Nella terra desolata, Palamède e Cador – due marinai – ingannano il giorno scrutando l'orizzonte dalla prua della loro imbarcazione – il Dedalus – ancorata alla banchina di un porto del Nord immerso in un'atmosfera arcana e stagnante.
Cador, giovane e emotivo, è pervaso da visioni fantastiche che gli ricordano l'esistenza di una bellezza scomparsa; Palamède prova a riportare l'amico alla realtà, invitandolo a resistere al tempo che ha legittimato il nulla.
Nel frattempo sopraggiunge un ragazzo (Parsifal) che distrattamente scioglie il nodo che mantiene l'imbarcazione ancorata alla bitta d'ormeggio. Palamède e Cador intervengono prontamente e, con tono minaccioso, sottopongono lo straniero a una raffica di domande. Il ragazzo, svagato e ingenuo, non sa dire perché lo ha fatto e sembra ignorare tutto di sé, persino da dove venga e quale sia il suo nome. Palamède ordina al ragazzo di andarsene mentre si avvicinano due donne, Elsa e Senta: la prima vagheggia angeli, la seconda ricorda il "tempo umano", quando anche niente almeno era qualcosa. Senta, tra rabbia e malinconia, si abbandona a frequenti imprecazioni al Dio dell'indifferenza, provocando l'ira e lo sdegno dei marinai.
Sola, reprimendo una forza felina, avanza Kundry, una donna che, malgrado la mortificazione che si infligge, non riesce a nascondere uno straordinario carisma. Kundry diventa immediatamente il centro dell'attenzione: la sua sensualità, per quanto trattenuta, smuove lascivia nei marinai e provoca le altre donne. Kundry parla un linguaggio arcano, oracolante, attraversato da fasci di illuminante premonizione e di grondante desiderio. La dolce Elsa invita Cador a suonare qualcosa. Il marinaio comincia a strimpellare un fox trot invogliando i presenti a ballare, in un'atmosfera di stanca allegrezza. Kundry, allorché vede Parsifal – rimasto in disparte ad osservare la scena nonostante i rimbrotti dei marinai -, catalizzata dalla presenza del ragazzo, pronuncia un'enigmatica profezia, parole pregne di desiderio e al contempo di pietosa redenzione; quindi si allontana, lasciando l'eco della sua voce vaticinante.
I marinai, turbati da quanto accaduto, invitano tutti a sgombrare la banchina e a tornare alla normalità. Rimasti soli sulla prua della nave, Palamède e Cador provano a vincere il freddo siderale ingannando il tempo, mentre Parsifal si allontana nella notte.
Tra paesaggi sconfinati e rovine del tempo storico, Parsifal lascia vagare il suo pensiero. Consapevole di "non sapere", il ragazzo si interroga sul mistero del male nel mondo, percependo la presenza di ogni cosa in lui.
Senza rendersene conto Parsifal è arrivato alle porte di un luogo solenne e rovinoso: Montsalvat. Suoni percussivi lo inducono ad appartarsi e osservare: alcuni cavalieri – tra i quali riconosce Palamède e Cador – trasportano in processione una lettiga sulla quale è coricato un uomo sofferente oltre ogni dire: Amfortas. L'uomo ha una ferita all'inguine dalla quale fuoriesce un inarrestabile flusso emorragico. Amfortas, in attesa di un possibile guaritore "per compassione sapiente", è abitato da visioni apocalittiche e straziato dal dolore del mondo. L'uomo si riconosce responsabile e impotente poiché a dominarlo è ancora una volta il lancinante e insopprimibile desiderio, origine della rovinosa deflagrazione avvenuta nel mondo. Terminata la sua uscita giornaliera – il bagno purificatore – Amfortas viene portato via dai cavalieri.
Cador rientra sospettoso e, appurata la presenza di Parsifal, lo caccia via in malo modo.
Parsifal riprende il suo peregrinare, sempre più confuso e turbato, vagando in un interminabile flusso di coscienza che sembra abitare spazi e tempi tra loro lontanissimi e prossimi all'intuizione fondamentale dell'esistenza illuminata.
