Annabelle, la recensione
'Annabelle' è un buon film horror, che riesce a spaventare grazie all'eleganza di una messa in scena che punta tutto sul non-visto e sulle adamitiche paure dell'essere umano.
di Erika Pomella / 30.09.2014 Voto: 7/10
L'avevamo conosciuta nell'incipit della pellicola The Conjuring – L'evocazione, ma ora la bambola Annabelle è pronta a tornare sul grande schermo con una pellicola interamente dedicata alla sua storia e alla sua genesi. John R. Leonetti, che aveva già diretto L'evocazione, torna dietro la macchina da presa per studiare anche da vicino uno dei pezzi forti della collezione dei coniugi Warren, esperti di paranormale, che, ancora oggi, tengono la bambola chiusa in una teca che viene benedetta due volte al mese. James Wan, che in Annabelle è coinvolto dal punto di vista produttivo, era rimasto talmente colpito da questo ninnolo per bambini così intriso di male da arrivare a domandarsi quale fosse la storia di questa bambola.
Annabelle comincia con una breve sequenza mockumentaristica in cui due infermiere spiegano di essere entrate in possesso di una bambola rara grazie ad un regalo di compleanno. Poco dopo, però, in casa sono cominciate ad accedere cose strane che avevano spinto le due ragazze ad informarsi sulla bambola e, soprattutto, sullo spirito che la ospitava. Subito dopo il film fa una brusca frenata e riavvolge il nastro, portandoci nella vita di Mia (Annabelle Wallis, la meravigliosa Grace di Peaky Blinders) e di suo marito John (Ward Horton), che sono in attesa del loro primogenito. Una notte Mia si sveglia sentendo degli urli provenire dalla casa accanto, dove vivono Sharon e Pete Higgins (Kerry O'Malley e Brian Howe). I coniugi Higgins vengono brutalmente uccisi dalla figlia Annabelle e dal suo compagno che, poco dopo, si introducono a casa di Mia e John, dove colpiscono Mia, prima di essere a loro volta colpiti. L'uomo viene ucciso dalla polizia, mentre Annabelle si toglie la vita e viene rinvenuta nella camera del bambino ancora non nato, con una bambola in braccio e uno strano segno sul muro. Da quel giorno per Mia comincia una vita piena di fatti strani e spaventosi, che culminano in un incendio che spinge la donna, ormai divenuta madre, a cambiare casa, subito dopo essersi liberata della bambola. Nel nuovo appartamento, con la piccola Lea a cui badare, Mia scopre ben presto di essere stata seguita dalla bambola, nella quale vive un demone che vuole un'anima. Con l'aiuto della vicina Evelyn (Alfre Woodard) e di Padre Perez (Tony Amendola, il Geppetto di Once Upon a Time), Mia dovrà trovare un modo per porre fine all'orrore che la circonda.
A saltare subito all'occhio, durante la visione di Annabelle, è l'accurata attenzione che si è rivolta alla costruzione di un'elegante atmosfera di tensione. La fotografia cupa, a tratti claustrofobica, che in più di un'occasione ha fatto pensare al capolavoro Rosemary's Baby (con tanto di carrozzina nera in campo), è di sicuro il tratto che, più di tutti, ha permesso allo spettatore di lasciarsi tentare da questa storia dell'orrore che mostra ben poco, riuscendo però a spaventare. Non c'è bisogno, in Annabelle, di ricorrere a scene crude o sanguinolenti; il terrore, piuttosto, passa attraverso il non-visto, l'allusivo, il fuori-quadro. Questo ha fatto sì che Annabelle si vestisse di un abito molto old school. Basti pensare che una delle cose più spaventose che si vedono non sono mostri o ombre che si nascondono negli infissi delle porte: una delle scene con cui lo spettatore deve scendere maggiormente a patti è quella iniziale, quella in cui due personaggi spostati si intrufolano in villette addormentate per portare violenza e morte. Con questo si rientra in una lunga discussione sul filone horror (inteso nel suo senso più ampio, e non solo limitato al genere cinematografico), iniziata nel '900, secondo cui il mostro che bisogna maggiormente temere è quello che si nasconde nel cuore di uomini del tutto simili a noi: nei nostri vicini, nei nostri amici, nei nostri conoscenti. Cuori oscuri e malati che si celano dietro una facciata di normalità difficilmente riconoscibili. E Annabelle rientra perfettamente in questa galleria di storie e racconti. L'eleganza della realizzazione, così come l'attenta analisi del ritmo e, soprattutto, della suspense, hanno in più trovato terreno fertile grazie alle interpretazioni dei due protagonisti. E se è vero che Ward Horton è molto spesso lontano dal centro dell'azione, è altrettanto esatto ammettere che la prova istrionica offerta dalla Wallis è stata incredibilmente riuscita. Nell'interprete sembra esserci un'innata classe, un'eleganza tale da farla sembrare una diva d'altri tempi; e non a caso si chiama Mia, quasi si volesse omaggiare la Mia Farrow del già citato Rosemary's baby.