Room racconta in modo toccante il legame indissolubile tra madre e figlio, disposti a rischiare tutto per fuggire dopo un rapimento durato 7 anni. Una storia ricca di suspense e profondamente commovente sul potere dell'immaginazione e sulla forza travolgente dell'amore di una madre.
ROOM racconta la straordinaria storia di Jack, un bambino vivace di 5 anni che viene accudito dalla sua amorevole e devota Ma'. Come ogni buona madre, Ma' fa di tutto affinché Jack sia felice ed al sicuro, ricoprendolo d'amore e calore e passando il tempo a giocare e raccontare storie. La loro vita però, è tutt'altro che normale – sono intrappolati- confinati in uno spazio senza finestre di 3 metri x 3, che Ma' eufemisticamente chiama "Stanza". All'interno di questo ambiente Ma' crea un intero universo per Jack, e fa qualsiasi cosa per garantire al figlioletto una vita normale ed appagante anche in un luogo così infido. Ma di fronte ai crescenti interrogativi di Jack circa la loro situazione, e la ormai debole resistenza di Ma', decidono di mettere in atto un piano di fuga molto rischioso, che potrebbe metterli però di fronte ad una realtà ancora più spaventosa: il mondo reale.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 3 Marzo 2016Uscita in Italia: 03/03/2016
Data di Uscita USA: venerdì 16 Ottobre 2015
Prima Uscita: 16/10/2015 (USA)
Genere: Drammatico
Nazione: USA - 2015
Durata: 118 minuti
Formato: Colore
Produzione: Film4, Irish Film Board, Element Pictures, No Trace Camping
Distribuzione: Universal Pictures
Box Office: USA: 14.145.117 dollari | Italia: 1.091.906 euro
In HomeVideo: in DVD da mercoledì 22 Giugno 2016 [scopri DVD e Blu-ray]
Passaggi in TV:
• martedì 05 Dicembre ore 23:30 su Sky Cinema Due
• mercoledì 06 Dicembre ore 23:35 su Sky Cinema Due +24
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Un viaggio avvincente ed emozionante che inizia in una stanza isolata e blindata di 3 metri x 3… ma che poi sfocia in un universo vasto, illimitato e sconosciuto come mai rappresentato prima d'ora, ROOM è tratto dall'acclamato bestseller scritto da Emma Donoghue. E' la storia di Jack e di sua Mamma, che grazie alla sola forza del loro amore, all'immaginazione ed alla resilienza d'animo riescono a sopravvivere nella più sconvolgente delle circostanze.
La storia di ROOM ha già commosso critici e lettori quando il libro della Donoghue ha preso d'assalto la scena letteraria nel 2010, ed è stato considerato non solo un bestseller molto popolare, ma giudicato immediatamente un classico moderno. In parte favola, in parte thriller, il libro affronta i temi della prigionia e della liberazione, dell' isolamento e del ricongiungimento, e di come creiamo e percepiamo il mondo. Ma è anche una celebrazione innegabile dell'amore dei genitori e della loro forza d'animo, approfondendo gli elementi vitali ed il superamento della disperazione proprio nell'ambito del legame tra genitori e figli, come nessun altro romanzo ha mai fatto. Per di più, poche storie hanno avuto uno straordinario narratore come Jack, un bambino esuberante di 5 anni che non ha mai visto il mondo che tutti conosciamo, al di fuori del luogo che chiama Stanza.
Jack non ha mai sentito il vento, né la pioggia, non ha mai conosciuto una sola anima diversa da Ma'. Non sa che sua mamma lotta per sopravvivere nella loro Stanza da quando aveva 17 anni. Invece, il suo amore infinito e l'idea di benessere che ha rivolto al figlio, lo hanno eluso dai pericoli, lasciandogli dare spazio alla curiosità, all'affetto, ed all'intrepida esplorazione del mondo umano.
Per Jack i confini oltre la Stanza sono vissuti come un mondo di fantasia: ma è un mondo destinato a crollare quando Ma' gli propone un piano di fuga audace per mettere piede nel mondo esterno … con tutte le relative incognite che rappresenta. Il divario tra questi due mondi opposti – quello fatto d'amore-gioco-e Ma' noto a Jack, ed il mondo esterno, che inconsciamente li spaventa – fa emergere il fulgore di ROOM.
Secondo il New York Times il libro "parla di amore in modo assolutamente unico, offrendo per tutto il tempo al lettore un aspetto nuovo e più ampio della realtà in cui viviamo". Il rinomato scrittore Michael Cunningham (THE HOURS) afferma: "ROOM è la più rara delle entità, un'opera d'arte del tutto originale. Lo considero il più alto elogio di fronte l'impossibilità di poterlo paragonare a qualsiasi altro libro. Mi basti dire che è potente, dannatamente bello, e rivelatore".
Il libro è stato oggetto di una pioggia di offerte, essendo di fatto diventato quello più letto della stagione, passando tra le mani di amici e parenti, e raccogliendo premi e riconoscimenti compresa l'entrata nella rosa dei candidati per il prestigioso Man Booker Prize. Naturalmente tutta questa attenzione ha inevitabilmente portato a considerare la sua trasposizione cinematografica. Ma avrebbe mai potuto una storia così intimamente esilarante, iniziata come un dispaccio nel regno illimitato, amorevole, e spontaneo della testa di un ragazzino, essere re-immaginata come un' altrettanta potente esperienza visiva? Solo la Donoghue, autrice del romanzo, e l'impavido e creativo regista Lenny Abrahamson, affiancati da un cast ristretto ma impegnato hanno dato la risposta a questa domanda.
La Ricostruzione della Stanza
Avendo scritto il suo romanzo così meticolosamente, Emma Donoghue era forse la migliore candidata sulla terra per rimodellare ROOM in modo viscerale, offrendo un'esperienza visiva che abbraccia il libro, ma che al contempo rapisce quella fetta di pubblico ignaro della trama.
Eppure, è raro per gli autori creare l'adattamento dei propri bestseller per il grande schermo; e la Donoghue non aveva alcun credito cinematografico accanto al suo nome quando è stato pubblicato. Così la scrittrice ha deciso, proprio mentre stava scrivendo il romanzo, di iniziare preventivamente un suo personale adattamento.
"Ho sempre pensato che ROOM sarebbe potuto diventare un film, perché la trama aveva uno slancio naturale, anche se ero consapevole che solo un regista estremamente intelligente avrebbe saputo come portarla in vita", dice la Donoghue. "Quindi, durante la scrittura del romanzo, addirittura prima della sua pubblicazione, ho iniziato a lavorare sulla sceneggiatura. Ho pensato: 'E' questo il momento perfetto per scrivere il film, senza interferenze – consolidando in un certo senso il potere sulla proprietà. Poiché non avevo esperienza come sceneggiatrice, ho anche pensato che avere un progetto pronto da mostrare appena nata l'idea, mi avrebbe messo in una posizione più forte. Gli scrittori sono spesso tormentati dalle incertezze, ma fin dall'inizio con ROOM, ho sempre avuto istinti chiari e forti".
Infatti, come suggerito dai suoi istinti, presto si è avvicinata la proposta per un film, che non ha colto la Donoghue impreparata. Era elettrizzata, più che trepidante. "Jack stava per avere una fisicità, non era più solo una coscienza", riflette.
