Colpa delle Stelle – Il libro che sta commuovendo il mondo
'Colpa delle stelle' è una lettura scorrevole, a tratti piacevole e a tratti devastante per il povero cuore sensibile dei lettori. Una lettura che fila via quasi senza intoppi, anche grazie ad un ritmo piuttosto ben condenzato. Il problema arriva quando si ha a che fare con dialoghi eccessivamente ampollosi e retorici.
di Erika Pomella / 27.07.2014 Voto: 6/10
"La colpa, caro Bruto, non è delle stelle, ma nostra, che ne siamo dei subalterni"; se conoscete la produzione di William Shakespeare e, in particolare, il suo grandioso Giulio Cesare allora probabilmente riconoscerete senza eccessivo sforzo la citazione che apre questa recensione e che ha spinto lo scrittore John Green, classe 1977, ad intitolare il suo romanzo più famoso Colpa delle Stelle (in originale The Fault in our stars). Il bardo inglese, oltretutto, ricorre più volte nel corso del romanzo di 347 pagine, edito, in Italia, per la Rizzoli. Infatti, una delle idee centrali dell'intero racconto è l'idea – o meglio la paura – dell'oblio. Il protagonista Augustus, infatti, quando si presenta per la prima volta al gruppo di supporto dove conosce anche Hazel, dirà :"Ho paura dell'oblio". Per tutta la durata della narrazione, infatti, ritorna questa idea che della morte la cosa che spaventa di più è quella di sparire per sempre, di essere dimenticato. Un destino simile a quello toccato al poeta di Romeo e Giulietta: negli occhi dei protagonisti – e presumibilmente in quelli dell'autore – Shakespeare è stato anche lui colpito dalla strana maledizione dell'oblio: tutti ricordiamo le cose che ha scritto, ma nessuno ha memoria dell'uomo che fu, dei suoi sogni, delle sue ambizioni. E' giusto allora che lo stesso titolo del romanzo sottolinei questa situazione quasi metaletteraria, dando onore al Bardo.
Questo, tuttavia, è solo la punta dell'iceberg: dalla paura dell'oblio ai riferimenti colti, tutto quello che coopera alla stesura di Colpa delle stelle è semplice materiale riempitivo, una cornice piena di fregi che serve a racchiudere l'evento principale della storia: l'innamoramento di due adolescenti che sanno – o sospettano – di avere il tempo contato. Due anime affini che si incontrano quasi per caso e che riconoscono, l'una nell'altro, una parte mancante della propria anima. Hazel ha un raro cancro ai polmoni che viene tenuto sotto controllo grazie ad una cura sperimentale; Augustus, per un male simile, ha visto vedersi amputare la gamba. I due protagonisti di questo libro sono due combattenti che avrebbero preferito non dover mai alzare i pugni; due adolescenti stanchi di essere trattati come opere di compassione piuttosto che come persone a tutti gli effetti. Ragazzini che vorrebbero vivere la loro vita come meglio credono, ma che invece devono fare i conti con la Signora Morte, pronta a colpire sempre, senza preavviso, in maniera subdola. Adolescenti che hanno sulle proprie spalle non solo il carico di una malattia debilitante e, potenzialmente, fatale, ma anche il compito di continuare a combattere coraggiosamente, anche per genitori dall'aria stanca e sconfitta, che rinunciano a se stessi per questi bambini nati sotto stelle nefaste.
Nella "lotta" al cancro – che, in Colpa delle Stelle diventa piuttosto una rassegnata accettazione – il libro di John Green mostra il suo lato migliore. Quando Hazel, voce narrante della storia, racconta dei suoi mali, delle sue difficoltà e di tutti gli imprevisti che incontra lo fa con un'ironia tagliente, a tratti estremamente cinica, che spinge lo spettatore a non provare compassione per lei, quanto piuttosto stima per una ragazzina che ti piacerebbe avere come amica. Lo stesso discorso, però, non si adatta alle spalle di Augustus. Anche lui combatte attraverso l'ironia e il cinismo – tratto che condivide con Hazel – ma in lui c'è qualcosa di sbagliato. In lui tutto è enfatico, sopra le righe, pieno di retorica – tanto che non è sorprendente vederlo entusiasmarsi per un film come 300 in una scena specifica del libro. E forse è da ricercare in questa pomposità di Augustus che si deve ricercare il punto più debole dell'operazione letteraria. Nei suoi dialoghi, così come nei suoi lunghi monologhi, c'è quello stesso elemento disturbante che anni fa era possibile riscontrare in Dawson's Creek: la completa mancanza di verosimiglianza. Augustus non si esprime affatto come un adolescente: e d'accordo che non è un ragazzo come gli altri, d'accordo che la vita lo ha messo così a dura prova da farlo maturare prima del tempo. Tutte spiegazioni plausibili e, in parte, condivisibili. Ma nessun adolescente si esprimerebbe come fa Augustus, con paroloni ricercarti, quasi caduti in disuso. I dialoghi, allora, spesso finiscono con l'essere troppo: troppo colti, troppo pieni di sè, troppo poco credibili. Il lettore si trova così a condividere lo stesso sentimento di Hazel, quando dice: "Quando il Gus sorpreso ed emozionato e innocente affiorava dal Gus Incline a Compiere Grandi Gesta Metaforiche, non potevo resistergli". Per noi è lo stesso: quando John Green lascia cadere la sua indole quasi educativa a favore di una più sincera aderenza non solo all'età del personaggio, ma anche, presumibilmente, a quella di chi legge, allora persino Augustus diventa qualcuno a cui non si può resistere, qualcuno per cui ti arrabbi contro il destino infame. Tutta la retorica del personaggio – in questi rari casi – finisce per diventare non solo credibile, ma anche adorabile. Un esempio è quando Augustus spiega il suo rapporto con le sigarette davanti ad un'incredula Hazel:
"Non ci posso credere" ho detto. "Pensi che sia figo? Oh, mio Dio, hai appena rovinato tutto."
