Poster The Monuments Men

Monuments Men (2014)

The Monuments Men
Locandina Monuments Men
Monuments Men (The Monuments Men) è un film del 2014 prodotto in USA, diretto da George Clooney. Il film dura circa 118 minuti. Il cast include George Clooney, Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin, Bob Balaban, Hugh Bonneville, Cate Blanchett. In Italia, esce al cinema giovedì 13 Febbraio 2014 distribuito da 20th Century Fox. Disponibile in homevideo in DVD da giovedì 5 Giugno 2014. Al Box Office italiano ha incassato circa 3842271 euro.

Ispirato alla storia vera della più grande caccia al tesoro di tutti i tempi, Monuments Men segue la vicenda, durante la seconda Guerra mondiale, di un singolare plotone istituito dal Presidente Roosevelt con il compito di recarsi in Germania e recuperare i capolavori artistici trafugati dai nazisti per poterli restituire ai legittimi proprietari. La missione appare impossibile: le opere d’arte si trovano dietro le linee nemiche e, con la caduta del Reich, l’esercito tedesco ha ricevuto l’ordine di distruggere tutto. Come può il plotone, composto da sette uomini tra direttori di museo, curatori e storici dell’arte, più avvezzi a maneggiare opere di Michelangelo che non M-1, sperare di riuscire nell’impresa? Ma quando i “Monuments Men” si trovano coinvolti in una gara contro il tempo per evitare la distruzione di 1000 anni di cultura, tutti mettono in gioco la loro vita per proteggere e difendere i grandi tesori dell’umanità.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 13 Febbraio 2014
Uscita in Italia: 13/02/2014
Data di Uscita USA: venerdì 7 Febbraio 2014
Prima Uscita: 07/02/2014 (USA)
Nazione: USA - 2014
Durata: 118 minuti
Formato: Colore
Distribuzione: 20th Century Fox
Budget: 70.000.000 dollari (stimato)
Box Office: USA: 76.599.000 dollari | Italia: 3.842.271 euro
In HomeVideo: in DVD da giovedì 5 Giugno 2014 [scopri DVD e Blu-ray]

Recensioni redazione

Monuments Men, la recensione
Monuments Men, la recensione
Giorgia Tropiano, voto 6/10
Monuments Men, il nuovo film di George Clooney, è un'opera importante per ciò che racconta, una storia poco conosciuta e poco trattata, ma è anche una pellicola minore nella sua filmografia da regista, con aspetti negativi e non riesce a convincere fino in fondo.

I Veri Monuments Men e l’Arte

Per secoli gli eserciti conquistatori hanno considerato le opere d’arte dei paesi occupati come bottino di guerra. Ma il mondo non era pronto al saccheggio perpetrato dai nazisti, che razziarono milioni di tesori durante la loro marcia attraverso l’Europa.
Adolf Hitler era un grande appassionato di arte, un aspirante artista frustrato, essendo stato respinto due volte dalla prestigiosa Accademia di belle arti di Vienna. Ora poteva realizzare il sogno di trasformare la sua città natale di Linz, in Austria, in una città modello. Il cuore di questa metropoli di sogno sarebbe stato il Führermuseum, che avrebbe ospitato ed esposto il meglio del patrimonio artistico mondiale: dipinti, sculture, arazzi… qualunque cosa che Hitler avesse considerato di valore per la sua collezione. Il principale procacciatore di opere d’arte fu il suo secondo in comando, il Reichsmarschall Hermann Göring, che peraltro tenne per sé un gran numero di oggetti confiscati.
Il volume complessivo di beni trafugati è sbalorditivo: oltre cinque milioni dei massimi capolavori presenti in Europa furono razziati dai nazisti. Si trattava di decine di migliaia di opere dei massimi artisti, un vero e proprio compendio dell’arte classica: Michelangelo, Leonardo, Rembrandt, Van Eyck, Vermeer e molti altri. Un unico deposito, la miniera di salgemma di Altaussee, in Austria, conteneva 6.577 dipinti, 230 disegni o acquerelli, 137 sculture, 122 arazzi e 1200-1700 casse di libri rari.
Mentre si diffondevano negli Stati Uniti le voci sulle confische naziste e sulla distruzione di chiese, musei e monumenti da parte di entrambi gli schieramenti, i leader della comunità artistica americana cercarono di organizzarsi per salvare la storia culturale del mondo occidentale. Essi sottoposero la questione al Presidente Franklin D. Roosevelt e, con il suo sostegno, costituirono l’American Commission for the Protection and Salvage of Artistic and Historic Monuments (la Commissione americana per la tutela e la salvaguardia dei beni artistici e storici). Dalla Commissione nacque la MFAA (Monuments, Fine Arts and Archives), la sezione Monumenti, belle arti e archivi, a cui fu assegnato l’incarico di proteggere i monumenti storici ancora esistenti e recuperare le opere d’arte trafugate per restituirle ai legittimi proprietari.
Quando la Germania depose le armi, i Monuments Men presenti sul campo in nord Europa erano solo una dozzina circa:

• Il tenente comandante George Stout, esperto nel campo della conservazione e ideatore dei Monuments Men. Stout era il leader riconosciuto del gruppo (i gradi militari non riflettevano necessariamente la gerarchia all’interno della MFFA).
• Il tenente comandante James J. Rorimer, futuro direttore del Metropolitan Museum di New York e principale artefice della celebre sezione dei Cloisters del Met.
• Il capitano Walker Hancock, uno degli scultori più rinomati d’America.
• Il capitano Robert Posey, noto architetto che lavorò come consulente della MFAA nella 3a Armata del generale Patton.
• Il soldato semplice Lincoln Kirstein, futuro fondatore del New York City Ballet.
• Il soldato semplice Harry Ettlinger, ebreo tedesco, diciotto anni, il più giovane del gruppo. Ettlinger era immigrato in America con i genitori poco dopo l’ascesa al potere dei nazisti in Germania. Sebbene Ettlinger non appartenesse agli stessi circoli culturali degli altri, diede un contributo impagabile al gruppo come autista e traduttore.

I Monuments Men trovarono una valida alleata a Parigi, nella persona di Rose Valland, una storica dell’arte, membro della resistenza francese e, al tempo dell’occupazione nazista, responsabile del museo Jeu de Paume. I tedeschi usarono il museo come deposito centrale per la raccolta e l’ordinamento di un volume di circa 20.000 opere d’arte.
La Valland teneva traccia di nascosto di tutti i capolavori che transitavano per il museo. Per quattro anni mantenne segreta la conoscenza della lingua tedesca, mentre annotava la destinazione di tutti i beni in partenza e, con grande rischio personale, ne informava la resistenza francese.
La Valland è una delle donne con il maggior numero di onorificenze nella storia di Francia.

A marzo 1945, con le truppe alleate in rapido avvicinamento, Hitler promulgò l’infame “Decreto sullo smantellamento dei territori del Reich” (denominato ‘Ordine Nerone’), che disponeva la distruzione delle infrastrutture tedesche per impedirne l’uso alle forze alleate e la cui interpretazione andò a ricomprendere anche le immense collezioni di capolavori rubati.
Mentre i Monuments Men erano responsabili del recupero e della conservazione di milioni di tesori artistici europei, due pezzi in particolare assunsero un significato speciale: la Madonna di Bruges e il polittico dell’Agnello Mistico.

La Madonna di Bruges
La quarta opera di Michelangelo sul tema della Madonna col Bambino rappresenta un allontanamento dalle sue opere precedenti. La Madonna non culla il Bambino tra le braccia né in grembo e questi le sta scivolando tra le ginocchia, quasi come se si accingesse a compiere il primo passo. Lo sguardo fisso e triste della madre sembra suggerire la consapevolezza del destino del figlio.
Attorno al 1506 i fratelli Mouscron, ricchi mercanti fiamminghi di tessuti, portarono con sé in Belgio la statua in marmo alta 128 cm, che fu collocata sull’altare della cappella di famiglia nella chiesa di Nôtre-Dame a Bruges. La Madonna di Bruges è il capolavoro più celebre del Belgio. La scultura, prelevata dai nazisti nel settembre del 1944, fu recuperata e restituita alla nazione dai Monuments Men.

