Suona ancora - Il coraggio dei figli e nipoti della Shoah è stato quello di vivere (2015)

Suona ancora - Il coraggio dei figli e nipoti della Shoah è stato quello di vivere
Locandina Suona ancora - Il coraggio dei figli e nipoti della Shoah è stato quello di vivere
Suona ancora - Il coraggio dei figli e nipoti della Shoah è stato quello di vivere è un film del 2015 prodotto in Italia, di genere Documentario diretto da Beppe Tufarulo. Il film dura circa 57 minuti.

Suona ancora – Il coraggio dei figli e nipoti della Shoah è stato quello di vivere è un documentario ideato e scritto da Cesare Israel Moscati come prosecuzione del film I figli della Shoah. Il progetto, che si segmenta attraverso la realizzazione di una serie di documentari (i quali seguono lo stesso filo conduttore ma che si differenziano per tematiche e sfumature differenti), mediante interviste, raccolte di testimonianze, ha l'obiettivo di entrare nell'anima dei figli della Shoah e scavare nel profondo dolore del lutto non sempre elaborato e della conseguente devastazione psicologica causati dalla Shoah a coloro che sono rimasti vivi e ai loro figli e nipoti, e attraverso i racconti di questi ultimi ricostruisce e da voce al "futuro" della Shoah, attraverso le voci dei suoi figli e nipoti rimasti anch'essi vittime di una alienazione come "prodotto della Shoah". Girato tra Budapest, Berlino, Roma e Tel Aviv mette in relazione le storie personali dei protagonisti e delle loro famiglie ed il loro profondo legame con la musica. Sono tutte famiglie di musicisti o personaggi che hanno un legame sentimentale o spirituale con la musica. Intervistati: Amnon Weinstein, Assi Bielski Weinstein, Ewelina Nowicka, Diana Obinja, Kim Seligsohn, Lello Di Neris Amit Weiner, Mario Mieli, Omri Levitan, Eva Beck, Angelo Spizzichino, rabbino David Sessa, Hanna Levitan.

Info Tecniche e Distribuzione

Genere: Documentario
Nazione: Italia - 2015
Durata: 57 minuti
Formato: Colore
Produzione: Global Vision Group

Cast e personaggi

Regia: Beppe Tufarulo

NOTE DELL'AUTORE

Durante questo viaggio insieme ai protagonisti del documentario ci sono stati dei momenti di grande impatto emotivo. All'interno dell' "Israel Conservatory of Music" di Tel Aviv abbiamo avuto la possibilità di conoscere un gruppo di ragazzi con il loro maestro, e di assaporare tutta la potenzialità che la musica sviluppa nell'uomo. La cosa più bella era l'età dei ragazzi, dai quattordici ai diciassette anni, che hanno avuto la capacità di donarci la loro forza della musica come trasformazione del dolore. Tra loro c'era anche Omri, il nipote di Hannah, un bambino di dodici anni a cui è stato dato l'onore di suonare in auditorium la viola della Shoah che Amnon e suo padre avevano acquistato moltissimi anni fa. E' come se quell'auditorium vuoto si fosse riempito di tutte le anime della Shoah che erano lì presenti per riprendersi la vita. In quegli attimi, hanno convissuto insieme il passato, il presente ed il futuro. – (Israel Cesare Moscati)

