The Informer - Tre secondi per sopravvivere (2019)
The InformerPete Koslow (Joel Kinnaman) è un ex soldato delle operazioni speciali e veterano della guerra in Iraq e Afghanistan. Dopo essere stato in carcere per aver ucciso un uomo durante una rissa in un bar per proteggere la moglie Sofia (Ana de Armas), Pete ora lavora come corriere della droga per la mafia polacca di New York, un cartello comandato da Rysard Klimek, anche chiamato Il Generale (Eugene Lipinski), un gangster spietato. Ma Pete è anche un informatore per l’FBI, che fornisce informazioni all’Agente Erica Wilcox (Rosamund Pike), che sta cercando le prove per incastrare Il Generale. L’operazione segreta di Wilcox sta arrivando alle battute finali, e sia lei che Pete sperano che l’ultima partita di Fentanyl, contrabbandata negli Stati Uniti in buste diplomatiche, porterà al suo arresto. E con la caduta del Generale, Pete, la moglie e la figlia di otto anni Anna (Karma Meyer) saranno finalmente liberi. Ma quando Stazek Cusik (Mateusz Kosciukiewicz), lo spietato nipote dal grilleto facile del Generale, decide di dedicarsi ad una piccola attività a latere invece di portare la partita direttamente al Generale, la trappola di Wilcox va in fumo in un attimo. Il compratore si rivela essere Daniel Gomez (Arturo Castro), un poliziotto sotto copertura di New York. Pete cerca di allontanarlo, ma il nervoso Gomez punta una pistola verso Pete, e Stazek lo uccide. Wilcox va nel panico e invece di tirar fuori Pete come stabilito, lo pianta in asso. Pete e Stazek vanno a trovare Il Generale che dice a Pete che ora deve la vita a Stazek. In cambio però Pete deve rinunciare alla libertà vigilata e tornare al carcere di Bale Hill, dove era stato detenuto in passato, per occuparsi lì delle operazioni di droga. Il partner di Gomez, il Detective di primo grado Edward Grens (Common) del dipartimento Criminalità Organizzata, inizia ad investigare sull’omicidio di Gomez, credendo erroneamente che il responsabile sia Pete. Nel frattempo, Pete si incontra con Wilcox e il suo capo, l’Agente Montgomery (Clive Owen), che gli chiede di seguire il piano del Generale, insistendo che si tratta dell’unico modo di recuperare il casino e incastrarlo una volta per tutte. Una volta entrato nel carcere di Bale Hill, Pete dovrà fare una lista di detenuti e guardie penitenziarie coinvolti negli affari del Generale, e passare l’informazione al direttore del carcere. Pete non intende tornare a Bale Hill e Montgomery lo minaccia di arrestarlo come complice nel delitto di un poliziotto del NYPD. Andrà in carcere comunque, dice Montgomery, e la sua famiglia non smetterà mai di scappare. Scavando più a fondo nel passato di Pete, Grens sospetta che si possa trattare di un informatore dell’FBI e non essere colpevole come aveva pensato inizialmente. Grens si presenta all’ufficio di zona di New York per fare domande a Montgomery e Wilcox, che negano in tutti i modi di sapere dell’esistenza di Pete. Dopo la visita di Grens, Montgomery ordina a Wilcox di “bruciare” Pete prima che il NYPD scopra la verità dietro all’omicidio di Gomez. Wilcox è combattuta, sapendo benissimo che bruciare Pete ne comporterebbe la morte. Nonostante tutto, mettendo la sua carriera davanti alla sicurezza del suo informatore, fa sapere all’avvocato del Generale che Pete è una spia. Accorgendosi di aver ricevuto il benservito e che la sua vita è in grave pericolo, Pete chiama Sofia, dicendole di prendere la bambina e scappare. Ma prima che riescano a fuggire, Stazek va a casa di Pete per far fuori Sofia e Anna. Grens arriva appena in tempo per evitare che vengano uccise, ma viene ferito nella sparatoria che ne consegue. Sofia uccide Stazek per difendersi. A Bale Hill, un carcerato cerca di accoltellare