Jack e Ma' sono entrati nella mente della Donoghue inaspettatamente. L'autrice ha scritto una serie di fortunati romanzi, diverse collane di racconti e opere di biografia letteraria, ma niente di tutto ciò presagiva la vasta popolarità di ROOM. Un giorno, la mente della Donoghue ha preso direzioni sorprendenti in seguito alla straziante storia vera di Elisabeth Fritzl – una ragazza austriaca imprigionata per 24 anni in un seminterrato dal padre violento. Durante quella prigionia, la Fritzl ha dato alla luce molti bambini, alcuni dei quali sono cresciuti assieme a lei in quella camera stagna. La Donoghue non era granché interessata alle lusinghe più convenzionali della storia: i luridi crimini commessi contro la Fritzl o il fascino culturale verso i criminali psicotici. Lei è stata attratta da questioni più grandi e sostanziali, relative alla natura umana e la resistenza umana, che quella strana maternità e la sopravvivenza della Fritzl hanno fatto sorgerle: Cosa farebbe un genitore in una stanza chiusa a chiave? Come si poteva sperare di crescere al meglio un bambino completamente rimosso dalla società fin dalla nascita? Che cosa sarebbe accaduto una volta emersi nella vita moderna dopo aver vissuto in disparte molti anni della propria esistenza?
Le basi metaforiche di ROOM sono turbinose e vaste – ogni svolta della storia sembra ripercuotersi sui misteri della vita stessa: sulla meravigliosa, tormentata segretezza dell'infanzia; sugli istinti primordiali di protezione della condizione di genitore; sulla voglia di dare un senso al di là di qualunque cosa noi siamo. La Donoghue dice: "E' stato un modo di portare all'estremo il rapporto genitore figlio attraverso le esperienze quotidiane – per esplorare l'intero arco di emozioni che entrano in gioco in questo essenziale, a tratti folle, dramma della nostra vita".
L'oscurità del libro viene compensata da un sottofondo di amore – disordinato, imperfetto, oppressivo, infinito. Dice la Donoghue: "Una delle idee che si celano dietro ROOM, è che i bambini hanno la tendenza naturale a crescere. Finché sono ricoperti d'amore e d'affetto, anche se in circostanze oscure o incomprensibili, si adattano, trovano un modo per star bene e crescere".
Questi temi sono centrali anche nella sceneggiatura. Ma la Donoghue era profondamente consapevole che il film richiedeva una immediatezza che un romanzo non ha, così si è avvicinata alla sceneggiatura come una creazione indipendente seppur attinente ad esso. Mentre la voce di Jack attira lentamente i lettori nel libro, la Donoghue voleva che il film seguisse una nota più propulsiva, mostrando da subito al pubblico la vita che Ma' e Jack stanno vivendo nella Stanza.
"L'entusiasmo del lettore aumenta man mano che tutti gli indizi lentamente si mettono assieme fornendo un quadro generale della situazione, mentre invece sapevo che per un pubblico cinematografico, la storia doveva avere un andamento veloce", afferma la Donoghue. "Non ho voluto usare molta voce fuori campo. E' stata la scelta più scontata, ma davvero non volevo ricadere sull'ovvietà o sul riferimento letterario. Volevo piuttosto aprire il film con la descrizione della vita della madre ed il figlio all'interno della Stanza. Solo in un secondo momento abbiamo aggiunto il voice-over – senza però utilizzarlo per spiegare che cosa stava accadendo o per intensificare l'emozione. Invece, spesso irrompe nel bel mezzo della scena, un contrappunto tra ciò che pensa Jack e cosa succede all'esterno".
Per mantenere lo spazio fisico della Stanza senza apparire troppo soffocante al pubblico, la Donoghue l'ha divisa in zone interconnesse, ognuna delle quali sembra enorme nell'immaginazione di Jack. Dice: "Ho fatto del mio meglio per creare diversi sotto-spazi – quello sotto il letto, nell'armadio e nel bagno. Non ho mai voluto dare la sensazione di essere in prigione, ma esiste parecchia gente che ha vissuto in spazi ristretti – detenuti o mistici – che hanno creato mondi vastissimi nelle loro menti. La Stanza ai nostri occhi appare lurida, ma per Jack è semplicemente la sua casa.
"Forse il più grande enigma dell' adattamento è stato come contrastare la vita all'interno della Stanza che appare nella prima metà del film, con il totale sovraccarico sensoriale della vita esterna nella caotica ma redentrice seconda parte. Anche se può sembrare che la battaglia di Ma' e Jack è finita, risulta chiaro fin da subito che la loro libertà richiederà tanto più coraggio per Ma' e Jack di quanto ne abbia richiesto la Stanza. Pur tentando di affrontare questa prova difficile, devono seguire un'ardua fase di adattamento, superandone delle altre. "Nella Stanza, pur costretti nei limiti di spazio e di possibilità, regna una sorta di magia contornata dall'umorismo di una madre e del suo bambino nella loro vita quotidiana", osserva la Donoghue. "La seconda parte della storia è diversa, ma ritengo dia al film la sua universalità. Non tutti abbiamo sperimentato la prigionia, ma tutti abbiamo passato i momenti di crescita con i nostri genitori, i momenti in cui ci siamo resi conto del cambiamento. Jack impara a conoscere nuovi lati della personalità della madre. Nella Stanza si è concentrata solo su di lui, e deve essere assolutamente snervante ora doverla condividere, e notare la differenza quando è a contatto altre persone".
La vita di Ma' è completamente diversa da quando ha lasciato la Stanza. Non solo deve fare i conti con i disturbi della sua gioventù che ha lasciato alle spalle, ma deve affrontare un vortice mediatico, l'assalto dei giornalisti che la dipingono come un'eroina materna, per poi buttarla giù, come da copione. In mezzo a tutto ciò, lotta con forza per dare un senso a sé stessa, e per riavvicinarsi a Jack in modo nuovo.
"Sapevo che il film avrebbe tirato fuori perfettamente l'aspetto mediatico della storia, perché il pubblico che segue la vicenda di Jack e Ma', nasconde un aspetto voyeuristico", osserva la Donoghue. "La cosa più difficile per Ma' è che è stata considerata una sorta di icona della maternità dagli altri, eppure in cuor suo sente che il rapporto che aveva con Jack nella Stanza le sta scivolando via".
Non appena la Donoghue ha visto la sua storia trasformarsi in carne ed ossa sul set, è rimasta totalmente affascinata – soprattutto perché il cinema è una forma di narrazione generata dalla collettività. "Un romanzo è un nostro piccolo mondo privato", puntualizza, "mentre un film è frutto del lavoro di squadra. Si può facilmente sopravvalutare o presumere il potere delle parole anche in un film come questo, perché il risultato finale è dato tanto dall'atmosfera e dalle interpretazioni, che dai dettagli e dalle sfumature che Lenny e questo eccezionale cast artistico e tecnico hanno apportato a tutti i livelli. Sebbene io prediliga l'autonomia dello scrivere per conto mio, questa esperienza è stata una grande gioia per me".
La Regia di ROOM
Emma Donoghue sapeva da sempre di aver bisogno di un regista coraggioso e pieno di risorse per dar vita al ROOM che immaginava, ma non si aspettava di ricevere una lunga lettera da un irlandese dove le spiegava appassionatamente in dettaglio il progetto che aveva in mente per la trasposizione.
La lettera era di Lenny Abrahamson, meglio conosciuto per il premiato dramma psicologico What Richard Did e, più recentemente, per la disarmante commedia rock-and-roll Frank, interpretata da Michael Fassbender, Domhnall Gleeson e Maggie Gyllenhaal. Il suo stile crudo poteva a prima vista non essere attinente a ROOM, ma si è rivelato essere tutt'altro.
La Donoghue ricorda: "La lettera di Lenny era piena di dettagli – ha anche citato Platone – e quindi ho pensato che fosse la persona giusta. L'approccio di Lenny era paterno, teso a capire la genitorialità. Quando abbiamo iniziato a lavorare sulla sceneggiatura, entrambi abbiamo fatto dei riferimenti alla vita con i nostri figli. Il legame genitore-figlio è diventato un punto forte di connessione di tutto il processo".
Tra le altre cose, Abrahamson ha scritto: "La Stanza è l'universo di Jack e la prigione di Ma', uno spazio pieno di fantasia, storia e rituali". Aggiunge la Donoghue: "Lenny ha capito perfettamente che il film non doveva rinchiudere lo spettatore in uno spazio claustrofobico; ma considerava la Stanza un microcosmo da esplorare con la videocamera. Ha capito che laddove Ma' percepiva il pericolo, c'era un intero cosmo d' amore e salvezza verso Jack".
