Fabrizio De André – Principe Libero, recensione del film
La regia asciutta dell'esordiente Luca Facchini ci regala questo ritratto intimo e personale di altissima qualità, che racconta il De Andrè silenzioso e riflessivo ma non per questo insensibile e distratto.
di redazione / 19.01.2018 Voto: 8/10
Dove fallì "Rino Gaetano", "Fabrizio De Andrè – Principe Libero" riesce. Riesce nel dare un ritratto intimo e personale del più grande cantautore italiano. Riesce a far sorridere, con il suo cinismo. Riesce a far commuovere, con le sue parole. Quelle parole affiancate alla musica di una chitarra, quello strumento che in De Andrè risultava essere una continuazione delle sue dita. Quella chitarra, regalatagli dal severo padre in risposta al primo atto di ribellione del giovane Faber.
Si parte dal 1954, dopo un breve prologo che fa da spartiacque e che segna inevitabilmente la vita di De Andrè: il suo sequestro in Sardegna. Si inizia mostrando un piccolo De Andrè, preda di una ribellione adolescenziale che non lo abbandonerà mai. Maturerà ma il suo essere disobbediente lo accompagnerà per tutta la vita. Luca Marinelli abbandona quei truffaldini personaggi della periferia romana e si sposta a Genova, regalandoci una delle sue migliori interpretazioni che lo consacra definitivamente tra i migliori attori italiani in circolazione. Non si limita ad imitare De Andrè quanto più ad assimilarlo ed a restituire ciò che Faber ha dato a lui. I suoi fedeli stravizi, il whisky e le sigarette, e quella passione per ciò che lo circonda e che lo porta a scrivere poesie da affiancare ad una ballata. Poche note, solo d'accompagno a quella visione che De Andrè ha del mondo. Un principe libero da ogni pregiudizio e preconcetto, da ogni catena sociale, dalla quale fugge a gambe levate ogni volta che può.
Per tutta la prima parte, il film ci racconta l'origine della sua poetica, figlia della ribellione rispetto una società che gli sta fin troppo stretta. Che non riesce a dare dignità ad una prostituta, alla quale dedicò "La Canzone di Marinella". La genesi, le origini del mito, fino all'incontro con Dori Ghezzi, una biondissima e bravissima Valentina Bellè, capace di mostrare tutto l'amore che lei provava per De Andrè, come nella scena in cui canta "Il Pescatore" insieme alla PFM in uno dei concerti memorabili del Faber.
Durante la seconda parte, Fabrizio De Andrè – Principe Libero si sofferma sul dramma raccontando prima quello legato al suo sequestro da parte dell'Anonima Sarda e poi quello del lutto, la morte del padre che libera De Andrè dall'alcol. Come raccordo tra le due parti, troviamo invece l'abbandono al quale De Andrè è costretto suo malgrado. L'abbandono di Enrica e di Cristiano, per abbandonarsi alla sua Dori.
La regia asciutta dell'esordiente Luca Facchini ci regala questo ritratto intimo e personale di altissima qualità, che racconta il De Andrè silenzioso e riflessivo ma non per questo insensibile e distratto.
Menzione speciale alla scena di chiusra in cui Facchini si lascia andare ad una buonissima intuizione che non racconteremo nel dettaglio per provare a farvi vivere la stessa emozione che abbiamo provato.