Pete, che sopravvive all’attacco e usa la confusione generata per prendere in ostaggio Slewitt (Sam Spruell), un secondino corrotto. Pete sfrutta la situazione di stallo con la Polizia e l’FBI per scatenare un’esplosione di gas e scappa dalla prigione in ambulanza, con la divisa di Slewitt. Nella fuga è aiutato da Wilcox, la cui coscienza finalmente ha la meglio. Con Pete latitante, Sofia e Anna sono messe sotto protezione. Wilcox si incontra con Montgomery sul traghetto per Staten Island. È una trappola. Wilcox indossa una cimice e Montgomery è arrestato per corruzione, ostruzione alla giustizia, e il suo ruolo nella copertura dell’omicidio di Gomez. Poi Grens dice a Pete di rimanere nascosto finché l’FBI e il NYPD arrestano il Generale. Solamente allora Pete potrà riunirsi con la sua famiglia.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 17 Ottobre 2019Uscita in Italia: 17/10/2019
Data di Uscita USA: venerdì 10 Gennaio 2020
Prima Uscita: 30/08/2019 (UK)
Genere: Crimine, Drammatico
Nazione: UK - 2019
Durata: 113 minuti
Formato: Colore
Produzione: thefyzz, Thunder Road Pictures, Maddem Films, Imagination Park Entertainment (in associazione con)
Box Office: Italia: 119.764 euro
Conosciuto anche come: The Informer - 3 secondi per sopravvivere [Italia]
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LA PRODUZIONE
Un crime thriller adrenalinico, ricco d’azione, con una forte componente emozionale,
The Informer è tratto da “Tre Sekunder,” o “Tre secondi”, romanzo svedese di Roslund
& Hellström, il team di scrittori di romanzi criminali composto dal giornalista Anders Roslund e dal compianto Börge Hellström, ex criminale divenuto autore. Pubblicato in Svezia nel 2009 e tradotto in inglese l’anno seguente, il libro è stato inizialmente opzionato dal produttore britannico Ollie Madden (Spooks: il bene supremo) per la Shine Productions nel Regno Unito che ha commissionato a Matt Cook (Codice 999) e Rowan Joffe (The American) la scrittura della sceneggiatura trasferendo la storia dalla Svezia all’America. Cercando un partner di produzione americano, Madden sigla un accordo con la Thunder Road Films, la società di produzione di Sicario, John Wick e The Town.
Un anno e mezzo dopo, ad una settimana dall’inizio delle riprese la lavorazione del film è stata costretta ad interrompersi. Solitamente non c’è una seconda chance; è notoriamente difficile resuscitare i film una volta che sono in stallo. “È molto difficile ricreare l’entusiasmo nelle persone”, spiega il produttore Basil Iwanyk. “Abbiamo dovuto ricominciare da zero”. Vale a dire trovare un nuovo regista e un nuovo cast.
Fortunatamente, l’attrice britannica Rosamund Pike, star con una nomination all’Oscar per L’amore bugiardo, aveva ricevuto il copione dalla sua manager, Shelley Browning, e ne era rimasta entusiasta. “Non era per il ruolo da protagonista”, racconta Iwanyk che aveva lavorato con Pike a La furia dei titani e A Private War, “ma Ros mi ha detto:
‘Mi piace molto il ruolo. Fammi sapere cosa si decide per la regia’”.
Il ruolo era quello dell’agente dell’FBI moralmente combattuta Erica Wilcox. Ma a Pike piaceva molto anche il mood old-school del copione che le ricordava i classici thriller criminali ambientati a New York degli anni 1970, film come Il braccio violento della legge e quelli diretti da Sidney Lumet (Serpico). “Sentivo che era il tipo di film che probabilmente non si sarebbe fatto più per molto tempo”. “Era un thriller intelligente. E quell’universo di poliziotti, malavita ed FBI, lo trovo estremamente avvincente nei film. Un tempo era pane quotidiano per gli studios. Ma ora stanno diventando sempre più rari. È un vero e proprio film sui personaggi più che un action film, sebbene ci sia moltissima azione”.