IL PROGETTO

Suona ancora – Il coraggio dei figli e nipoti della Shoah è stato quello di vivere è un documentario ideato e scritto da Cesare Israel Moscati come prosecuzione del film "I figli della Shoah". Il progetto, che si segmenta attraverso la realizzazione di una serie di documentari, (i quali seguono lo stesso filo conduttore ma che si differenziano per tematiche e sfumature differenti), mediante interviste, raccolte di testimonianze, ha l'obiettivo di entrare nell'anima dei figli della Shoah e scavare nel profondo dolore del lutto non sempre elaborato e della conseguente devastazione psicologica causati dalla Shoah a coloro che sono rimasti vivi e ai loro figli e nipoti, e attraverso i racconti di questi ultimi ricostruisce e da voce al "futuro" della Shoah, attraverso le voci dei suoi figli e nipoti rimasti anch'essi vittime di una alienazione come "prodotto della Shoah". In particolare questo documentario, girato tra Budapest, Berlino, Roma e Tel Aviv mette in relazione le storie personali dei protagonisti e delle loro famiglie ed il loro profondo legame con la musica. Sono tutte famiglie di musicisti o personaggi che hanno un legame sentimentale o spirituale con la musica. La musica, l'arte, vissuta in modo differente da ogni personaggio, e diverse reazioni su come dopo la guerra essa sia riuscita a cambiare il loro animo, a trasformare la loro vita, a trasmettere un senso di continuità, di sfogo, di umanità, oppure su come la musica ed il sentimento legato ad essa ed ai ricordi delle perdite subìte, sia diventata un profondo macigno rimasto dentro di loro senza che essi siano potuti guarire completamente. Vedremo, infatti, come alcuni personaggi di questo straordinario viaggio abbiano "emancipato" il loro dolore attraverso l'ausilio dell'arte, e come altri lo abbiano sepolto insieme alla musica e continuando a convivere con entrambi, nell'abisso del silenzio. Molto sentito è anche il legame tra la loro vita attuale ed il moderno antisemitismo, che essi vivono comunque in modo differente: vi è chi lo affronta con molta consapevolezza, chi ne fugge nascondendo la propria identità, chi invece lo affronta non facendosene coinvolgere perché volge uno sguardo pieno di fiducia verso il futuro. La scelta dei Paesi non è casuale, perché da' voce ai cittadini di alcuni Paesi con maggiore concentrazione di antisemitismo secondo le statistiche attuali. (escluso ovviamente Israele) Suona ancora – Il coraggio dei figli e nipoti della Shoah è stato quello di vivere è strutturato con una serie di interviste nelle varie città europee e poi in Israele dove viene suonata da un bambino di dodici anni la viola proveniente dai campi di sterminio che uno dei protagonisti, Amnon Weinstein, restauratore dei violini, molti anni fa aveva recuperato e restaurato. Il documentario raccoglie pezzi di vita e di ricordi vissuti nel conseguente vuoto esistenziale causato dalla perdita di identità e dallo sradicamento dalle proprie radici dopo la Shoah. In alcuni dei protagonisti, per fare solo un esempio, questo fattore è molto forte, e in alcuni casi vi è un implicita difficoltà di parlare della propria famiglia, in altri casi un fortissimo attaccamento ad essa e ad una serie di ricordi e particolari simboli che mantengono il legame con il passato. I sentimenti contrastanti, il dolore, l'elaborazione di lutti forse mai espressi e mai raccontati trovano spazio in una rappresentazione visiva che vede la solidale e parallela presenza dello stesso autore, come figlio della Shoah insieme agli altri, cercando di far emergere, attraverso un'alchimia che vuole scavare, non solo nei ricordi, ma soprattutto nel processo di cambiamento, quel passaggio dal dolore della Shoah al modo in cui ogni personaggio ha fatto della musica e del suo ricordo uno strumento di liberazione oppure uno strumento di visione e di commemorazione dei propri stessi pensieri e delle proprie ferite nascoste. 