Per Abrahamson la lettera era un tentativo che comunque valeva la pena fare, vista la sua considerazione per ROOM. L'ha conosciuto mentre lui ed il suo partner di produzione ed amico di lungo tempo Ed Guiney della Element Pictures con sede a Dublino (Frank; Un Poliziotto da happy Hour – The Guard), analizzavano le liste letterarie del mondo dei testi che si sono distinti. "ROOM ti sorprende continuamente", ricorda Guiney. "Appena Lenny l'ha letto, l'ha ritenuto davvero speciale".
Abrahamson si è immediatamente appassionato al libro, non solo perché gli suscitava delle emozioni: l'ha trovato stimolante e percettivo – riguardo le persone, l'educazione dei figli, ed il mondo in generale. "Il libro mi ha colpito in modo viscerale, come regista, come genitore e anche come ex bambino", commenta. "Ho avuto immediatamente un'attrazione molto forte per il film che poteva nascerne – tanto che mi sono immaginato delle conversazioni con Emma ancor prima di incontrarla. Avevo già il film in testa, ed ero indignato con me stesso per non averlo ancora fatto".
E continua: "Quindi ho deciso di mandarle una lettera perché almeno così avrei potuto esprimerle quello che avevo da dire in modo pulito, completo e appassionato. Una volta che mi sono seduto e ho iniziato a scrivere, ho fatto un'analisi del libro ed ho elencato da regista tutte le problematiche del caso e le loro eventuali soluzioni. La cosa a mio favore è che essendo abbastanza analitico come regista, ero pronto a spiegare esattamente ad Emma come potesse il suo libro adattarsi al grande schermo. Le ho dato infine la mia completa disponibilità sull'approfondimento dell'argomento".
La Donoghue, seppur affascinata dalle parole di Abrahamson, ha risposto di non aver ancora preso una decisione. Ma lui ha atteso pazientemente. "La buona notizia è che Emma, pur considerando le idee di altri registi, non ha mai smesso di pensare ai particolari della mia lettera. Inoltre, in quel momento stavo acquistando popolarità come regista, cosa che non ha fatto male", afferma ridendo.
"L'esitazione di Emma era comprensibile", aggiunge Guiney. "Aveva scritto il libro più importante della sua carriera ed ottenuto l'attenzione globale – quindi perché avrebbe dovuto fare un film con due tizi della sua città natale? Ma penso di esser stati convincenti sul fatto che una società europea indipendente le avrebbe consentito di far parte del team creativo per la realizzazione del film, fattivamente". Una volta che Abrahamson e la Element Pictures hanno conquistato la Donoghue, tutti i pezzi del puzzle hanno iniziato ad incastrarsi. L'inglese Film4 (Dodici Anni Schiavo; The Millionaire), e l'Irish Film Board hanno finanziato il progetto. Rena Ronson della UTA ha collaborato con la Element per coinvolgere la più importante società internazionale di distribuzione, FilmNation Entertainment al fianco di A24 come distributore americano. Ad un passo dalla produzione, la società canadese No Trace Camping ha completato la lista di sostenitori.
Abrahamson era gratificato dalla libertà e dalla collaborazione che gli ha offerto il team. "Siamo stati in grado di sviluppare il film in uno spazio protetto, con persone che capiscono il processo creativo. Era un ambiente molto, molto solidale, e questo è l'unico modo per fare un film come questo", dice. Quindi, cos'è che in definitiva ha conquistato la Donoghue? Abrahamson sostiene sia stata la consapevolezza di poter esprimere tutto ciò che la scrittura non può … e viceversa.
"Il più grande interrogativo per me ed Emma era come poter adattare un libro così interiorizzato. In un certo senso, credo di aver avuto la risposta la prima volta che ho letto il romanzo. Immaginando gli eventi descritti dal bambino, sentivo la sua presenza nelle immagini, nelle sequenze. I film offrono un punto di vista molto potente: lo fanno in modo diverso, meno diretto, ma più flessibile della letteratura. Ci sono stati momenti in cui ho avuto dei dubbi di fattibilità, ma sapevo che qualsiasi cosa fosse successa avrei perseguito quella visione senza utilizzare tecniche stilistiche scontate e non apertamente individuali della macchina da presa, che non avrebbero fatto altro che uccidere la credibilità ed allontanarci dal bambino", dice.
"Quindi, tradurre direttamente lo stile della voce in prima persona del libro nel film, avrebbe fatto perdere proprio quel legame intimo con il bambino che rende il libro così speciale. Ho aggiunto qualche nuova voce fuori campo, ed Emma era accondiscendente, ma in realtà si tratta di una quantità minima. E naturalmente, il ragazzino è sempre al centro della storia – riguardo le scelte ovvie – siamo rimasti legati a lui, non ci sono scene in cui non è presente. Le scelte più profonde riguardano il suo aspetto, le espressioni del suo volto, a quali frasi delle conversazioni degli adulti che gli sono intorno presta più attenzione. I libri possono dire le cose direttamente, come una pellicola non può (e non deve), ma nel film il tempo viene modulato, adeguato ed i toni vengono espressi – come propri mezzi espressivi. E ha dei volti. Il viso del bambino viene osservato da vicino quando gioca, ascolta o pensa, mentre cerca di dare un senso ai drammi ed ai pericoli intorno a lui – questa è roba potente – specialmente quando abbiamo l'esperienza simultanea della nostra consapevolezza da adulti".
Fin dall'inizio era chiaro che il direttore non aveva intenzione di dare l'idea di stravaganza. Al contrario, ha voluto spogliare qualsiasi artifizio che potesse insorgere tra il pubblico e l' esperienza dei due mondi di Jack e Ma', dentro e fuori dalla Stanza.
"Mi sono fidato del mio istinto, ho voluto rappresentare la storia in modo semplice, considerando con la massima sensibilità i particolari delle loro emozioni, della posta in gioco, e fotografando in generale la loro visione dell'ironia, della tragedia, della società, e della psicologia familiare. Ho cercato di farlo in modo realistico, sottolineando allo stesso tempo in maniera sottile gli aspetti più allegorici del sorprendente libro di Emma in relazione alla genitorialità, passando dalla confusione dell'universo infantile, al pericolo e l'incertezza del mondo adulto", afferma il regista.
"Sarebbe stato molto facile approcciare questa storia in modo stilizzato, con animazione e riprese suggestive per esprimere la soggettività di Jack, ma lo consideravo un modo sbagliato", nota Abrahamson. "Perdendo naturalezza, si perde anche la percezione che questi eventi accadessero realmente a Ma' e Jack, ma soprattutto si perde l'essenza e la potenza della storia".
Ironicamente, la moderazione ha dato alla storia della Donoghue quell'ampia portata umana che lei ed Abrahamson ricercavano anche sullo schermo. "Come regista ho sempre creduto che una volta costruito il mondo, popolato e plasmato l'azione, bisogna avere il coraggio di farsi da parte ed osservare apertamente ed onestamente il tutto … Nel caso di ROOM, sapevo che il pubblico si sarebbe profondamente coinvolto nel mondo di Jack e Ma' ed avrebbe notato le sue implicazioni, solo se avesse percepito un senso di credibilità", afferma Abrahamson.
"ROOM ha grandi risonanze al di fuori delle specifiche della storia, ha il potere allegorico di una grande favola, che però posto al centro della narrazione avrebbe ucciso il film. I concetti espressi acquisiscono maggior forza se vengono scoperti e vissuti dal pubblico personalmente piuttosto che seguire la narrazione del regista".
