Il giuramento di Pamfir (2022)
PamfirIl ritorno a casa del buon padre di famiglia, costretto a rimettersi in discussione e a giocare sporco per salvaguardare il suo nucleo familiare. Un film prezioso, un’immersione in atmosfere e culture che paiono magiche e intrise di mistero. Una storia di contrabbandieri di confine immersa dentro usi e costumi di una società ancorata alle suggestioni di un passato in cui religione ed eresia sapevano fondersi in modo inestricabile.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 10 Agosto 2023Uscita in Italia: 10 Agosto 2023 al Cinema
Genere: Drammatico
Nazione: Ucraina, Francia, Polonia, Cile, Lussemburgo - 2022
Durata: 100 minuti
Formato: Colore
Distribuzione: Movies Inspired
Cast e personaggi
Regia: Dmytro Sukholytkyy-SobchukSceneggiatura: Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk
Fotografia: Nikita Kuzmenko
Montaggio: Nikodem Chabior
Cast Artistico e Ruoli:
Oleksandr Yatsentyuk
Pamfir
Solomiya Kyrylova
Olena
Stanislav Potiak
Nazar
Olena Khokhlatkina
Madre
Myroslav Makoviychuk
Padre
Ivan Sharan
Fratello
Suono: Serhiy Stepanskyy | Mix sonoro: Matthieu Deniau | Design di produzione: Ivan Mykhailov | Produttori: Aleksandra Kostina per Bosonfilm e Jane Yatsuta (Ucraina) in coproduzione con Laura Briand per Les Films d'Ici (Francia), Bogna Szewczyk e Klaudia Smieja-Rostworowska per Madants (Polonia), Giancarlo Nasi per Quijote Films (Cile) | Co-produttori: Artem Koliubaiev per Mainstream Pictures e Alyona Tymoshenko (Ucraina), Adolf El Assal per Wady Films (Lussemburgo), Silvana Santamaria per Soilfilms (Germania), Adam Gudell per Moderator Inwestycje (Polonia), Studio Orlando (Francia).
Immagini
Intervista al regista
Com’è nato Pamfir?
La sceneggiatura di Pamfir è il risultato di un’evoluzione professionale. Il mio film di diploma, Krasna Malanka, seguiva i preparativi del carnevale di Malanka e successivamente ho realizzato un breve documentario, Intersection, in coproduzione con la Romania. Questi due film sono stati girati in una zona di confine tra l’Ucraina e la Romania, in una realtà dove molte cose continuano a essere “fuori dall’ordinario”. In particolare, la pratica del contrabbando, sulla quale ho raccolto molte testimonianze fuori campo mentre conversavo con i giovani e i meno giovani coinvolti in questa attività. Attraverso la storia di Pamfir, intendevo affrontare il tema dell’emigrazione ucraina e dell’abisso che separa il mio paese dall’Unione Europea. Allo stesso tempo, però, volevo raccontare la storia di un uomo comune ridotto alla disperazione. Un uomo che, nel tentativo di preservare il suo mondo ideale, trasgredisce a tutta una serie di norme etiche e di leggi umane per offrire, a ogni costo, un futuro migliore al figlio. È la storia di un uomo onesto che diventa una bestia, ma è anche una storia d’amore, tenera e crudele al tempo stesso.
Potrebbe comparare il suo film a una tragedia greca trasposta sullo sfondo della campagna ucraina?
Pamfir è un dramma che ripropone il mito biblico di Abramo secondo i canoni della tragedia greca, sullo sfondo del celebre carnevale ucraino di Malanka. Nel film ci sono sei personaggi principali di cui Pamfir è la figura centrale che dà il via alla catena di eventi. La storia si concentra principalmente sul rapporto di Pamfir con la moglie Olena e il figlio Nazar, ma anche sul suo rapporto con la madre e il fratello Viktor, e soprattutto, sul suo conflitto con il padre. Come in un giallo, ogni scena serve a spiegare le ragioni di questo conflitto e svela l’intreccio delle relazioni familiari. L’attività di contrabbando, il mono del villaggio e il carnevale di Malanka fanno da sfondo a questa catena di eventi.