TESTIMONIANZE

Lello Di Neris, Roma. Antiquario. Figlio della Shoah.
Suo padre, Raimondo Di Neris, fu deportato ad Auschwitz durante la retata del 16 ottobre 1943. Nel 1938 Raimondo fu arrestato come prigioniero politico e confinato nell'Isola di Favignana per aver partecipato ad una piccola sommossa antifascista presso un cinema- teatro che teneva spettacoli antisemiti, e potè tornare a Roma solo nel 1940. Durante questo esilio, seguendo le orme di alcuni progionieri politici, imparò a suonare alcuni strumenti e questo gli fu di grande aiuto sia per l'esilio di quegli anni e sia al suo ritorno da Auschwitz, per cui continuò a suonare chitarra, mandolino, benjo.Tornando dal campo di sterminio Raimondo suonava spesso in piazza al Portico D'Ottavia anche su richiesta dei suoi correligionari perché le serate del dopoguerra potessero tornare ad avere un volto, e trasmise questo amore per la musica a suo nipote Fabrizio, il figlio di Lello. Lello Di Neris ci racconta che il padre ricordava spesso i musicisti ebrei, maestrieamanti della musica, che talvolta la sera nei campi cercavano di sopravvivere suonando qualche nota, tra coloro che avevano il privilegio di poter tenere uno strumento, che serviva per le marce all'interno dei campi. Raimondo lavorava ad Auschwitz-Birkenau allo scarico dei treni, e cioè come addetto allo svutamento dei carri bestiame sui quali arrivavano gli ebrei da tutta Europa, spesso costretto a togliere dai vagoni dozzine di persone sia vive che morte ed a metterle nei carretti per portarle direttamente ai forni crematori oalle camere a gas .Inoltre svolse lavori in miniera a Mathausen e poi a Gusen, uno dei quarantanove sottocampi di Mathausen, ove lavorò per fabbricare aereoplani. Raimondo è morto a Roma nel 2001 lasciando al figlio Lello ed alnipote Fabrizio la sua eredità morale, le sue profonde ferite e le sue speranze per il futuro. Il suo sogno era stato quello di vivere in un posto in cui vi fosse sicurezza per gli ebrei, affinchè ciò che era accaduto non sarebbe potuto più accadere. Il dramma della Shoah è stato vissuto e subìto da Lello Di Neris e dalle sue sorelle con grande forza, hanno supportato il loro padre fino alla fine e soprattutto nei momenti di panico in cui il loro padre delirava credendo di essere ancora ad Auschwitz.Essi, come figli della Shoah hanno vissuto in pieno questo dramma, soffrendo d' insonnia per tuttala loro vita, a causa del fatto che quando erano bambini il loro padre si svegliava e urlava per le percosse ricevute nei campi.L'infanzia di Lello è stata segnata anche dai lutti altrui. Quando era un bambino infatti, svolgendo lavoretti a domiciliodi consegna della frutta, notò appesi ai muri di tutte le case di ebrei delle immagini con nomi, volti e lapidi ritratte e ricorda che ogni famiglia che lui visitavagli mostrava con grandedolore la finta lapide appesa al muro. Lutto nelle case, lutto nei quartieri, lutto nell'infanzia, adolescenza, vita, lutto nell'anima per quello che il proprio padre aveva vissuto e che aveva lacerato profondamente il loro futuro… Lello ha mantenuto durante tutta la sua esistenza una grande forza riuscendo a fronteggiare questo trauma con grande coraggio, e questo probabilmente è dovuto all'opportunità avuta, di stare vicino a suo padre fino alla fine. Oltre a ciò la vita di Lello si è realizzata nel sogno coronato da suo figlio Fabrizio, che ha portato con sé in Israele il grande amore per la musica che Raimondo ha lasciato in eredità dall'esperienza dell'esilio e dei campi di sterminio.

Mario Mieli, Roma. Commerciante. Figlio della Shoah
All'età di due anni e mezzo Mario viene catturato nella retata del 16 ottobre 1943 insieme ai suoi genitori e fratelli, avvenuta improvvisamente alle 6 del mattino a Roma. Vengono catturati e messi su un camion, che li porterà verso l'ignoto, una destinazione di cui essi non sono a conoscenza: la morte nei lager. Nel panico più totale, la madre porge ed affida il piccolo Mario alle braccia di una sconosciuta non ebrea che prende immediatamente il bambino. Questa donna incontra per strada la zia di Mario, che chiede alla donna di lasciarle il bambino. Così Mario rimane con la zia, sorella della madre, e con suo marito, che chiamerà mamma e papà per sempre. Quel giorno Mario doveva recarsi con suo padre al Tempio, dove avrebbe ricevuto una benedizione particolare dal padre e dove avrebbe ascoltato insieme a lui il suono sacro dell'organo, con cui suo padre aveva un forte legame spirituale. Era infatti Shabbat, il giorno dedicato al Signore. Ma questa benedizione non ebbe mai luogo e Mario non ascoltò l'organo perché non rivide mai più l'uomo che era suo padre. I due genitori infatti furono portati in un campo di sterminio, insieme agli altri suoi fratelli e non tornarono mai più. Mario porta dentro di sé un grande dolore. Nella sua razionalità esprime gratitudine per essere stato adottato dalla zia. Ma dentro di sé ha una grande ferita, una ferita mai guarita che trova la più significativa espressione nel suo sguardo. Si è chiesto spesso come fu possibile che sua madre lo consegnò nelle braccia di una sconosciuta. Che ne sarebbe stato di lui se fosse rimasto tra le braccia della madre? Certamente sarebbe morto, subendo un distacco ancora più traumatico. L'unica consolazione che trae da questa lacerante domanda è una testimonianza giunta in seguito attraverso il libro di una sopravvissuta alla Shoah, romana e dello stesso antico quartiere anche lei, che racconta nel suo libro di una donna di nome Graziella che chiedeva al nazista di poter tornare a Roma perché aveva lasciato un figlio piccolo, ricevendo da questi un calcio in testa, prima di essere selezionata. Mario inizia a sentire effettivamente la mancanza dei suoi genitori quando anche lui diventa genitore e nonno. Ora conosce il significato del dare una benedizione al proprio figlio. Il suo pensiero fisso è quella benedizione mai ricevuta e nel suo cuore si rivolge a suo padre pensando che in qualunque momento ne abbia bisogno, egli possa benedirlo dal cielo. In ogni minuto della sua vita Mario ha pensato anche alla madre e a quella scena letta centinaia di volte nel libro. La storia di Mario è quella di un dolore intrinseco e spesso mai manifestato. Un dolore forse non capito, forse non valutato con la giusta importanza. Un dolore che forse fatica ad entrare negli standard stessi del dolore, perché in fondo Mario non ricorda affatto quella scena caotica della retata e dell'abbandono da parte dei genitori catturati. Mario è un figlio della Shoah, un orfano della Shoah, una vittima della Shoah, costretto a lottare in primo luogo con il proprio dolore interiore che in qualche modo lo distingue da altre vittime, da altri orfani, da altri figli, da altri genitori. Mario ha affrontato e tuttora vive un dolore da cui non è mai guarito e probabilmente non troverà mai una via d'uscita. Egli vive con un dolore ancora inespresso; egli non ha avuto modo, come a molti è accaduto, di realizzarlo e di guarire attraverso la musica, ma è la musica in sé che gli causa dolore ogni qual volta pensa a suo padre, all'organo sacro, e a quel giorno in cui lo perse per sempre. Mario Mieli ha uno sguardo particolare, è lo sguardo della sua anima. Mario Mieli dopo quasi settantadue anni, soffre ancora in silenzio. 

