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John Dickie: le Mafie nel territorio e nelle aree abitative
John Dickie, docente di Studi italiani all'Università di Londra, parla di Mafie nel territorio e nelle aree abitative.
di Redazione / 12.04.2013
Di seguito vi riportiamo integralmente il testo che John Dickie, docente di Studi italiani all’Università di Londra e autore di best seller come Cosa Nostra – Storia della Mafia Siciliana; Onorate Società – L’Ascesa della Mafia, della Camorra e della ‘Ndrangheta, ha scritto in occasione della messa in onda del documentario Mafia Bunker – Caccia ai Boss, in onda martedì 16 aprile 2013 alle 21:00 su History (canale 407 di Sky).
Le Mafie nel territorio e nelle aree abitative, di John Dickie
Il paesaggio dell’Italia, uno dei paesi più belli al mondo, è stato sfigurato da un secolo e mezzo di potere criminale. Intorno a Palermo, tra le montagne e il mare, una volta lussureggiava la Conca d’Oro con i suoi alberi di arance e limoni. Molti osservatori stranieri la chiamavano “il giardino delle Esperidi”. Ma, a metà dell’Ottocento, divenne la culla della mafia siciliana. Tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60 del secolo scorso un’ondata di selvaggia speculazione edilizia di stampo criminale – il famigerato “sacco di Palermo” – trasformò questo luogo di bellezza in una conca di cemento senza parchi e strutture pubbliche.
In Campania l’area definita la Terra di Lavoro era una volta il “frutteto” di Napoli. Purtroppo ora è un’area avvelenata da anni di sversamento di rifiuti tossici gestito dal clan dei Casalesi. Un magistrato ha definito questa catastrofe ambientale “la Chernobyl italiana”.
In Calabria l’autostrada Salerno-Reggio Calabria è un chilometrico monumento all’inefficienza della politica e dell’amministrazione pubblica e al potere della ‘ndrangheta che ha prosperato su di esse. Sempre in Calabria, come in tutte le aree ad alta densità mafiosa, ci sono viadotti interrotti, opere pubbliche incomplete, ospedali costruiti miseramente: tutte testimonianza della rapacità della criminalità organizzata.
In mezzo a tale scempio spicca l’ennesima dimostrazione dell’autorità illegale esercitata dalle mafie: le abitazioni dei boss. Un esempio è la sfarzosa villa fortificata degli Ienna, a Brancaccio, periferia di Palermo, ora requisita dallo Stato e diventata una caserma dei Carabinieri. O ancora: la villa della dinastia dei Pesce, che domina dall’alto il paese di Rosarno in Calabria: si tratta di una vasta e imponente manifestazione del controllo che la ‘ndrangheta esercita su questa povera realtà. Una volta entrati in queste abitazioni, si nota l’assenza di qualsiasi tipo di originalità. Le tre ville che ho visitato sono tutte ideate e arredate prendendo come modello l’abitazione di Tony Montana/Al Pacino nel film Scarface. E’ in questi ambienti che i bambini crescono e vengono educati ad essere pronti a prendere il posto dei propri genitori alla guida di imperi criminali.
Dall’inizio degli anni ’90 la repressione esercitata dallo Stato nei confronti dei latitanti ha dato un impulso al fenomeno dei bunker. Dal punto di vista storico, i bunker non costituiscono una novità assoluta. L’azione fascista nei confronti della mafia spinse infatti alla costruzione di diversi nascondigli sotterranei nei pressi di Gangi e della Piana dei Colli, appena fuori Palermo. La polizia scoprì anche che la mafia aveva istituito la figura specializzata del costruttore di bunker.
Rispetto al passato, adesso la situazione è diversa: e non solo perché le forze dell’ordine rispettano i diritti degli indagati e godono di una maggiore legittimità rispetto al ventennio mussoliniano. Ma anche perché la loro azione è più efficace. Quello che si dimentica è che, nonostante la fama che riscosse la repressione fascista, essa non fu così continuativa e approfondita come la caccia condotta in questi ultimi tempi dalla Repubblica italiana, fatto che non viene sempre apprezzato in maniera adeguata.
Ad ogni modo, ora come allora, il bunker è un segno che il potere criminale si trova sulla difensiva: nessun boss si nasconde sottoterra, se non ne ha la necessità.
I bunker ci dicono anche altre cose: ci raccontano la storia del controllo territoriale esercitato dalle mafie. Michele Zagaria ha costruito almeno due vasti bunker sotto Casapesenna. A Platì gli ‘ndranghetisti hanno sventrato la strada principale, come se fossero operai del Comune, per realizzare una galleria sotterranea da usare durante gli spostamenti. Imprese del genere non si possono realizzare senza esercitare un’impressionante autorità sulla popolazione e le risorse locali. I bunker ci ricordano inoltre quanto sia importante per i boss vivere nel luogo dove il loro potere ha avuto origine e mantenere il controllo sul territorio In questo modo si appoggiano su una fitta rete di fidati collaboratori e traggono profitto dal crescente carisma che deriva da una lunga latitanza.
Ma è forse l’assurdità della vita dei boss latitanti a rappresentare il principale insegnamento che nasce dall’aver visitato i bunker dal loro interno. Sono uomini ricchi e potenti che incutono un vero terrore e tuttavia finiscono per vivere in minuscoli appartamenti senza finestre, indegni persino di un hotel di infima categoria. In alcuni bunker il boss si sforza di crearsi una situazione che gli ricorda da vicino la propria casa: cd, spazzolini elettrici, immagini sacre, poster, libri. Uno sforzo inutile. Questi oggetti rappresentano solo una preparazione agli anni di prigionia che l’attendono.
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