Per me è estremamente importante riuscire a riprodurre sullo schermo una realtà particolare. In quanto regista il mio compito è di realizzare un film costruito sull’azione, con un minimo di dialogo e basato su una storia universale comprensibile e commovente per il pubblico di qualsiasi nazionalità. Il mio obiettivo è quella di incarnare la psicologia di personaggi complessi e sfaccettati, che agiscono all’interno di situazioni paradossali.
Può dirci qualcosa di più sulla Malanka e sul motivo per cui ha scelto di inserirla nel film?
La Malanka è una festa tradizionale ucraina che viene chiamata anche “carnevale” o “baccanale”. È una festa ancestrale che risale alla tradizione carnevalesca cara a Rabelais. Ogni partecipante indossa una maschera specifica, che gli attribuisce un differente ruolo sociale. Nella parte occidentale dell’Ucraina festeggiamo la Malanka per tutta la notte del 13 gennaio. In alcuni villaggi la Malanka è uno dei personaggi del carnevale o il carnevale stesso e viene invitata ad entrare in ogni casa del paese. Gli abitanti recitano delle scene o intonano dei canti, bevono, vagano per le strade del villaggio e danzano. Il tutto culmina in una grande festa o in un finto combattimento scenico. Nella maggior parte dei villaggi l’anno viene scandito dalla festa della Malanka, piuttosto che dal Natale o dal Capodanno. I preparativi richiedono molto tempo e ognuno sceglie il proprio costume in base a come percepisce sé stesso all’interno dell’evento. Per me è questa la parte più importante di tutta la faccenda, perché ognuno sceglie deliberatamente un costume che riflette la visione che ha di sé.
La Malanka è tradizionalmente associata alla morte, ma dopo la morte c’è la resurrezione e il rito attinge sia da modelli pagani che cristiani. Ciò che mi affascina di più in questa cerimonia è il modo in cui tutta l’energia, sia collettiva che individuale, viene liberata. Durante la realizzazione del mio documentario Krasna Malanka ho viaggiato per più anni incontrando diverse persone e in seguito mi è venuto il desiderio di evocare ciò che avevo vissuto attraverso un film di finzione. Ecco perché la Malanka è diventata un elemento fondamentale, un punto di partenza per comprendere la gerarchia delle comunità dei villaggi di confine che seguono questa tradizione. Mentre osserviamo Victor o Nazar scegliere i loro ruoli, capiamo che sta succedendo qualcosa e il mio obiettivo è quello di guidare lo spettatore come se fosse un osservatore silenzioso.
Il film è ambientato nella regione multietnica di Černivci, in cui lei è nato. Potrebbe spiegarci la particolarità di quest’area?
Černivci è il tipico crocevia culturale che si può trovare soltanto in una regione di confine. Vi abitano rumeni, ebrei, moldavi, armeni e molte altre etnie. È una sorta di melting pot dove si mescolano culture, si incrociano nazionalità e vi è sincretismo religioso. Questa eterogeneità di credenze è molto diffusa nelle regioni montuose: gli abitanti credono in Dio e nella Trinità, anche se poi celebrano riti pagani e consultano indovini. Sin da quando ero piccolo questo sincretismo ha fatto parte della mia vita di tutti i giorni: quando mi ammalavo, mi portavano sia dal medico che dalla cartomante. Ciò ha avuto un grande impatto sulla mia personalità, così come sulla scelta del soggetto e dell’ambientazione del mio film e sull’origine del protagonista.
Il film mette insieme generi differenti, dal western e del film noir. Quali sono state le sue fonti di ispirazione?