Diana Obinja, Russia, Germania. Artista futurista. Nipote della Shoah.
Diana scoprì di essere ebrea, quando sua nonna la chiamò "sporca ebrea". Fu colpita profondamente da questo gesto e chiese a sua madre se fosse vero, la risposta fu "Si, e devi esserne fiera". Ciò che viene fuori dalla sua personalità è il caos della Shoah. Lei ama descrivere questo caos come un oceano di lacrime che tutti i figli e nipoti della Shoah vivono dentro di loro, che condividono e grazie al quale sono legati nel profondo. Diana si ritiene parte della violenza che è la Shoah, non è mai riuscita a separare se stessa da questo dramma. Nel raccontare le origini della sua famiglia Diana mostra tutta la sua emotività, il dolore che ha attraversato in questo suo percorso di vita sembra averle creato difficoltà e distacco nel parlare della sua famiglia ma allo stesso tempo viene fuori un fortissimo legame, molto emotivo, con la Shoah. Diana dice di aver smesso di vivere già durante la sua infanzia, credendo che il dolore che portava dentro di sé non potesse essere condiviso con nessuno, e questo comportò in lei il desiderio di non vivere. La sua crescita è stata coadiuvata poi dallo sviluppo dell'arte: il suo primo lavoro fu un brano musicale che rappresentava alcune voci che si riflettevano negli specchi e che lei sentiva profondamente nell'anima. Fu un violinista ebreo detto "Il violinista cabbalista di Odessa" oggi scomparso, ad aiutarla ad interpretare questo suo brano, mettendola in contatto con Kim. Questo brano è stato identificato da Diana con un luogo ben preciso che rappresenta un inferno, la vallata di Geenna in Israele dove attraverso alcuni scavi vennero trovati degli scheletri. Diana ravvisa e sente profondamente una continuità tra gli scheletri della valle della Geenna e le morti della Shoah. Una continuità tra il popolo ebraico nella Bibbia ed il popolo ebraico nella Shoah. La trasformazione nell'anima di Diana è stata quella di affrontare la morte, guardandola con i propri occhi e rappresentandola attraverso la sua arte. Gli specchi, come visione del brano musicale di cui ci parla, sono infatti una rappresentazione visiva del suo vissuto con le immagini ed i pensieri della morte, che Diana ha esposto anche in una sua installazione. Diana si definisce "poco normale" nell'esprimere la sua arte e questo è dovuto alla mancanza di paura della morte. Quello che in lei si evince maggiormente, oltre ad un grande dolore, è il voler a tutti i costi esprimere la sua totale vittoria sulla paura della morte. L'arte e la musica l'hanno tolta dalla morte, da una dimensione che la teneva prigioniera e lontana dal mondo, ma attraverso la musica, e la pittura la sua anima è libera, e può sentire persino la gioia della vita…