“È il tipo di film che ho sempre amato guardare e sempre amato fare”, conferma Iwanyk che, da executive della Warner Bros., ha partecipato a Training Day e Insomnia e prodotto The Town, Sicario e I segreti di Wind River. “Erano tutti film su poliziotti e cattivi, e solitamente gli studios non li fanno più. Non capisco il perché. Il film era pensato per essere come un film di Sidney Lumet. Era quella la nostra ispirazione. Ho sempre amato i poliziotti che hanno abbastanza lati oscuri quasi da scivolare nel territorio dei cattivi, e i criminali che sono abbastanza buoni da scivolare nel rango dei buoni. E quando hai tutti quei personaggi in ballo, allora il film sarà davvero figo”.
Grazie a Browning il copione arriva anche all’attore-scrittore-regista italiano Andrea Di Stefano il cui primo lungometraggio Escobar gli aveva portato grandi riconoscimenti. Il debutto di Di Stefano vedeva Benicio Del Toro nei panni del famigerato trafficante di droga, e l’attore premio Oscar aveva raccomandato l’italiano a Iwanyk già da quando avevano lavorato a Sicario. “Ho guardato il film di Andrea e ho sentito che c’era un enorme potenziale”, racconta Iwanyk.
“Era una storia su Pablo Escobar ma non raccontata nel modo in cui ci si aspetta. Veniva raccontata da un personaggio esterno, ed era essenzialmente una storia d’amore drammatica con alla base questa figura incombente”, dice il produttore Mark Lane di The Fyzz Facility, la casa di produzione e finanziamento del Regno Unito che si è associata a Thunder Road per portare sullo schermo The Informer. “Era indubbio che Andrea aveva un ottimo occhio”.
Inoltre, Di Stefano propose un’interpretazione fresca della sceneggiatura di Cook e Joffe che conquistò Iwanyk. “La sua visione era incredibile. Essendo uno scrittore, regista e attore, Andrea è riuscito a entrare nella testa dei personaggi”, rivela. “Ci ha dato la versione che amavamo, con un’interpretazione ancora migliore e più fresca. L’ha resuscitato. Ha qualcosa del miracoloso”.
Di Stefano voleva spostare il focus della sceneggiatura più marcatamente verso Pete e la sua famiglia, aggiungendo una base più emozionale. “Proprio come per Escobar, ha usato la storia familiare per sviluppare l’aspetto thriller”, dice Lane. “Comprendiamo quanto Pete abbia da perdere insistendo sull’importanza della sua famiglia”.
CASTING
Con Di Stefano alla regia, Pike ha firmato per il ruolo di Wilcox. Ora c’era bisogno di un attore che interpretasse Pete Koslow, un uomo tra l’incudine e il martello, che farebbe di tutto per tornare dalla moglie e dalla figlia. “Non era un ruolo facile da assegnare”, dice Iwanyk. “C’era bisogno di qualcuno con prestanza fisica, perché chiaramente è un duro. Ma c’era bisogno di qualcuno che potesse anche convincere dal punto di vista emotivo e familiare. Se non ci si riusciva, il film sarebbe andato a rotoli. Il personaggio aveva due volti differenti, e avevamo bisogno di un attore che potesse incarnali entrambi. Molti attori possono essere bravi in uno, non molti possono farlo su entrambi. Avevamo anche bisogno di qualcuno che fosse fresco, perché per quel ruolo ci sono troppe idee che hanno stancato. E Joel rispettava tutti questi criteri”.
L’attore di origini svedesi Joel Kinnaman è noto per le sue performance magnetiche tra cinema e televisione come The Killing per la ACM, Suicide Squad della Warner Bros e le serie di Netflix Altered Carbon e House of Cards. Era anche un altro dei clienti del produttore esecutivo Browning, ed era un attore con cui Pike voleva lavorare da tempo. “È un attore spettacolare ed era la persona che avevo immaginato quando
ho letto la sceneggiatura”, racconta Pike. “Devo dare il merito a Shelley e Ros”, commenta Iwanyk, “Avevano individuato Joel ancor prima che fosse nel nostro radar. Shelley, da brava manager, ha interpellato Joel, e Joel ha teso la mano e ha detto
‘Voglio fare questo film'”.
