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After Love, la recensione del premiato dramma inglese

La vita di una vedova inglese viene sconvolta dalla scoperta della doppia vita di suo marito, l'inizio di un'avventura che la porterà in Francia e la metterà di fronte a segreti e rivelazioni inaspettate.

Acclamato in patria dove ha vinto sei British Indipendent Film Awards, presentato anche da noi durante la Festa del Cinema di Roma, arriva ora sui nostri schermi After Love, scritto e diretto dall'esordiente anglo-pakistano Aleem Khan: al centro della storia c'è Mary Hussein (Joanna Scanlan) una donna inglese sulla sessantina la cui vita viene sconvolta dalla morte improvvisa di suo marito Ahmed, con cui abitava nei pressi di Dover, il luogo dalle "bianche scogliere" celebrate da poesie e canzoni (che hanno un ruolo nel film). Mentre Mary, in preda al dolore, sta tentando di elaborare il lutto e adattarsi alla sua nuova condizione di vedova, scopre tra gli oggetti del marito alcuni indizi che la portano a un'inattesa, e agghiacciante, rivelazione: Ahmed aveva una relazione con una donna di nome Genevieve (Nathalie Richard), residente a Calais, nel nord della Francia, dove l'uomo si recava spesso per lavoro. Mary decide così di andare ad affrontare di persona "l'altra donna" ma, giunta sul posto, le cose non andranno come aveva immaginato.

Quando una persona amata viene improvvisamente a mancare, cosa lascia quell'amore dietro di sé, e in che modo le persone toccate dalla sua presenza, lo saranno anche dalla sua assenza?

La scoperta di segreti che si svelano solo dopo la scomparsa di una persona è un tema che al cinema abbiamo visto affrontare più volte, declinato in chiave comica, drammatica, o anche thriller; la premessa è che forse non conosciamo mai davvero fino in fondo anche le persone a noi più vicine, perché talvolta si svela solo un lato di sé agli altri: nel corso della storia, infatti, vediamo come non solo il defunto avesse una doppia vita, ma anche gli altri personaggi, dalle due donne all'adolescente Solomon (Talid Ariss) si ritrovano a mentire o a nascondere alcune informazioni, fingendo così di essere qualcosa di diverso da ciò che si è.

Il film propone anche una riflessione sulle certezze, o presunte tali, su cui ciascuno costruisce e basa la propria identità, con uno specifico riferimento etnico-culturale: Mary è una donna che rivendica orgogliosamente il fatto di essersi convertita per amore del marito, l'essersi immersa nella sua cultura, imparando a parlare la sua lingua, a cucinare i suoi piatti tipici; adesso si ritrova nuovamente smarrita ad assistere impotente a conversazioni in un idioma che non conosce, un altro tassello di quella vita del marito da cui lei è inevitabilmente esclusa, e confrontandosi con l'altra donna, si trova a riflettere su cosa si è disposti ad accettare per amore, e cosa a subire, e su come il confine tra le due cose possa rivelarsi labile.

Il regista indaga i sentimenti con pudore e introspezione, restando a volte rispettosamente fuori campo o un passo indietro rispetto ai suoi personaggi, per raccontare di come a volte, dopo l'amore, lo sguardo sia costretto ad allargarsi e a comprendere nuove prospettive, con la consapevolezza dell'impossibilità di ottenere tutte le risposte, ma di doversi confrontare anche col rimosso, quello che non c'è più o che non si è mai voluto vedere. 

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