Il caso Spotlight (2015)
SpotlightUn team di giornalisti del Boston Globe conduce un'inchiesta che porta ad una scioccante verità: la complicità della chiesa in una vasta gamma di casi di abusi su minori.
Il caso Spotlight racconta la storia del team di giornalisti investigativi del Boston Globe soprannominato Spotlight, che nel 2002 ha sconvolto la città con le sue rivelazioni sulla copertura sistematica da parte della Chiesa Cattolica degli abusi sessuali commessi su minori da oltre 70 sacerdoti locali, in un'inchiesta premiata col Premio Pulitzer. Quando il neodirettore Marty Baron (Liev Schreiber) arriva da Miami per dirigere il Globe nell'estate del 2001, per prima cosa incarica il team Spotlight di indagare sulla notizia di cronaca di un prete locale accusato di aver abusato sessualmente di decine di giovani parrocchiani nel corso di trent'anni. Consapevoli dei rischi cui vanno incontro mettendosi contro un'istituzione com la Chiesa Cattolica a Boston, il caporedattore del team Spotlight, Walter "Robby" Robinson (Michael Keaton), i cronisti Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams) e Michael Rezendes (Mark Ruffalo) e lo specialista in ricerche informatiche Matt Carroll (Brian d'Arcy James) cominciano a indagare sul caso. Via via che i giornalisti del team di Robinson parlano con l'avvocato delle vittime, Mitchell Garabedian (Stanley Tucci), intervistano adulti molestati da piccoli e cercano di accedere agli atti giudiziari secretati, emerge con sempre maggiore evidenza che l'insabbiamento dei casi di abuso è sistematico e che il fenomeno è molto più grave ed esteso di quanto si potesse immaginare. Nonostante la strenua resistenza degli alti funzionari ecclesiastici, tra cui l'arcivescovo di Boston, Cardinale Law (Len Cariou), nel 2002 il Globe pubblica le sue rivelazioni in un dossier che farà scalpore aprendo la strada ad analoghe rivelazioni in oltre 200 diverse città del mondo.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 18 Febbraio 2016Uscita in Italia: 18/02/2016
Data di Uscita USA: venerdì 6 Novembre 2015
Prima Uscita: 06/11/2015 (USA)
Genere: Thriller
Nazione: USA - 2015
Durata: 128 minuti
Formato: Colore
Produzione: Anonymous Content, Participant Media, Rocklin / Faust
Box Office: USA: 44.013.263 dollari | Italia: 3.897.078 euro
Soggetto:
Basato su fatti realmente accaduti.
Passaggi in TV:
• martedì 05 Dicembre ore 00:40 su Rai Movie
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CRONOLOGIA
• Nel 2002 , il team investigativa Spotlight del Boston Globe ha pubblicato circa 600 articoli sugli abusi sessuali commessi da più di 70 sacerdoti nella diocesi di Boston e tenuti nascosti dalla Chiesa Cattolica.
• Nel dicembre del 2002, il Cardinale Law ha dato le dimissioni dalla diocesi di Boston ed è stato riassegnato alla Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, di cui è ancora Arciprete.
• 249 sacerdoti sono stati pubblicamente accusati di abusi sessuali all'interno della diocesi di Boston.
• Nel 2008, le vittime degli abusi del clero nella zona di Boston erano 1.476.
• In tutti gli Stati Uniti, 6.427 sacerdoti sono stati accusati di avere abusato sessualmente di 17.259 vittime.
• Negli anni dell'inchiesta del team Spotlight, sono stati documentati e denunciati casi di abusi sessuali commessi da sacerdoti della Chiesa Cattolica in 105 città americane e 102 diocesi in tutto il mondo.
NOTE DI PRODUZIONE
Anche se casi isolati di abusi sessuali compiuti da sacerdoti cattolici erano già stati denunciati prima dell'inchiesta del team Spotlight, le rivelazioni meticolosamente documentate dai cronisti del Globe hanno rivelato la portata dei crimini perpetrati dai religiosi – e il coinvolgimento della Chiesa che aveva tentato di insabbiarli – con una precisione senza precedenti.
