Primo film di fantascienza per il regista Alexander Payne, che immagina un mondo in cui gli esseri umani si fanno rimpicciolire fino a raggiungere i 12 cm di altezza. Come cambierà la vita del protagonista Matt Damon dopo questa decisione?
In un mondo minacciato da sovraffollamento, riscaldamento globale, povertà, inquinamento e tanti altri pericoli, due scienziati norvegesi hanno un'idea: e se la soluzione stesse nell'inventare un procedimento per "miniaturizzare" gli esseri umani? È questa la premessa di Downsizing, ultima opera di Alexander Payne, a quattro anni dal precedente Nebraska.
Tra le persone attirate dalla prospettiva di farsi rimpicciolire, ci sono Paul Safranek (Matt Damon, goffo e appesantito nella sua interpretazione del tipico americano medio) e sua moglie Audrey (Kristen Wiig): prigionieri in lavori insoddisfacenti, oppressi da condizioni economiche precarie, capiscono che, andandosi a trasferire in uno dei villaggi in miniatura, potrebbero facilmente fare una vita da nababbi. La decisione cambierà in modo irreversibile le loro vite, e Paul, nel suo nuovo mondo in dimensione ridotta, farà la conoscenza di bizzarri personaggi come il vicino di casa serbo Dusan (Christoph Waltz, che al solito gigioneggia) o l'attivista vietnamita Ngoc Lan Tran (Hong Chau), grazie ai quali rivoluzionerà la propria esistenza.
Downsizing, scritto con l'abituale collaboratore Jim Taylor, è la prima incursione del regista nella fantascienza, ed è ad oggi il suo film più lungo, più costoso, in definitiva forse il più ambizioso.
Negli ultimi anni il cinema propone sempre più spesso scenari distopici in cui il destino dell'umanità è in pericolo e si cercano, come in questo caso, soluzioni alternative: proiezioni di un futuro immaginario ma in fondo non così distante dalla realtà che conosciamo, con la tecnologia a farla da padrona anche se non sempre con l'esito migliore.
C'è tanto, forse troppo, nel film di Payne: innanzitutto il percorso di un uomo il cui mondo paradossalmente si espande quando lui diventa più piccolo, e che da una versione limitata di sé impara a sfruttare le proprie potenzialità, in un cambiamento tanto interiore quanto esteriore.
Al tempo stesso il film è una parabola ambientalista dai toni quasi apocalittici, una riflessione sul lato oscuro della globalizzazione che riecheggia l'attualità (con tanto di muro a tener fuori gli immigrati).
Lo spunto della storia è interessante, con alcune sequenze spassose (con camei di nomi come Neil Patrick Harris, Laura Dern, Jason Sudeikis) e ben congegnate anche a livello visivo, ed effetti speciali "vecchio stile", nel modo più artigianale possibile; certi spunti avrebbero meritato di essere approfonditi, ma vengono trascurati a favore di una trama che invece accumula temi e situazioni, specialmente nella seconda parte. Alcuni passaggi sono confusi o prolissi (il viaggio in Norvegia) e anche il finale sembra un'occasione mancata.
Downsizing è un passo al di fuori della comfort zone per il regista americano, che resta comunque un autore con un'idea e uno stile personale, da cui è lecito aspettarsi qualcosa di interessante.
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