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Chiudi gli occhi di Marc Forster, recensione

Chiudi gli occhi è un film dalle atmosfere suggestive ma dallo svolgimento meccanico, che punta in alto, ma non ha la forza per sostenere le proprie ambizioni, rimanendo così un’occasione mancata.

Arriva da noi a quasi due anni dalla sua presentazione al Festival del cinema di Toronto, nel 2016, Chiudi gli occhi, diretto (e sceneggiato, insieme a Sean Conway) dal tedesco Marc Forster, ormai di casa a Hollywood da molti anni.

La trama è incentrata su una coppia, quella composta da Gina (Blake Lively) e James (Jason Clarke): lei ha perso la vista da piccola a causa di un incidente, e vive a Bangkok con il marito, che è stato trasferito lì per lavoro, e dove i due sperano di allargare la famiglia con un bambino. Quando Gina si sottopone a un intervento per riacquistare la vista, comincia a riappropriarsi di tante piccole e grandi cose che da tempo le erano negate, ma la novità porta ben presto anche alcuni cambiamenti inattesi e disturbanti per sé e per suo marito.

Forster, un autore piuttosto eclettico nei generi cinematografici finora esplorati, qui realizza un dramma sentimentale che strizza l’occhio al thriller psicologico. La trama è esile e anche sfilacciata, con dei colpi di scena in realtà ampiamente “telefonati” e quindi prevedibili. Ciò che interessa davvero al regista, però, è la forma con cui narrare la sua storia, andando a coinvolgere tutti i sensi, e in particolar modo, com’è ovvio, la vista. Grande cura ad esempio è posta nella scelta delle locations in cui si muovono i personaggi: dalla casa elegante e asettica dei protagonisti alla città di Bangkok, affollata, multietnica, una varietà di suoni e colori; da una camera d’albergo raffinata ma straniante alle stradine di una Spagna calda, vivace, trasgressiva. Quando l’occhio della cinepresa diventa poi un occhio umano, privo della vista, si concede giochi di luci e ombre che dovrebbero “illustrare” la condizione di cecità.

Un’eleganza formale piuttosto ostentata a cui si accompagna una certa freddezza nella descrizione dei personaggi, con una Blake Lively che ancora non trova la consacrazione definitiva come attrice cinematografica dopo il successo tv.

Il film è in definitiva l’osservazione di un rapporto coniugale in cui la vista diventa metafora del conoscere davvero e a fondo un’altra persona, e anche una considerazione sul senso di dipendenza connesso a un certo tipo di amore (un argomento curiosamente già affrontato quest’anno, in ben altro modo, da Paul Thomas Anderson con Il filo nascosto).

Chiudi gli occhi è un film dalle atmosfere suggestive ma dallo svolgimento meccanico, che punta in alto, ma non ha la forza per sostenere le proprie ambizioni, rimanendo così un’occasione mancata.

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