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Blood, la recensione

Recensione del film Blood di Nick Murphy con Paul Bettany, Mark Strong, Brian Cox: un pugno nello stomaco, durissimo alla coscienza di chi guarda, che si ritrova a vacillare tra i propri sentimenti.

"Quando eravamo piccoli nostro padre ci diceva che se non abbottonavamo i cappotti il vento ci avrebbe fatto volare via". La voce che invade lo schermo, nascondendosi dietro la comodità della voice-over è quella di Paul Bettany, protagonista, insieme a Stephen Graham (L'Al Capone di Boardwalk Empire), di Bloodopera seconda del regista Nick Murphy. Lo sfondo grigio, dove cielo e mare diventano macchie di colori cupi, abbraccia la voce che accompagna lo spettatore, introducendolo in una storia che è stata paragonata, dall'Hollywood Reporter, al  bellissimo Mystic River di Clint Eastwood.

Tutto inizia quando il corpo di una ragazzina viene ritrovato in piazza; la carne devastata da molteplici coltellate e macchie di sangue rappreso sulla pelle candida. Per il poliziotto Joe Fairburn (Paul Bettany) è l'inizio di una discesa inesorabile verso la peggiore dimensione infernare. Insieme al fratello Chrissie (Stephen Graham), Joe indaga sul brutale omicidio della ragazza, fino a diventarne ossessionato. I sospetti maggiori ricadono su Jason Buliegh (Ben Crompton), un pregiudicato nella cui casa viene rinvenuto un braccialetto della vittima e numerose fotografie. Convinto della colpevolezza dell'uomo, Joe non crede ai suoi occhi quando il suo capo lo rimette in libertà. Da quel momento immagini della vittima, la piccola Angela, cominciano a turbinargli davanti agli occhi finchè, durante la festa per l'anniversario di matrimonio, suo padre Lenny (Brian Cox), ex pezzo grosso della polizia indebolito dalla vecchiaia e dall'alzheimer, gli suggerisce inconsapevolmente un'idea. Ubriaco e pieno di furore Joe decide di rapire Buliegh e, accompagnato dal fratello, lo conduce sulle "Isole", paesaggio rustico dove, in passato, lo stesso Lenny aveva portato i suoi sospettati. Mentre la notte avanza, Joe obbliga il sospettato a scavarsi da solo la propria fossa e, dopo averlo fatto stendere su un letto fatto di sabbia e acqua salmastra, comincia a ricoprirlo, minacciando di ucciderlo se non confessa la sua colpa. A quel punto Buliegh confessa, citando un dettaglio conosciuto solo ai poliziotti. Per Joe è troppo: preso da un raptus uccide Buliegh, sotto gli occhi increduli di Chrissie. Quando poi, pochi giorni dopo, il vero assassino della piccola Angela viene assicurato alla giustizia, Joe capisce di aver fatto un terribile errore. Così, mentre la madre di Buliegh distribuisce volantini per tentare di ritrovare il proprio figlio, Joe finisce sotto la lente del detective e amico Robert (Mark Strong).

Blood è un film senza sfumature: un noir che fa del proprio genere anche la cromia dominante. Neri sono i colori che dominano lo spazio, neri sono gli abiti dentro cui man mano si avvolge Joe; persino il sangue, di colpo, diventa della tonalità dell'inchiostro. E nera, soprattutto, è la visione del mondo che Murphy regala ad una platea sempre più agghiacciata e schiacciata dal peso di quello che vede. Protagonista della narrazione è un mondo scevro di elementi positivi, pieno di sentimenti negativi e di debolezze umane, in cui il più forte soverchia sempre il più debole, nel gioco più antico del mondo. Dolori e umiliazioni vanno di pari passo, così come eroi e antagonisti non sono di così facile comprensione. Murphy costruisce un impianto scenico in cui tutto questo salta all'occhio, in cui le luci fredde abbracciano i protagonisti, arpionandoli con dita di ghiaccio, inserendoli in un contesto dove il pericolo può venire in qualsiasi momento, da qualsiasi punto. Ecco allora che quadri di paesaggi desolati, di fili d'erba sospinti dall'alito di vento, arrivano a interrompere la visione, con richiami à la Malick, quasi a suggerire che in un mondo tanto disperato persino la natura è diventata un nemico.

Coerente nella sua struttura interna, con personaggi che riescono, anche in pochi attimi di inquadratura, a parlare allo spettatore, Blood è un pugno nello stomaco, un colpo durissimo alla coscienza di chi guarda, che si ritrova a basculare tra i propri sentimenti. E, in effetti, l'elemento di maggior impatto in questo noir, è la capacità dell'intreccio di giocare con le sensazioni dello spettatore, portandolo a dubitare di se stesso e delle proprie sensazioni. Perchè se è vero che sin dall'inizio il personaggio di Paul Bettany seduce e porta ad una sorta di empatia, man mano che la storia avanza e la sua discesa verso la (auto)distruzione si concretizza, i suoi gesti diventano più isterici e se anche sono comprensibili minano la fiducia del pubblico. Persino il personaggio di Buliegh, che all'inizio appare colpevole senza dubbio, viene rivestito – grazie soprattutto all'intervento della madre – di un'aurea più positiva. Tutti colpevoli e tutti innocenti, i personaggi di Blood si inseriscono alla perfezione in una cornice disperata, dove la felicità fatica ad arrivare.

Nonostante alcuni punti in cui si percepisce un calo di attenzione, Blood è un film che gioca su un senso di isolamento continuo, che trasmette ansia; e per farlo utilizza da una parte una colonna sonora quasi straniante (seppur bellissima), dall'altro una fotografia impeccabile che sottolinea e rafforza il senso di claustrofobia, come se i personaggi fossero destinati ad un destino avverso, dal quale non si può fuggire in nessun modo. Le lingue d'alta marea che coprono "le isole", così come le continue allucinazioni di Joe, non sono altro che catene che bloccano i personaggi, impedendogli di muoversi e andare avanti. Ecco allora che Blood prende le sembianze di un racconto circolare, dove passato e presente si prendono per mano, in un circolo continuo di ricordi e recuperi.

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