Piccolo Corpo (2021)
Small BodyUna giovane donna lascia il suo villaggio sul mare per cercare di liberare l'anima della sua bambina nata morta e si imbarca in un pericoloso viaggio verso un remoto santuario di montagna, dove si dice che avvengano miracoli.
In una piccola isola del nord est italiano, in un inverno agli inizi del ‘900, la giovane Agata perde sua figlia alla nascita. La tradizione cattolica dice che, in assenza di respiro, la bambina non può essere battezzata. La sua anima è condannata al Limbo, senza nome e senza pace. Ma una voce arriva alle orecchie di Agata: sulle montagne del nord pare ci sia un luogo dove i bambini vengono riportati in vita il tempo di un respiro, quello necessario a battezzarli. Agata lascia segretamente l’isola e intraprende un viaggio pericoloso attaccata a questa speranza, con il piccolo corpo della figlia nascosto in una scatola, ma non conosce la strada e non ha mai visto la neve in vita sua. Incontra Lince, un ragazzo selvatico e solitario, che conosce il territorio e le offre il suo aiuto in cambio del misterioso contenuto della scatola. Nonostante la diffidenza reciproca, inizia un’avventura in cui il coraggio e l’amicizia permetteranno a entrambi di avvicinarsi a un miracolo che sembra impossibile.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 10 Febbraio 2022Uscita in Italia: 10 Febbraio 2022 al Cinema
Genere: Drammatico
Nazione: Italia, Francia, Slovenia - 2021
Durata: 89 minuti
Formato: Colore; Formato 1.85:1
Produzione: Nefertiti Film, Rai Cinema, Tomsa Films (co-produzione), Vertigo (co-produzione)
Distribuzione: Nefertiti Film
Note:
Presentato alla 60a Semaine De La Critique | Cannes Film Festival 2021 | Feature Film Competition.
Cast e personaggi
Regia: Laura SamaniSceneggiatura: Marco Borromei, Elisa Dondi, Laura Samani
Musiche: Fredrika Sthal
Fotografia: Mitja Ličen
Scenografia: Rachele Meliadò
Montaggio: Chiara Dainese
Costumi: Loredana Buscemi
Cast Artistico e Ruoli:
Celeste Cescutti
Agata
Ondina Quadri
Lince
Marco Geromin
Il saggio Ignac
Giacomina Dereani
La brigantessa Lia
Anna Pia Bernardis
L'eremita del santuario
Angelo Mattiussi
L'operaio del carro
Luca Sera
Il prete dell'isola
Teresa Cappellari
La curatrice Marla
Marzia Corinna Mainardis
La curatrice Corinna
Marisa Rupil
La curatrice Vanda
Ivo Ban
Il capo della miniera
Denis Corbatto
Mattia, il marito di Agata
Giovanna Cescutti
La madre di Agata
Cristina Chizzola
La madre di Lince
Claudia Lodolo
L'esaminatrice della fattoria
Lucia Castellano
Assunta, la donna della fattoria
Ilaria Emiliani
La levatrice
Alessandro Barbacetto
Cocias, il capo dei briganti
Nilla Patrizio
La donna del rito
Emanuela Cicigoi
La minatrice
Matilda Peruch
La sorella di Agata
Federica Muliner
La perpetua
Lisetta Totis
La donna che aiuta la levatrice
Marco Nogarotto
Il barcaiolo Caronte
Ederico Soravito
Barcaiolo Caronte (voce)
Flavio De Antoni
Padre di Lince (voce)
Produttori:
Nadia Trevisan (Produttore, Produttore esecutivo), Alberto Fasulo (Produttore), Thomas Lambert (Coproduttore), Danijel Hočevar (Coproduttore)
Fonico di presa diretta: Luca Bertolin | Montaggio del suono: Riccardo Spagnol | Fonico di mix: Nathalie Vidal | Aiuto regia: Marcella Libonati. Organizzatore generale: Paolo Bogna.
Immagini
Questo film è stato supportato da EURIMAGES e realizzato con il sostegno di: MiC – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo | Fondo per l’Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia | Friuli Venezia Giulia Film Commission; Aide aux Cinémas du Monde | Centre National du Cinema ed de l’imagine Animée | Institut Français | ARTE/Cofinova16; Slovenski Filmski Center | Filmski Studio Viba Film; supportato da Torino Film Lab Production Award | Creative Europe – Media of the European Union | RE-ACT. Distribuzione internazionale Alpha Violet. Il film è stato girato con dialoghi comprensivi dei dialetti friulano e veneto.