Le produttrici Nicole Rocklin e Blye Pagon Faust hanno guidato gli sforzi per trasformare in un film la drammatica storia dell'inchiesta del Boston Globe sulla pedofilia. "Era la storia più incredibile che avessimo mai sentito", dice la Faust. "I giornalisti del Globe hanno sfidato un'istituzione che aveva potere, soldi e risorse, e hanno dimostrato alla gente che nessuno è intoccabile".
Rocklin e Faust hanno proposto ad Anonymous Content di co-produrre il film. "Abbiamo accettato immediatamente", ricorda il fondatore e amministratore delegato di Anonymous Content, Steve Golin, "perché ci sembrava che fosse una storia che meritava di essere portata sul grande schermo".
Anche Participant Media ha capito immediatamente che Il caso Spotlight era uno di quei film che potevano ispirare un cambiamento nel mondo reale. "Quando i nostri amici di Anonymous Content ci hanno detto che stavano sviluppando il soggetto, abbiamo colto al volo l'opportunità di contribuire a portarlo sullo schermo", spiega Jonathan King, vice presidente dell'area cinema di finzione di Participant Media.
Per scrivere la sceneggiatura, Rocklin e Faust si sono rivolte al noto regista, sceneggiatore e attore Tom McCarthy, regista di apprezzati film indipendenti come The Station Agent, Mosse vincenti e L'ospite inatteso,e candidato all'Oscar per la sua sceneggiatura originale del film di animazione Up, campione d'incassi nel 2010. McCarthy ha coinvolto lo sceneggiatore della serie tv "West Wing", Josh Singer. "Tom ha la straordinaria capacità di fare emergere il lato umano ed emotivo in storie complesse", osserva King.
McCarthy si è sentito subito attratto da questa vicenda, a diversi livelli. "Prima di tutto, trovavo interessante l'idea di questo estraneo, Marty Baron, che arriva da Miami al Boston Globe, e nel suo primo giorno da direttore propone ai suoi giornalisti di indagare sul coinvolgimento della Chiesa Cattolica nei casi di abusi sessuali. Un'iniziativa piuttosto audace".
Inoltre, l'impresa dei cronisti del Boston Globe si prestava anche a un appassionato omaggio al giornalismo investigativo. "Mi preoccupa molto il fatto che oggi ci sia così poco giornalismo d'inchiesta, rispetto a una quindicina d'anni fa", osserva McCarthy. "Questo film mi dava l'opportunità di mostrare l'impatto che può avere sulla gente e sulla società un giornalismo fatto da grandi professionisti. Insomma, cosa può esserci di più importante del destino dei nostri figli?"
McCarthy ha trasferito nel film anche un po' della sua esperienza personale. "Ho ricevuto un'educazione cattolica e quindi ho grande comprensione, ammirazione e rispetto per la Chiesa come istituzione", spiega. "Questo film non è un attacco alla Chiesa, ma il tentativo di rispondere alla domanda: 'Come mai succedono queste cose?'. La Chiesa ha commesso – e in alcuni casi continua commettere – atti criminali, non soltanto consentendo l'abuso di minori, ma coprendolo. Come è stato possibile che questi abusi andassero avanti per decenni senza che nessuno facesse niente per impedirlo?".
Con lo stesso meticoloso rigore del team Spotlight, Singer e McCarthy hanno dedicato mesi a intervistare giornalisti, vittime e altre parti coinvolte nella vicenda.
"Siamo andati a Boston due o tre volte e abbiamo intervistato a più riprese ognuno dei giornalisti autori dell'inchiesta, dopodiché pensavo che avessimo finito", ricorda Singer. "Ma per Tom era importante dare un quadro più ampio e realistico possibile dei fatti, e continuava a farsi domande del tipo: 'E i giornalisti che hanno lavorato sul caso di Porter? E gli avvocati? Non dovremmo parlare con Jon Albano? Possiamo parlare con Eric MacLeish?'. Voleva esaminare questa vicenda da ogni possibile angolazione. Visto che ho sempre adorato il lavoro di ricerca, mi ci sono buttato. Ed è così che siamo incappati in alcuni dettagli di questa storia che, a mio parere, rendono il nostro film ancora più credibile e realistico".