In una taverna-bordello di un imprecisato porto del Nord, alla fine degli anni '30 del XX secolo, Elsa e Senta, due prostitute, in attesa che il locale si animi, commentano la presenza di un uomo (Felipe), assiduo avventore follemente innamorato della padrona, Kundry.
Palamède e Cador fanno irruzione nella taverna decisi a far bisboccia e a divertirsi con le ragazze. Elsa, in realtà, è in trepidante attesa del ritorno di un giovane e misterioso marinaio al quale ha dedicato una poesia, pur non conoscendone neppure il nome.
Al sopraggiungere di Kundry, Felipe si slancia con ardore nel dichiararle i suoi sentimenti. Kundry gioca astutamente con lui, decisa ad estorcergli alcune informazioni su un certo giovane marinaio con il quale lo ha visto parlare una sera. Felipe, indispettito e ferito dalla freddezza della donna, asserisce di non saper nulla del ragazzo.
In quel punto entra nel locale il giovane (Parsifal), in cerca di Felipe: Kundry è visibilmente soggiogata da lui. I marinai e le ragazze provano a coinvolgere lo straniero nelle loro conversazioni, fino a quando Elsa riesce ad avere la sua attenzione. La ragazza, in preda a grande confusione emotiva, gli propone una vita insieme, lontano, una possibile via di felicità. Il marinaio è affascinato dal candore della ragazza ma non riesce a smettere di guardare Felipe. Ad interrompere quel momento di intimità è Kundry che, avanzando verso di lui, per la prima volta, lo chiama con il suo nome: Parsifal. Elsa, spaventata, si allontana, mentre Kundry sfodera tutte le sue sopraffine arti di seduzione: lei sola conosce il suo passato vagabondo, senza identità e alla perpetua ricerca di quell'amore negatogli da sua madre. Parsifal, in uno stato di trance, rivive la sua condizione di amorale promiscuità nell'estenuante ricerca di qualcosa. Quando Kundry suggella la sua seduzione con un bacio, la gelosia di Felipe non ha più freno. Parsifal, risvegliatosi dall'incantamento, si lancia verso l'uomo dando inizio a una triplice tenzone d'amore tra lui, Felipe e Kundry. Anche gli avventori del locale seguono la disputa erotica, in un clima di follia inebriante e sempre più inquietante. Si comprende che l'amore di Parsifal per Felipe arriva da lontano, da prima di ogni cosa, quasi fosse la categoria fondante della sua esistenza. Felipe, al culmine dell'esasperazione, sfida Parsifal a duello: se a vincere sarà lui, allora avrà Kundry (Parsifal infatti si dovrà promettere alla donna, obbligandola così a concedersi a Felipe); se invece perderà, sarà Parsifal a decidere la sua sorte.
Il duello ha inizio, tra il dileggio dei marinai ubriachi, il terrore di Elsa e una Kundry ormai prossima alla follia. I pensieri dei duellanti rivelano cose che le parole e i gesti tradiscono. Parsifal, in netto vantaggio, bara spudoratamente per consentire all'amato di ottenere ciò che vuole. Felipe, pur sconvolto dall'amore del marinaio, reclama tuttavia ciò che gli spetta: Kundry, verso la quale si avvicina con straordinaria potenza virile. Al vedere l'amato brutalizzare la donna, Parsifal, disperato, si avventa sulla coppia. Ma Kundry, impossessatasi rapidamente di un coltello, ferisce all'inguine Felipe, che emette un urlo straziante. In quel preciso momento Parsifal riconosce in lui Amfortas. La scena ora si agisce a Montsalvat, dove Amfortas, persa immediatamente ogni relazione con il presente, profetizza il futuro del "Mondo senza Amore" e realizza la sua inconsolabile responsabilità. Parsifal si allontana e Kundry, il coltello ancora stretto nella mano, getta un grido soffocato e si riversa a terra.
Il mondo è perduto, la terra non produce più frutti. Parsifal è un eremita, ridotto ad uno stato di indigenza, prossimo al delirio. Giace in condizioni quasi bestiali e sente tutto il male del mondo, visioni che lo allontanano da qualsiasi appartenenza umana, nonostante il suo desiderio per Amfortas reclami ancora il suo inesorabile diritto. Al culmine della sofferenza, l'anima di Parsifal si dibatte nel corpo, fino a staccarsene: Parsifal, in un immenso campo di grano, rivive l'esperienza mistica della sua infanzia, quella che gli aveva inconsapevolmente apposto il sigillo dell'elezione.