“Era un copione fantastico”, spiega Kinnaman, “e un personaggio molto interessante in un mondo molto interessante. È divertente interpretare un personaggio sotto copertura, con una doppia vita, perché in ogni scena hai un segreto; è inserito profondamente nel concetto. E ho apprezzato tanto anche il viaggio di quest’uomo che sta cercando di lottare per tornare dalla sua famiglia. La vita lo ha messo su una strada accidentata ma lui è un uomo piene di risorse, con una grande forza interna e tantissimo amore e feeling con sua moglie e sua figlia. Ho pensato che fosse una bella sfida in cui imbarcarmi e spero che il pubblico penserà lo stesso”.
Kinnaman è arrivato sul set direttamente da quello della serie Netflix Altered Carbon e ha avuto pochissimo tempo per prepararsi. “Ho concluso la serie dieci giorni prima di iniziare a girare il film”, racconta. “Ho fatto le ricerche che ho potuto. Ho guardato molti documentari. Ma poi sono entrato molto velocemente in connessione quando ho letto il copione. Ho dovuto affinare il mio accento di Brooklyn, ma mi sono trovato davvero a mio agio con il personaggio fin dall’inizio”.
Una ragione è stata l’intesa immediata con Di Stefano. “Lavorare con Andrea è stato un piacere assoluto, una delle migliori relazioni che abbia mai avuto con un regista”. Ha aiutato il fatto che il regista fosse anche un attore? “Andrea capisce molto bene cosa vuol dire essere un attore. Ma ha anche un gusto incredibile, e fin da subito mi ha portato a improvvisare, a vivere il personaggio e ‘vivere’ la scena, esplorando tutto ciò che si poteva esplorare. È successo fin dal primo giorno. Solitamente ho un’idea di come parla e cammina il personaggio, ma Andrea voleva che mi allontanassi da quell’idea e che fossi semplicemente me. Mi ha portato a essere molto più immobile di fronte alla cinepresa. Ti trovi in una situazione in cui agisci di meno ma ti esprimi di più”.
Per interpretare Sofia, la moglie affettuosa e leale di Pete e mamma della loro figlia, Anna (Karma Meyer), Di Stefano ha scelto l’attrice di origini cubane Ana de Armas, che aveva recitato al fianco di Keanu Reeves in Knock Knock di Eli Roth e Ryan
Gosling in Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve. “Ha un look e un’energia davvero cool, e ci piacevano le sue origini etniche”, dice Iwanyk. “Non volevamo che il film fosse fatto solamente da personaggi biondi con gli occhi azzurri di origine caucasica, non avrebbe rappresentato New York. Volevamo qualcuno che sembrasse davvero una persona di Staten Island”.
Inoltre, de Armas aveva la tempra necessaria richiesta dal suo personaggio. “Dev’essere una mamma e una moglie amorevole, ma ha dovuto crescere un bambino, da sola, mentre il marito è in carcere”, continua Iwanyk. “Come Joel, avevamo bisogno di qualcuno che fosse in grado di essere credibile come personaggio tenero ma anche di rappresentare lo scudo duro che questi personaggi hanno nella vita reale. Sono donne con una tempra d’acciaio. Sono caratteristiche non facili da trovare in un’attrice che sia in grado di rendere credibile il suo personaggio. Ana lo ha fatto. Non si ha nessuna esitazione a crederle quando respinge l’intervento del NYPD, quando Common si presenta e dice: ‘Voglio aiutarti’, e lei risponde: ‘Fottiti’. Non molte attrici riuscirebbero a essere credibili in quella scena”.
“Sofia è una donna di poche parole ma grandi azioni”, afferma Armas. “Ha delle priorità molto specifiche nella vita che sono: famiglia, famiglia, famiglia. Lei e Pete hanno un rapporto molto solido, una lealtà pazzesca, e non le passa mai per la testa di mollare. Qulunque cosa accada, lei la affronta, se serve per stare al fianco di Peter e Anna, sua figlia”.
“Ha un fuoco dentro”, dice Kinnaman. “I sacrifici che attraversa. E quello che lui passa per stare con lei. La ragione per cui si trova in questa situazione è che ha cercato di proteggerla. Qualsiasi cosa facciano è per l’altro. E lei lo fa benissimo. È una grande attrice, ed è anche perfetta per la parte”.