Polittico dell’Agnello Mistico
L‘Adorazione dell’agnello mistico o agnello di Dio è l’espressione suprema della pittura fiamminga primitiva ed è uno dei capolavori più spettacolari e ammirati del mondo. Il dipinto è generalmente chiamato ‘pala d’altare di Gand’, essendo custodito nella cattedrale di San Bavone nella città belga di Gand.
Si ritiene che l’opera sia stata iniziata da Hubert Van Eyck attorno al 1415 e, dopo la sua morte nel 1426, sia stata completata dal più prolifico fratello minore Jan, che ultimò il lavoro nel 1432. Gli storici dell’arte sono generalmente concordi nel ritenere che fu Jan a dare il contributo massimo al dipinto. Il polittico è una complessa realizzazione composta da dodici pannelli, otto dei quali muniti di cerniere che ne consentono la chiusura e che sono dipinti su entrambi i lati, in modo da essere visibili anche quando il polittico è chiuso.
Il Polittico di Gand è altresì noto per essere una delle opere d’arte rubate con maggiore frequenza:

• 1566: fu smontato e nascosto per impedire che venisse bruciato dai calvinisti quale icona cattolica.
• Tra il 1784 e il 1860: due pannelli, su cui erano dipinte le figure nude di Adamo ed Eva, scomparvero misteriosamente.
• I794: i quattro pannelli che illustrano l’adorazione furono portati a Parigi dall’esercito francese.
• 1816/17: sei pannelli furono acquistati da Guglielmo di Prussia.
• 1914-1918: l’opera venne suddivisa tra tre città, Bruxelles, Berlino e Gand.
• Nel 1914: i tedeschi trafugarono i pannelli che raffiguravano Adamo ed Eva.
• 1919: una clausola nel Trattato di Versailles – su insistente richiesta del mondo dei critici dell’arte – prevedeva la restituzione di tutti i pannelli alla città di origine. La clausola non fu onorata fino al 1923.
• 1935: i pannelli dei Giudici giusti e di San Giovanni Battista furono rubati e venne chiesto un riscatto. Quello di San Giovanni fu restituito come segno di “buona volontà”, senza pagamento di alcuna cifra. Il pannello dei Giudici non fu mai recuperato e il restauratore belga Jan van der Veken lo ridipinse dopo la seconda guerra mondiale.

Il Film

“La storia dei Monuments Men non è molto conosciuta”, dichiara George Clooney, che torna nel ruolo di regista per narrare la vicenda di un piccolo gruppo di artisti, storici dell’arte, architetti e curatori museali nel nuovo film Monuments Men. “Artisti, mercanti d’arte, architetti – erano tutti uomini ben oltre l’età del servizio di leva o dell’arruolamento volontario. Ma tutti accettarono di partecipare alla missione, perché avevano la consapevolezza che la cultura rischiava di essere distrutta. Il loro fallimento avrebbe comportato la perdita di sei milioni di oggetti d’arte. Non avrebbero permesso che ciò accadesse e, di fatto, riuscirono a portare a termine l’impresa”.
L’opportunità di girare un film sulla seconda guerra mondiale era molto allettante per Clooney e il socio Grant Heslov. “C’è qualcosa di avvincente in questo genere di film: basta pensare a ‘La grande fuga’ (The Great Escape), ‘La sporca dozzina’ (The Dirty Dozen), ‘I cannoni di Navarone’ (The Guns of Navarone), ‘Il ponte sul fiume Kwai’ (The Bridge on the River Kwai)”, afferma Clooney. “In quei film ci siamo innamorati dei personaggi interpretati dagli attori come della storia. E abbiamo pensato che con Monuments Men avremmo potuto avere un grande cast di attori contemporanei per la nostra versione di quel genere di film – ci è piaciuto molto metterci alla prova”.
Uno degli aspetti toccanti nel film è che tutti i Monuments Men erano uomini inadatti a prestare servizio come soldati. “Le guerre sono combattute dai giovani”, dichiara Clooney. “Uomini come John Goodman, Bob Balaban o George Clooney non vengono arruolati”. Aggiunge Heslov: “Essi accettarono l’incarico perché era chiaro che fossero gli unici a poterlo svolgere”.
“In effetti, non abbiamo mai pensato che questo fosse un film di guerra, quanto piuttosto un film sul più grande furto della storia”, dichiara Clooney. “E poi, il primo giorno sul set, tutti hanno indossato uniformi ed elmetti”.

Clooney è stato attratto dall’idea di realizzare Monuments Men non solo per l’argomento drammatico ed emozionante, ma anche perché rappresenta un taglio netto e deciso rispetto al suo film più recente, “Le idi di marzo” (The Ides of March). “Siamo molto orgogliosi di quel film, che è un film contemporaneo, ‘piccolo’ e anche cinico”, afferma Heslov.
“Abbiamo realizzato alcuni film piuttosto cinici ma, in linea di massima, quello non è un nostro tratto caratteriale”, aggiunge Clooney. “Perciò avevamo voglia di girare un film che fosse più diretto, vecchio stile e con una prospettiva positiva”.
Quanto alla ricerca del soggetto, Heslov ricorda che aveva da poco finito dei leggere il libro The Monuments Men di Robert M. Edsel e Bret Witter, e di averlo segnalato a Clooney. Era l’occasione di narrare una storia su scala epica, una storia vera con una posta in gioco altissima.
“All’epoca mi trovavo a Firenze. Un giorno stavo attraversando Ponte Vecchio, l’unico ponte che i nazisti avessero risparmiato durante la loro fuga nel 1944, quando ho ripensato a quello che è stato il peggiore conflitto della storia e mi sono domandato come fossero riusciti a sopravvivere tanti tesori artistici e chi li avesse salvati”, ricorda Edsel. “Ho voluto trovare una risposta a queste domande”.
La risposta aveva un nome: Monuments, Fine Arts and Archives Group (MFAA), la sezione Monumenti, belle arti e archivi dell’esercito anglo-americano, i cui membri raggiunsero il fronte per cercare di salvare tutto ciò che poteva essere salvato. “La cultura era in pericolo”, dichiara Clooney. “Lo abbiamo visto e rivisto più volte, è accaduto anche in Iraq, dove i musei non erano protetti e gran parte della cultura nazionale è andata perduta”.
“Ancora oggi ci sono persone che stanno cercando di recuperare le opere d’arte che furono confiscate alle loro famiglie dai nazisti”, afferma Heslov, osservando che proprio di recente, in un appartamento di Monaco, è stato scoperto un tesoro di oggetti d’arte rubati: 1.500 opere del valore di $1,5 miliardi, comprendenti dipinti di Matisse, Picasso, Dix e altri artisti, che si pensava fossero andate perdute.
“È evidente che questa storia non si è conclusa nel 1945: la ricerca delle opere d’arte scomparse continua tuttora”, aggiunge Heslov. “Sono migliaia i capolavori ancora mancanti all’appello, mentre altrettanti ai trovano in case private o in bella mostra nei musei. Riuscite a immaginare se tutto fosse andato distrutto? Sarebbe stata una tragedia”.
“La storia analizza la seconda guerra mondiale da una prospettiva differente”, dichiara Cate Blanchett, che interpreta il ruolo chiave di Claire Simone, una donna che custodisce la chiave del nascondiglio in cui è ammassata una raccolta unica di migliaia di tesori e beni d’arte di valore incalcolabile. “Questi uomini furono spinti da un ideale superiore. Ciò significa che molte delle opere che ammiriamo nei grandi musei del mondo e che diamo per scontate tornarono ai loro luoghi di origine grazie a questi eroi che compirono una missione quasi impossibile. È la storia incredibile del più improbabile gruppo di soldati: i Monuments Men, che raggiunsero il fronte per chiedere ai generali impegnati in prima linea di interrompere i bombardamenti su una chiesa o in un’area, in modo da sottrarre alla distruzione una vetrata, una scultura, un affresco. C’è da domandarsi come siano riusciti a salvare anche un solo oggetto d’arte. Il loro fu uno straordinario gesto di altruismo disinteressato, compiuto al solo scopo di preservare la storia”.
Sebbene avessero il sostegno del Presidente Roosevelt e del Generale Eisenhower, i Monuments Men dovettero affrontare non poche difficoltà per ricavarsi un proprio spazio sul campo. “Eisenhower fu molto chiaro su questo fatto: voleva essere certo che rimanesse qualcosa quando la guerra fosse terminata ed era certo che la guerra sarebbe finita molto presto”, dichiara Clooney. “Roosevelt prese la decisione dopo che un bombardamento delle forze alleate aveva distrutto un’antica abbazia che non aveva nessuna ragione di essere abbattuta. Era quindi importante proteggere l’arte non solo dai nazisti, ma anche dagli attacchi degli Alleati mentre si facevano strada verso la conclusione della guerra. Gli Alleati sparavano e facevano esplodere tutto, quindi ci si rese conto che la cultura poteva essere distrutta non solo dai nazisti, ma anche da noi”.
Edsel afferma che molti direttori di museo negli Stati Uniti erano preoccupati per i capolavori artistici e culturali che rischiavano di andare perduti durante la guerra ma, anziché operare di concerto, ognuno aveva i propri obiettivi e un proprio piano d’azione. “George Stout, che sarebbe diventato il leader non ufficiale dei Monuments Men, aveva rinunciato dopo un tentativo iniziale, pensando che nessuno avrebbe mai accettato l’idea di un gruppo di storici dell’arte, architetti e artisti di mezza età sguinzagliati in giro per l’Europa al fianco dei soldati sul campo di battaglia”. Invece Roosevelt l’approvò e lo fece appena in tempo. “Nel mese di agosto 1943 gli Alleati furono sul punto di distruggere inavvertitamente l’Ultima cena“, aggiunge Edsel. “Credo che fu quello il campanello d’allarme che accelerò il trasferimento sul campo degli esperti d’arte”.
Secondo Edsel, era lecito aspettarsi che i soldati al fronte sarebbero stati poco ricettivi sugli obiettivi che veniva detto loro di colpire o di evitare, ma invece le cose andarono diversamente. “Sorprendentemente, come è emerso dalle lettere spedite a casa, ci fu solo una modesta resistenza iniziale, ma subito dopo i soldati cominciarono a chiedere: ‘Come facciamo? Siamo riusciti a salvare le chiese? Sono stati trovati i dipinti?’. I militari si sentivano coinvolti nella missione”.
I Monuments Men erano anche impegnati in una corsa contro il tempo. Mentre gli Alleati convergevano su Berlino, Hitler era poco propenso ad accettare una resa incondizionata: se non avesse potuto avere la Germania, nessun altro l’avrebbe avuta. “Con quello che fu chiamato ‘Ordine Nerone'”, spiega Clooney, “Hitler ordinò la distruzione di tutto: ponti, ferrovie, apparecchi di comunicazione – e anche le opere d’arte. Tutto”.