Sopraggiunge Kundry, irriconoscibile, mestissima, l'essenza di sé stessa. Dopo aver unto i piedi a Parsifal, un breve scambio di parole evidenzia la loro appartenenza ad un altro ordine di cose. Poi la donna pronuncia un nome, Amfortas, e si allontana.
Solo, all'alba, per Parsifal avviene l'Incantesimo del Venerdì Santo; quindi, sulla cima di un ghiacciaio, si affranca completamente dalla propria volontà. Immerso nell'acqua di un lago, Parsifal risale alla superficie luminosa, trasfigurato, per pronunciare il Totus Tuus.
Come all'inizio, nella terra desolata, Cador e Palamède sull'albero del Dedalus: non ci sono più navi da avvistare, né paura o dolore, né gioia o desiderio. Solo una vaga sospensione, e la coscienza che le cose del tempo sono finite. Anche Senta e Elsa condividono la stessa consapevolezza. Sopraggiunge uno straniero – nel quale nessuno può riconoscere Parsifal – che sembra ignorare la fine delle cose del mondo e porta in sé una strana speranza: finché esisterà un segno di compassione, non ci sarà fine. Palamède e Cador cautamente si aprono con lui, rivelando la loro coscienza del disegno escatologico del Graal. Tuttavia Parsifal sa che il suo compito non è terminato: Kundry è lì per condurlo da Amfortas.
In una Montsalvat sempre più rovinosa, Amfortas, oltre ogni sofferenza possibile, invoca la morte e rinnova la sua impotente disperazione per il male che schiaccia il mondo. Alla vista di Parsifal, abbagliato da una lancinante speranza, Amfortas riconosce in lui il guaritore "per compassione sapiente". Parsifal, consacratosi all'altro, in un gesto di totale compassione, trasforma la loro congiunzione in comunione perfetta: Amfortas e Parsifal diventano cosa unica.
Kundry, luminosissima, si lascia morire.
In un luogo nel mondo, Palamède, Cador, Senta e Elsa vegliano accanto a un grande albero il corpo di Parsifal/Amfortas, divenuto cosa unica con la Terra.
I quattro campioni di un'umanità illuminata e redenta decretano la loro appartenenza al nuovo Tempo, all'Adesso, entrando nel deserto senza Dei.
"Trasmigrando dal mito al film, per quindi riconsegnarsi al suo archetipo cristico attraverso la carne e lo spirito del suo Autore, il Parsifal di Filiberti si staglia nel panorama contemporaneo come un possibile, compiuto, reciso e luminoso diniego al Sistema Mondo còlto nel suo crollo apocalittico."
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 23 Settembre 2021Uscita in Italia: 23 Settembre 2021 al Cinema; 3 Novembre 2022 in TVOD e DVD
Genere: Drammatico
Nazione: Italia - 2021
Durata: 185 minuti
Formato: Colore, formato 2.40, 2k
Produzione: Dedalus, Alba Produzioni, Regione Lazio (con il contributo di), Le Vie del Teatro in Terra di Siena (con la partecipazione di)
Distribuzione: 30 Holding
In HomeVideo: in Digitale da giovedì 3 Novembre 2022 e in DVD da giovedì 3 Novembre 2022 [scopri DVD e Blu-ray]
Cast e personaggi
Regia: Marco FilibertiSceneggiatura: Marco Filiberti
Musiche: Paolo Marzocchi
Fotografia: Mauro Toscano
Scenografia: Livia Borgognoni
Montaggio: Valentina Girodo
Costumi: Daniele Gelsi
Cast Artistico e Ruoli:
Matteo Munari
Parsifal
Diletta Masetti
Kundry
Marco Filiberti
Amfortas - Felipe
Giovanni De Giorgi
Palamède
Luca Tanganelli
Cador
Elena Crucianelli
Senta
Zoe Zolferino
Elsa
Produttori:
Stefano Sbarluzzi (Produttore delegato Dedalus), Sandro Frezza (Produttore esecutivo)
Drammaturgia Musicale: Stefano Sasso. Trucco: Gino Zamprioli | Parrucco: Rudy Sifari.