Ugualmente dura, ma in modo completamente diverso, è l’agente dell’FBI Erica Wilcox, che nel romanzo originale era un uomo. Qui Wilcox è un’agente da manuale che si ritrova in una situazione che non riesce a gestire e va fuori controllo quando la sua operazione-trappola per scardinare il cartello del Generale va a rotoli. “Probabilmente ha trascorso otto, dieci anni in ufficio”, dice Pike di Wilcox. “E come molte persone, all’inizio è molto idealista. Ma con l’avanzare del film, fa i conti col fatto che nel suo lavoro ci sono molte aree grigie, le viene chiesto di fare delle azioni che
trova moralmente repellenti e delle persone che ammirava prima non tutte sono leali come pensava”.
“Per me è il personaggio più interessante del film”, dice Iwanyk. “È quello che ha più cambiamenti. Che passa dalla diligente agente dell’FBI, occupata in un’azione sotto copertura, a ‘Mio Dio siamo fottuti e devo fottere lui a mia volta perché sto subendo una pressione enorme’ per finire con: ‘No, mi tiro indietro e faccio la cosa giusta da fare’. È un sacco di roba per un personaggio da affrontare tutta in un unico film, specialmente quando non è il ruolo principale. Ma Ros è stata capace di farlo al meglio”.
“Rosamund non rivela ciò che prova”, dice Kinnaman. “Si intuisce che è un tumulto di sensazioni, ma non sai di cosa si tratti o come si senta, quando è davanti alla telecamera. È quello che la rende così enigmatica e affascinante da vedere. Ma anche con cui recitare, specialmente nella situazione in cui il mio personaggio sta cercando costantemente di leggerla, perché la mia vita e la vita della mia famiglia dipendono dalle sue decisioni”.
Per prepararsi al ruolo, Pike ha lavorato con un coach vocale al suo accento americano e le è stata anche data l’opportunità di guardare in anteprima una serie documentario in sei puntate chiamata Inside The FBI: New York. “Mi ha dato una chiave di lettura degli agenti lontanissima da quella che si vede nei film”, racconta. “Tutto d’un tratto si sono rivelati diversi dall’intimidante squadra di agenti federali in uniforme blu che sei abituato a vedere”.
Esperienza ancor più preziosa, Pike ha potuto trascorrere del tempo con alcuni agenti donna dell’FBI di New York, ricevendo informazioni che l’hanno aiutata a costruire il personaggio. “Sono i piccoli dettagli che contano”, rivela, “ad esempio come vanno a lavoro ogni giorno, che macchina guidano, cos’hanno nella borsa, che borsetta indossano, cosa fa loro paura, o le stressa, cosa mangiano a colazione, mangiano sano, vanno in palestra, si fanno la doccia in ufficio, quanto è difficile trovare abiti adatti a delle donne che vanno in giro con una pistola? Molte giacche da abito hanno fodere in seta strappate da fondina e pistola. Come tieni i capelli? Cose pratiche. È stato preziosissimo”.
“Rosamund è un’attrice preparatissima”, dice la produttrice Erica Lee. “Nessuno si impegna più di lei. E si è davvero calata nella parte. Al punto che voleva indossare una particolare giacca, un particolare tipo di jeans, portava la borsa nel modo in cui le era stato detto di portarla dall’Agente dell’FBI. È davvero diventata lei. Ho lavorato con lei in A Private War ed è stata la stessa cosa, è diventata la fotoreporter di guerra Marie Colvin. Siamo fortunatissimi a lavorare con lei perché si impegna al massimo”.
“Una cosa che ho imparato chiaramente è che queste donne non sono pseudo uomini”, continua Pike. “L’altra è che sanno di essere delle dure. Sanno che possono immobilizzare chiunque in pochi secondi se necessario, per cui non hanno bisogno di comportarsi da macho. Ho preso ispirazione da queste donne, dalla loro energia e dal ritmo della “parlata” di Wilcox. C’è una naturalità, un essere a proprio agio con se stesse e con il lavoro che mi è piaciuta, e il tutto è diventato organico. Improvvisamente si è trasformata da un personaggio a una persona in cui credevo al
100%”.
“Un giorno sono venute sul set”, ricorda Lane dei contatti dell’FBI di Pike. “Hanno anche apportato modifiche al copione, perché Andrea voleva che tutto fosse realistico al massimo. Quindi ci sono delle battute e dei tratti emotivi nella performance di Rosamund nati dal suo incontro con queste agenti reali dell’FBI che sono state incredibilmente alla mano”.