"Tutto cosa?" mi ha chiesto, voltandosi verso di me. La sigaretta gli pendeva spenta all'angolo non sorridente della bocca.
"Quel tutto per cui un ragazzo che è non poco attraente e non poco intelligente, insomma, non inaccettabile, mi fissa e sottolinea un uso scorretto della letteralità e mi paragona a un'attrice e mi chiede di andare a vedere un film a casa sua. Ma naturalmente c'è sempre una hamartia, e la tua evidentemente è questa. Voglio dire, anche se AVEVI UN DANNATO CANCRO, dai soldi a una multinazionale del tabacco in cambio della possibilità di farti venire ANCORA PIÙ CANCRO. Oh, mio Dio. Lasciami solo dirti che non essere in grado di respirare sai cosa fa? SCHIFO. Che delusione. Che delusione totale."
"Una hamartia?" ha detto lui, la sigaretta ancora in bocca.
"Un'imperfezione fatale". […]Ero lì in piedi con le mie All Stars sul ciglio del marciapiede, la bombola di ossigeno fissata al carrellino, e nel momento in cui mia madre è arrivata ho sentito una mano afferrare la mia. Ho dato uno strattone per liberarmi, ma mi sono voltata verso di lui. "Non ti uccidono, se non le accendi" ha detto mentre la mamma fermava l'auto praticamente attaccata al cordolo. "E non ne ho mai accesa una. E' una metafora, sai: ti metti la cosa che uccide fra i denti, ma non le dai il potere di farlo"
Un altro grande protagonista del libro è Un'imperiale afflizione, il romanzo di Peter Van Houten che Hazel legge a ripetizione, trovando di volta in volta stralci che le parlano di lei, della sua malattia, dei suoi stati d'animo. E' il libro, in ultima analisi, a far nascere la vera storia d'amore tra i due protagonisti, spingendoli ad affrontare innumerevoli prove insieme. Senza questo romanzo effimero quanto il suo autore, forse Hazel e Gus non avrebbero mai potuto innamorarsi l'uno dell'altra, perchè è in quelle pagine che Hazel nasconde le fragilità della sua anima:
Il mio libro preferito era Un'imperiale afflizione, ma non mi andava di raccontarlo in giro. A volte leggi un libro e ti riempie di uno strano zelo evangelico che ti convince che il mondo frantumato che ti circonda non potrà mai ricomporsi a meno che, o fino a quando, tutti gli esseri umani non avranno letto quel libro. E poi ci sono libri come Un'imperiale afflizione, di cui non puoi parlare con l'altra gente, libri così speciali e rari e tuoi, che sbandierare il tuo amore per loro sembrerebbe un tradimento. Non era nemmeno che il libro fosse così bello. Era solo che l'autore, Peter Van Houten, sembrava capirmi in strani, impossibili modi. Un'imperiale afflizione era il mio libro, nel modo in cui il mio corpo era il mio corpo, e i miei pensieri i miei pensieri.
In definitiva Colpa delle stelle è una lettura scorrevole, a tratti piacevole e a tratti devastante per il povero cuore sensibile dei lettori. Una lettura che fila via quasi senza intoppi, anche grazie ad un ritmo piuttosto ben condensato. Il problema arriva quando si ha a che fare con dialoghi eccessivamente ampollosi e retorici, pieni di paroloni e nozioni che appesantiscono la fruizione, minando tutti i buoni risultati ottenuti con l'uso sapiente dell'ironia macabra. A questo si aggiunge un fin troppo chiaro intento di emozionare ad ogni costo che, in alcuni momenti, sortisce piuttosto l'effetto opposto.