Come la Donoghue, anche Abrahamson ha ritenuto che la seconda parte del film doveva essere un reset totale. "E' interessante dire al pubblico: 'Pensavate che la storia fosse finita, ma fate un bel respiro' ", sottolinea il regista. "Anche se sono fuggiti dalla Stanza, il problema – quello vero- non è affatto risolto. Jack e Ma' non sono liberi, e ci vorrà il resto della storia per liberarli davvero. Nella prima parte, il problema di Ma' e Jack è il Vecchio Nick. Ma nella seconda metà il problema per loro è il grande enigma che attraversa o che ha attraversato tutti noi: come si fa a gestire il male passato, ed avere ancora voglia di vivere? Come si fa a lasciarsi alle spalle l'ingenuità e la semplicità dell'infanzia ed affrontare il disordine della vita adulta? Da genitore, come si fa a riallacciare il rapporto con il proprio figlio, di fronte al cambiamento di entrambi?".
Per Guiney, l'approccio di Abrahamson a ROOM è qualcosa di nuovo per il regista pur rimanendo sempre fedele alla sua voce. "Lenny è senza dubbio uno dei registi più talentuosi di oggi, ma finora è rimasto un po' in sordina. Sapeva che da questo film sarebbero sorte molte aspettative, che ha reso la realizzazione di questo progetto un'esperienza diversa per lui", osserva il produttore. "Penso che la più grande dote di Lenny è che la sua narrazione è totalmente onesta- si percepisce completamente la realtà emotiva di questa famiglia, e ci si lascia coinvolgere nella loro vita in modo diretto, intimo e potente. ROOM è al contempo il suo film più accessibile ed emozionante".
Alla Ricerca Di Jack
ROOM avrebbe avuto successo solo se i realizzatori avessero trovato un attore piccolo ma abbastanza grande per calarsi nell'indimenticabile personaggio di Jack, che ritraesse la sua immaginazione fuori misura e la sua determinazione. Oltre tutto ciò c'erano ulteriori remore nella possibilità di trovare un bambino con la stessa innocenza e lo spirito di osservazione di Jack. "E' un piccolo eroe del genere", osserva Emma Donoghue.
Lenny Abrahamson ricorda: "Ho passato notti insonni per la preoccupazione di trovare il nostro Jack. E' stata sempre la più grande incognita. Doveva avere 5 anni, un'età molto, molto giovane, e questa era senz'altro una grande difficoltà. Molti ruoli per i bambini richiedono semplicemente di essere sé stessi. Ma questo era un ruolo che necessitava un attore appropriato, che è già abbastanza raro per gli adulti, e quindi quasi impossibile a quell'età.
"La ricerca è stata approfondita: Abrahamson ha dovuto visionare un numero infinito di registrazioni ed audizioni. I realizzatori si sono dati un tempo per la ricerca, fino a pochi mesi prima dell'inizio delle riprese, per scegliere un bambino che nel frattempo non fosse già cresciuto. "Ho incontrato moltissimi bambini fantastici", ricorda il regista. "Ce n'erano molti che mi piacevano, e ho valutato ogni tipo di possibilità. Ma quando Jake [Jacob Tremblay] è entrato, si è subito distinto, non solo perché era davvero affascinante e dolce, ma aveva le doti di un grande attore. Mi sono sentito come se avessi fatto un jackpot al casinò".
Tremblay ha colpito anche la Donoghue. "E' magico", dice. "Ho visto le audizioni di circa 40 bambini, ma Jacob ha una sicurezza che lo contraddistingue. E' genuino, con i piedi per terra e allo stesso tempo sa essere veramente divertente, cosa davvero necessaria. Ha inoltre un viso bellissimo, che contrasta con la bruttezza della Stanza".
Ed Guiney aggiunge: "Una delle tante qualità di Jacob, insolita alla sua età, è la sua fenomenale capacità di concentrazione. I suoi genitori sono stati una presenza positiva nella sua preparazione: arrivava sempre pronto e di buon umore. L'affabilità di Lenny con i bambini ha aiutato tantissimo. E' padre anche lui, ed è stato eccezionale nel comunicare con Jacob in modo efficace".
Per Jacob, la comprensione della situazione di Jack è avvenuta in modo naturale. "Non conosceva il mondo di fuori", osserva, "ma sua madre gli ha detto di essere coraggioso".
Abrahamson ha trovato la chiave per lavorare con un attore così incredibilmente giovane ma anche così determinato. "Penso che sia importante parlare ai bambini come persone – e questo è vero soprattutto con Jake", dice. "Abbiamo parlato molto seriamente del suo personaggio, e di quello che sarebbe accaduto nelle scene, ma naturalmente l'abbiamo fatto tenendo conto della sua giovane età. Jake ha la purezza inalterata dell'infanzia, ma ha altrettanto un insolito forte senso della pazienza ed un'etica lavorativa piuttosto rara, che lo ha reso un vero spasso. Certo, ha avuto i suoi momenti di nervosismo, ma verso la fine della produzione andava in giro sul set in mutande a fare scherzi a tutti".
Abrahamson si è avvalso di una valida alleata per la guida di Tremblay nel ritratto di Jack: Brie Larson. "Hanno passato molto tempo insieme, e si sono legati tantissimo – cosa che ha dato a Brie la capacità di farlo avvicinare o allontanare molto sottilmente a seconda delle sue reazioni. L'attrice ha così testimoniato una performance notevolmente viscerale e ricca di sfumature, prestando anche attenzione alla crescita di Jake. Era incredibilmente altruista. Le ho detto che sembrava la co-regista delle scene insieme a lui".
Tremblay aggiunge: "Brie è una grande persona. Abbiamo giocato molto insieme, abbiamo costruito degli oggetti e siamo diventati migliori amici. Mi ha sempre aiutato nel ritrarre il mio personaggio – insieme eravamo tristi, pazzi, spaventati e veramente felici".
Uno dei momenti più drammatici di Tremblay è stato quando è stato arrotolato e si è completamente nascosto all'interno del tappeto durante la grande fuga di Jack, quando cioè la fiducia in sé stesso è sostenuta solo dall'amore di Ma'. Jacob ricorda: "Era tutto buio, e facevo fatica a respirare. Ma quando finalmente sono uscito, Brie era lì che mi aspettava".
Diventare Ma'.
Il ruolo della donna nota a Jack semplicemente come Ma', passa da trionfi materni ad agonie, dalla paura ed il rammarico al timore ed all'amore incrollabile. Tutto questo è avvenuto nell'interpretazione grintosa e concreta di Brie Larson. E' diventata un'attrice drammatica nel 2014 con il suo ruolo di consigliere teenager in Short Term 12, e di recente ha mostrato la sua versatilità nella parte dell'antagonista di Amy Schumer nella commedia "Un Disastro di Ragazza" (Trainwreck). Ma ovviamente non aveva mai fatto nulla di lontanamente simile a Ma'.
La Larson si è avvicinata a Ma' con estremo impegno, non lasciando nulla di intentato – dall'alterare il suo fisico a condurre un'intensa ricerca psicologica sul confinamento – nel suo tentativo di rendere giustizia a chi è Ma', a ciò che ha vissuto nella Stanza ed a come concentra tutte le sue energie per il futuro di Jack. Sapeva che parte del suo compito era quello di incarnare le contraddizioni proprie di Ma'. Da un lato, doveva mostrare il alto acerbo di Ma', una ragazza a cui è stata rubata la sua vita promettente, costretta a costruirsi una corazza emotiva per sopravvivere. Ma d'altro canto doveva evidenziarne il coraggio, e la sua devozione assoluta a far crescere bene Jack, ovunque si trovasse – una parte di lei che ha molto ammirato.
"Non credo che Ma' si aspettasse di uscire dalla Stanza", afferma la Larson. "Sapeva che la speranza avrebbe potuto ingannarla. Ma penso che volesse fortemente che Jack uscisse. La pianificazione della fuga di Jack, è stato un gesto d'altruismo. Era convinta che il piccolo ce l'avrebbe fatta, ma non penso che abbia mai creduto che sarebbe uscita anche lei, e che avessero un'altra possibilità di vita e di potergli fare da madre".
