[Roma 2014] Recensione Eden di Mia Hansen-Love
Eden non è un film di genere quanto piuttosto un racconto generazionale che mescola realtà e finzione fuggendo i cliché. Pellicola che merita la visione, finendo per farsi amare.
di redazione / 18.10.2014 Voto: 7/10
Tre anni dopo Il padre dei miei figli che aveva vinto il premio speciale della giuria a Cannes nel 2009, Mia Hansen-Love porta nella sezione Gala del Festival Internazionale del Film di Roma Eden già presentato pochi mesi fa al TIFF. Affermatasi come una delle più interessanti e talentuose registe del cinema francese contemporaneo la trentatreenne Hansen-Love non si smentisce nemmeno stavolta con una pellicola che seppur a tratti lacunosa e ritmicamente altalenante conserva sempre una forte e lampante autorialità.
Realizzato in collaborazione con il fratello dj Sven, Eden ripercorre le tappe della nascita e dello sviluppo del French touch e cioè un sottogenere della musica house diffusosi in Francia negli anni Novanta. Protagonista è Paul (Félix de Givry) un ragazzo appassionato di elettronica che insieme al suo amico Cyril, con il quale fonda il duo Cheers, si esibisce nei locali parigini tentando di affermarsi. Per anni Paul insegue il suo sogno perdendo di vista la realtà quotidiana così, mentre le donne e gli amici che lo circondano crescono e in qualche modo vanno avanti lui rimane sempre fermo accecato dalla sua passione, dipendente da cocaina e senza soldi.
Nonostante la precisione e il rigore della ricostruzione storica Eden non è un film di genere quanto piuttosto un racconto generazionale che mescola realtà e finzione fuggendo i cliché, la storia di una persona qualunque che in quegli anni rincorreva la chimera del successo sulla scia dei Daft Punk, di Dimitri from Paris, Cassius, Alex Gopher e molti altri. La grazia con la quale la Hansen-Love riesce ad essere documentaristicamente intimista è una qualità emersa già nei suoi lavori precedenti e che qui viene ancor di più sottolineata nel continuo alternarsi fra dimensione personale e storica. Ed è proprio nell'amalgamarsi delle due linee narrative che il film rivela le sue debolezze ristagnando, insistendo troppo su alcune vicende che tornano ridondanti a voler calcare appositamente la mano sugli elementi che probabilmente stanno più a cuore alla regista. In fin dei conti Eden parla anche di lei, di chi era adolescente negli anni Novanta in Francia e di chi ha vissuto sulla pelle quell'exploit musicale con tutte le sue influenze, la ritualità dei locali notturni, le crisi e il blocco esistenziale di quei tempi. Nella sua innegabile imperfezione un pellicola che merita sicuramente la visione, che avvicina lo spettatore e lo allontana e che si finisce inevitabilmente per amare.