La cuoca del Presidente, intervista a Catherine Frot


Intervista a Catherine Frot, protagonista nei panni di Hortense del film La cuoca del Presidente.

Intervista fatta a Catherine Frot, protagonista nei panni di Hortense del film La cuoca del Presidente, che arriva nei cinema italiani il 3 Gennaio 2013 distribuito da Lucky Red. Il film racconta di Hortense Laborie, una cuoca rinomata che vive nel Périgord. Con sua grande sorpresa, il Presidente della Repubblica la nomina responsabile della sua cucina personale all’Eliseo.

Qual è stata la sua prima reazione quando le è stato proposto il ruolo di Hortense?

Ho capito subito che si trattava di una bella proposta: interessante ma non facile. Hortense è un personaggio poco comune. Confesso che all’inizio non sapevo bene da che parte prenderlo.

Cosa che non basta a scoraggiarla.

Al contrario. Mi piacciono le sfide.

Ci parli del suo primo incontro con Danièle Delpeuch.

Quando mi hanno parlato del progetto, Etienne Comar mi ha proposto di andarla a trovare in Dordogne. Non ho fatto in tempo ad arrivare che Danièle mi aveva già portato a fare la spesa al mercato. Al momento di preparare il pranzo, mi ha costretto ad indossare un grosso grambiule e ha cominciato ad illustrarmi il suo lavoro: i gesti, la conoscenza della cucina. Io non sono una gran cuoca, dovevo imparare a fare finta, come ne La voltapagine di Denis Dercourt, quando suono il pianoforte: si potrebbe pensare che suono bene e molto velocemente, mentre in realtà è fatto tutto con pollice e mignolo.

Cosa l’ha colpita di più in questa donna?

Innanzi tutto il luogo in cui vive. E’ un ambiente molto antico. Le cose sono in armonia tra loro la casa, la natura, il modo in cui lei cucina. Tutto sembra immutabile. C’è qualcosa di rassicurante in tutto questo. E’ abbastanza sconvolgente pensare che questa donna che ha cucinato per più di due anni all’Eliseo venga da lì. E’ rimasta fortemente legata alla sua casa e alla storia della sua casa (sua madre e sua nonna erano entrambe grandi cuoche). Allo stesso tempo si capisce che è da questa terra del Périgord che lei ha tratto l’equilibrio e il coraggio che la animano. Ha una forza di carattere eccezionale. E la curiosità l’ha spinta a viaggiare e a fare progetti di ogni genere legati alla cucina. Danièle è una persona calorosa per natura, con una capacità di lavorare senza sosta per donare agli altri il piacere del cibo.

Voi due vi somigliate in maniera inquietante.

Sì. La fronte, gli zigomi. Ma questo non è importante per il film. Le persone non la conoscono.

Non si tratta solo dell’aspetto fisico. Si percepisce che condividete lo stesso perfezionismo: lei come attrice e Danièle come cuoca.

Il suo rigore mi ha affascinato e confesso di essermi un po’ identificata con lei: mi piace fare il mio lavoro di attrice in modo serio. Ho interpretato questa donna assimilandone contemporaneamente tutte le pulsioni che avevo percepito in lei, senza però allontanarmi troppo da me stessa. In Hortense c’è un po’ di Danièle e un po’ di me stessa.

Come ha costruito il personaggio?

Volevo che fosse femminile, che portasse abiti semplici ma gradevoli. E’ una persona che ha classe: viene dalla campagna ma anche da altri luoghi. Possiede un’autorità e un’eleganza naturali. Nel suo libro Danièle parla delle sue collane, delle sue scarpe con i tacchi. Questo miscuglio di cose diverse mi ha ispirato molto nella scelta dei costumi.

Il costume di scena è importante per lei?

E’ vitale. Non potrei indossare una cosa qualsiasi per un personaggio – anche per il meno stilizzato, quello più reale. Non capirei più quello che sto facendo. Ho bisogno di sapere perchè porto quelle scarpe, quel vestito. Ho bisogno di passare anche attraverso questi elementi.

Che operi nelle cucine private dell’Eliseo o in quella, più spartana, della base dove è andata a finire in Antartide, Hortense trasmette la sua arte con un amore infinito – una precisione dei gesti davvero affascinante.