Singer, che si è laureato alla facoltà di legge di Harvard (a Boston) poco prima della pubblicazione dell'inchiesta del team Spotlight, aveva sempre evitato di leggere gli articoli sullo scandalo dei preti pedofili. "Ricordo che i primi tempi che lavoravo alla serie 'West Wing', non volevo leggere i giornali perché l'idea degli abusi del clero mi turbava troppo. Ma questo progetto mi attirava perché era incentrato sui giornalisti che hanno portato alla luce quegli abusi. Seguendo la loro storia, il pubblico riesce a capire meglio tutta la vicenda".
ILTEAM SPOTLIGHT
Nel film, il capo del gruppo investigativo del Globe, Walter "Robby" Robinson, è interpretato da Michael Keaton, candidato all'Oscar per il suo ruolo nel film del 2014 Birdman (o L'inaspettata virtù dell'ignoranza). L'attore, che è cresciuto in una famiglia cattolica, ha saputo cogliere i tic comportamentali del suo personaggio con incredibile precisione. "La prima scena del film che ho visto era un'inquadratura di Michael Keaton", ha raccontato Robinson. "E per poco non cadevo dalla sedia: ero io. Non aveva solo la mia voce e il mio accento quasi bostoniano, ma anche le mie espressioni, i miei gesti. Michael mi aveva fotografato".
McCarthy dice di aver pensato a Keaton per il ruolo di Robinson, avendo in mente la sua straordinaria interpretazione nel film del 1994 Cronisti d'assalto di Ron Howard, in cui vestiva i panni di un appassionato cronista. "Per l'appunto, Cronisti d'assalto è anche uno dei film preferiti di Robinson. Come Robby, Michael è un duro, ma anche un uomo gentile, ironico e affascinante. Tutte qualità che ha trasferito nel ruolo del giocatore-allenatore che ha guidato le indagini".
A lavorare sotto la direzione di Robinson c'è il giornalista di punta Mike Rezendes, interpretato da Mark Ruffalo. L'attore, candidato a un Oscar per il suo ritratto del lottatore David Schultz nel film del 2014 Foxcatcher, ha ricevuto la sceneggiatura di Il caso Spotlight un venerdì. L'ha letta la sera, e il giorno dopo ha accettato la parte. "Ho capito immediatamente che sarebbe stato un film importante", ricorda Ruffalo. "Ci sono film che fai per gli altri, e film che fai per te stesso. È terribile che ci siano così tante persone ferite in modo così brutale e spietato da un'istituzione che non avrebbe dovuto permetterlo".
Ruffalo ha seguito Rezendes per settimane, per prepararsi a interpretare il ruolo di questo tenace giornalista. "Il primo giorno che l'ho incontrato, Mike era un po' sulla difensiva. Non mi stupisce. Avrà pensato: e ora che vuole da me, questo attore? Siamo andati a casa sua, poi a cena e poi abbiamo fatto una lunga passeggiata. Abbiamo parlato parecchio e ho cominciato a farmi un'idea di che tipo fosse. Poi sono stato al Globe e l'ho seguito per cinque giorni, al lavoro, prima di cominciare le prove del film. Quando sono iniziate le riprese, veniva abbastanza spesso sul set. Il fatto che stesse lì a guardarmi mi rendeva un po' nervoso, perché ci tenevo molto a interpretarlo nel modo giusto".
Conoscendo meglio Rezendes, Ruffalo ha scoperto di avere molte cose in comune con la sua controparte reale."Mike ed io siamo due outsider", osserva Ruffalo. "Veniamo da un mondo che non ci apriva molte porte, a livello professionale. Siamo stati due ribelli e abbiamo ricevuto entrambi un'educazione cattolica. Tutti e due abbiamo lasciato la Chiesa Cattolica perché vedevamo troppe incongruenze tra i suoi insegnamenti e come venivano messi in pratica".
Ruffalo – il primo degli attori ad aderire al progetto – ha saputo dare uno spessore particolare al suo personaggio. "Mark ha una straordinaria capacità di trasformarsi completamente, a seconda del personaggio che interpreta", osserva McCarthy. "Lavora molto sul registro emotivo, ed è stato entusiasmante vederlo trasformarsi in Resendez, senza mai esagerare o diventare enfatico".