L’ossessione dell’autenticità è stata evidente per tutta la durata della produzione. “Andrea è stato fondamentale nel portare un livello di dettagli e accuratezza procedurale nel copione”, racconta Pike. “Andrea non si accontenta mai dei cliché da film. I cliché da film possono essere ok, possono funzionare, ma quando vai un po’ più a fondo scopri veramente come dovrebbero essere le cose; e allora le cose diventano molto più interessanti. Il briefing che il mio personaggio fa all’inizio del film originariamente era ambientato in una sala riunioni dell’ufficio dell’FBI di New York. Quando abbiamo indagato per bene, abbiamo scoperto che spesso queste cose si fanno nel parcheggio di un Toys R Us o di un Target, nel retro di un van. Ed è molto più cinematografico, emozionante e interessante proprio perché è reale”.
“La cosa fantastica di Andrea è che è competente in tre professioni”, dice Iwanyk. “Da attore, ha portato autenticità ai momenti e ai dettagli più profondi dei personaggi cui molti sceneggiatori e registi non prestano attenzione, ma che gli attori notano. E da sceneggiatore, è riuscito a portare dettagli di ricerca legati all’ambiente e all’intelligence. Combinando le due cose, ha dato al film un senso di credibilità genuina, emotivamente e narrativamente”.
“Andrea è un perfezionista”, dice Lee. “Per lui l’autenticità è importantissima. È stato intelligente, ha usato un sacco di consulenti, ne abbiamo chiamato uno che avevamo usato per Sicario. E Andrea ha fatto un ottimo lavoro immergendosi nella ricerca e nella cultura, influenzando molte decisioni che vediamo nel prodotto finito”.
A rappresentare un altro lato della legge c’è il Detective Edward Grens, un poliziotto del New York Police Department sotto copertura. Grens è interpretato dal rapper, musicista e attore Common che ha vinto l’Oscar per la Miglior Canzone per Selma – La strada per la libertà e che ha recitato in John Wick: Capitolo 2, Run All Night – Una notte per sopravvivere e Suicide Squad, gli ultimi due assieme a Kinnaman. Nel romanzo originale, Grens è un poliziotto bianco, di mezza età, introverso e fuori forma. Non qui. “È molto diretto”, dice Common della sua versione. “Ha un grande cuore, ma ha anche un lato un po’ gangster. A lui interessa soltanto occuparsi del suo lavoro e la cosa è evidente. Solitamente non ho l’opportunità di interpretare personaggi con questa intensità o che hanno così tante sfaccettature”.
Per prepararsi, Common ha parlato con membri del New York Police Department ed è persino uscito in auto con loro. “Di Common posso dire che è cool”, dice Iwanyk che aveva già lavorato con lui in John Wick: Capitolo 2. “Qualsiasi cosa faccia è carismatica e cool. Senti che ha una sicurezza, un atteggiamento, una forza, una saggezza. Crescendo nel New Jersey, ho conosciuto molti poliziotti, e i poliziotti sotto copertura sono strafighi. Hanno una sorta di vibe da rocker, perché è quello che si sentono di essere nel loro ambiente. E hai bisogno di quella sicurezza e arroganza per affrontare quello che devono affrontare ogni giorno. Volevo che l’energia di quel personaggio fosse completamente diversa da quella di Pete. Perché Pete è in una situazione di disperazione, sconforto, panico e paura. Grens è un uomo di controllo. È diverso dal personaggio di Joel nell’aspetto, nei sentimenti, nell’odore”.
Nel corso delle sue indagini sulla morte del collega, Grens si scontra con il disonesto capo di Wilcox all’FBI, l’Agente Speciale Montgomery, interpretato dall’attore britannico Clive Owen. Owen ha lavorato, tra gli altri, nei film Closer, Duplicity, I figli degli uomini e nella serie The Knick. “Quando lo incontri per la prima volta è ovvio chi ti trovi davanti e cosa diventerà”, dice Lane di Montgomery. “Si tratta di qualcuno che è arrivato in cima alla scala facendo cadere giù gli altri, e guardandoli cadere senza battere ciglio. Per cui non sorprende che sia disposto a tradire Erica per il suo interesse”.