Note di Regia
Nel 2016 scoprivo che a Trava, nel mio Friuli Venezia‐Giulia, esiste un santuario dove, fino alla fine del 19° secolo, avvenivano miracoli particolari: si diceva che lì si potessero riportare in vita i bambini nati morti, per il tempo di un respiro. Il miracolo del ritorno alla vita era necessario per battezzare i bambini, altrimenti destinati ad essere seppelliti nelle zone incolte, come si fa con i gatti. Senza battesimo non avrebbero mai avuto un nome e un’identità, la loro anima avrebbe errato eternamente nel Limbo. I santuari di questo tipo portano il nome di à répit, del respiro o della tregua, erano presenti in tutto l’arco alpino – solo la Francia ne contava quasi duecento – ed è impressionante come questi fatti siano pressoché sconosciuti, nonostante la dimensione del fenomeno. La storia di questi miracoli si è impigliata in qualche anfratto dentro di me ed è rimasta lì a chiedere attenzione.
Una cosa in particolare mi aveva colpito: erano principalmente gli uomini a viaggiare verso i santuari con i piccoli corpi degli infanti. Certo, le puerpere erano allettate, ma non mi rassegnavo all’attesa impotente a cui erano costrette.
A Elisa Dondi e Marco Borromei, i coautori, che avevano deciso di proseguire con me il viaggio iniziato con La santa che dorme, la prima domanda che ho posto è stata: che ne è di questa donna nel letto? E se invece volesse andare lei stessa? Così abbiamo iniziato a scrivere, con due sole certezze: lei si chiama Agata e la pancia che indossa è una prima volta.
Quando la bambina nasce morta, Agata dovrebbe elaborare il lutto. Ma mentre tutti gli altri intorno a lei sembrano andare avanti, lei non ci riesce. Per me la parte più bella di una storia è quel momento di vita in cui il personaggio compie una ribellione. Quella di Agata ha un che di scandaloso, perché presuppone orgoglio e protesta non solo nei confronti della religione, ma pure delle leggi di natura. C’è un momento preciso, solitamente di notte, in cui di colpo le possibilità di fronte a noi diventano una sola ed è lì che si fa il destino. Agata decide di ascoltare le voci che parlano dei miracoli, segue il suo istinto e si mette in viaggio con sua figlia in una piccola scatola, all’insaputa di tutti i suoi cari. È sola.
La pratica di far resuscitare i putti era ovviamente mal vista dalla Chiesa, perché considerata abuso di sacramento e paragonabile alla stregoneria. Agata affronta un viaggio ai confini di ciò che non conosce, abbandonando le proprie radici, rischiando di perdere sé stessa e la propria vita. Il suo desiderio cosciente è dare un nome a sua figlia per poi potersene separare, ognuna fattasi entità distinta. Ma in realtà questo viaggio è un modo per prolungare quella condizione di simbiosi che Agata aveva condiviso per mesi con sua figlia, una sorta di continuazione della gravidanza, in cui il ventre si sposta metaforicamente sulla schiena, divenendo il peso che porta sulle spalle. Il suo viaggio è fisico, ma diventa trascendentale.
Agata non si accorge che per perseguire la sua missione deve trasformarsi, farsi morta tra i vivi. Le serviva un compagno di viaggio, ed è così che è nato il personaggio di Lince. Selvatico, furbo, impedisce agli altri di entrare, perché amare ti compromette, ti indebolisce.
Lince mostra ad Agata la strada offrendole protezione, ma ciò che ha in cambio da lei è qualcosa di altrettanto necessario per la sua sopravvivenza: il profondo senso di attaccamento a ciò che si ama. Il restare, il sacrificio, il senso di appartenenza a qualcosa che non si può controllare e che rende vulnerabili. Grazie all’incontro con Agata, Lince si riappropria di quella parte di sé che appartiene all’archetipo femminile e che ha il coraggio di accettare anche la parte oscura dell’amore: il dolore.
Ho ambientato il film nella mia terra – il radicamento nel territorio non significa che questa storia sia di quel luogo, le storie secondo me sono uguali dappertutto – girando in continuità cronologica e quindi compiendo lo stesso viaggio di Agata, dalla laguna di Caorle e Bibione alle montagne della Carnia e del Tarvisiano. Il film è cresciuto con noi e noi con lui.
