Ritratto della giovane in fiamme (2019)
Portrait de la jeune fille en feu1770. Marianne, pittrice di talento, viene ingaggiata per fare il ritratto di Héloise, una giovane donna che ha da poco lasciato il convento per sposare l'uomo a lei destinato. Héloise tenta di resistere al suo destino, rifiutando di posare. Su indicazione della madre, Mariane dovrà dipingerla di nascosto, fingendo di essere la sua dama di compagnia. Le due donne iniziano a frequentarsi e tra loro scatta un amore travolgente e inaspettato.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 19 Dicembre 2019Uscita in Italia: 19/12/2019
Genere: Drammatico, Storico, Romantico
Nazione: Francia - 2019
Durata: 120 minuti
Formato: Colore
Produzione: Arte France Cinéma, Hold Up Films, Lilies Films
Distribuzione: Lucky Red
Box Office: USA: 3.362.281 dollari | Italia: 375.335 euro
Conosciuto anche come: Portrait of a Lady on Fire [USA]
In HomeVideo: in DVD da giovedì 23 Aprile 2020 [scopri DVD e Blu-ray]
Passaggi in TV:
• sabato 09 Dicembre ore 12:40 su Sky Cinema Romance
• domenica 10 Dicembre ore 02:55 su Sky Cinema Romance
Cast e personaggi
Regia: Céline SciammaSceneggiatura: Céline Sciamma
Fotografia: Claire Mathon
Scenografia: Thomas Grézaud
Montaggio: Julien Lacheray
Costumi: Dorothée Guiraud
Cast Artistico e Ruoli:
Produttori:
Bénédicte Couvreur (Produttore)
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Intervista a CÉLINE SCIAMMA
Fino ad ora hai avuto la tendenza a confrontarti con temi contemporanei, da regista della nostra epoca quale sei. Come mai hai deciso di fare un salto indietro nel tempo e di girare un film ambientato nel XVIII° secolo?
Non è detto che qualcosa che risale a tanto tempo fa sia per questo meno rilevante oggi. Specialmente se si tratta di una storia poco conosciuta, come quella delle artiste donne, o perfino delle donne in generale. Quando mi sono immersa nello studio della documentazione per il film, sapevo pochissimo della realtà delle artiste di quell'epoca. Conoscevo solo quelle più famose di cui è provata l'esistenza: Elisabeth Vigée Le Brun, Artemisia Gentileschi o Angelica Kauffman. La difficoltà a raccogliere informazioni e materiali d'archivio non ha però impedito che la consistente presenza di donne nel mondo dell'arte della seconda metà del XVIII° secolo emergesse con forza. Le donne pittrici erano numerose e avevano un certo successo, soprattutto grazie alla moda dei ritratti. C'erano donne esperte d'arte, rivendicazioni per una maggior uguaglianza e per una maggiore visibilità, c'era di tutto. In questo contesto un centinaio circa di pittrici hanno avuto vite e carriere di successo. Molti dei loro lavori appaiono nelle collezioni dei più importanti musei. Ma sono rimaste escluse dalle cronache e dai resoconti storici. Quando ho scoperto le opere di queste pittrici dimenticate ho provato al tempo stesso una grande emozione e un grande dispiacere. Il dispiacere per l'anonimato totale nel quale sono stati relegati questi lavori, condannati a restare nascosti. Ho sofferto non solo per essermi resa conto di come la storia dell'arte ufficiale li abbia resi invisibili ma anche per le conseguenze: quelle immagini mi turbano e mi commuovono soprattutto perché non hanno fatto parte della mia vita.
Come hai affrontato le questioni di regia collegate alla ricostruzione storica?