Io e il mio direttore della fotografia non abbiamo avuto un’unica fonte di ispirazione. Gli ho solo chiesto di guardare i quadri di Caravaggio e di tenerli a mente. Gli ho anche chiesto di osare nella scelta dei colori e quindi, alla fine, possedevamo una nostra peculiare tavolozza cromatica. Pamfir è una storia famigliare variopinta con tinte estremamente calde e ricche. Mentre scrivevo la sceneggiatura ho integrato alcuni codici specifici dei generi cinematografici. Ad esempio, il ritorno del personaggio in un luogo del suo passato a cui non appartiene più, è un tema classico del western. Mi sono reso conto che nel film si mescolavano generi differenti, ma poiché volevo giocare con i codici, non mi sono posto limiti.
Ho usato questo labirinto di generi sia nella sceneggiatura che sullo schermo per concentrarmi più sul significato che sulla forma. Mentre lavoravo alla parte visiva ho capito che dovevo creare una mitologia e che per farlo potevo utilizzare i differenti generi cinematografici. Ciò che mi interessava era l’incrocio dei generi e non volevo attenermi a un unico riferimento anche se nel film ho voluto fare alcune citazioni. La Malanka, per esempio, è un richiamo al “Paesaggio con la caduta di Icaro” di Bruegel, che rappresenta visivamente il proverbio fiammingo “Nessun aratro si ferma perché muore un uomo”. In primo piano vediamo che la vita scorre normalmente, mentre sullo sfondo possiamo osservare una tragedia, che però diventa secondaria in questo contesto.
Come è stato lavorare con il suo direttore della fotografia Nikita Kuzmenko?
Conoscevo Nikita da tempo e avevo già lavorato con lui in un film studentesco. Anche lui ama i Carpazi e aveva già girato fra queste montagne. Abbiamo cominciato il progetto dopo una lunga fase di sviluppo. L’obiettivo era quello di seguire il protagonista, come in un tunnel o in un labirinto, e di accompagnare i suoi passi fino in fondo al percorso, senza fermarci. Il movimento della macchina da presa doveva riflettere il ritmo della vita del personaggio. Abbiamo provato nei Carpazi per otto settimane e durante l’esplorazione delle location abbiamo cercato di individuare il maggior numero di angoli, di svolte, di curve e di porte.
Nikita è un virtuoso e ha svolto il suo lavoro alla perfezione, come un calligrafo giapponese. Volevamo che tutto fosse assolutamente fluido e una volta ottenuto questo risultato, abbiamo potuto rifinire il materiale concentrandoci sui particolati.
Come avete scelto gli attori e come avete lavorato con loro sul set?
Dopo avere cercato per due anni qualcuno adatto ad interpretare Pamfir ho incontrato Oleksandr Yatsentyuk, che si è rivelato un attore davvero rigoroso e professionale. Gli sono grato di aver accettato di partecipare a una tale maratona. Quando gli ho chiesto di ingrassare, mi ha fatto solo due domande: “di quanti chili e per quanto tempo?”
La maggior parte del cast, provenendo dall’Ucraina occidentale, sapeva parlare il dialetto, mentre Olena Khokhlatkina, (la madre di Pamfir), essendo originaria dell’est, ha dovuto impararlo. Sebbene abbia pochi dialoghi nel film è stata costretta a prepararsi molto più degli altri attori.
Per Nazar, (il figlio di Pamfir), abbiamo organizzato un casting in un campeggio improvvisato: i ragazzi giocavano insieme, dandosi soprannomi e improvvisando situazioni diverse.
Sia per Oleksandr Yatsentyuk (Pamfir), che per Solomiya Kyrylova (Olena), Pamfir è stato un debutto assoluto. Anche Stanislav Potiak (Nazar) è al suo primo film, ma è comunque un attore non professionista.
Grazie alla mia esperienza nel cinema documentaristico ho stabilito un mio metodo specifico di lavorare con gli attori. Nel mio cortometraggio Weightlifter ho provato per più di quattro mesi con i sollevatori di pesi e i loro partner e dunque l’intero film utilizza attori non professionisti. Per me due cose sono fondamentali nella regia: l’improvvisazione e saper spingere gli attori al loro limite. Sono queste i due stadi fondamentali che gli interpreti di un film devono attraversare.
