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Captive State, recensione del film di Rupert Wyatt

Captive State si presenta al meglio nella costruzione di un'occupazione aliena credibile e inedita, ma inciampa della caratterizzazione dei personaggi e nelle scene d'azione.

Quando si tratta di invasioni aliene, solitamente i film tendono a focalizzarsi sulle prime fasi del conflitto, mettendo in scena la sorpresa iniziale dei terrestri seguita inevitabilmente da una strenua lotta per la sopravvivenza, fino ad arrivare a ad uno scontro finale che riporterà l'equilibrio e riconsegnerà la terra ai suoi legittimi proprietari. È quindi piacevole osservare come Captive State si discosti immediatamente da questa formula per cercare di raccontare non tanto l'invasione quanto le conseguenze che un'occupazione da parte di una forza extraterrestre potrebbe avere sul nostro pianeta. Il primo "incontro ravvicinato" con gli alieni del film è relegato al brevissimo prologo, dopo il quale ci si sposta otto anni nel futuro, in un mondo dove queste creature (note solamente come "i legislatori") hanno assunto totale controllo sulle istituzioni mondiali. Protagonisti del film sono il poliziotto William Mulligan (John Goodman), collaborazionista che cerca di mantenere l'ordine nella Chicago che una volta era la sua casa, e Gabriel Drummond (Ashton Sanders), un giovane disilluso che cerca di fuggire dalla città, ma si vedrà costretto a collaborare con i membri di una organizzazione ribelle nota come Phoenix.

Ci sono ottimi spunti e tantissime buone idee in Captive State, a cominciare dalla scelta di affidare la vicenda ad una narrazione che privilegia il punto di vista dell'uomo comune: le storie che viviamo non sono quelle di alti ufficiali governativi o militari impegnati a fronteggiare la minaccia degli invasori; come già detto, l'invasione è già avvenuta, le battaglie si sono già consumate e gli equilibri già ristabiliti in favore dei nuovi legislatori. Quello che vediamo sono le conseguenze, le vite degli ordinari cittadini costretti a fare i conti con il nuovo status quo. I dietro le quinte e le macchinazioni del potere non vengono mai presentate direttamente: vediamo solo quello che la macchina della propaganda ha da offrire, un mondo occupato ma in pace, dove tutte le crisi sono state superate grazie al benevolo intervento degli invasori. Ma è ovviamente solo una facciata, cosa che il film non tenta mai di nascondere: tutto e tutti sono in uno stato di costante sorveglianza, schedati e monitorati ora da droni di pattuglia, ora da (vere) cimici sottopelle. I più grandi pregi di Captive State si trovano nella messa in scena di un mondo credibile, le cui dinamiche interne sono mostrate più che raccontate, che dona al tutto una sua identità, cosa affatto scontata. Viene mostrato solo l'essenziale (probabilmente anche a causa di un budget molto ridotto), ma non serve altro per far funzionare l'illusione di realtà.

Dove il film purtroppo inciampa è nella la caratterizzazione dei personaggi, davvero troppo piatta per i temi affrontati. La molteplicità di soggetti in gioco sembra essere il problema principale in questo senso: il focus della narrazione si sposta troppo velocemente e troppo spesso da un elemento all'altro, rendendo quindi vano ogni tentativo di immedesimazione da parte del pubblico. Si arriva ad una confusione tale per cui i personaggi che fino a quel momento si potevano considerare protagonisti semplicemente scompaiono dalla narrazione per buona parte del secondo atto, lasciando spazio ad una schiera di volti completamente nuovi, salvo poi ignorare questi ultimi e ritornare agli interessati originali. Un vero peccato, considerato il talento degli attori coinvolti, che nonostante lo scarso materiale a disposizione regalano comunque interpretazioni degne di considerazione. Anche la regia risulta poi altalenante: efficace nei momenti di contemplazione e funzionale alla costruzione del mondo narrativo, precipita nella confusione nelle scene di azione, dove risulta difficile comprendere ciò che viene mostrato (anche a causa di una fotografia troppo, troppo scura, probabilmente scelta per nascondere alcune manchevolezze tecniche).

Captive State è una creatura rara nel panorama contemporaneo, un tentativo di accostare tematiche forti (i parallelismi con l'occupazione americana in Iraq sono evidenti) alla classica invasione aliena tanto cara a Hollywood, il tutto favorendo un punto di vista "dal basso". Il film funziona quando cerca di raccontare la quotidianità della situazione; risulta invece in difficoltà quando l'azione prende il sopravvento. Un esperimento come questo va comunque premiato, nella speranza che il futuro la macchina produttiva permetta a rarità come questa di esprimere appeno il loro potenziale.

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