I Personaggi

Clooney e Heslov spiegano che, pur essendosi ispirati alla storia vera dei Monuments Men, nel film, ai fini della narrazione, si sono presi alcune libertà nel delineare i personaggi. Mentre molti sono somiglianti ai Monuments Men reali, Clooney e Heslov ne hanno inventati alcuni altri. “Nel film volevamo che alcuni personaggi fossero imperfetti, in modo che il pubblico provasse empatia per loro”, spiega Clooney. “Ma non era corretto scegliere uno dei protagonisti reali e poi attribuirgli dei difetti che nella vita reale non aveva avuto”. Aggiunge Heslov: “Penso che alla fine i nostri personaggi appaiano piuttosto eroici e, se questo spingerà gli spettatori a leggere la storia vera dei Monuments Men e a scoprire che i veri protagonisti furono perfino più eroici, ne sarò ben felice”.
Un altro aspetto importante da considerare è che, anche se i personaggi sono inventati, la storia è vera. “Abbiamo ideato alcune scene più funzionali all’evoluzione della narrazione, ma molte cose che al pubblico appariranno ridicole o strane, al punto da non ritenerle reali, ebbene, quelle sono accadute per davvero”, afferma Clooney.
Per il cast del film Clooney e Heslov sono riusciti a coinvolgere un gruppo di attori di primo piano, tra cui Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin, Bob Balaban, Hugh Bonneville e Cate Blanchett.
Si potrebbe pensare che sia stato difficile bilanciare così tante fulgide stelle in un unico film, ma Clooney afferma che è stato esattamente il contrario. “Sono tutti attori che solitamente hanno un ruolo guida nei film in cui recitano, ma sono tutti così a proprio agio con se stessi da non avere bisogno di prevalere sugli altri nelle scene che interpretano”, egli spiega. “Gli attori hanno mostrato una profonda generosità di spirito: tutti sono stati contenti di trovarsi in un gruppo così ben assortito e di recitare insieme”.
“L’ensemble è semplicemente straordinario”, afferma Matt Damon. “Ogni giorno mi sono trovato a lavorare con persone diverse e in gamba, che ammiro veramente e di cui seguo con attenzione il lavoro. L’ho detto a George fin dall’inizio: ‘Con questo cast, possiamo prendercela comoda’. Quando collabori con un regista in cui hai piena fiducia, con una grande sceneggiatura e un cast straordinario, non sembra quasi di lavorare”.

George Clooney guida il cast nel ruolo di Frank Stokes, uno dei massimi storici dell’arte. “Lavora al museo Fogg, il museo d’arte più vecchio di Harvard, dove si occupa di conservazione. È a questo punto che inizia la storia”, spiega Clooney. “È già stato in guerra, la prima guerra mondiale, e ha visto che cosa può accadere, specialmente quando una guerra finisce. È un leader naturale”.
Com’è per Clooney l’esperienza di dirigersi in un ruolo da protagonista? “È una cosa che impari a fare nei corsi di recitazione e che viene chiamata director-proof. Quando recito, non mi curo minimamente delle indicazioni che mi sono dato come regista”, scherza l’attore.
Il personaggio di Clooney s’ispira allo storico dell’arte George Stout. “Nella vita reale era un tipo molto grintoso. Era capace di fare qualunque cosa, perfino aggiustare automobili e radio”. Stout, che era a capo del reparto conservazione del Fogg e in seguito fu nominato direttore del Worcester Art Museum e dell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, raggiunse la linea del fronte durante la guerra per contribuire al salvataggio dei tesori artistici a Caen, Maastricht e Aachen, oltre che al recupero di tutti i beni e opere d’arte che i nazisti avevano immagazzinato a Siegen, Heilbronn, Colonia, Merkers e Altaussee.