“Clive interpreta magistralmente quello stronzo arrivista”, ride Iwanyk. “C’era bisogno di capire perché fa quello che fa, e Clive ha quel carisma e quella sicurezza che ti fanno piacere Montgomery nonostante tutto. Così quando prende la decisione di bruciare Pete, intellettualmente capisci perché lo fa”.
“È una piccola parte ma è insolito che abbia un arco narrativo così buono”, dice Owen di Montgomery. “Era chiaro che era un viaggio corretto [per il personaggio], un viaggio ponderato, anche per me era sensato, le cose che deve affrontare e il modo in cui si comporta. Lui affronta tutto in modo piuttosto spietato”.
STATI UNITI D’INGHILTERRA
Città come Toronto, Vancouver e Atlanta vengono spesso usate come controfigura di New York e nel caso di The Informer, la produzione ha girato per cinque settimane nel Regno Unito, con location a Londra e dintorni al posto di New York, prima di andare nella Grande Mela per dieci giorni di riprese in esterna alla fine di tutto. “La chiave è stata massimizzare il tempo che avevamo a New York”, dice Lane, “facendo in modo di non essere mai al chiuso; anche quando eravamo in macchina, vedevamo la città”.
“Gli effetti speciali hanno aiutato”, dice Lee. “Abbiamo oscurato le finestre e messo uno sfondo di New York in alcune riprese fatte in Inghilterra. E mentre eravamo a New York abbiamo cercato di fare tutto in esterna. Abbiamo anche riscritto l’ultima scena sul traghetto [per Staten Island], in modo da avere tutta New York sullo sfondo”.
Per Kinnaman, l’Inghilterra al posto di New York non è mai stato un problema. “Ti obbliga a lavorare un po’ di più sul tuo accento, perché l’ambiente in cui ti trovi ti influenza un po’. Ma è così in ogni film. Devi sempre portare con te il mondo che hai creato nella tua mente. Devi essere reale anche in circostanze finte. È l’essenza della recitazione. E lo devi fare che si stia girando ad Atlanta, New York o Londra. La cosa bella di Londra è che frequenti i britannici. Hanno un grande senso dello humour, grande gusto musicale, e la troupe è molto preparata”.
L’uomo responsabile della trasformazione del Regno Unito negli Stati Uniti è stato il production designer Mark Scruton che aveva lavorato come art director a Gravity e Ready Player One e aveva recentemente debuttato come production designer in Edison – L’uomo che illuminò il mondo della Thunder Road, un film sulla rivalità tra gli uomini che hanno scoperto l’elettricità nel XIX secolo, sempre girato in Inghilterra ma fingendo di essere in America. “Abbiamo passato moltissimo tempo a fare in modo che i personaggi fossero realistici e avessero dettagli e integrità, a livello di copione e di cast, e poi ci siamo guardati [e abbiamo detto] ‘Ok, tu devi ricreare il Queens, Brooklyn, Manhattan e Staten Island nel Regno Unito'”, ride Iwanyk. “Era un compito ingrato, e se non veniva fatto bene, sarebbe stato una merda, e tutto il film non avrebbe retto. Fortunatamente, Mark ha fatto un lavoro incredibile. Non l’ho invidiato. È come per gli effetti speciali, li noti solamente se non sono fatti bene. Mark si è dovuto spaccare la schiena per non buttare tutto nel cesso”.
“Sono i dettagli che ti esaltano”, dice Lane. “Interruttori della luce, prese di corrente, maniglie delle porte, vegetazione, serrature. L’architettura di una casa non è tanto un problema quanto i piccoli dettagli. Molti pensano che una volta trovati casa e auto giusti, è fatta. Ma tutto sta nei dettagli minori”.
RIFORMA PENITENZIARIA
Una delle sfide più grandi che si è trovata davanti la produzione è stata quella di trovare un carcere nel Regno Unito che potesse rappresentare quello inventato di Bale Hill del film, un penitenziario americano basato sul Sing-Sing Correctional Facility, un carcere di massima sicurezza dello Stato di New York. “La prigione è stata una questione enorme”, dice Iwanyk. “Come trovi nel Regno Unito una prigione che abbia
le caratteristiche di una prigione di New York? E poi, quando siamo a New York, come trovi una prigione che corrisponde a quella che hai trovato nel Regno Unito?”.