Meglio così. Per me tutto deve essere preciso nel lavoro dell’attore. Ma ho dovuto seguire dei corsi. Ho trascorso una settimana al fianco di Danièle Delpeuch. Mi ha insegnato il piacere dei gesti, dei colori e delle forme delle pietanze. E ho imparato davvero a preparare il cavolfiore farcito al salmone. Era una delle scene importanti del film: si doveva vedere mentre lo preparavo. Domani posso fargliene uno e le prometto che c’è da leccarsi i baffi! Nel cibo c’è molta poesia. Per un pollo con salsa bianca e tartufi non è un nome magnifico “Poulard en demi-deuil” (Pollo a mezzo lutto)? E tuttavia, quando se ne cucina uno, non bisogna aver paura di infilare una mano intera sotto la pelle del pollo. E’ la magia della gastronomia. E’ tra i piaceri più grandi offerti dalla vita e su questo sono completamente d’accordo.

Si ha la sensazione che lei abbia messo tutto il suo passato di attrice in questo personaggio. Questo accentua ulteriormente la complessità e il mistero di Hortense.

Forse perché ho interpretato personaggi di ogni genere; sono passata dal tragico al comico, ho interpretato il ruolo di donne molto stilizzate, quasi dei prototipi, delle marionette. Ho spinto a fondo sul pedale dell’ingenuità e della buffoneria con Cédric Klapisch nel suo Aria di famiglia, con Eric-Emmanuel Schmitt in Lezioni di felicità, con Pascal Thomas. Ho lavorato sulla durezza – con Safy Nebbou in L’Empreinte de l’ange, o con José Alcala in Coup d’éclat. In questo film ho l’impressione di aver messo insieme tutti questi contrasti, di accostarmi a qualcosa di intimo.

Nei panni del Presidente della Repubblica, Jean d’Ormesson trasmette un’analoga sensazione.

Lui evoca diverse generazioni; un intero passato politico. E’ un po’ la Francia che ora non c’è più. La sua presenza dà una dimensione poetica al film.

I rapporti tra i vostri due personaggi sono abbastanza strabilianti.

E’ interessante la semplicità con la quale crollano le barriere tra loro. Hanno piacere ad incontrarsi e a discutere di cucina. Lui la guarda, lei lo guarda, e non c’è niente di solenne tra loro. Hortense è una persona che si comporta in modo naturale che non si intimidisce facilmente e, in un certo senso, il Presidente si lascia andare grazie a questa semplicità. Nessuno dei due è a disagio. Sanno entrambi perché sono lì, amano il loro lavoro e non devono rendere conto a nessuno, contrariamente agli intermediari che brulicano attorno a loro, e non osano mai parlare apertamente; questa corte goffa che manovra continuamente per ottenere un posto più prestigioso, e che cerca di interferire nel loro rapporto – riuscendoci, peraltro. Trovo che il film la dica lunga sul potere, la gerarchia, gli intrighi….

Hortense mira all’eccellenza. Questi burocrati di cui sta parlando sono invece dei mediocri.

Sì. D’altronde al suo arrivo all’Eliseo, lei non capisce assolutamente niente di tutto questo balletto di tecnocrati. Tutto questo agitarsi non le interessa. Quello che le interessa è che la sua cucina sia la migliore possibile, ottemperare al compito che le è stato assegnato, e che il Presidente sia soddisfatto. E in questo ci mette fervore e orgoglio. E’ una donna con dei valori, che difende il suo territorio. Lei esige la qualità.

Hortense viene mandata via dall’Eliseo in modo molto brutale.

Il fatto di essere messa in disparte è per lei una grossa umiliazione. Trovo molto bella la lettera che scrive al Presidente. Descrive bene il loro rapporto e racconta anche della sua sofferenza.

Com’è stato lavorare con Jean d’Ormesson?

Abbiamo cercato insieme di dare il meglio. Bisognava trovare il tono giusto. Dato che lui non è un attore all’inizio non è stato facile, ma lo è diventato in breve tempo. Per la vita che ha fatto, per quello che è, Jean ha dentro di sé le “potenzialità letterarie” per essere un Presidente. Sul set era come un ragazzino. Mi ha molto colpita.

Si ha l’impressione qualche volta, nelle scene di cucina, che ci sia un’atmosfera quasi teatrale.

Non a caso Christian Vincent ha scelto per alcuni ruoli degli ottimi attori di teatro, ossia Hippolyte Girardot, Laurent Poitrenaux, Charlotte Clamens… Sono degli attori che infondono nei loro personaggi molta umanità e molta comicità.

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