First Man – Il Primo Uomo, la recensione
Il giovane regista Chazelle racconta una vera storia americana e non solo: il primo allunaggio. Ottima prova di Ryan Gosling, che rispecchia in sé stesso la personalità fredda e distaccata di Armstrong.
di redazione / 16.10.2018 Voto: 7/10
Film d'apertura del settantacinquesimo festival di Venezia, Chazelle torna a dirigere Ryan Gosling dopo il musical quasi da Oscar La La Land. Ma stavolta non si balla, la musica non c'è, come direbbe un famoso rapper. Il giovane regista Chazelle, che esordì con il bellissimo Whiplash, racconta una vera storia americana e non solo: il primo allunaggio. E per farlo, ha ricostruito in ogni minimo particolare scenico l'America della corsa allo spazio in piena Guerra Fredda. Prodotto e sceneggiato dal premio Oscar Josh Singer, First Man fa entrare lo spettatore nella vita del freddissimo Neil Armostrong come fosse un documentario. Complice soprattutto l'intuizione registica di Chazelle che sfrutta moltissimo la telecamera a mano. I bruschi movimenti rendono il tutto molto più realistico, anche grazie all'uso di video d'epoca.
La vera peculiarità del film però risiede tutta nell'atteso finale in cui domina il tratto epico. Dalla partenza alla discesa sulla Luna, Chazelle ci regala momenti davvero intensi che non possono non emozionare. L'uso delle soggettive permettono di entrare nel mondo spaziale, mostrando ciò che stanno vedendo gli astronauti. Una ricerca di immedesimazione che esalta l'azione del singolo (è bene ricordare che Armstrong era un civile e non un militare) funzionale alla nazione americana intera. Una vittoria del paese che potrebbe arrivare per mano di chiunque, di quell'homo faber che tanto esalta la concezione di vita americana, quella della Terra delle Opportunità.
Così come accaduto in Whiplash, ma con molto meno mordente, Chazelle torna sull'uomo e sulla ricerca della perfezione completa. L'errore accade, che sia legato al tempo di un brano o di un calcolo sbagliato. Ma questo non deve in alcun modo modificare l'assetto dell'uomo americano, che deve andare oltre ai propri errori. Fino quasi a condurre una vita monastica, chiuso a riflettere sul problema ed a tentare di risolvero ad ogni costo. Ed è quello che fece Neil Armostrong, seppur con lo spettro della piccola Karen. Studiava, rifletteva, ragionava, risolveva. Tutto il necessario per arrivare al compimento della perfezione, dell'allunaggio. Ottima la prova di Ryan Gosling che incuba in sé stesso la personalità fredda e distaccata di Armstrong. Perfetto anche lui, come le sue manovre che hanno permesso il primo allunaggio.