Anche il montaggio è una parte importante del suo lavoro.
La mia idea era che il montatore si limitasse a leggere la sceneggiatura e che poi ricevesse il girato solo dopo le riprese. Siccome abbiamo montato il film separatamente, durante la pandemia di Covid, ognuno di noi ha creato la sua storia personale. Era come se stessimo montando due film contemporaneamente, in quanto ognuno di noi due aveva la sua versione. Io ero determinato a non cancellare nemmeno un fotogramma. Poi ci siamo incontrati dopo il lockdown e abbiamo iniziato a montare un “terzo” film. La sfida più grande è stata quella di trovare un modo per iniziare e terminare ogni scena. Era importante conservare l’energia della sequenza precedente per passare a quella successiva. Abbiamo fatto del nostro meglio per mantenere l’unità di una tragedia che attinge da diversi generi. Nikodem cercava soluzioni estremamente precise. Io conoscevo bene il materiale, ma lui lo conosceva a memoria. Insieme abbiamo sperimentato molte soluzioni, dal punto di vista creativo.
Lei ha lavorato a Pamfir per diversi anni. Qual è il suo stato d’animo mentre il suo primo lungometraggio, che si svolge in un villaggio di confine, si prepara all’uscita in un contesto in cui l’Ucraina sta difendendo i propri confini?
Sento che negli ultimi trent’anni, da quando l’Ucraina è diventata indipendente, noi abbiamo fatto nostre le aspirazioni delle generazioni precedenti: vogliamo vivere al di fuori della sfera di influenza sovietica e vogliono far parte della grande grande comunità democratica dell’Unione Europea. Dal 2014, questo desiderio di affrancarsi il più possibile da ogni ingerenza russa è diventato sempre più evidente.
Pamfir è un padre che vuole il meglio per suo figlio e fa di tutto per ottenerlo, anche tentando l’impossibile. Sacrifica addirittura sé stesso e le sue convinzioni per dare al figlio un futuro migliore. Più riflettiamo su chi siamo e sul perché siamo in guerra, più ci rendiamo conto che le basi di questa lotta per la libertà non sono state poste negli ultimi dieci o trent’anni, ma nel corso di secoli. Mi sembra che Pamfir sia il tipico ucraino che lotta per il proprio futuro a prescindere dalle difficoltà del passato. Si identifica totalmente con l’Ucraina e il suo stile evoca il look modernizzato di un cosacco zaporozhiano. Lei ha realizzato sia documentari che film di finzione. Quali sono i suoi progetti futuri?
Con la guerra che imperversa in Ucraina, non riesco a fare piani che vadano oltre i tre/ cinque giorni. Le cose possono cambiare in un secondo: potrebbe esserci un’esplosione proprio accanto a me, anche in un luogo che sembra sicuro. Voglio stare accanto ai miei compatrioti. Dal 24 febbraio avevo lasciato l’Ucraina per qualche giorno per terminare la post-produzione, ma per me è importante essere qui adesso.
Sono consapevole che il lavoro di un regista non abbia lo stesso impatto, ad esempio, della competenza tattica in un combattimento. Tuttavia, penso che se tutti gli artisti ucraini uccisi dal regime sovietico nel XX secolo fossero sopravvissuti, avrebbero potuto tracciare una nuova rotta per la nostra identità nazionale. Ecco perché ritengo che sia molto importante documentare ciò che sta accadendo in questo momento. E questo è ciò che sto facendo.
Non so cosa succederà dopo. Credo profondamente nella nostra vittoria. Da parte mia, faccio tutto il possibile per aiutare il mio Paese.
dal pressbook del film
Eventi
Presentato In Concorso al 40mo Torino Film Festival.
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