire la stessa struttura del lungometraggio originale. Anzi. Full Monty – La serie rappresenta un vero e proprio sequel. Con il ritorno di tutto il cast principale – tra cui Robert Carlyle, Mark Addy, William ‘Wim’ Snape, Steve Huison e Tom Wilkinson – Full Monty – La serie porta lo spettatore alla scoperta di quello che è successo nella vita dei protagonisti.
La serie, dunque, non racconta di un gruppo di spogliarellisti, ma di un gruppo di uomini che, pur essendosi dedicati allo spogliarello integrale in una determinata fase della loro vita, ora stanno cercando di rimanere a galla. Intorno a loro il mondo è cambiato e sta ancora cambiando: la vecchiaia li ha colti quasi alla sprovvista, lasciandoli a raccogliere le briciole di una vita che senz’altro immaginavano diversa. I protagonisti hanno a che fare coi loro sogni infranti, con le famiglie distrutte, con figli disabili e attività da portare avanti in un paese che sembra avergli voltato le spalle. Da questo punto di vista la serie disponibile su Disney+ rappresenta sì un sequel, ma non è un seguito dedicato agli “spogliarellisti”, bensì agli esseri umani, ai personaggi che ancora si barcamenano tra le conseguenze di un’era post-industriale che ha portato solo crisi, dubbi e tentativi spesso fallimentari di rimanere a galla o di somigliare all’immagine di sé che si vorrebbe avere.
Perciò Full Monty – La serie non è un prodotto adatto a chi, nel film del 1997, era interessato solo all’esibizione e allo spogliarello. È invece un prodotto molto più interessante per chi ha sempre seguito con un moto di affetto la frustrazione di questi spiantati e la critica sociale che le battute della sceneggiatura nascondevano allora, proprio come fanno oggi. Non manca, infatti, né il cinismo né quel senso dell’umorismo tipicamente inglese che appare quasi fuori moda in una società come quella odierna dove la comicità deve fare costantemente i conti con una sensibilità più spiccata e consapevole. Da questo punto di vista, allora, Full Monty – La serie rappresenta una ventata d’aria fresca, anche se pure in questo caso la comicità a tratti viaggia col freno a mano tirato.
In definitiva, dunque, la nuova serie approdata su Disney+ è un prodotto interessante da vedere non tanto per ritrovare lo stesso film di venticinque anni fa, ma per spiare nella vita di personaggi a cui abbiamo voluto bene e che stanno attraversando quella crisi che ormai tutti conosciamo e che spesso ci fa sentire davvero degli “squattrinati organizzati”.