Carrie – Lo sguardo di Satana, la recensione
La versione 2013 del celebre romanzo di Stephen King, già portato sugli schermi da Brian De Palma negli anni '70. Un remake non memorabile, nonostante le due brave protagoniste.
di Matilde Capozio / 10.01.2014 Voto: 5/10
È sempre un azzardo cimentarsi con il remake di un film, specie se si tratta di un film a suo tempo divenuto di culto come fu Lo sguardo di Satana, diretto nel 1976 da Brian De Palma, adattamento dell'omonimo romanzo di colui che è universalmente considerato il re del brivido, Stephen King. Lo stesso scrittore ha espresso perplessità riguardo alla nuova versione cinematografica, chiedendo che bisogno ci fosse di rifare un film ben riuscito. L'operazione ha però offerto la possibilità di raccontare la storia attualizzandone le vicende ai giorni nostri, sebbene mantenendosi fedeli al testo originale.
Il film vede protagonista Carrie White (Chloe Grace Moretz), un'adolescente timida e problematica, con una madre (Julianne Moore) religiosa ai limiti del fanatismo, ossessionata dal peccato, di cui ritiene sia frutto anche la propria figlia. La madre ritiene opera del demonio anche i poteri telecinetici di cui Carrie è dotata, e che le consentono di spostare oggetti con la sola forza del pensiero. Per via della sua singolarità, e dell'apparente estraneità al mondo che la circonda, Carrie è spesso isolata a scuola, maltrattata e presa in giro dai compagni di classe. La repressione e le umiliazioni di cui Carrie è stata vittima per tutta la sua vita esploderanno prepotentemente durante la serata del ballo scolastico.
Carrie – Lo sguardo di Satana si prefigge di esplorare il passaggio dall'adolescenza alla giovinezza e la condizione di outsider, da una prospettiva femminile (ancora di più in questo remake, in cui non solo i personaggi principali, ma anche la regista, Kimberly Peirce, è una donna), coniugando questa tematica con elementi come il paranormale e la singolare struttura familiare di Carrie White. Il film però sembra non riuscire ad amalgamare alla perfezione tutte le sue componenti, quasi fosse indeciso sulla strada da prendere; non approfondisce a sufficienza certi snodi della trama e alcuni dei personaggi, sacrificando forse in particolare un'attrice magnifica come Julianne Moore che nonostante dia vita ad alcuni momenti agghiaccianti, è un po' penalizzata dalla mancanza, per esempio, di un background più dettagliato del suo personaggio, che avrebbe dato magari più spessore anche al rapporto madre-figlia.
In certi momenti, poi, l'ambientazione liceale (non a caso lo sceneggiatore Roberto Aguirre-Sacasa ha lavorato anche su Glee) ricorda quella di tanti teen horror, con un ritratto degli adolescenti piuttosto prevedibile, inclusi i riferimenti alle nuove tecnologie, tra social media e smartphone.
Al contrario del film di Brian De Palma, che vedeva una quasi trentenne Sissi Spacek nei panni della liceale protagonista, in questo remake il ruolo è della giovane Chloe Grace Moretz, credibile nella parte forse anche per via dei ruoli dark (tra i quali Blood Story e Dark Shadows) affrontati in precedenza nella sua già lunga filmografia. Dopo una prima parte in cui le atmosfere del film sono quelle di un horror psicologico, nel finale prevale un lato quasi splatter, che non risparmia i dettagli più violenti e sanguinosi, sempre però con uno stile patinato, ben lontano dalle dolorose storie di giovinezza raccontate dalla regista nel suo esordio, il crudo e scarno Boys don't cry.
Il film ha quindi come obiettivo la rivisitazione del romanzo puntando sulle nuove generazioni che hanno probabilmente scarsa familiarità con il film del 1976, ma ci troviamo forse d'accordo con Stephen King sul fatto che non sia un film di cui si sentiva a tutti i costi la necessità.