MATT DAMON (James Granger) è alla sesta collaborazione con George Clooney, ma è il suo primo ruolo importante con Clooney alla regia (dopo un ruolo minore interpretato in “Confessioni di una mente pericolosa”Confessions of a Dangerous Mind).
“Non sapevo nulla di questa vicenda e sono rimasto sorpreso di scoprire che è vera”, afferma Damon. “È la storia incredibile di un gruppo di persone disposte a sacrificare tutto per salvare le più importanti opere che abbiamo, il patrimonio artistico dell’umanità. Andare all’inseguimento dei tesori culturali e cercare di recuperarli, salvarli, proteggerli e preservarli… L’arte è l’anima della società, rappresenta il meglio che abbiamo realizzato. Distruggere i capolavori artistici significa distruggere qualcosa in modo irreversibile”.
Il personaggio di James Granger s’ispira a James Rorimer, che divenne direttore del Metropolitan Museum of Art di New York. La relazione tra Granger e Claire Simone (Cate Blanchett) ha preso spunto dal rapporto di Rorimer con Rose Valland, un’impiegata della galleria Jeu de Paume a Parigi.
Nel film il personaggio di Claire Simone ha la chiave del sito in cui sono nascoste molte migliaia di opere d’arte trafugate, e il luogo in cui si trovano è un’informazione accuratamente custodita. “Lei pensa: ‘Perché dovrei dirvi dove si trovano le opere? Ve le prendereste immediatamente'”, spiega Damon. “Per lei si tratta di proteggere i capolavori artistici e Granger deve conquistare la sua fiducia, convincendola che, mantenendo il segreto, lei non protegge l’arte, ma anzi la mette in pericolo. Alla fine, Claire comprende che gli uomini di quel gruppo sono spiriti affini al suo”.
Damon è stato gratificato dall’opportunità di lavorare più a stretto contatto con Clooney nel ruolo di regista. “George è un tutt’uno con la macchina da presa, cosa che riesce a pochissimi registi”, spiega Damon. “Non gira un’infinità di scene, perché ha già le idee chiare sul montaggio e quindi gira soltanto le scene necessarie. In questo modo tutti restano focalizzati: quando la macchina da presa è accesa, è molto probabile che la ripresa sarà quella definitiva”.

BILL MURRAY è stato entusiasta di prendere parte a Monuments Men fin dal primo momento in cui George Clooney gli ha parlato del progetto. “È stato circa due anni prima che iniziassero le riprese e la mia reazione è stata: ‘Sì, sembra fantastico. Sarei felice di partecipare al film'”, afferma Murray. “La storia, andare alla ricerca di opere d’arte rubate durante la seconda guerra mondiale, mi è piaciuta moltissimo. C’è tutto nel film: l’azione, i bravi ragazzi a caccia nel nome di un ideale di bellezza e grandezza artistica… Ho pensato che sarebbe stato un film straordinario”.
Riuscire ad avere Murray nel progetto è stata di per sé un’avventura. “Sapevamo che Bill avrebbe potuto dare un gran bel contributo, ma è difficile rintracciarlo”, dichiara Heslov. “George aveva il numero magico da chiamare, dove lasci un messaggio e aspetti… ma Bill ha richiamato subito dicendo: ‘Dove e quando mi volete?'”.
Nell’offrirgli ufficialmente il ruolo, Clooney ha spiegato a Murray che avrebbe lavorato per la maggior parte del tempo in coppia con Bob Balaban. “George mi ha chiesto se pensavo di riuscire a rendere difficile la vita a Bob. Ci ho pensato un momento, poi ho risposto che sì, pensavo di poterlo fare”, ricorda Murray. “Bob è un’ottima spalla, è stato fantastico lavorare con lui. Eravamo un po’ come Stanlio e Ollio. Mi sono divertito molto”.
Murray e Balaban avevano già lavorato insieme in alcuni film – “Il prezzo della libertà” (Cradle Will Rock), “Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore” e l’imminente “The Grand Budapest Hotel” – ma mai così a stretto contatto come in Monuments Men. “Volevamo due personaggi agli antipodi, di quelli che si irritano a vicenda, ma senza esagerare”, dichiara Clooney. “Bill è bravissimo a interpretare quello che prende di mira il collega stacanovista, è fenomenale al fianco di Bob”.
“Ovviamente, Bill caratterizza il personaggio con grande umorismo, ma la componente emotiva è perfino più forte”, osserva Heslov. “E poi, lui è fisicamente molto più grosso rispetto agli altri personaggi, specialmente rispetto a Bob Balaban, quindi appare intimidatorio. Perfino quando sorride, ha un che di minaccioso”.
Murray interpreta Richard Campbell, un architetto. “Viene scelto come membro dei Monuments Men perché gran parte del lavoro che li attende – salvare e ricostruire – consisterà nel capire qual è il modo migliore di procedere”, spiega Murray. “A volte dovranno impedire la distruzione di un monumento e altre dovranno salvare un’opera che è stata danneggiata. Hanno bisogno di varie tipologie di competenze artistiche, incluso qualcuno con un approccio concreto e pratico al lavoro”.
Murray osserva quanto sia facile andare al Louvre o al Met e dare per scontata la presenza dei maggiori capolavori che vi sono esposti. “Il film cattura un’epoca in cui questa non era più una certezza e ripercorre gli eventi che, grazie al lavoro dei Monuments Men, evitarono che una parte del mondo dell’arte non giungesse fino a noi oggi. Non potremmo vedere molte delle opere custodite nelle chiese o nei musei, sarebbero ormai distrutte”, afferma l’attore. “La vita è fin troppo breve, ma l’arte sopravvive. La gente ha combattuto per il patrimonio culturale proprio come ha fatto per la libertà. Le persone che si sono battute per salvare l’arte hanno fatto sì che essa sopravvivesse”.
Il personaggio di Murray s’ispira ad alcuni dei Monuments Men, tra cui l’architetto Robert Posey. Mentre prestava servizio nella 3a Armata del Generale Patton durante la guerra, Posey scoprì la miniera di sale di Altaussee, dove i nazisti avevano nascosto il polittico dell’Agnello Mistico, la Madonna di Bruges, l’Astronomo di Vermeer e migliaia di altre opere d’arte. Per il suo contributo Posey ricevette l’onorificenza della Legion d’Onore dalla Francia e dell’Ordine di Leopoldo dal Belgio.

John Goodman afferma che il suo personaggio, Walter Garfield, rappresenta gli uomini e le donne che, durante la guerra, vivevano in patria, ma che erano impazienti di dare il loro contributo allo sforzo bellico. “Il mio personaggio è ben oltre l’età in cui si va a combattere, ma fa il possibile”, dichiara Goodman. “Appena può, si precipita là dove c’è bisogno di aiuto. È qualcosa che fa con passione e amore”.
Per Goodman l’opportunità di partecipare al film è stata l’avverarsi di un sogno. “Ho sempre desiderato girare un film sulla seconda guerra mondiale, in cui fossero presenti anche i temi dell’amicizia e del mistero, e nel mio ruolo questi aspetti ci sono tutti”, egli afferma. “Posso finalmente indossare uniforme ed elmetto e maneggiare armi, fantastico! Questo film è quello che ho sempre sognato fin da quando avevo cinque anni”.
Per quanto riguarda l’aspetto dell’amicizia, in Monuments Men Goodman torna a lavorare con il co-protagonista di “The Artist”, Jean Dujardin. “Jean ha un talento incredibile”, dichiara Goodman. “È divertente, attraente, vivace, intelligente ed è facile lavorare con lui. Per fortuna, mentre era impegnato in “The Artist”, ha imparato l’inglese, il che mi fa particolarmente piacere dato che io sono troppo pigro per imparare il francese. Ora possiamo comunicare”.
Il film ha riunito Goodman anche con Clooney e Heslov. “John e io abbiamo lavorato insieme nella prima stagione di ‘Pappa e ciccia’ (Roseanne), poi in ‘Fratello, dove sei?’ (O Brother, Where Art Thou?) e ‘Argo’. E abbiamo frequentato gli stessi ambienti per anni”, afferma Clooney. “L’unico mio dubbio era che non fosse all’altezza di un film così impegnativo dal punto di vista fisico, perché ha problemi a un ginocchio. Ha detto che non ci sarebbero state difficoltà e così è stato. Ha fatto quello che fa sempre: ha reso il film migliore”.
“Penso che questo film rappresenti un tributo alla generazione di mio padre, alle sofferenze e alle lotte che ha dovuto affrontare, prima con la Depressione e poi con la guerra”, dichiara Goodman. “Gli uomini che andarono in guerra fecero la cosa giusta, la fecero per la ragione giusta e la fecero bene. In questo film, in un certo senso, cerco di rendere omaggio a quella generazione”.
Il personaggio di Goodman s’ispira al Monuments Man Walker Hancock, un noto scultore. Hancock era originario di St. Louis, così come Goodman. “Per una curiosa coincidenza, quando mia madre e io prendevamo il bus per andare in centro a St. Louis a fare shopping, passavamo davanti a una delle sue sculture, il Soldiers’ Memorial”, ricorda Goodman. “Questo ha creato un legame tra me e il personaggio, un piccolo legame, ma una felice coincidenza”.
“Vi erano uomini e donne che vivevano per l’arte”, conclude Goodman. “Erano artisti e amanti dell’arte disposti a rischiare tutto per i capolavori che amavano. Mi piace pensare che molti di noi metterebbero a repentaglio la vita per proteggere la storia e la cultura – non solo quella occidentale, ma tutte le culture. L’arte rappresenta il meglio di noi e definisce chi siamo”.