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IL PARSIFAL DI MARCO FILIBERTI
Se è vero che ogni mito è anche e soprattutto una condizione dell'anima, il film Parsifal di Marco Filiberti è forse la prima opera sinestetica da alcuni decenni a questa parte, che tenta di farci giungere alla sua essenza stimolando e dialogando con tutto il nostro corpo intorpidito dall'oggi: impresa ardua, schiaffo alla routine, opera che chiede un patto con il pubblico, quasi una resa.
Marco Filiberti, per quanto regista cinematografico e teatrale, attore, impresario, scrittore, drammaturgo e filologo per vocazione di inesausta ricerca, non è definibile in nessuno di questi ruoli né nella loro somma, così come la sua opera Parsifal non può ridursi nelle definizioni di film, opera teatrale filmata, opera musicale. Entrambi, Marco Filiberti e la sua opera, sono essi stessi una condizione dell'anima e anche una condizione fisica: controcorrente, anacronistici, antichi, attuali, provocatori, gentili in ogni accezione, alieni alla modernità, alla contemporaneità; Marco Filiberti ed il suo Parsifal sono un invito di impressionante impatto visivo, sonoro, psicologico e verbale, a fermare gli automatismi della quotidianità e alzare lo sguardo oltre.
Una richiesta gentile, violenta e straniante al contempo, una perentoria, ferma e cortese richiesta di riflessione pura nella routine turbinosa che ci costringe ogni giorno a dedicare tutti noi stessi sempre e solo all'inessenziale, illudendoci che questa sia la nostra unica, possibile scelta.
Dalla campagna toscana, dove vive in un ritiro di stampo antico, interrotto solo dai lunghi periodi di lavoro coi suoi giovani attori ai quali chiede, con meticolosa pazienza, un inveramento dei personaggi che è prima di tutto rifiuto di qualunque prassi contemporanea, Marco Filiberti dedica un tempo anacronistico alla ricerca filosofica e filologica prima, poi alla stesura del testo, sempre finemente intessuto di riferimenti e citazioni letterarie di vertiginosa verticalità, quindi alla scelta e preparazione degli attori all'inattualità della loro funzione provocatoria di corpi poetici, e ancora alla costruzione di un'estetica visuale di estrema potenza, ma mai fine a sé stessa e da ultimo, ma non ultimo, alla musica, grande passione e somma competenza di Filiberti che trasforma ogni sua opera, ma in primis il Parsifal, in un affresco musicale di assoluta autonomia artistica, quasi una seconda opera nell'opera, di certo un pensiero profondamente e consapevolmente wagneriano che riscrive oggi l'approccio abituale alla colonna sonora cinematografica.
Sin dagli esordi della sua carriera l'intreccio di musica e teatro nel lavoro del milanese Filiberti è inscindibile, ma nel Parsifal la commistione di recitar cantando testi di prosa metrica e musica diventa essa stessa il primo strumento di straniamento per il pubblico: una simbiosi fortissima, classica, prima ancora che wagneriana, ed essa stessa messaggio in ritmo, armonia e melodia.
In un tessuto sonoro naturale all'ascolto, ma inatteso nelle scelte di estratti da Wagner, Čajkovskij, Britten, R. Strauss, Dowland, Webern, Bartók con incursioni nel grande jazz della Golden Age, tutti sapientemente cuciti fra di loro dall'intervento creativo della drammaturgia musicale di Stefano Sasso, consolidato collaboratore di Filiberti e dalle composizioni originali del pianista e compositore pesarese Paolo Marzocchi, sempre sotto lo stretto controllo di Marco Filiberti, la nuova opera musicale Parsifal segna un capitolo importante nella comunicazione non verbale per eccellenza, la musica.
IL FILM
L'opera cinematografica è maturata attraverso una lunga preparazione di tutti gli interpreti, giovani e selezionatissimi attori chiamati ad un'immersione totale, e dei principali reparti.
Il film è girato in parte in un "deserto di rovine" – location toscane vissute più in chiave metafisica che agiografica – in parte in teatro di posa, ricostruzione poetica e allusiva di luoghi ad alta connotazione antropologica, un porto e un bordello dell'ultima stagione degli "umani, troppo umani".