Kim, Berlino. Musicista. Nipote della Shoah.
Kim ha vissuto nella paura vivendo accanto a sua madre ed ai suoi attacchi di panico, ed è venuta a conoscenza di ciò che era stata la Shoah piuttosto tardi. Quando era bambina non si parlava molto della Shoah e della morte di sua nonna. Tutto venne fuori quando suo fratello si suicidò nel 1998, perché si credeva un nazista. Egli aveva interiorizzato un tale senso di colpa che identificò se stesso con le colpe degli assassini della propria famiglia. Kim al contrario di come lo ha vissuto suo fratello, è riuscita ad affrontare l'esperienza della Shoah attraverso la musica. Affrontarla, senza rimuoverla, ma certamente imparando a convivere con essa. Attraverso la musica non vince in lei la paura né lo smarrimento, ma ella riesce a dar voce a questi sentimenti vivendo la musica come una sorta di cura… Nel pensare a suo fratello, Kim esprime ciò che vorrebbe dirgli se fosse ancora vivo, con la consapevolezza di non essere loro i responsabili per quanto accaduto. I sensi di colpa sono stati ereditati da madre in figlio, dando seguito ad una Shoah che permane e continua a distruggere la vita di chi è restato e di chi è nato poi… Kim è stata una bambina che al mattino, prima di andare a scuola trovava sua madre col capo sul tavolo della cucina, una madre che passava le notti sveglia nella paura che qualcuno entrasse in casa e potesse fare loro del male… La madre di Kim a sua volta si sentiva colpevole per non potuto dare un bicchiere d'acqua a sua madre (la nonna di Kim) che lei stessa vide andare nella camera a gas. Sulla tomba di suo fratello, Kim ha posto la partitura di Kindertotenlieder (Canti per i fanciulli morti), la sua vita è stata totalmente contraddistinta dall'amore per la musica. Ciò che ha trasportato Kim verso la musica all'età di tredici anni è stata la sensazione di essere vista su un palco e di essere vista quindi attraverso ciò che la profondità della musica poteva offrire al mondo di lei. La Shoah viene espressa sempre nelle sue performances vocali, un giorno una sua insegnante di canto italiana le disse che la sua voce era piena di lacrime ma Kim è molto fiera di essere riuscita ad esprimere attraverso il canto quello che è il suo dolore e ripete con orgoglio di non avere sensi di colpa per la Shoah, per lei è molto importante sapere che gli ebrei non hanno colpa per quello che hanno subìto… ciò denota che ha affrontato con grande forza la morte del fratello, anche se lei stessa ha vissuto periodi di sconforto in cui pensava al suicidio ma cercando sempre un qualche punto di collegamento alla vita, nonostante le sembrava fosse tutto contro e non vedeva vie d'uscita da quel buio. Kim oggi sente molto la freddezza del mondo e la musica è per lei vita, la Germania nonostante abbia viaggiato molto resta sempre la sua patria, è una parte di se stessa. Una patria in cui è nato il Nazismo, e della cui colpa ha preso consapevolezza certamente molto tardi, dopo aver scoperto la storia dei propri nonni. Il suo desiderio è che i figli ed i nipoti dei colpevoli possano fare un percorso che li porti a vivere pienamente cosa è stata la Shoah, altrimenti anche della Memoria si rischia di fare un abuso, e ciò non porterebbe mai ad un incontro reale tra figli della Shoah e figli del nazismo. E' nella mancanza totale di questo incontro, da lei tanto sentito, che si manifesta il buio…