La Larson ha iniziato una scrupolosa preparazione mentale e fisica per immedesimarsi nella realtà di Ma' nella Stanza. In primo luogo, ha iniziato ad allenarsi e si è messa a dieta raggiungendo una tale magrezza che contava solo il 12% di grasso corporeo.
"Questo processo fisico ha influito sulla mia personalità", dice. "Mi sentivo più aggressiva, una combattente, ed allo stesso tempo ero affamata ed esausta: era così che doveva sentirsi Ma' dopo anni di prigionia con una quantità di cibo appena sufficiente".
Allo stesso tempo, ha iniziato a condurre una vita più solitaria, limitando tutte le relazioni sociali, per avvicinarsi più facilmente allo scioccante stato emotivo e spirituale di Ma'. Quando si trovava inevitabilmente in giro per strada, la Larson ha dovuto spalmarsi una crema ad alta protezione per evitare i raggi solari.
"Volevo comprendere appieno lo status di Ma' dopo aver passato così tanto tempo nella Stanza", spiega la Larson. "Penso che lei abbia vissuto delle ondate – di panico, di rassegnazione – e immagino che per la maggior parte del tempo si sia annoiata per la routine e la monotonia. Quindi, per simulare tutto questo, sono rimasta a casa per un mese, e sono uscita solo per andare in palestra. Non ho avuto molti contatti col mondo esterno, e soprattutto mi sono riparata dal sole poiché Ma' non si è esposta ai raggi solari per tanti anni".
Il senso di totale e devastante solitudine ha aiutato la Larson a capire come Ma' abbia trovato il coraggio quasi folle di credere nel futuro di Jack. Per saperne di più sulla psicologia del trauma, e dei suoi effetti sconvolgenti sull'identità, la Larson ha trascorso del tempo con il dottor John Briere, un professore di psichiatria presso la USC, esperto in traumi dell'adolescenza.
"Quel che ho imparato da lui è che per sopravvivere il cervello spegne una parte della nostra consapevolezza. Quindi all'interno della Stanza, Ma' spegne delle parti di sé stessa per sopravvivere e anche per essere una mamma perfetta per Jack. Ma quando esce dalla Stanza, si rende conto che tutta la parte che ha spento si sta riaccendendo", dice. "La cosa assurda è che il tutto avviene nella sua mente quando si trova fisicamente al sicuro. Ho sempre avuto l'impressione che Ma' inizi veramente a realizzare quello che è successo nella Stanza nel momento in cui ne è fuori".
Il processo per diventare Ma' è continuato. Quando lo scenografo Ethan Tobman ha consegnato alla Larson alcune cornici vuote che intendeva inserire nella vecchia camera da letto di Ma', le ha riempite come avrebbe fatto una diciassettenne totalmente ignara della Stanza, di Jack o qualsiasi evento che ne è susseguito. "Riempire quelle cornici è stato incredibile per me – era come descrivere la personalità si Ma' prima che finisse nella Stanza", dice.
Quando Ma' torna inaspettatamente nella sua vecchia camera da letto, che è rimasta come un museo della sua gioventù – quella che ha perso – la Larson voleva vivere quel momento con effetto sorpresa. "Non volevo vedere la camera da letto fino a quando entravo in scena. La prima volta che Ma' la rivede, è stata anche la mia prima volta – e dato che Ethan ha scelto una serie di elementi che parlavano della mia infanzia, mi sono emozionata".
Abrahamson è rimasto sconvolto dall'impegno della Larson nell'immedesimarsi nella prospettiva di Ma'. "Io che mi ero tanto preoccupato di trovare Jack, penso che se non avessimo trovato Brie, questo film non sarebbe mai potuto essere quello che è", dice. "E' bravissima e capace, disposta ad andare fino in fondo; non credo che nessun' altra avrebbe potuto portare Ma' in vita con altrettanta sincerità emotiva".
La Donoghue concorda. "Sono davvero entusiasta del lavoro che ha fatto Brie con Ma'. La sua versatilità emotiva mi ha colpita. E' riuscita a spaziare da momenti di serenità a momenti più duri e magari un po' folli con estrema naturalezza".
Ed Guiney aggiunge:" Una cosa fondamentale per Lenny è stata scegliere un' attrice della stessa età di Ma', ma al di là di ciò la connessione di Brie col personaggio è andata ben oltre. Lei è chiaramente una delle giovani attrici più interessanti di oggi".
La Larson rivela di esser legata personalmente con il personaggio e con l'intera storia. Crescendo in povertà per un periodo di tempo, con una madre reduce da un divorzio, la Larson ha vissuto in un'enclave piccola, fatiscente ma incantata, un po' come Jack.
"Quando mia mamma, mia sorella ed io ci siamo trasferite a Los Angeles, vivevamo in un monolocale che era forse il doppio della Stanza. Avevamo pochi soldi, non potevamo nemmeno permetterci un Happy Meal da McDonald, e ognuna di noi aveva tre capi d' abbigliamento ed un paio di giocattoli", confessa la Larson. "Eppure, c'era qualcosa di magico in quel periodo. Ne parliamo ancora come uno dei momenti migliori della nostra vita. So che mia mamma soffriva cercando di ritrovare sé stessa e pensando a come sostenere due figlie da sola. Ma lo ricordo anche come un momento in cui ho davvero imparato a conoscere il potere dell'immaginazione. Non abbiamo avuto molto, ma mia mamma creava dei giochi con qualsiasi cosa, anche con delle bustine di zucchero".
E continua: "Certo, la mia esperienza non è stata traumatica come quella di Ma' e Jack, ma quando ho letto il libro, mi sono immedesimata in questa storia di un bambino ed una madre che stavano attraversando un momento bellissimo ma al contempo doloroso. Mi è piaciuta molto la semplicità della visione di Jack ed il modo in cui ha trasmesso speranza ed amore in quello che, in qualsiasi altra storia, sarebbe stata una circostanza drammatica".
Anche per la Larson le cose si complicano a contatto col mondo esterno, quando Ma' cade a pezzi per poi ricomporsi sicuramente molto aiutata da Jack. L'attrice osserva che nel mondo esterno, Ma' improvvisamente vive un'esperienza opposta al figlio, pur avendo condiviso tutto fin dalla nascita.
"Jack non ha mai conosciuto il mondo esterno, perciò lo sta scoprendo per la prima volta", sottolinea. "Ma' esce dalla Stanza con tutte le aspettative che ha accumulato nel tempo, ma di fronte alla realtà crollano. Immaginate di tornare a casa dei propri genitori per come si ricorda, e scoprire che hanno divorziato nel frattempo. I vestiti vecchi sono ancora lì, ma non corrispondono a quelli che appaiono nei negozi ed in TV, la camera da letto è rimasta la stessa dei tempi dell'adolescenza, ma è lei ad esser cambiata. Ma' pensava di esser tornata a casa, ma si sente un' aliena in questo ambiente familiare. Penso che tutti noi possiamo capirla in un certo senso. Tutti abbiamo passato dei momenti in cui ci accorgiamo che la nostra vita ed i legami interpersonali non sono come li avevamo immaginati".
E' proprio la resilienza profonda di Ma' ed il suo legame indissolubile con Jack che la salva dal baratro. Secondo la Larson, ha funzionato tutto al meglio grazie al rapporto che ha instaurato con Jacob Tremblay. "Prima di conoscerci, avevo paura che non andassimo d'accordo – ma invece è bastato parlare di Star Wars per entrare subito in sintonia", dice ridendo. "Da lì abbiamo iniziato ad uscire insieme, a mangiare la pizza, ed a giocare": infatti è stata proprio l'esperienza ludica tra i due protagonisti che ha senz'altro creato un legame molto stretto tra loro. "Quando il Dipartimento Artistico ci ha chiesto di costruire degli oggetti che Ma' e Jack creano nella Stanza, ci ha dato modo di stringere un legame che diventava sempre più profondo", riflette. "Onestamente non mi sono mai sentita così vicina ad un attore. Jacob era sempre presente, ed io non avrei potuto fare nulla senza di lui. Eravamo così uniti che faceva difficoltà a vedermi da sola sulla scena".