Mentre il personaggio di Ruffalo si concentra sugli aspetti legali dell'indagine, la giornalista interpretata da Rachel McAdams, Sacha Pfeiffer, si occupa di intervistare le vittime degli abusi del clero. "Sacha è un tipo sveglio", dice la McAdams, recentemente apprezzata per il suo ruolo nella serie di culto True Detective , dopo grandi successi come Sherlock Holmes e Le pagine della nostra vita, solo per citarne alcuni. "Sacha ed io abbiamo cominciato a comunicare via email, poi siamo passate al telefono e alla fine ho preso un treno da New York a Boston e ho trascorso un pomeriggio con lei e suo marito", ricorda l'attrice.
Quel viaggio si è rivelato prezioso. "Ho fatto a Sacha tutte le domande che mi venivano in mente", racconta l'attrice. "Anche sui dettagli, per esempio: 'Usi l'orologio?'. E lei mi ha detto tutto quello che volevo sapere".
Le conversazioni della McAdams con Sacha Pfiffer hanno dato i loro frutti in alcune delle sequenze più toccanti del film, quelle in cui la giornalista incoraggia – con delicatezza – le vittime degli abusi a raccontare la loro storia. "Sono rimasta molto colpita dal modo in cui Rachel ha rispettato e onorato le vittime", commenta l'attrice. "'Per tanti anni', mi ha raccontato, 'quelle persone avevano nascosto le violenze subite, non ne avevano mai parlato con nessuno e nessuno se n'era assunto la responsabilità. E all'improvviso arrivo io a chiedergli di raccontare gli abusi, a sconvolgere le loro vite'. Sacha mi ha detto che non le sembrava giusto fare le interviste, tornarsene in ufficio, sfruttare quel dolore e sparire in fretta com'era arrivata. Quindi ha mantenuto i rapporti con molte delle vittime, anche dopo la pubblicazione delle loro storie, fino ad oggi".
La McAdams ha cercato di rendere il modo in cui la Pfeiffer, con grande delicatezza e fermezza insieme, è riuscita a farsi raccontare dalle vittime alcuni dettagli giornalisticamente rilevanti. "Ormai le vittime erano uomini e donne adulti, impiegati e professionisti, che non si sentivano a loro agio a raccontare certe esperienze, soprattutto a una giornalista. Sacha è un'ottima ascoltatrice e una donna sensibile, ma doveva chiedere a quelle persone di essere estremamente esplicite sulle dinamiche degli abusi, per non doversi limitare a etichettarle genericamente come 'molestie'."
Il regista McCarthy ha incontrato la McAdams via Skype e ha subito percepito la sua concretezza e la sua disinvoltura. "Sacha e Rachel sono due persone estremamente franche e dirette", osserva. "Sono intelligenti ma senza forzature, e hanno entrambe grandi doti comunicative". Questo traspare anche nel film, dove Rachel – nel ruolo di Sacha – appare determinata e instancabile, ma mai invadente o molesta. Rachel ha una straordinaria facilità di rapporto con le persone".
Liev Schreiber interpreta il neo-direttore del Boston Globe, Marty Baron, con una pacata fermezza che Singer, il co-sceneggiatore, aveva colto documentandosi sulla vicenda. "Quando ho intervistato Marty a Washington, aveva un post-it in ufficio con la scritta "Non sono un tipo accomodante". A Marty non importa se deve pestare i piedi a qualcuno. Il suo lavoro è dare la notizia".
Di recente candidato a un Emmy per il suo ruolo nella serie poliziesca Ray Donovan, Schreiber è subito entrato in sintonia col personaggio. "Uno dei momenti più emozionanti per me, è stato quando ho avuto l'opportunità di andare a Washington a conoscere Marty Baron", racconta l'attore. "È stato fantastico poter passare del tempo con lui e capire le difficoltà in cui si trovano molti quotidiani oggi nel nostro paese. In effetti uno dei motivi per cui amo così tanto questo film è che spezza una lancia a favore di giornali e giornalisti".