Un film in costume sembra richiedere più lavoro degli altri film, perché comporta l'assunzione di persone, di tecnica, esigenze particolari, esperti, e ansie relative ad una ricostruzione fedele. In realtà il processo per la sua realizzazione è uguale a quello di tutti gli altri film. Una volta esclusi gli anacronismi, bisogna fare attenzione alla verità storica delle scene e dei costumi, così come si presta attenzione al realismo per i film contemporanei. La questione di fondo è la stessa: come l'immaginazione possa operare senza tradire la realtà. Paradossalmente di tutti i miei film questo è quello per il quale abbiamo avuto meno da fare sui set. Abbiamo girato in un castello disabitato e non restaurato, in cui gli elementi lignei, i colori e i pavimenti sono rimasti come congelati nel tempo. Avevamo così un buon punto di partenza e abbiamo potuto dedicare maggiore attenzione agli arredi e agli oggetti di scena, ai materiali e ai tessuti. Una sfida nuova per me è stata quella della creazione dei costumi. Riuscire a realizzarli con questo livello di precisione è stato fantastico. Specialmente perché volevo un'unica 'uniforme' per ciascun personaggio, una cosa su cui Dorothée Guiraud ed io ci siamo concentrate. Una specie di caratterizzazione fatta su misura, per la quale più che mai abbiamo dovuto riflettere sul significato degli abiti. La scelta del taglio e dei materiali – in particolare del loro peso – implica allo stesso tempo elementi di sociologia del personaggio e verità storica, e deve tener conto delle performance di attrici fisicamente condizionate da ciò che portano addosso. Per esempio, non avevo alcun dubbio sul fatto che l'abito di Marianne dovesse avere delle tasche. Non solo per il suo atteggiamento, ma anche perché alla fine del secolo le tasche per le donne sarebbero state proibite e sarebbero sparite. Mi piace l'idea di una figura così moderna, in un certo senso fatta riemergere, come se fosse risuscitata. Fin da quando ho cominciato ad immaginare il film, per me la grande sfida nella ricostruzione storica ha riguardato di più la sfera intima, la rappresentazione dei sentimenti. Anche se queste donne sapevano fin dall'inizio che la loro vita era segnata, hanno vissuto qualcosa di diverso. Erano curiose, intelligenti e volevano amare. I loro desideri esistevano, nonostante vivessero in un mondo che li negava e li proibiva. Si riappropriano dei loro corpi quando possono rilassarsi, quando si sottraggono alla vigilanza, quando sfuggono al controllo sociale, quando sono sole. Volevo restituire loro l'amicizia e i dubbi, i loro comportamenti naturali, il divertimento, il desiderio di fuggire.
Con questi obiettivi, il cast era fondamentale.
Il ruolo di Héloïse è stato scritto avendo in mente Adèle Haenel. Il personaggio ha preso forma da solo, proprio a partire dalle qualità che Adèle ha dimostrato negli ultimi anni. Ma è stato scritto anche con l'ambizione di offrire ad Adèle qualcosa di nuovo con cui misurarsi. Aspetti di lei che ancora non conosciamo. Elementi che, in alcuni casi, non conoscevo neanche io, nonostante li avessi immaginati. Questo ruolo è allo stesso tempo sentimentale e razionale e, dato che Adèle lavora in modo organico, senza mai fermarsi per riflettere o razionalizzare, ha il potere di incarnare il desiderio e, al tempo stesso, l'idea del desiderio. Abbiamo lavorato con grande precisione sul set, specialmente sulla sua voce. Questa collaborazione rappresenta il cuore del film, un film che mette fine al concetto di "musa" per descrivere il rapporto creativo tra chi guarda e chi è guardato, in una nuova prospettiva. Nel nostro studio non ci sono muse: ci sono due persone che collaborano e si ispirano a vicenda.
Per l'attrice che avrebbe recitato al fianco di Adèle Haenel, hai optato per un volto nuovo.
Un volto a me poco familiare ma non di una principiante. Pensavo che lavorare per la prima volta con un'attrice avrebbe potuto contribuire moltissimo alla riuscita del film e della storia, specialmente per quanto riguarda la dinamica amorosa. Ci tenevo a creare un duo, una coppia cinematografica che avesse un lato iconico e pertanto qualcosa di eccezionale. Marianne appare in tutte le scene e quindi era necessario che il ruolo andasse ad un'attrice molto brava. Noémie Merlant è decisa, e recita con coraggio e sentimento. Un misto di precisione e di intemperanza che ha reso il personaggio emozionante, e che si è rivelato un po' alla volta durante la lavorazione. Come se Marianne sia davvero esistita da qualche parte. E sotto questo aspetto devo molto a Noémie.
In questo film racconti per la prima volta l'esperienza dell'amore.