Il personaggio di Goodman, Walter Garfield, è affiancato da Jean Claude Clermont, interpretato dal vincitore dell’Oscar® JEAN DUJARDIN, con il quale ha collaborato in “The Artist”.
“Garfield e Clermont non parlano molto tra loro”, dichiara Dujardin. “Non ne hanno bisogno. Hanno una missione da compiere e sono insieme in varie scene. Grazie al talento di George Clooney come regista, alcune scene sono molto ironiche e divertenti, altre sono particolarmente intense”. “Jean Claude Clermont è un ebreo francese ed è un mercante d’arte di Marsiglia”, spiega Dujardin. “Riesce a scappare e si rifugia a Londra con la famiglia. Viene ingaggiato dall’esercito americano per le sue conoscenze in campo artistico. Non è un soldato, ma per lui è importante partecipare alla guerra. È molto orgoglioso di far parte dei Monuments Men”.
“Jean ha vinto l’Academy Award® lo stesso anno in cui io ero in lizza con ‘Paradiso amaro’ (The Descendants)”, osserva Clooney. “Lo volevo in questo film per ucciderlo! In effetti, ho suggerito che venisse eliminato nella scena iniziale, ma Grant ha voluto aspettare un po’ e così è andata… In effetti, Jean è una delle persone con le quali mi ha fatto più piacere lavorare. Vorrei che parlassimo meglio ognuno la lingua dell’altro, perché sarebbe ancora più piacevole stare con lui: è profondamente divertente e ha un grande talento. Nonostante la barriera linguistica, la sua personalità non ne soffre. È affascinante ed è una simpatica canaglia”. “È il George Clooney francese”, afferma Heslov.
“George ha molta fiducia nei suoi attori”, dichiara Dujardin. “Non è il tipo di regista che ti dice cosa fare, ti dà solo alcune idee. È molto flessibile e tutti sono spinti a dare il massimo. Ogni tanto si avvicina per dire qualcosa tipo: ‘Potrei sbagliarmi, ma forse potresti provare qualcosa del genere’ oppure ‘Perché non proviamo a dirla in un modo più francese?'”.
Comunque, la cosa che ha maggiormente attratto Dujardin nel progetto è stata la possibilità di fare le cose come si usa in America. “Ho recitato in modo diverso – quello francese è spesso un po’ più privato, mentre in America c’è più emozione, più gioco. A volte sono stato criticato in Francia per essere troppo espressivo, quindi per me è stata un’esperienza liberatoria”.

Hugh Bonneville della serie “Downton Abbey” interpreta Donald Jeffries, un uomo disilluso in cerca di una seconda occasione. “Quando vengono presentati i personaggi, li osserviamo nel loro habitat naturale”, spiega Bonneville. “Quello di Donald è un pub. Scopriamo che nella vita ha commesso molti errori ed è stato un uomo inaffidabile; il personaggio di George gli dà una seconda chance per riavvicinarsi al suo primo amore: l’arte”.
“Jeffries è un uomo disilluso”, prosegue Bonneville. “Con il progredire della storia, spinto dall’amore per l’arte, viene a patti con se stesso e con gli errori commessi. Quando finalmente individua la Madonna di Bruges, trova il tempo di scrivere una lettera a casa, al padre, in cui riflette sulla vita e sui suoi tanti sbagli. È l’incredibile opera di Michelangelo, proprio lì davanti a lui, a ispirarlo a chiedere perdono al padre per i suoi errori, non ultimo quello di avere cercato le risposte ai problemi nel fondo della bottiglia”.
“Dal momento in cui abbiamo pensato che Hugh fosse adatto per il ruolo, abbiamo iniziato a scrivere la parte per lui: siamo stati molto presi, specie quando abbiamo scritto la scena della lettera”, afferma Clooney. “È stato divertente poi il giorno in cui eravamo sul set, quello in cui introduciamo il personaggio per la prima volta. C’era una stanza tranquilla al piano superiore, così abbiamo trovato un microfono e gli abbiamo fatto leggere la lettera – sapevamo che nel film la voce sarebbe stata fuori campo. È stato perfetto alla prima registrazione, che è quella usata nella versione finale del film. Non c’è stato bisogno di ripeterla, era davvero buona. Hugh è straordinariamente talentuoso”.
Bonneville è un premiato attore, in passato membro del Royal National Theatre, ed è apparso sulle scene teatrali e al cinema al fianco di grandi personaggi; ammette, tuttavia, di essersi sentito un po’ intimorito dal cast stellare di Monuments Men.
“La notte precedente il primo giorno delle riprese non ho chiuso occhio”, afferma Bonneville. “Sul programma di lavoro c’erano scritti i nomi: ‘George Clooney, Matt Damon, Bob Balaban, John Goodman, Bill Murray, Jean Dujardin, Dimitri Leonidas e il mio’. Quel primo giorno ero piuttosto impressionato. Ma come tutti gli attori – e questi sono attori particolarmente bravi – anche loro hanno un linguaggio di recitazione comune, che ti trovi presto a condividere. Sono persone magnifiche, sia sullo schermo sia fuori. Per me è stato un privilegio. Ho continuato a darmi dei pizzicotti per essere certo di essere sveglio”.

BOB BALABAN è stato scelto per il ruolo di Preston Savitz. “Savitz è un intellettuale, uno storico dell’arte e un impresario teatrale”, spiega Balaban.
Heslov non ha peli sulla lingua: “È un dandy”, afferma. “Non è la persona che ti aspetteresti di trovare in guerra. Tutti i Monuments Men sono pesci fuor d’acqua, ma il personaggio di Bob è una balena fuor d’acqua. Penso che la contrapposizione tra lui e il personaggio interpretato da Bill sia proprio divertente”.
“George è molto attento, molto preparato e molto calmo. Sa cosa vuole ed è un grande comunicatore”, dichiara Balaban. “Ha senso dell’umorismo anche quando è sotto pressione. È attento ai dettagli. Ha molto buon gusto e rende piacevole lavorare con lui. Cos’altro potresti desiderare da un regista?”.
Clooney e Heslov conoscevano già Balaban, al di fuori del mondo del lavoro, e stavano appena cominciando a pensare agli attori per Monuments Men quando i loro percorsi si sono incrociati. “Avevamo appena finito la sceneggiatura di Monuments Men, stavamo partecipando a un evento per promuovere ‘Argo’ e Bob era lì”, ricorda Heslov. “Quella sera è capitato di parlare con lui del film, poi abbiamo pensato che fosse la persona giusta per il ruolo di Savitz. Quando lo abbiamo chiamato, è subito stato dei nostri”.
Preston Savitz s’ispira al Monuments Man Lincoln Kirstein, un impresario americano, esperto d’arte, scrittore e personalità culturale di spicco a New York, dove ha co-fondato il New York City Ballet.
La sceneggiatura ha catturato Balaban, che in seguito ha acquisito una maggiore prospettiva leggendo il libro di Robert Edsel e ha tratto ispirazione da un libro di poesie scritte da Kirstein e datogli da Edsel. “È stato scritto quando Kirstein si trovava dall’altra parte dell’oceano”, spiega Balaban. “Era chiaramente sopraffatto e impreparato all’esperienza della guerra. Il suo libro mi ha fatto riflettere sul fatto che, sebbene i Monuments Men fossero spesso troppo anziani e, per diversi aspetti, non qualificati per l’immane compito che li attendeva, ognuno di loro era profondamente onorato di trovarsi lì e totalmente votato alla missione”.
Nel film il Kirstein di Balaban affianca il Richard Campbell di Bill Murray, e il loro rapporto rispecchia quello tra Kirstein e il Capitano Robert Posey, entrambi assegnati alla 3a Armata del Generale Patton durante la ricerca del polittico dell’Agnello Mistico.
“È la terza volta che lavoro con Bill”, afferma Bob, “e stavolta i nostri personaggi sono praticamente legati come gemelli siamesi. Bill mi ha insegnato tutto sulla cucina thailandese. E il mio putting è migliorato notevolmente nel tempo trascorso insieme. Preston Savitz e Richard Campbell non andavano proprio d’accordo, ma noi due sì. Dovendo stare gomito a gomito con qualcuno per cinque mesi, sono stato felice che fosse lui”.