"Per me, Marty e gli altri giornalisti di questa vicenda sono dei veri eroi", prosegue Schreiber. "Parlando con Marty mi sono reso conto che il suo è un lavoro che non dà tregua. Marty è un tipo combattivo, che va dove lo porta la notizia. Non si tira indietro neanche se deve mettersi contro persone e organizzazioni molto potenti, pur di arrivare alla verità".
L'ex vicedirettore del Globe Ben Bradlee Jr. ha subito simpatizzato con l'attore che lo rappresenta sullo schermo. "Quando ho saputo che per il mio ruolo era stato scritturato John Slattery, mi è subito tornato in mente quando interpretava quella simpatica canaglia di Roger Sterling in Mad Men. Mi piacciono le canaglie. E mi piace John. Abbiamo passato parecchio tempo insieme. E' uno serio, ed essendo anche lui di Boston, è un tifoso dei Red Sox come me".
McCarthy ha visto in Slattery, suo vecchio amico, l'interprete ideale di Bradlee. "Come Ben, John è un tipo schietto e diretto, che non ama i giri di parole", dice McCarthy. "Fa il suo lavoro con una disinvolta sicurezza che mi ha ricordato Ben".
Slattery, noto a milioni di spettatori per il ruolo di Sterling, socio dell'agenzia pubblicitaria di Mad Men, è stato felice di poter interpretare Bradlee. "Ben è un uomo molto intelligente ed è lui stesso un personaggio. Quindi avevo parecchio materiale su cui lavorare", racconta l'attore. "È difficile spiegare l'importanza della Chiesa Cattolica in città, all'epoca. Era la più grande diocesi del paese e il 53% dei lettori del Globe erano cattolici. Ci voleva un gran coraggio per mettersi contro la Chiesa Cattolica".
Essendo di Boston, Slattery si è sentito a casa durante le riprese in esterni. Alcune scene sono state girate al Fenway Park, dove suo zio aveva lavorato per decenni come dipendente della squadra dei Red Sox. Nel corso della storia, il suo personaggio viene assalito da un'angoscia crescente. "Via via che l'indagine procede, Ben sente sempre di più il peso della responsabilità", spiega Slattery. "Se ti esponi per documentare una vicenda di questa portata, anche emotiva, che può danneggiare gravemente un'istituzione potente come la Chiesa Cattolica, devi essere sicuro di quello che fai".
A completare il team Spotlight c'è il giornalista specializzato in ricerche informatiche Matt Carroll, interpretato da Brian d'Arcy James. "Matt è – come si definisce lui stesso – lo 'smanettone' del gruppo", spiega James parlando di Carroll, che oggi lavora come ricercatore al Massachusetts Institute of Technology Media Lab's Center for Civic Media. "Ha raccolto tutti i dati sui sacerdoti e i casi di abusi in un arco di 30 anni, e li ha inseriti su fogli Excel. Poi li ha analizzati e sintetizzati per contribuire a ricostruire il quadro completo dei fatti".
L'avvocato Mitchell Garabedian, interpretato da Stanley Tucci, fornisce informazioni preziose ai cronisti del team Spotlight. "È un uomo dai modi bruschi, che ha una sola missione ormai: dare giustizia a centinaia di persone", spiega Tucci. L'attore non ha mai incontrato di persona l'avvocato, ma ha studiato ore di filmati televisivi di conferenze stampa e altri materiali. "Se si pensa alle storie che deve avere ascoltato Garabedian, raccontate da bambini e da anziani abusati quando avevano appena sei o sette anni, è facile immaginare che ne sia rimasto segnato. Eppure, è instancabile".
Come si vede nel film, Garabedian si rivela un ottimo collaboratore quando il Globe, alla fine, decide di chiedere il suo aiuto. "È un uomo che non si fida più di nessuno", spiega Tucci. "Ha visto tanti di quei sotterfugi, accordi segreti e intrecci tra la Chiesa, i politici e il dipartimento di polizia… Credo che avesse tutto il diritto di essere paranoico".