La Larson afferma inoltre che gran merito è stato anche di Abrahamson, che li faceva sentire entrambi al sicuro. "Lavorare con Lenny è stata una delle esperienze più gratificanti della mia vita", afferma. "E' sensibile e tenero – ed ha un gran senso dell'umorismo. E' stato in grado di infondere un'atmosfera divertente malgrado quello che stavamo attraversando. E mi ha fatto un gran dono: quello di avermi dato fiducia affidandomi un personaggio così speciale".
I Genitori di Ma'
Dopo la fuga, Ma' e Jack tornano nella casa d'infanzia di Ma', che è cambiata radicalmente durante la sua assenza. I suoi genitori, interpretati dalla tre volte candidata all'Oscar® Joan Allen, e dal candidato all'Oscar® William Macy – entrambi sconvolti dal trauma della scomparsa della figlia – ora sono inaspettatamente divorziati, e la madre di Ma' ha un nuovo compagno. Queste premesse non fanno altro che alimentare in lei la sensazione che il mondo non è più quello che aveva lasciato prima della Stanza. Eppure, trova ancora nella famiglia la sua ancora di salvataggio, seppur non senza dolore, per riprendere a vivere.
"Non è facile per Ma' vedere che i suoi genitori non stanno più insieme, o vederli litigare riguardo al trattamento che riservano loro", afferma Brie Larson, "ma credo che i suoi genitori reagiscano in modo umano: cercano di sistemare le cose, anche riavvicinandosi".
Ma mentre il padre di Ma' non riesce nemmeno a guardare in faccia Jack perché frutto di un'esperienza terribile della figlia, la madre, Nancy, fa di tutto per creare un nuovo legame con la figlia ed un nipote inaspettato. Abrahamson afferma: "Nei panni di Nancy, Joan ha trovato un modo onesto per interpretare una donna che ama molto la figlia, che è felicissima di riavere in casa, ma che tuttavia vive una situazione che la mette completamente a disagio. In qualche modo, Joan è stata abile a svelare tutte le emozioni sottili che scorrono sotto la facciata di Nancy. Lei è davvero un'attrice autentica, in grado di dare significato ai pochi momenti di quiete che si frappongono alla molteplicità degli eventi drammatici".
La Allen, candidata all'Oscar® per The Contender; "La Seduzione del Male" (The Crucible), e "Gli Intrighi del Potere – Nixon" (Nixon), aveva già letto il libro quando le è stata proposta la parte. "La storia nell'insieme la considero un'analisi della genitorialità", dice.
Ha dovuto calarsi in esperienze molto particolari e profondamente emotive nei panni di Nancy: soprattutto quelle di una madre che perde e ritrova la propria figlia. "Credo che la gente comprenda il trauma di Ma' in seguito la suo rapimento, e le sia solidale, ma non consideri appieno la devastazione della famiglia che le sta intorno. C'è un detto che dice 'una famiglia è nient'altro che il membro più debole' e questo è verissimo per questa famiglia", dice la Allen. "Quando Ma' ritorna, nota che anche il matrimonio dei suoi genitori non ha resistito a tanta pressione. La seconda parte del film diventa il ritratto di una intera famiglia che torna a sperare".
Anche se son pochi i genitori di bambini rapiti che scelgono di parlare apertamente, la Allen è riuscita a trovare interviste e documentari di madri riunite ai propri figli. "Mi ha colpito l'affermazione di una madre che ha detto che il recupero da una tragedia come questa, richiede molto tempo e aiuto", ha detto. "Questo è riflesso nel film. Stanno tutti cercando di tornare alla normalità, ma non può avvenire in fretta, perché il trauma è estremo". Per Brie Larson, la Allen diventa un punto fermo in un oceano di emozioni. "La performance di Joan è stata così toccante che mi ha coinvolta sia nelle scene che a telecamere spente: sentivo sempre il suo affetto materno; ed è stata sempre molto disponibile ed umana. L'interpretazione di un personaggio così intenso, può essere molto difficile, mentre Joan mi ha detto cose che non dimenticherò mai". La Allen, a sua volta dice: "Brie è magnifica, e si è molto impegnata per il ruolo. Non era una parte facile, e ho potuto comprendere appieno il suo peso psicologico. Eppure, lavorare con una persona di altissimo livello, come Brie, ispira anche il proprio lavoro".
Anche lavorare con William H. Macy è stato un piacere per la Allen, benché il suo personaggio si rifiuti di affrontare tutta la situazione. "Il suo personaggio proprio non riesce a guardare oltre", osserva la Allen. Secondo l'attrice il motivo per cui Nancy è in grado di trascendere il suo disagio ed avvicinarsi a Jack, nasce da una cosa fondamentale: "L'amore materno", dice. "Io non so come altro spiegarlo. E' una situazione dolorosa anche per lei, ma penso che abbia la capacità materna di mostrare la migliore espressione sul volto per il bene di Jack".
Abrahamson era entusiasta del contrasto tra i due. "Bill Macy è decisamente affascinante, ma qui interpreta un uomo oscuro che vive un conflitto profondo", osserva il regista. "Bill è stato in grado di mostrare come un uomo buono possa portare grande rancore verso un bambino, a causa del ricordo di qualcosa di impensabile". La Allen dice che Abrahamson è stato una guida chiara e lungimirante in questa atmosfera familiare che racchiude confusione ed amore. "Lenny è molto intelligente, ma è anche generoso e collaborativo. Ha creato un ambiente favorevole. E' un essere umano molto buono oltre ad essere un buon regista – e non credo che avrebbe mai potuto rendere giustizia a questa pellicola altrimenti. Si tratta di una storia molto difficile da realizzare. E' stato particolarmente brillante senza cadere troppo nel sentimentalismo, ma rendendo tutto sempre reale. Penso che il risultato sia un film coraggioso, bello ed originale sulla famiglia e la genitorialità, e sono orgogliosa di averne fatto parte".
Il Design di ROOM
Una cosa di ROOM era chiara fin dall'inizio: sarebbe stata una grande sfida per la progettazione. Anche se non sono stati utilizzati set dell'epoca, il design della Stanza richiedeva un enorme impegno artistico d'altro tipo, con la creazione di una prigione surreale credibile al pubblico – ma che allo stesso tempo rappresentasse un rifugio magico agli occhi di Jack. Allo stesso modo, la seconda metà del film ha rappresentato una sfida progettuale opposta: come raffigurare il nostro mondo esasperante, sovrastimolante e veloce dopo un totale isolamento.
Questi erano i compiti di Ethan Tobman, un designer canadese nascente che ha apportato creatività emotiva al materiale. "Questa è stata un'esperienza di design insolita ed intensa", riflette Tobman. "Non mi ero mai commosso durante una produzione, come invece è accaduto per questa. Ho avuto un'esplosione di emozioni: struggenti e trionfanti".
Tutto il film sembrava seguire delle linee contrarie alle solite regole di progettazione. "Non ho mai costruito un set così piccolo, che tuttavia ha richiesto così tanto tempo ed idee", afferma Tobman ridendo.
Tobman sostiene che la produzione è stata un po' come il frutto di un gruppo di esperti, che doveva essere alimentata costantemente da un andirivieni di molteplici idee. "Tutto ciò è avvenuto sotto l'occhio vigile e la guida costante di Lenny", aggiunge. "Al termine delle riprese, ho veramente sentito la sua mancanza. E' stata comunque una progettazione molto coinvolgente e ricca".