L’ultimo Monuments Man nel film è Sam Epstein, interpretato da DIMITRI LEONIDAS. Non ancora diciannovenne, Epstein è l’unico soldato vero nel gruppo, ingaggiato per la sua capacità di guidare e parlare tedesco.
“Il mio personaggio è cresciuto in Germania, ma la Germania lo ha respinto perché è ebreo”, spiega Leonidas. “Quando lo incontriamo, Sam è un soldato dell’esercito ed è praticamente sperduto nei meandri della burocrazia militare. Non sanno cosa fare con lui, sanno che potrebbe essere utile in qualche modo, data la sua origine tedesca, ma non lo sfruttano. Frank Stokes è l’unico a capirne il valore, non solo come autista ma anche per la sua conoscenza del tedesco, molto utile da avere a portata di mano”.
L’ispirazione per il personaggio di Leonidas è Harry Ettlinger. “Sono nato in Germania, di fede ebraica”, spiega Ettlinger. “Hitler aveva iniziato la sua campagna contro gli ebrei. Mio padre aveva perso il lavoro e i miei genitori capirono che per gli ebrei non c’era più posto in Germania”.
Così, la cerimonia del Bar Mitzvah di Ettlinger fu anticipata di alcuni mesi e celebrata a settembre del 1938. Il giorno successivo la famiglia partì per l’America. “In effetti, il rabbino aveva suggerito di partire il giorno stesso, anche se non si dovrebbe viaggiare durante il Sabbath“, ricorda Ettlinger. “Ma mio padre disse: ‘La guerra non inizierà questo pomeriggio’ e così partimmo il giorno dopo”.
Una volta in America, Ettlinger si arruolò appena compiuti diciotto anni, come facevano tutti i giovani a quel tempo. Il giorno del suo diciannovesimo compleanno fu prelevato dal mezzo di trasporto che lo stava portando sul fronte dell’offensiva delle Ardenne e, tre mesi più tardi, si unì ai Monuments Men.
Lavorando nelle miniere, Ettlinger s’imbatté in numerose opere di valore inestimabile. “Jim Rorimer trovò un dipinto di Grunewald, la Madonna di Stuppach, che era l’oggetto di maggior valore, ma, personalmente, vidi un autoritratto di Rembrandt che era appartenuto al museo di Karlsruhe, la mia città di origine. Quell’opera era l’orgoglio e la gioia del museo e, in effetti, mio nonno possedeva una stampa di quel dipinto. Ora si trova nel mio soggiorno”.
Di fatto, la famiglia di Ettlinger possedeva una vasta collezione di stampe, principalmente ex libris, che era stata chiusa in un deposito poco prima della fuga dalla Germania. “Durante la mia permanenza in Germania, un sabato andai a Baden Baden con una jeep guidata da un sopravvissuto all’Olocausto, Ike. Non avevo informato il mio superiore, quindi ero assente senza permesso. Trovai il magazzino in cui era stata nascosta la collezione di mio nonno”, ricorda Ettlinger. “Ci fu una piccola cerimonia e quella sera festeggiammo nella suite del migliore albergo in città: un sopravvissuto all’Olocausto e un soldato semplice in uscita non autorizzata dormirono nel letto originariamente riservato al Kaiser. Sono molto orgoglioso di quel che facemmo”.

CATE BLANCHETT completa il cast nel ruolo di Claire Simone, una donna francese con una posizione unica nella Francia occupata. “Claire Simone è una curatrice al Jeu de Paume, in origine un museo, che era poi diventato una sorta di deposito per le opere d’arte trafugate dai nazisti”, spiega la Blanchett. “Ma il suo vero lavoro si svolge di notte, quando registra la provenienza degli oggetti e il luogo in cui sono stati rubati in modo ossessivamente dettagliato. Lei rappresenta il catalizzatore del terzo atto del film: i Monuments Men sanno che le opere d’arte stanno sparendo, ma non sanno dove vengano portate e hanno bisogno che la donna dia loro questa informazione”.
La Blanchett dichiara che nei nazisti c’era qualcosa di diverso nel modo di trafugare le opere d’arte. “In tutte le guerre avvengono furti d’arte. La cosa per me scioccante è stata la metodicità con cui i nazisti operarono e il fatto che l’espropriazione era iniziata già nel 1938”.
Un altro elemento che caratterizzò il saccheggio fu il decreto noto come ‘Ordine Nerone’. “Quando Hitler si rese conto che avrebbe perso la guerra, ordinò la distruzione di tutto ciò che era stato trafugato. Non avrebbe lasciato nulla ai vincitori”, spiega la Blanchett. “Anche per quanto riguardava l’arte, tutto ciò che era stato preso doveva essere distrutto”.
“Il personaggio di Matt, Granger, deve conquistare la sua fiducia”, aggiunge la Blanchett. “Vi era il timore comprensibile, da parte dei francesi, che, non appena gli Alleati avessero recuperato le opere d’arte confiscate dai nazisti, queste sarebbero finite in mano a collezionisti russi e americani. Da quel punto di vista, cosa cambiava se a rubare erano i tedeschi o gli Alleati?”.
Alla fine, tra Granger e Claire si crea un insolito legame, spiega l’attrice. “Penso che la storia d’amore che c’è tra loro nasca dall’amore condiviso per l’arte e la cultura”. La Blanchett aggiunge: “Sono entrambi consapevolmente e appassionatamente presi dal compito di salvare l’arte per il futuro dell’umanità. Credono che nessuno debba mai possedere per sé un capolavoro, che esso debba essere per tutti. Perciò i due sono uniti dalla nobiltà della loro causa”.
Il personaggio della Blanchett s’ispira a Rose Valland, una donna francese che, con grande coraggio, tenne segretamente e sistematicamente sotto controllo tutto ciò che facevano i nazisti, a rischio della propria vita. “Rose Valland era, inizialmente, una collaboratrice volontaria e poi divenne sovrintendente del Jeu de Paume, contiguo al museo del Louvre. Durante la guerra divenne un deposito per le collezioni d’arte e gli oggetti confiscati agli ebrei. Hermann Göring, in sostanza, usò il Jeu de Paume come un centro commerciale: i nazisti lo allestirono come spazio espositivo per le opere d’arte espropriate”, spiega la Blanchett. “Grazie al suo lavoro solitario, Rose salvò un quantitativo eccezionale di opere d’arte accatastate in pile e pile di casse che, altrimenti, sarebbero probabilmente andate distrutte. Il fatto che lavorasse da sola fu un atto di coraggio estremo. Credo che riuscì a fare quello che fece perché passava inosservata ed era la persona più improbabile per svolgere quel compito”.