LA STORIA VERA
Come viene raccontato nel film, è il neo-direttore Marty Baron a dare il via alla clamorosa inchiesta sulla pedofilia nella diocesi di Boston, il giorno stesso del suo insediamento al Globe. Uomo di poche parole, Baron ricorda di avere messo subito al lavoro il team Spotlight, appena arrivato dal Miami Herald. "Nel 2001, il Boston Globe era un quotidiano un po' a sé, per certi versi isolato", spiega Baron, oggi direttore del Washington Post. "Non aveva mai avuto un direttore che non fosse cresciuto a Boston".
Baron è arrivato alla sua prima riunione di redazione e ha chiesto ai vari caporedattori come mai non fosse stata approfondita una notizia contenuta in un articolo di Eileen McNamara, uscito la settimana precedente. "Nel suo articolo, la McNamara si chiedeva se si sarebbe mai giunti a scoprire la verità su un sacerdote della diocesi di Boston accusato di abusi sessuali: la Chiesa diceva una cosa e l'avvocato della vittima un'altra. Così, ho chiesto alla redazione se avremmo potuto arrivarci noi, alla verità".
Walter "Robby" Robinson, che scrive ancora per il Boston Globe, attribuisce a Baron il merito di avere dato una bella scossa alla redazione, chiedendo ai suoi giornalisti di mettere alla prova la fino ad allora indiscussa capacità della Chiesa di tenere nascosti gli accordi extragiudiziali con le vittime degli abusi. "Quando Marty Baron è arrivato a Boston, ci ha detto di andare dritti in tribunale a chiedere che gli atti fossero resi pubblici, perché la gente aveva il diritto di sapere", ricorda Robinson. "Non eravamo abituati a farlo. Il nostro lavoro con il team Spotlight, era quello di denunciare la corruzione pubblica quando c'erano i documenti da visionare e le persone da intervistare. Per questa inchiesta, abbiamo dovuto scavare parecchio per avere informazioni su quell'unico sacerdote citato nell'articolo della McNamara, John Geoghan. Ma ben presto abbiamo scoperto che non era un caso isolato. Erano molti i sacerdoti coinvolti. Quando sono usciti i primi articoli dell'inchiesta, nel gennaio del 2002, avevamo scoperto che i sacerdoti che avevano commesso abusi su minori erano più di 70, e che la Chiesa aveva messo tutto a tacere facendo accordi extragiudiziali con le vittime, dopo avere coperto gli abusi sessuali per decenni, trasferendo i sacerdoti che abusavano dei bambini in altre parrocchie dove spesso continuavano a farlo".
Robinson ripensa con orgoglio all'impatto che ha avuto, in tutto il mondo, l'inchiesta del team Spotlight. "Nel 2002 abbiamo pubblicato 600 articoli sugli abusi sessuali commessi da centinaia di sacerdoti su migliaia di bambini, non solo a Boston, ma in tutti gli Stati Uniti. Poi, purtroppo, lo scandalo si è allargato a macchia d'olio in tutto il mondo, come sappiamo".
Quando ripensa all'inchiesta sui preti pedofili, il giornalista Michael Rezendes – premio Pulizter nel 2013, insieme ai suoi colleghi del team Spotlight – prova sentimenti misti. "Nonostante tutti i premi, gli articoli e i riconoscimenti, e ora anche questo film, viviamo emozioni contrastanti", spiega. "Il ricordo delle persone che hanno condiviso con noi la loro storia è ancora così vivo che qualsiasi felicità possiamo provare è stemperata dalla consapevolezza delle sofferenze patite dalle vittime di quegli abusi".
Rezendes, che è rimasto nel team Spotlight a svolgere le sue inchieste sulla corruzione, si è incontrato diverse volte con lo sceneggiatore Singer, durante la preparazione del film. Ma non era certo preparato a quello che ha visto sullo schermo, a fine riprese. "Mark somiglia molto a me nel 2001", racconta il giornalista, "con i capelli corti, le scarpe nere di vernice, le polo scure, i jeans. È identico, insomma. È stato anche bravissimo a riprodurre il mio modo di parlare e di camminare".
Poco abituata a trovarsi nel ruolo dell'intervistata, la giornalista Sacha Pfeiffer è rimasta sorpresa dall'attenzione ai dettagli dimostrata dalla McAdams durante le loro conversazioni prima dell'inizio delle riprese. "Mi faceva domande tipo: 'Portavi le unghie lunghe, nel 2001? Pranzavi alla mensa del Globe o ti portavi qualcosa da casa? Che tipo di scarpe mettevi? Ti vestivi in modo diverso quando uscivi a fare due passi? Quanto sapeva la tua famiglia? Che cosa pensava tuo marito? Ti sentivi mai frustrata?'".