L'impianto visivo del film, principale sforzo produttivo insieme a quello scenografico, converge nel perseguimento di una cifra pittorica, poetica, ma sempre credibile, identificabile con l'Autore e il suo protagonista, tesa a smascherare l'inganno del Reale per mostrare in filigrana il Vero, ciò che la Realtà nasconde.
Le transizioni tra i diversi piani visivi e le loro "aree semiotiche" (il porto della Terra Desolata; i vagabondaggi di Parsifal nel mondo; Montsalvat; e, infine, il bordello), pur assumendo una loro specificità ben identificata, sono iscritte in una sintassi di tipo continuativo. Se il (primo) porto della Terra Desolata è un Non-Tempo metafisico, indeterminato e pesante, dominato dal colore plumbeo del cielo e da un mare di petrolio, i passaggi di Parsifal nel grembo di Madre Natura, ora aperti in campi lunghi ora stretti nell'intimità anche fisica del protagonista, enfatizzano la presenza di spazi distribuiti in piani prospettici sfumati e pittorici; ancora, se Montsalvat è luogo immenso, solenne, rovinoso, buio, indecifrabile, tagliato da fasci luminosi, la taverna invece – sorta di prequel, unico "fatto" fenomenologicamente evidente e generativo di tutto il resto – gronda di "realtà". Se nel porto tutto dirama verso una percezione metafisica e sospesa, qui a dominare è "carne e sangue", e un tempo storico preciso, con quel tipo di donne e quel tipo di uomini (siamo circa nel 1935). Cromatismo acceso, luci morbide e appiccicose, scenografia poetico-evocativa enfatizzano quella "finzione" propria di un certo tipo di cinema che trova la sua credibilità proprio nell'artificiosità più dichiarata.
Il formato scelto è il panoramico 2.40:1, in grado di restituire tutta la specificità del mezzo cinematografico; inoltre lo scope 2.40 predispone all'unicum dell'esperienza visiva del film e permette di evidenziare al meglio le relazioni spaziali e gli stratificati sotto-testi che animano la vicenda e i suoi personaggi. Abbiamo optato per l'utilizzo di obiettivi Cooke Panchro con elementi ottici risalenti agli anni '50, capaci di aggiungere una densità di carattere pittorico alle immagini e una speciale cifra visiva legata all'unicità delle caratteristiche risolventi e cromatiche di ogni singola focale.
Il film è stato girato principalmente con macchine da presa digitali Arri Alexa in formato Arriraw, per quanto sono presenti anche inserti flashback in pellicola 16mm, supporto dalla resa organica e materica che ben si adatta al carattere intimo legato alla memoria soggettiva richiesta.
Ogni fonte di luce ha una sua motivazione diegetica, ma anche un rimando necessario alla sorgente trascendentale del pensiero dell'Autore, nonché una precisa temperatura cromatica connessa a quella emotiva della scena. Il carattere della luce risulta, in tal modo, direzionale ma anche morbido nell'avvolgere i personaggi e nel posarsi sugli avvenimenti umani e sugli spazi che li ospitano.
La palette cromatica si ispira ai toni dei colori su tela, tenendosi su una pigmentazione materica che inclina a tinte più vibranti nei momenti di immersione nella natura e nell'emotività esasperata della taverna anni '30.
Anche nella composizione delle inquadrature si è sentita l'esigenza di sottolineare la profondità volumetrica degli spazi, la tridimensionalità delle figure, il rimando a una koinè visiva accreditata dall'arte occidentale, per quanto mai meramente citazionistico, per attraversare visivamente i molteplici livelli su cui si dipanano azione e personaggi in ogni istante.
L'occhio dello spettatore, per quanto guidato nella messa in scena da vettori visivi forti e da specifici rapporti di contrasto luministici e cromatici, ha al contempo la possibilità di muoversi nel fotogramma e di assorbire gli svariati elementi in gioco nella messa in scena, per penetrare il mistero dei volti, degli sguardi e degli ambienti.
HomeVideo (beta)
info: 23 Settembre 2021 al Cinema; 3 Novembre 2022 in TVOD e DVD.
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