Ewelina, Polonia, Germania. Compositrice, insegnante di musica. Nipote della Shoah.
Ewelina è una giovane musicista che suona ormai da 26 anni. E' stato suo padre ad introdurla alla musica e come compositrice il tema della Shoah è stato ed è molto presente nei suoi brani. Per lei la musica è qualcosa di sacro che rappresenta una liberazione dell'anima. Ewelina è una nipote della Shoah, di terza generazione. Della sua famiglia ci sono alcuni sopravvissuti e altri che non sono mai tornati. E' dunque anche difficile, come lei afferma, per lei poter avere un'idea "diretta" di quello che è accaduto. Anche lei è una delle vittime dell'assordante silenzio che ha caratterizzato le generazioni precedenti alla sua. Tuttavia questo non le ha impedito di vivere il sentimento della Shoah come qualcosa di veramente suo. Il momento più forte che riguarda Ewelina durante le riprese è quello in cui ha camminato all'interno del Museo della Shoah di Berlino come se fosse un labirinto, e come se anche lei cercasse la strada per un futuro migliore. La sua anima di musicista è entrata come in un connubio spirituale con il vissuto dei ghetti e dei campi, come accade a tutti i figli della Shoah. La musica nei ghetti e nei campi di sterminio aveva un duplice ruolo, se da una parte chi suonava aveva l'obbligo di farlo in situazioni orribili, dall'altra era un modo per sopravvivere. Per lei la musica aiuta a vivere, ed è l'unico modo in cui riesce a dare tutta se stessa. Lei compone e suona per sentirsi libera, ed è il suo linguaggio per presentarsi sulla Terra. In molti musicisti, figli della Shoah troviamo questa componente ed il fatto che la musica, l'arte, sia un modo per apparire, inteso come "essere presenti" sulla Terra. Ewelina compone brani per violino, per orchestra e per pianoforte. Uno dei suoi brani, "Kaddish 1944" è stato scritto dopo la lettura della lettera che sua zia Ewelina scrisse alla nonna e dopo aver preso atto degli orrori descritti su quella lettera. Altri brani sono stati sempre ispirati e dedicati a luoghi ed episodi della Shoah. Ciò che contraddistingue il carattere di Ewelina è la speranza del futuro. Lei è il futuro. Sa perfettamente cosa è l'antisemitismo, ma lo affronta senza odio. Il suo sguardo è completamente rivolto ad un futuro libero, dove l'uguaglianza regna nella diversità. Lo sguardo di Ewelina fugge completamente dal male. Il male per lei "non esiste"…

Eva Beck, Budapest. Ex impiegata. Figlia della Shoah.
Quella di Eva è la storia di una musicista che non è mai più riuscita a prendere in mano il suo strumento. La sua era una famiglia di musicisti, lei suonava il pianoforte e suo fratello il violino. Il padre di Eva morì durante una cattura a Budapest in seguito a numerose percosse ricevute dalle Croci Frecciate, e mentre lei e sua madre furono rinchiuse in una zona circoscritta della città ed in seguito nel ghetto, suo fratello fu deportato ad Auschwitz. La vita di Eva fu totalmente sconvolta, suo padre non era tornato e dopo aver scoperto che fine avesse fatto poté insieme a sua madre recuperarne gli abiti sporchi di sangue all'interno di un ospedale, la sua vita e quella di sua madre furono vite di stenti all'interno del ghetto dove ricevevano un pasto al giorno composto da un liquido nauseabondo, e suo fratello catturato dal ghetto a 17 anni non poté mai più rivedere sua madre, suo padre, sua sorella, ed il suo violino. L'ultima volta che Eva suonò fu alla fine della guerra, quando ancora attendeva il ritorno di suo fratello, cantava come soprano e si accompagnava da sola al pianoforte. Il pianoforte era l'unica cosa rimasta intatta tra le macerie della sua casa alla fine della guerra. Era un'adolescente e il più delle volte saltava la scuola e suonava per tutto il giorno, aspettando il ritorno del fratello e di poter suonare con lui, come sempre in passato. Ma una volta capito che il fratello non sarebbe tornato da Auschwitz, Eva non suonò più. Decise che non avrebbe mai più suonato. Attualmente Eva Beck è membro del Circolo degli Amici dell'Accademia di Musica. E' un'ascoltatrice assidua di musica. Eva Beck è una musicista che non sa più suonare. Durante le riprese è stato vissuto un momento molto emozionante perché si è riusciti a chiedere ad Eva di provare a suonare qualcosa. Eva ci ha donato un momento di grande commozione.