Mentre cercavo i luoghi, incontravo le persone che sarebbero diventati i personaggi del film, o forse viceversa, del resto non si può prescindere gli uni dalle altre. La quasi totalità del cast è composta da persone che non avevano mai recitato prima, in alcuni casi famiglie intere. Anche per questo motivo, non solo per restituire una verità linguistica del tempo, ho deciso di girare in dialetto veneto e friulano, ognuno nelle sue diverse variazioni, perché volevo il più possibile permettere alle persone di esprimersi nel modo a loro più naturale. Il processo di italianizzazione forzata iniziata nella seconda metà dell’800 e proseguita sotto il fascismo, operazione politica per esercitare il controllo sul territorio e causa di grande impoverimento culturale, non è per fortuna riuscita a estinguere del tutto la varietà dei diversi idiomi. Per me il dialetto è un arricchimento prezioso e spesso commovente: basti pensare che in friulano per dire bambino si utilizza la parola frut, perché è il frutto dei suoi genitori.
Per motivi diversi e spesso lontani dalla specificità della vicenda narrata, tutte le persone coinvolte hanno trovato qualcosa di sé nella storia e nelle tematiche evocate. È così che ci siamo spesso ritrovati a parlare più di vita che di cinema, a imparare gli uni dagli altri: ora ero io a dirigerli e ora erano loro a guidare me. La trasversalità è la forma più bella del creare.
Nel film Dio non è nel miracolo e nelle preghiere, né nel dogma che divide in paradiso/inferno/limbo. Dio esiste a un altro livello: in Lince che non crede a niente e così sfugge alle premesse iniziali del miracolo; in Agata che organizza la rabbia per ridisegnare i confini del possibile; nel rapporto di queste due solitudini che per un momento si fanno meno dolorose. C’è una linea sottile che divide vita da morte, realtà da magia, le possibilità in cui abbiamo sperato e il tempo che ci è rimasto.
Spero che il film crei uno spazio di condivisione ulteriore, senza la presunzione di trovare risposte assolute, per abitare insieme il dubbio.
Note di produzione
Il viaggio di Piccolo Corpo comincia nel 2016, grazie all’incontro tra Nadia Trevisan produttrice di Nefertiti Film e Laura Samani, giovane e brillante regista esordiente.
Tutto è nato in Friuli Venezia Giulia: Piccolo Corpo è un film che nasce dal territorio, poiché storie come quella di Agata, la protagonista del film, popolano le memorie di molti paesi friulani.
I produttori, che già con Menocchio di Alberto Fasulo (Concorso Internazionale Festival di Locarno 2018) avevano portato una “piccola” storia locale nei cinema europei, hanno scommesso nuovamente sul proprio territorio d’origine che, non a caso, è anche lo stesso di Laura Samani e di Nefertiti Film.
Dato questo importante punto di partenza, la produzione ha costruito un progetto su misura per un’opera prima molto ambiziosa: un film in costume, girato per la maggioranza con non‐attori, quasi interamente in esterno, con distanze geografiche significative da un punto di vista organizzativo e logistico. Quello che ha permesso lo sviluppo di questo film è stato infatti il costante confronto tra la parte creativa e quella produttiva. Trattandosi di un’opera prima, infatti è stato fondamentale un dialogo aperto sia con gli interlocutori finanziari, costantemente aggiornati sui passi approntati, che con il team creativo. Ogni decisione è stata presa di concerto e questo ha generato un clima di fiducia reciproca che ha permesso alla struttura produttiva di diventare sempre più solida.
Fondamentali sono stati anche i percorsi di alta formazione che hanno accompagnato il film in specifici momenti di sviluppo, produzione e post‐produzione. I training ai quali il progetto ha partecipato hanno arricchito il dialogo sul film che ha così acquisito un respiro internazionale. Questo atteggiamento aperto ha generato una serie di successi, sia in campo finanziario che di riconoscimento del progetto nelle platee produttive europee più rilevanti. Piccolo Corpo infatti cresceva di anno in anno, e man mano che la credibilità sul progetto si rafforzava, maggiori diventavano gli apporti artistici e produttivi dall’esterno.
La produzione francese Tomsa Films di Thomas Lambert e la slovena Vertigo di Danijel Hočevar hanno fatto il loro ingresso nella struttura coproduttiva cooperando attivamente e apportando al progetto il loro peculiare punto di vista.
La solidità della produzione ha permesso di affrontare situazioni difficili, come la sospensione dovuta alla pandemia. Le riprese infatti si sono divise in due sessioni principali nel 2020, una a febbraio ‐ marzo e una nell’autunno, generando uno sforzo significativo da un punto di vista logistico e produttivo.
Le riprese si sono tenute quasi interamente in Friuli Venezia Giulia, con una partenza in Veneto e una chiusura a Roma; la troupe, internazionale, ha visto il susseguirsi di apporti italiani, francesi e sloveni sia in fase di shooting che di post‐produzione.
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