Sacha Pfeiffer, che è tornata al Boston Globe nel 2014, dopo sei anni alla National Public Radio, ha apprezzato il rigore professionale dell'attrice. "Anche se molti di quelli che vedranno il film non sanno come sono nella realtà, Rachel ci teneva ad essere autentica e storicamente accurata, perché lei e il resto del cast volevano rappresentare anche l'interiorità delle persone che interpretavano. E quando ho visto Rachel nella scena in cui scende le scale della Boston Public Library, ho pensato: 'Ma quella sono io…'".
RICREARE LA REDAZIONE
Il caso Spotlight comincia e finisce negli uffici del Boston Globe. Per ricreare una grande redazione nel periodo critico del passaggio dal cartaceo alla pubblicazione online, l'architetto-scenografo Stephen H. Carter ha misurato gli spazi degli uffici del Globe per poi ricreare 120 postazioni di lavoro in un grande magazzino vuoto alla periferia di Toronto. "La redazione è uno degli ambienti che volevamo riprodurre nel modo più accurato e controllato possibile", spiega Carter, già scenografo del film premio Oscar Birdman (o L'imprevedibile virtù dell'ignoranza).
Oltre agli interni girati nei pressi di Toronto, Carter ha avuto la possibilità di arredare diversi ambienti degli attuali uffici del Boston Globe. "Le presse, la biblioteca… Ci sono scene che avremmo potuto girare solo lì, perché riprodurre quegli ambienti sarebbe stato troppo costoso", spiega lo scenografo. "Al Globe sono stati tutti straordinariamente collaborativi e disponibili fin dall'inizio, e sarebbe stato assurdo non cogliere un'opportunità del genere".
Per essere il più possibile aderente alla realtà, Carter ha arredato l'ufficio del direttore del giornale, Martin Baron, mettendoci anche un fenicottero rosa di peluche uguale a quello che c'era veramente. "Sono rimasto molto colpito dalla cura dei dettagli", osserva Baron. "Quando ho lasciato il Miami Herald per andare a dirigere il Globe, lo staff mi ha regalato un fenicottero rosa di peluche, che ho subito piazzato nel mio nuovo ufficio di Boston. Il reparto scenografie del film ha trovato una creatura simile e l'ha messa nell'ufficio di Liev. A quanto pare, però, quella macchia rosa shocking distraeva un po' troppo, così hanno infilato il peluche dietro una scaffalatura. Lo spirito del fenicottero c'era nella stanza, ma non sullo schermo".
Una delle cose più difficili, per Carter e la sua squadra, è stato dotare gli uffici di attrezzature informatiche appropriate per quel periodo. "Uno non pensa che si debba considerare 'd'epoca' un film ambientato appena 15 anni fa", osserva lo scenografo. "Ma allora gli uffici erano molto diversi da quelli a cui siamo abituati oggi. Siamo stati molto attenti a tutti gli eventuali anacronismi che potevano esserci ed eliminarli dal set".
Le tecnologie che oggi consideriamo obsolete nel 2001 erano super-avanzate. "Il Palm Pilot, per esempio, oggi non si vede più, ma era il dispositivo più usato dai giornalisti a quei tempi. E i monitor a schermo piatto erano relativamente nuovi per l'epoca, e quindi molto cari. Così, i membri ordinari della redazione del Globe usavano ancora i vecchi monitor CRT, a tubo catodico".
IL TEAM SPOTLIGHT
Mentre girava gli esterni a Boston, nell'autunno del 2014, McCarthy aveva un solo obiettivo: "Volevamo restare il più possibile fedeli alla realtà", spiega. "La creatrice dei costumi e delle pettinature, Wendy Chuck (Twilight, Nebraska), per esempio, è riuscita a riprodurre un look d'epoca adatto alla severa etica professionale di quei giornalisti, che non seguivano certo la moda", osserva McCarthy.