Il lavoro è iniziato con un' insolita, spesso straziante, ricerca su ogni tipo di prigione nel corso della storia umana. "Mi sono documentato su tutte le forme di costrizione: dai campi di concentramento ai tempi dell'Olocausto, alle foto della polizia di prigioni in seguito a rapimenti reali, tra cui quella di Elisabeth Fritzl e Natascha Kampusch, in Austria", spiega. "Abbiamo anche esaminato la povertà estrema, di persone che vivono in appartamenti di 5"x5 " a Hong Kong, o lavoratori migranti stipati in baracche simili a gabbie".
Questa analisi ha portato ad alcune osservazioni interessanti. "Una cosa comune era che tutti personalizzano il loro spazio in modo diverso. E questa è diventata la mia ossessione", continua Tobman. "La mia domanda era: come potrebbe un bambino di 5 anni personalizzare la sua prigionia? Come ben descritto da Emma nel libro, a quell'età è tutto un gioco, è tutto frutto della fantasia. Così ho pensato che la Stanza pur mostrando un'amara realtà, avrebbe dovuto avere quel tocco di realismo magico di un bambino. Bisognava cogliere l'occasione di trasformare ogni cosa in un gioco – anche le prese elettriche erano delle facce. Pur essendo un mondo all'interno di spazi piccoli, doveva essere ricco".
Tobman ha dovuto inoltre immaginare come il Vecchio Nick avrebbe progettato la Stanza per i suoi prigionieri. "Sicuramente necessitava di un isolamento acustico per impedire loro di raggiungere il mondo esterno, ma immagino che il Vecchio Nick l'avesse fatto a buon mercato, quindi abbiamo scelto delle piastrelle in sughero molto semplici. Il bello di queste piastrelle è che si potevano rimuovere per nascondere le luci e gli obiettivi delle telecamere", aggiunge. Le dimensioni della Stanza sono state un limite che ci ha costretto a trovare delle soluzioni creative. "Dovevamo posizionare le macchine all'interno di uno spazio che a malapena conteneva una troupe ridotta all'osso", spiega Lenny Abrahamson. "Ma abbiamo trovato un modo per piazzare definitivamente l'obiettivo della telecamera nella Stanza; in altre parole, non abbiamo mai dovuto effettuare delle riprese da lontano. Il set creato da Ethan era modulare, e ci ha dato la massima flessibilità. Si potevano effettuare delle riprese della via, scendere a livello del pavimento, e disponevamo sempre di diverse aree da cui riprendere".
La geometria della Stanza è stata presa molto in considerazione. "La storia aveva delle implicazioni di una favola, perciò ho pensato a delle forme che facessero eco ai disegni di un bambino", dice Tobman. "In base a quelle forme ho sperimentato le porte, il lucernario e le superfici utilizzando un computer, cambiando orientamento in modi diversi fino a quando ha iniziato a sembrare un ambiente vivo. Ogni singolo oggetto nella Stanza è diventato un personaggio".
Prendendo spunto dalla sceneggiatura della Donoghue, ha considerato ogni angolo della Stanza come un mondo a sé. "Abbiamo assunto due approcci: quello generale della Stanza nel complesso, che però una volta codificato diventa tanti piccoli mondi individuali, come un sistema solare", dice Tobman. "Per esempio, l'Armadio è un pianeta a sé – che ho considerato una sorta di entrata per Jack, come 'Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò'. Anche il Tappeto è un pianeta a sé – e di fatto ne sono stati selezionati molti. Abbiamo finito per sceglierne uno di corda con un caleidoscopio di colori, simile al foraggio nell'immaginario di Jack".
Un altro compito importante per Tobman è stato l'invecchiamento degli oggetti nella Stanza, il che ha significato tracciare il percorso del sole che attraversavano la Stanza per vedere quali oggetti dovevano avere un colore sbiadito e quali invece erano ammuffiti. "Abbiamo invecchiato le pareti sulle quali batteva il sole", spiega il designer. "Abbiamo anche fatto svariate prove sul sughero: sporcato, sbiancato, essiccato, cercando di creare delle sfumature di marroni ed ocra che potevano avvicinarsi a sette anni di cotture, respiri e vita vissuta nella Stanza".
Tra gli ultimi dettagli di cui Tobman si è occupato, ci sono le linee della crescita di Jack sul muro. "Durante le undici settimane di preparazione del film, e dopo aver trascorso giorni e giorni all'interno della Stanza, ho pensato che Ma' avrebbe avuto la necessità di documentare l'infanzia di Jack, di catturare quei momenti personali, privati, che sono così speciali nei nostri ricordi. Non ha a disposizione una macchina fotografica, ma ha il tempo.
Con alcune foto di Jacod Tremblay da piccolo ho fatto dei bozzetti, ne ho fatto un collage e l' ho inviato a Lenny. E' finito per diventare un pezzo centrale della Stanza".
Tobman ricorda che, terminati gli ultimi ritocchi, sono stati chiamati i protagonisti sul set. "Ricordo che quando è entrata Brie mi sono voltato verso di lei e le ho detto: 'E' tua ora' ", ricorda.
La Larson è rimasta estasiata dalla Stanza, e sostiene abbia contribuito ad arricchire la sua performance. "Nella Stanza era tutto perfetto. Ogni dettaglio era prezioso e vitale, e Ethan ha sperimentato e studiato la storia di ogni pezzo. Dava davvero l'impressione che Ma' e Jack l'avessero abitata per anni", dice.
La Donoghue si è commossa quando è entrata nella Stanza. "E' importante che nel libro Jack non si accorga di quanto fosse squallida la Stanza. E' semplicemente l'unica realtà che conosce", sottolinea la scrittrice. "Così è stato affascinante vedere come Ethan e Lenny l'abbiano progettata per essere brutta ma in modo giocoso ed infantile sotto ogni aspetto". Oltre ad averci messo l'entusiasmo nel creare la Stanza, Tobman è un altro che sente aumentarne il fascino nella versione cinematografica in quanto è al di fuori del resto del mondo, con tutte le sue complicazioni. "Mi piace l'idea che la Stanza fosse un ambiente caldo e personale anche a paragone del mondo esterno, che pur rappresentando la libertà, è freddo e sbiadito" dice.
L'ospedale dove Jack e Ma' si ritrovano era un set chiave, facente da ponte tra le due fasi molto diverse della loro vita. Abrahamson spiega perché ha scelto una location al 10° piano circondato da vetrate: "Abbiamo considerato diversi tipi di spazi – ma alla fine abbiamo scelto una camera tendenzialmente bianca dei primi anni del 2000 in un grattacielo, perché volevamo dare l'impressione che Jack e Ma' si risvegliassero in un mondo sospeso, dove potevano momentaneamente ritardare la discesa. E' anche un fantastico contrasto con la Stanza, perché assomiglia ad uno spazio aperto nel cielo. Nulla avrebbe potuto essere più diverso dalla Stanza".
La parte finale del loro viaggio si svolge in casa della nonna, dove Ma' è cresciuta, ma che ha subìto dei cambiamenti sconvolgenti. "Nancy è reduce da un divorzio, così abbiamo immaginato la sua casa fredda e vuota, che dava la sensazione di memorie perdute", dice Tobman. "Tutti i materiali sono stati scelti in contrasto con la Stanza: al posto del sughero marrone sulle pareti abbiamo messo una carta da parati fantasia. L'unico posto disordinato e caldo è lo studio di Leo, dove Jack si sente a suo agio". Ma forse l'ambiente più importante della casa di Nancy è la vecchia camera da letto di Ma', conservata esattamente come il giorno della sua scomparsa. "Volevo che sembrasse la stanza di una ragazza adolescente di quel periodo, e che rappresentasse la personalità di Brie", dice Tobman. "l'abbiamo progettata insieme. Non ho mai lavorato così a contatto con un attore su un set. Abbiamo deciso tutto – cosa avrebbe dovuto esserci sotto il letto, sopra il letto, nascosto nei cassetti". La Larson afferma che il processo è stato illuminante. "Ethan ha incluso tutti gli elementi che mi piacevano e che seguivo ai tempi della mia adolescenza. Ci aggiornavamo costantemente scambiandoci delle e-mail, ed è stato molto emozionante".