Amon Weinstein, Israele. Restauratore di violini. Figlio della Shoah.
Amnon è un liutaio che restaura violini della Shoah e organizza concerti in tutto il mondo facendo suonare questi violini. Il suo progetto si chiama "I violini della speranza". Le corde di violino sono per Amnon la voce dell'uomo, ed hanno rappresentato per ogni ebreo la voce del Khazan che canta nella sinagoga, ma anche la voce delle preghiere che ogni ebreo accompagnato dal suono dei violini nelle marce verso le camere a gas, non ha potuto fare espressamente. Esporre questi violini restaurati non sarebbe qualcosa d'interessante: i violini sono una voce umana e un uditorio sensibile certamente potrà ascoltare cosa questi violini della Shoah vogliono ancora dire. Sono violini che hanno un'anima, che hanno vissuto nei campi e che oggi hanno qualcosa da raccontare. Circa quarant'anni fa Amnon incontrò un sopravvissuto alla Shoah che gli chiese di riparare il suo violino. Quest'uomo aveva suonato nei lager e fu la prima volta che Amnon si trovò davanti ad un uomo che aveva suonato il suo violino nei lager. Il violino al suo interno era pieno di polvere nera e l'uomo gli spiegò che era il fumo e la cenere dei forni, che loro respiravano tutti i giorni e che si era annidata anche all'interno del violino. Ci vollero però vent'anni perché Amnon decidesse di intraprendere quest'opera straordinaria di recupero dei violini della Shoah e di dare loro una voce, attraverso nuovi concerti. Amnon è un combattente dal cuore deciso. La sua sensibilità lo ha spinto a dedicare la sua vita a questo progetto e a portarlo avanti con successo, anche se da solo. Viaggia in tutto il mondo facendo raccontare ai violini cose che nessuno ha mai raccontato. La maggior parte dei violinisti ha smesso di suonare dopo la Shoah, perché non sono neanche riusciti a raccontare ai loro familiari che avevano suonato nei campi. Queste orchestre suonavano quando i prigionieri andavano e tornavano dal lavoro e quando andavano alle camere a gas. Questi violini hanno una forza immensa, sia per i musicisti che li suonano oggi, sia per la gente che ascolta. Amnon iniziò a suonare il violino e la viola a partire dall'età di cinque anni. Ma il suo mestiere di liutaio comportò una scelta, e a ventotto anni smise di suonare. Essendo mancino suonare e lavorare creava molto dolore e problemi alla sua mano sinistra, e così scelse di essere liutaio per tutta la vita. La vita di Amnon è stata dedicata completamente alla musica, ai violini e soprattutto ai violini della Shoah.

Assi, moglie di Amnon Weinstein.
Assi Weinstein, moglie di Amnon, è una donna di grande spiritualità ed espressività. Vivendo con Amnon, che ha dedicato la sua vita alla Shoah, ha vissuto in modo molto diverso da lui il modo di interpretarla e di viverla. Per lei è molto importante la vita di ogni singolo individuo, il valore di una vita spezzata equivale a quello di sei milioni, per Assi anche un solo libro bruciato assume il valore di un grande lutto. A differenza di Amnon, la cui famiglia è stata sterminata ed il cui padre è sopravvissuto, ha tratto una grande forza dal fatto di provenire da una famiglia che ha lottato contro il nazismo. Suo padre era infatti un partigiano che riuscì a salvare molti ebrei dei ghetti nelle campagne polacche. Suo padre lottò con il nazismo faccia a faccia e la sua famiglia si salvò. Faceva parte del gruppo di partigiani Anche lei vive di musica e attraverso la musica sente il dolore della Shoah, ma vive questo dolore in modo diverso da chiunque altro. Le due realtà di Assi e di Amnon hanno dato ad entrambi la forza di reagire e questo ha generato un supporto reciproco nella loro creatività. Essi sono la sintesi delle due anime del popolo ebraico: Assi ha superato il dolore attraverso l'intelletto, Amnon invece dando ampio respiro alla creatività del suo animo.

Amit Weiner, Israele. Compositore e insegnante di musica. Nipote della Shoah.
Amit è un compositore e insegnante di musica in Israele che ha dato molto spazio nella sua vita al tema della musica dedicata alla Shoah. Suo nonno è un sopravvissuto ad Auschwitz e tutta la famiglia di suo nonno è scomparsa nei lager. Suo nonno e i suoi genitori non erano musicisti ma Amit ha fatto della Shoah un tema portante delle sue composizioni musicali. Nelle sue composizioni Amit ricongiunge il passato al presente e al futuro. Essenzialmente la storia di Amit è una proiezione del suo inconscio del passato che si proietta nella musica oggi. I brani suonati da Amit ne sono una dimostrazione. Durante l'intervista chiediamo ad Amit di suonare qualcosa con il suo pianoforte, immaginando di dedicare ad un figlio che verrà questo brano. Amit risponde positivamente a questa richiesta affiancando a lui sua moglie durante questo straordinario momento.

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