Con il direttore della fotografia Masanobu Takayanagi (Il lato positivo – Silver Linings Playbook), McCarthy si è ispirato a registi come Sidney Lumet e Robert Altman per ottenere una qualità di luce grezza, non rifinita. "Abbiamo parecchi movimenti di camera perché seguiamo l'azione, ma non volevamo inquadrature troppo strette, volevamo spazio", spiega McCarthy. "Ci siamo affidati alla sceneggiatura e agli attori, i veri punti di forza del film".
L'essenzialità dell'estetica ha permesso a McCarthy di concentrarsi sugli elementi fondamentali. "Io e i miei collaboratori siamo rimasti concentrati sul lavoro dei giornalisti. È un film che non ha bisogno di abbellimenti: dev'essere diretto, deve raccontare una storia e deve farlo nel modo giusto."
Ma soprattutto McCarthy voleva convincere i veri giudici dell'autenticità del film: i giornalisti del team Spotlight. "Abbiamo cercato di ricostruire non solo i fatti e i numeri, ma anche il clima emotivo della vicenda", spiega McCarthy. "Volevamo che i veri protagonisti, vedendo il film, dicessero: 'Sì, è andata proprio così'".
Dopo aver visto un primo montaggio, i giornalisti rappresentati nel film hanno espresso un parere positivo. "Marty ci ha inviato un'email, sottolineando quanto fosse importante far capire alla gente che il tipo di giornalismo che si vede nel Caso Spotlight è un elemento chiave nella nostra società", racconta McCarthy. "Una stampa libera tiene sotto controllo anche le istituzioni più potenti".
L'EREDITÀ DEL TEAM SPOTLIGHT
Il caso Spotlight potrebbe essere visto come una specie di proseguimento di Tutti gli uomini del presidente. Quando il film sull'inchiesta di Woodward e Bernstein sul Watergate uscì nel 1976, Jason Robards vinse un Oscar per la sua interpretazione del direttore del Washington Post, Ben Bradlee, il padre del Ben Bradlee Jr. di Spotlight. Quel film ha anche incoraggiato una nuova generazione di giornalisti a indagare su istituzioni una volta considerate intoccabili. Oggi, nel 2015, Il caso Spotlight rende onore alle virtù del giornalismo investigativo in un periodo in cui molti temono che questo tipo di giornalismo "in forma lunga" sia stato definitivamente soppiantato dalle notizie a ciclo continuo, dal celebrity gossip e dal sensazionalismo di Internet.
Negli ultimi quindici anni, molti quotidiani hanno chiuso e giornalisti di grande esperienza hanno perso il lavoro, osserva la produttrice Nicole Rocklin. "Con i tagli di bilancio che ci sono stati, quale testata giornalistica avrà più le risorse economiche e professionali per condurre inchieste del genere? Se questi cronisti non avessero dedicato anni di lavoro ai fatti di Boston, quei fatti sarebbero mai venuti a galla? Insomma, fa paura l'idea che gruppi investigativi come quello del team Spotlight siano scomparsi dalle redazioni dei quotidiani di tutto il paese".
"Il caso Spotlight offre uno splendido esempio dei risultati che possono ottenere dei giornalisti di razza", aggiunge McCarthy. "Voglio ricordare al pubblico quanto sia fondamentale questo tipo di giornalismo, perché per me quei giornalisti sono dei veri eroi".
A quasi 14 anni dalle sue scioccanti rivelazioni, l'inchiesta del Globe sugli abusi del clero continua ad avere una vasta eco in tutto il mondo e forti ripercussioni all'interno delle gerarchie ecclesiastiche. "Oggi la Chiesa pone grande attenzione ai temi affrontati nel nostro film, e buona parte dei cambiamenti in atto su quel fronte è riconducibile al lavoro del team Spotlight", dichiara il produttore Michael Sugar.
Jonathan King di Participant Media aggiunge: "La squadra Spotlight del Boston Globe ha raccontato una storia che ha cambiato il mondo, e questo è esattamente lo spirito dell'impegno di Participant Media". Per promuovere un ulteriore cambiamento, Participant Media ha creato un sito web, dove il pubblico può trovare informazioni per agire in prima persona.
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