La Produzione

Monuments Men è stato girato in esterni in prevalenza in Germania e, per alcune settimane, in Inghilterra.
La squadra di professionisti che ha coadiuvato Clooney e Heslov dietro le quinte è la stessa scelta per altri loro film: il direttore della fotografia Phedon Papamichael, ASC (“Paradiso amaro”The Descendants e “Le idi di marzo”The Ides of March), lo scenografo Jim Bissell (alla quarta collaborazione con Clooney come regista), Stephen Mirrione, A.C.E. al montaggio (che ha collaborato con Clooney undici volte, inclusi i suoi cinque film come regista) e l’ideatrice dei costumi Louise Frogley (che ha già lavorato in passato con Clooney in otto film, tra cui i suoi quattro più recenti come regista).
“Il cast tecnico – montatore, scenografo, direttore della fotografia, tecnico del suono, responsabile dei costumi, ecc. – è sempre lo stesso, film dopo film. Ci fidiamo di loro e ci piace lavorare con loro, è come essere in famiglia”, dichiara Clooney.
Quando ha letto per la prima volta la sceneggiatura di Monuments Men, Bissell ammette di essere rimasto sorpreso dalla dimensione e ambizione del nuovo progetto, nonostante si aspettasse un cambiamento netto rispetto all’approccio su scala ridotta de “Le idi di marzo” (The Ides of March). “Ho pensato che avremmo avuto un gran numero di set, poi ho fatto un conto e sono arrivato a 146, cifra che batteva il record personale di George di 110 set in ‘Confessioni di una mente pericolosa’ (Confessions of a Dangerous Mind)”.
“Non molte persone si rendono conto del contributo che lo scenografo dà alla realizzazione di un film”, dichiara Heslov. “È il primo ad essere coinvolto, è quello che trova le location e le fa apparire giuste per la scena…”
“…poi, inevitabilmente, devi improvvisare, ad esempio se il tempo diventa brutto. Non si può perdere la giornata, quindi bisogna trovare un’altra scena da girare. Ed ecco Jim che dice: ‘Ok, dammi un’ora di tempo’, e risolve il problema”, spiega Clooney. “Non girerei mai un film senza Jim Bissell”.
Collaborando con Clooney in molti film, Bissell ha sviluppato con il regista un modo di lavorare semplice ed economico. “Parlo a George di una ripresa, spiegandogli quali sono gli elementi importanti nella composizione della scena. Poi vado a ideare la scenografia o a cercare una location adatta alle nostre necessità. Quando torno, ci confrontiamo e lui prende una decisione. Soltanto a questo punto arriva la squadra delle riprese. A George piace essere preparato e detesta perdere tempo”, spiega Bissell.
Candidato all’Oscar® per le scenografie di “Good Night, and Good Luck”, Bissell sa che la fluidità nel suo lavoro di scenografo permette al pubblico di focalizzarci sull’essenza della storia e sui personaggi. “La cosa più importante è stata cercare di creare un’atmosfera, un’impressione di come apparvero le cose ai Monuments Men e di come fosse drammatica la realtà là dove la storia si svolse effettivamente. Se faccio bene il mio lavoro, nessuno sa o nota ciò che ho fatto”, egli afferma.
Per Monuments Men sono state scelte tre location chiave per le riprese: il sud e il sud-est dell’Inghilterra; la città di Berlino, l’area di Babelsberg e i suoi dintorni, inclusi i centenari Babelsberg Studios, e la vicina campagna a Potsdam; infine, le montagne dello Harz, la catena montuosa più alta nel nord della Germania.
Vi erano, tuttavia, dozzine di location minori all’interno di queste aree, che dovevano rappresentare una serie di luoghi diversi in giro per il mondo, tra cui Washington D.C., New York, Chicago, Parigi, Gran Bretagna, Belgio, Germania, Austria e Italia, e un’infinità di ambienti specifici: chiese, cattedrali, musei, castelli, miniere di salgemma, ospedali, campi di volo e di addestramento, accampamenti, basi militari, strade di campagna, uffici e abitazioni.
Le riprese in esterni hanno aiutato gli attori, afferma Dujardin. “Immaginate di essere in un luogo con 300 comparse, jeep, camion e una storia molto intensa. Abbiamo recitato in Germania e in Inghilterra. Abbiamo girato con qualsiasi tempo: neve, pioggia, vento, sole. Questo, ovviamente, t’ispira molto”, dichiara l’attore. “Ricordo una scena con John Goodman. Eravamo sulla jeep e io giacevo ferito tra le braccia di John. Dietro di noi piovigginava e c’era una fitta nebbia. Credo che ciò dia un contributo al film e accentui le emozioni”.
“Non era semplice trasformare la Germania in Francia e Belgio, né il Regno Unito in Germania”, dichiara Bissell. “Fortunatamente, le cattedrali gotiche hanno uno stile e una scala che, in un certo senso, trascende le identità nazionali. Siamo quindi riusciti ad essere un po’ più generici nel nostro approccio”.
Ad esempio, Bissell ha ridisegnato gli interni della cattedrale di Santo Stefano e San Sesto a Halberstadt, la capitale del distretto dello Harz. Sotto la supervisione di Bissell, la cattedrale di Halberstadt è stata trasformata nella cattedrale di San Bavone a Gand, in Belgio, in cui si trova il polittico dell’Agnello Mistico di Van Eyck (conosciuto anche come ‘pala d’altare di Gand’).
I processi geologici hanno creato numerose grotte nelle montagne dello Harz, molte delle quali sono state scavate per l’estrazione di minerali. Bissell e la sua squadra le hanno trasformate in miniere, in particolare quelle di Merkers in Germania e di Altaussee in Austria, che erano state convertite in nascondigli per le opere d’arte saccheggiate dai nazisti.
“Tutte le riprese in esterni delle miniere sono state effettuate nell’area dello Harz”, illustra Bissell. “Abbiamo individuato un certo numero di grandi miniere dell’epoca. Alcune erano pericolanti, altre erano abbandonate ma abbastanza suggestive da poter essere sistemate e rese funzionali ai nostri scopi”.
Una delle maggiori difficoltà per Bissell è stata di rappresentare la dimensione smisurata dei depositi di opere d’arte. “Leggendo l’entità dei beni confiscati dai nazisti, il volume complessivo lascia allibiti”, afferma Bissell. “È molto importante che gli spettatori capiscano che cosa trovarono i nostri Monuments Men: anche loro rimasero sbigottiti dalla quantità e dalla scala del saccheggio. Per noi era importante rappresentare quell’impatto drammatico. Quando iniziano ad essere scoperte le miniere in cui sono ammassate le opere d’arte rubate, gli spettatori devono provare ciò che i Monuments Men provarono: un senso d’incredulità seguito dall’esultanza per il ritrovamento di quei tesori”.
Sebbene alcune riprese siano state effettuate nelle miniere vere, la maggior parte dei tunnel è stata ricostruita nei teatri di posa dei Babelsberg Studios. “Gli oggetti da spostare erano un’infinità – dipinti, casse, sculture – e per rappresentare la scala ci sarebbero volute delle stanze enormi, accessibili mediante una o due gallerie, a oltre 450 metri sotto terra”, dichiara Bissell. “Non è il posto migliore in cui spedire un team per le riprese. Così, abbiamo deciso in una fase precoce della produzione di realizzare un grande set modulare di una miniera, in modo da poter riprendere da diverse angolazioni e da rappresentare depositi e nascondigli diversi. Abbiamo ricostruito quegli ambienti nei Babelsberg Studios. Erano enormi come dovevano essere”.
Oltre ai set, era indispensabile avere anche delle copie delle opere d’arte. Sono stati fedelmente replicati più di mille capolavori, anche se sullo schermo si sarebbe poi visto solo l’angolo di un dipinto, una scultura o un arazzo.
Per le opere la produzione ha individuato varie fonti di approvvigionamento. Vi sono molte società, specialmente in Inghilterra, che hanno collezioni di dipinti a olio da noleggiare. “Non sono capolavori, ma sono piuttosto interessanti, specialmente i ritratti”, dichiara Helen Jarvis, responsabile della supervisione del reparto artistico, che ha provveduto al reperimento del considerevole numero di opere d’arte necessarie alla produzione. È stato possibile acquisire anche molte sculture, noleggiando le riproduzioni che erano state realizzate nel corso degli anni.