Tobman dice che le sue emozioni sono riaffiorate quando Jack e Ma' sono tornati a vedere la Stanza per un'ultima volta nel punto culminante del film. "Ho amato il modo sottile in cui Lenny ha descritto quel momento", conclude. "Lenny va oltre i cliché. Nel girare quella scena, abbiamo paragonato la Stanza ad un cimitero – tutti gli oggetti che erano gli amici di Jack sono stati rimossi, ma le loro ombre e le tracce sono ancora visibili sulle pareti. Si nota cosa è andato perso, con tutte le implicazioni del caso, e poi si vede la proiezione di Jack e Ma' nel futuro".
Le Riprese di ROOM
Ethan Tobman per evocare la struttura della Stanza ha lavorato al fianco del direttore della fotografia Danny Cohen, già candidato all'Oscar® per "Il Discorso del Re". Cohen ha dovuto escogitare il modo migliore per effettuare le riprese all'interno della Stanza. "Sembrerebbe la cosa più facile girare in una singola camera, ma in questo caso, è stato il contrario", afferma Cohen. "Bisognava trovare costantemente il giusto compromesso. Il fatto importante e necessario era rappresentare una camera delle dimensioni di 10"x10" come l'unico posto che Jack abbia mai conosciuto … e poi dargli una valenza cinematografica".
Abrahamson era entusiasta dell'energia creativa che scorreva tra lui, Tobman e Cohen. "Abbiamo lavorato veramente bene insieme", commenta il regista. "Danny ha uno spiccato senso dell'umorismo ed è una persona molto premurosa, oltre ad avere molto talento. Era ansioso di trovare il modo giusto per dare a questo piccolo capannone marrone un aspetto interessante e rappresentativo", dice il regista. "E' una sfida completamente diversa dalle altre per un direttore della fotografia".
Come il design, la fotografia ha seguito lo stesso principio secondo cui l'essenza della Stanza era di gran lunga più vasta rispetto alle sue dimensioni reali. "Proprio come agli occhi di Jack il suo piccolo mondo sembrava infinito, così anche la macchina da presa doveva farlo sembrare altrettanto", afferma Abrahamson. "Volevo tramite la telecamera dare la percezione di Jack rappresentata nel romanzo – cioè rendere la Stanza un luogo sorprendentemente caldo ed organizzato dove crescere. Per Jack ogni ombra, ogni piccola crepa nel muro è motivo di interesse. Nei momenti chiave non perdiamo l'occasione per ricordare al pubblico quanto è piccola la Stanza, ma abbiamo altresì scelto di mostrarla secondo il punto di vista di Jack: infinita".
Posizionare una singola telecamera nel minuscolo set allestito da Tobman per riprendere le performance della Larson e Tremblay non è stato facile. Quindi Cohen ha deciso di utilizzare due roaming camera più fluide. "Con un attore di otto anni ho preferito fare una scelta del genere per avere una copertura del campo sufficiente", spiega Cohen. "Allo stesso tempo, volevamo una sensazione molto dinamica, quindi abbiamo dovuto trovare il modo di dare ad entrambe le telecamere la flessibilità di seguire l'azione".
La produzione ha usato la Red Epic Dragon 6K una telecamera di nuova generazione, tra quelle digitali professionali più piccole in commercio. "E' stato molto interessante lavorare con una telecamera nuova di zecca", afferma Cohen, "e la sua dimensione era perfetta per le nostre esigenze."
La Stanza, era così piccola che Abrahamson e Cohen hanno voluto che il mood all'interno variasse costantemente. "A volte doveva sembrare angusta e piccola, per far sì che il pubblico si rendesse conto dei limiti vissuti da Ma', e altre volte doveva apparire come uno spazio grande e sorprendente agli occhi di Jack", spiega Cohen.
Con piccoli accorgimenti hanno ottenuto dei grandi effetti nella Stanza. "Abbiamo ottenuto degli ottimi risultati anche solo con dei giochi di luce intorno alla Stanza", afferma Cohen. "Volevamo fare differenza tra il giorno e la notte, in modo da avere la sensazione del passare del tempo. Volevamo che Jack conoscesse le ombre delle foglie sui muri, dandogli quindi la percezione dell'esistenza di un mondo esterno, anche se non potrà mai vederlo".
Cohen si è avvalso dei vantaggi del set modulare – e di un tetto ribaltabile – per oscurare le luci e gli addetti alle riprese. "Le uniche fonti di luce nella Stanza erano una lampada da comodino, una lampada fluorescente, un piccolo radiatore ed il lucernario, quindi molto limitate, e creare la giusta atmosfera era complicato", osserva. "Le piastrelle modulari ci hanno però permesso di nascondere delle fonti aggiuntive di luce nascosta in varie angolazioni".
Girare all'interno dei confini ermetici della Stanza ha aiutato Cohen ed il suo team a focalizzarsi più da vicino sugli stati emotivi di Ma' e Jack. "Ma dopo aver trascorso cinque settimane in quello spazio ristretto stavamo impazzendo" ammette. "Tuttavia, il superamento del nostro senso di claustrofobia ed il fatto di non poter vedere al di là delle mura ha deposto a nostro favore".
Cohen ha molto apprezzato le riprese della fuga di Jack e le relative conseguenze. "E' stato un cambio totale di marcia. La storia, finora contenuta, ad un tratto bang!, finisce nel mondo reale", riflette. "Abbiamo lavorato molto sulla scena del tappeto, sul trasporto di Jacob in un pick up in movimento, cercando di non trascurare i dettagli. Ammetto che è stato un momento profondamente emotivo", dice. "Dopo di ciò, per il bambino ogni scena rappresenta una possibilità di confrontarsi con ambienti nuovi e nuove persone. Mi sono soffermato molto sulle inquadrature di Jack, mostrando la sua scoperta di un mondo che si espande".
Terminate le riprese, Abrahamson ha apposto gli ultimi ritocchi al film, insieme al montatore Nathan Nugent con cui ha già lavorato su Frank e What Richard Did. "Nathan è un collaboratore fantastico. Propone sempre delle idee senza timore – ed era ossessionato dal film forse anche più di me! Mi riferiva le sue idee a tutte le ore della notte", ricorda il regista. "E' musicalmente ben orientato, ed abbiamo parlato molto di ritmo e melodia".
La musicalità della narrazione emerge anche nella partitura per orchestra da camera di Stephen Rennicks, che ha lavorato in passato insieme ad Abrahamson e Nugent su Frank e What Richard Did. La musica di Rennicks è diventata un altro pilastro nella struttura di ROOM. "Stephen è il mio più vecchio collaboratore: lo conosco fin dai tempi della scuola elementare. Mi fido del suo lavoro perché compone per il bene del film, non per la colonna sonora", afferma Abrahamson. "Abbiamo analizzato tutta la storia ed ha scritto dei temi orchestrali che rispecchiano perfettamente la profondità della trama".
Questi temi convergono all'apice del film, quando Jack e Ma' escono definitivamente dalla Stanza. Come per ogni cosa in ROOM, Abrahamson sceglieva l'approccio più adatto. "Ero entusiasta del fatto che questo momento non indugiasse", dice. "Non è sentimentale, ma è un momento carico di tensione, perciò doveva essere fatto con delicatezza. Ho trovato le performance di Brie e Jacob incredibilmente commoventi – hanno reso tutto molto credibile. In realtà, il genio del romanzo di Emma è tutto in quella scena.
A guardarla è una stanza piccola, eppure ha richiesto un grande lavoro".
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info: 03/03/2016.
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