Fortunatamente, il Regno Unito ha un gran numero di ex carceri che si possono affittare per filmare scene e, dopo una ricerca approfondita, è stata scelta la Doncaster Prison per rappresentare Bale Hill. “Doncaster era perfetta perché ha l’architettura giusta per essere abbastanza convincente come prigione dell’East Coast”, dice Lane. Effetti speciali sono stati usati per aumentare la scala e l’imponenza dell’edificio sullo schermo, mentre l’esterno di Fort Wadsworth, ex installazione militare statunitense di Staten Island, è stata usata per la facciata di Bale Hill.
“Volevamo desse l’impressione di essere dura e viscerale e basata sulla realtà, per questo abbiamo dedicato molto tempo e attenzione a fare le cose per bene”, continua Lee. “Il modo in cui nascondono lame nei materassi, i nomi, come funziona la politica interna, anche il modo in cui Sofia fa volare un piccione pieno di droga oltre il muro della prigione su un drone. Eravamo molto in ritardo quando qualcuno ha avuto l’idea. È una cosa che è stata fatta per davvero e qualcosa che il pubblico non ha mai visto prima”.
In uno dei suoi viaggi di ricerca, Di Stefano ha visitato diverse prigioni di New York e ha visto con i suoi occhi il serio problema del sovraffollamento di cui molte soffrono, con detenuti obbligati a dormire su brande nei corridoi e intere palestre completamente occupate da letti a castello e detenuti. Nella sua volontà di essere il più realistico possibile, Di Stefano ha insistito nel volere che la produzione replicasse quell’aspetto della vita in carcere anche in Bale Hill. “Andrea era irremovibile nel suo approccio all’autenticità”, racconta Lane. “Sapeva che nessuno aveva mostrato sullo schermo quella situazione in una prigione prima. Solitamente si vedono i prigionieri nelle celle. Ed è andato bene dal punto di vista della produzione perché l’interno di una palestra è uguale sia nel Regno Unito che in America’”.
“Riempire una prigione a due ore da Londra e riuscire a trovare le facce che troveresti in una prigione di New York è stata la sfida più grande forse”, dice Lee. “Abbiamo preso libera ispirazione da Sing-Sing, e se sei stato a Sing-Sing sai che è popolata da portoricani e dominicani. Quella, per me, è stata la parte più difficile, le facce e gli
accenti, oltre al valore della produzione. Essendo l’unico americano sul set, è la cosa di cui vado più fiero in questo film, spingere sulla selezione delle comparse, spingere i nostri AD, spingere tutti a trovare quelle facce, perché non era facile. E poi ascoltare bene i loro accenti per assicurarci che sembrassero autentici. Anche il modo in cui gli attori si muovono, giocano a basket, la loro fisicità, abbiamo dedicato tantissimo tempo e sforzo a pianificare tutte queste cose, per farlo sembrare vero.”
“Riprodurre la mafia polacca è stato facile, perché siamo riusciti a coinvolgere attori dalla Polonia”, continua Lee. “Joel ha fatto un lavoro incredibile a calarsi in quel mondo e a fingersi polacco. Avevamo dei coach per l’accento, ma ancora una volta per me, è stato importante ascoltare accenti e dialoghi, sentire e sapere quando stavano scivolando, ascoltare frasi che erano spiccatamente British. Ogni dettaglio è stato importante — tipo, un tizio del genere, nel Queens, guiderebbe un’auto così? — fin nei minimi particolari. Sapevo che se il film non fosse apparso realistico, ne avrei sofferto”.
E parlando di sofferenza, quando Pete è nel carcere di Bale Hill viene quasi ucciso, quando una gang rivale cerca di impiccarlo nella cappella della prigione. La scena è brutale da guardare, e la performance di Kinnaman estremamente convincente. “Dobbiamo tutto alla passione per il suo lavoro”, dice Lane. “Mai un momento di esitazione da lui. Probabilmente si sarebbe fatto impiccare per davvero se glielo avessimo fatto fare, è quel tipo di attore. Farebbe qualsiasi cosa sia necessaria.
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