Il mio desiderio principale era proprio quello di raccontare una storia d'amore. Con due aspirazioni apparentemente contraddittorie sottostanti alla sceneggiatura. Volevo mostrare passo dopo passo come sia innamorarsi, il puro piacere di innamorarsi e di vivere il presente. Per questo aspetto la regia è incentrata sulla confusione, l'esitazione e lo scambio romantico. Ma volevo allo stesso tempo scrivere del ricordo di una storia d'amore, di come resta dentro di noi con tutta la sua forza. Per questo aspetto la regia deve lavorare sulla rievocazione, e il film diventa il ricordo di quell'amore. Questo film è pensato come un'esperienza sia del piacere di una passione presente sia del piacere di una storia di emancipazione per i personaggi e per il pubblico. Questa duplice temporalità ci permette di vivere le emozioni e di riflettere su di esse. Inoltre volevo raccontare una love story basata sull'uguaglianza. Anche durante il casting, Christel Baras ed io ci siamo preoccupate di trovare un equilibrio e di raccontare una storia d'amore che non fosse fondata sulle gerarchie, sui rapporti di forza e di seduzione esistenti prima del momento dell'incontro. Dare la sensazione di un dialogo che nasce inatteso e che ci sorprende. L'intero film è guidato da questo principio nelle relazioni tra i personaggi. L'amicizia con Sophie, la domestica, che va oltre i rapporti di classe. Le discussioni aperte con la Contessa, personaggio che ha a sua volta desideri propri e proprie aspirazioni. Volevo che tra i personaggi vi fossero solidarietà e onestà.
Come hai affrontato la questione della pittura?
Prima di tutto ho deciso di inventare una pittrice anziché scegliere una figura ispiratrice realmente vissuta. Mi è sembrato giusto, in relazione alla vita di queste donne che hanno conosciuto solo il presente: inventarne una è stato un modo per pensare a tutte loro. La nostra consulente, una sociologa dell'arte specializzata in pittori di quell'epoca, dopo aver letto la sceneggiatura, ci ha aiutati a creare una Marianne che fosse convincente come pittrice nel 1770. Volevo mostrare il personaggio al lavoro, ad ogni stadio. Per cui è stato necessario inventare anche i suoi quadri. Volevo lavorare con un'artista e non con dei copisti. Volevo che quell'artista avesse la stessa età della protagonista. Una pittrice trentenne contemporanea. Mi sono imbattuta nel lavoro di Hélène Delmaire durante le mie ricerche sulle donne pittrici, comprese quelle di oggi, in particolare cercando su Instagram. Hélène ha una formazione classica in pittura ad olio ed ha una buona esperienza nelle tecniche del XIX° secolo. Insieme alla direttrice della fotografia, Claire Mathon, abbiamo formato un trio impegnato in questo duplice obiettivo: la creazione dei quadri e la loro esecuzione durante il film. Come girare e in quale arco temporale. Abbiamo girato la pittura in diversi momenti della sua esecuzione e con riprese in sequenza. La decisione di evitare le dissolvenze aiuta a creare la struttura. Abbiamo scelto di usare i tempi reali dei gesti dei pittori e il loro ritmo reale, anziché usare la sintesi che il montaggio avrebbe potuto offrirci.
A parte i due momenti musicali che giocano un ruolo nella storia, il film non ha musica.
Mentre scrivevo la sceneggiatura avevo già deciso di realizzare il film senza commento musicale. Dico questo perché si tratta di un aspetto che andava deciso in anticipo. Specie per una storia d'amore, in cui in genere l'emozione è spesso accompagnata dalla musica. Abbiamo dovuto pensarci in relazione al ritmo delle scene e alla combinazione tra loro. Perché per esempio non puoi contare sulla musica per legarle una all'altra. Non puoi contare su alcuna melodia a cui ricorrere in caso di emergenza o per rafforzare un passaggio. Hai a che fare esclusivamente con unità sceniche. Realizzare un film senza musica significa avere l'ossessione del ritmo, dovendolo far emergere in un altro modo, nel movimento dei corpi e della macchina da presa. Specialmente quando il film è fatto soprattutto di lunghe sequenze, con una precisa coreografia. E' stata una scommessa, ma non l'ho vissuta come una sfida. Anche in questo caso si è trattato in fondo di un processo di ricostruzione. Volevo che la musica fosse una parte della vita dei personaggi del film, come qualcosa di raro, desiderato, prezioso e inarrivabile. E così ho messo lo spettatore nelle stesse condizioni. Il rapporto con l'arte nel film è vitale proprio perché i personaggi sono isolati. Prima di tutto dal mondo, poi uno dall'altro. Il film dice anche che l'arte, la letteratura, la musica e il cinema alcune volte ci permettono di esprimere a pieno le nostre emozioni.
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info: 19/12/2019.
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