Un altro canale sono stati i dipinti inviati tramite documenti digitali ad alta risoluzione e successivamente stampati. “Molte di queste opere sono piuttosto complesse, ma la stampa ha raggiunto livelli di perfezione avanzati, perciò questa si è dimostrata una soluzione molto pratica”, afferma la Jarvis.
Tra gli innumerevoli capolavori artistici, due hanno avuto un ruolo di co-protagonisti nel film: la Madonna di Bruges e il polittico dell’Agnello Mistico. Ad essi erano dedicate non poche riprese ed entrambi hanno richiesto un’attenzione particolare.
Per la Madonna di Bruges i realizzatori si sono mossi su più fronti. “Sapevamo di avere bisogno di due riproduzioni: una per le ‘riprese eroiche’, che doveva essere la migliore possibile, l’altra da portare in giro, avvolta in coperte, da usare più che altro come oggetto di scena”, ricorda la Jarvis.
In Italia l’arredatore del film Bernhard Henrich ha trovato un magazzino pieno di statue appartenute un tempo agli studi di Cinecittà. “Sorprendentemente, tra i vari oggetti c’era una Madonna di Bruges realizzata in fiberglass”, dichiara la Jarvis. “Sapevamo che da quel magazzino avremmo noleggiato diverse opere, così ci siamo fatti spedire subito questa in modo da vedere quanto fosse ben fatta – e la riproduzione era davvero buona”.
I realizzatori hanno anche ingaggiato uno scultore a Berlino per realizzare una riproduzione in schiuma ad alta densità. “Siamo andati a Bruges e abbiamo scattato delle foto con una risoluzione grafica elevata, poi abbiamo comprato delle cartoline di qualità perfino migliore! Inoltre, nel municipio di Bruges abbiamo trovato una riproduzione in gesso del secolo scorso della Madonna, che ci ha permesso di scattare alcune foto laterali, risultate molto utili al nostro scultore che, nel giro di due-tre settimane, ha completato l’opera”.
I realizzatori hanno poi confrontato tre fotografie a grandezza naturale, posizionandole l’una accanto all’altra: la vera Madonna, la riproduzione italiana in fiberglass e la scultura in schiuma. “Quella italiana in fiberglass è risultata la migliore”, spiega la Jarvis. “Era la più simile all’originale. La scultura in schiuma è diventata la copia di riserva”.
L’altro capolavoro artistico con un ruolo di primo piano nel film è il polittico dell’Agnello Mistico. “Per questa opera abbiamo acquisito i diritti su una stampa digitale ad altissima risoluzione”, dichiara Bissell.
“Innanzitutto, abbiamo fatto vari test”, spiega la Jarvis. “Abbiamo stampato il pannello della Madonna con il vestito di velluto verde su diversi tipi di materiale, prima di scoprire che una tecnica più moderna – la stampa rivestita in vinile – era quella che dava i risultati migliori. Abbiamo dato la stampa al nostro pittore di scena che, con una finitura acrilica contenente cera, ha ultimato il pannello facendolo sembrare dipinto. Poi i nostri falegnami hanno creato le cornici in legno, mentre noi abbiamo realizzato un’elaborata struttura in cui collocare il pannello”.
I realizzatori hanno anche ricreato I borghesi di Calais, la grande scultura di Rodin. “Abbiamo trovato una società a New York che ha prodotto delle repliche della scultura alte 60 centimetri circa”, aggiunge la Jarvis. “Non si può immaginare quanto siano state utili, perché potevamo ruotarle per osservare tutte le sfumature dei drappeggi. Anche in questo caso, le copie sono state realizzate in schiuma densa, ma la finitura bronzea è stata meno complicata rispetto a quella marmorea”.
Louise Frogley, l’ideatrice dei costumi, afferma che la sfida per lei è stata simile a quella di Bissell, e sintetizzabile in poche parole: organizzazione logistica e grandiosità. “C’erano moltissime grandi scene con militari e civili con abiti a vari stadi di usura”, ricorda la Frogley. “Avevamo un gran numero di attori e altrettanti costumi, e dovevamo fare le prove mentre le riprese erano ancora in corso. E poi, dovevamo spedire gli abiti in anticipo sui tempi. E ancora, dovevamo vestire le persone in una location mentre eravamo impegnati con le prove in un’altra location. Abbiamo dovuto trovare gli orologi per ogni attore principale, in gran numero. Abbiamo dovuto procurarci svariate paia di occhiali diversi, da vista e da sole e, per le persone che portavano occhiali da lettura, abbiamo avuto bisogno di occhiali con lenti trattate e non trattate. Non la finivamo più di lavorare, tutti i dettagli ci hanno fatto quasi impazzire, ma alla fine ce l’abbiamo fatta”.
Nonostante i numerosi film girati in passato sulla seconda guerra mondiale, le uniformi militari non sono state facili da trovare. “Molte delle uniformi originali sono state vendute o distrutte o sono in cattive condizioni”, spiega la Frogley. “Questi capi non hanno vita lunga, se non vengono curati. C’è ancora molto materiale originale, ma le taglie sono spesso troppo piccole. Avevamo delle magnifiche giacche naziste originali, ma di taglia S o XS e senza pantaloni”.
La Frogley, insieme al supervisore dei costumi John C. Casey e al supervisore dei costumi militari Joe Hobbs, ha avuto anche il compito supplementare di dover vestire attori che rappresentavano eserciti differenti: americano, tedesco, britannico, francese e belga. “E ovviamente, con il progredire della guerra, le uniformi cambiavano”, aggiunge la Frogley.
Riuscire in questo compito, spiega l’artista, ha comportato un vero e proprio sforzo internazionale. “Le uniformi provenivano da un’infinità di posti diversi. Abbiamo fatto cucire gli abiti in Polonia, mentre i tessuti arrivavano dal Pakistan. Gli stivali erano messicani e altri accessori sono stati comprati in Olanda”.
Va poi ricordato che, anche se i Monuments Men indossano l’uniforme per gran parte del film, è stato necessario disegnare l’abbigliamento per le scene iniziali, che riflettono la loro vita da civili. “Abbiamo voluto mostrare chi fossero come civili perché non erano militari tradizionali”, spiega la Frogley. “In questo modo, sarebbe apparso chiaro che differenza faceva per loro essere nelle forze militari. Stokes (George Clooney) è un intellettuale, quindi è vestito con eleganza, in modo appropriato, ma senza esagerare. Granger (Matt Damon) è leggermente più creativo; lo vediamo indossare delle belle tute d’epoca e abiti più casual, prima d’indossare qualcosa di elegante per l’incontro con Stokes. Campbell (Bill Murray) è un architetto, quindi lo vediamo con un completo accanto al progetto di un edificio. Garfield (John Goodman) è uno scultore e quando lo conosciamo ha un camice da lavoro e un cappello; anche in uniforme continua ad essere in disordine, ma fa parte del personaggio. Savitz (Bob Balaban) lavora nel mondo della danza e lo abbiamo vestito in modo un po’ più appariscente”.
Una volta entrati nell’esercito, questi uomini divennero parte di un’unità e si dedicarono tutti a un comune obiettivo. “Ovviamente, gli attori caratterizzano con la loro individualità i personaggi e la manifestano anche attraverso il modo in cui indossano l’uniforme: una camicia infilata a casaccio nei pantaloni, un colletto storto, piccole cose che mostrano tratti differenti. Sono tutti bravi attori, che sanno cosa fare per migliorare i loro personaggi”.
“Louise Frogley è un’artista brillante”, dichiara Cate Blanchett. “Trovo i capi del suo guardaroba istruttivi e creativi. Prende spunto dalle immagini e sviluppa delle idee, poi si avvicina ai periodi storici in modi imprevisti ma sempre reali”.

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