Mio Figlio (2017)
Mon garconJulien e Marie hanno divorziato da qualche tempo, e in questo pesa il fatto che Julien fosse sempre lontano per lavoro e lei non potesse contare su di lui, né come marito né come padre di Mathys, che ora ha sette anni. La notizia della sparizione del bambino, durante la notte, dalla tenda dove dormiva insieme ai compagni di un campo invernale, richiama però immediatamente Julien sulle Alpi. E per ritrovare suo figlio, l'uomo si mostra disposto a tutto.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 27 Settembre 2018Uscita in Italia: 27/09/2018
Prima Uscita: 20/09/2017 (Francia)
Genere: Drammatico, Thriller
Nazione: Francia, Belgio - 2017
Durata: 84 minuti
Formato: Colore
Produzione: Nord-Ouest Productions, Une Hirondelle Productions (co-produzione), Caneo Films (co-produzione), Auvergne Rhône-Alpes Cinéma (co-produzione), CN6 Productions (co-produzione), OCS (con la partecipazione di), Palatine Étoile 14 (in associazione con), SofiTVciné 4 (in associazione con), Soficinéma 13 (in associazione con), Artémis Productions (con la partecipazione di), Région Auvergne-Rhône-Alpes (con la partecipazione di), Centre du Cinéma et de l'Audiovisuel de la Fédération Wallonie-Bruxelles (con la partecipazione di)
Distribuzione: Nomad Film
In HomeVideo: in Digitale da venerdì 1 Novembre 2019
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NOTE DI REGIA | INTERVISTA A Christian Carion
Mio Figlio è un intenso thriller – un grande cambiamento dopo tre film in costume. Da dove viene il tuo desiderio di fare questo film?
Prima di tutto, Mio Figlio è un vecchio progetto – ho trovato un documento che ho scritto nel 2002 e sul quale discussi col produttore Christophe Rossignon. Ma il soggetto, un bambino scomparso, mi spaventava un po'. Sapevo che ci sarei arrivato prima o poi, ma non era quello il momento. Avevo appena completato UNE HIRONDELLE A FAIT LE PRINTEMPS ed ero molto entusiasta di girare JOYEUX NOËL – UNA VERITA' DIMENTICATA DALLA STORIA che è stato il mio primo sogno cinematografico. Più tardi quando stavamo preparando EN MAI, FAIS CE QU'IL TE PLÂIT ricordo di aver detto a Christophe « Qualsiasi cosa accada, so che il prossimo film sarà girato in francese ai giorni nostri, con un piccolo cast, più concentrato, più asciutto… e con pochi Panzer!
Cosa ti ha fatto scegliere il «meccanismo» cinematografico del film?
Mi è venuto in mente parlando con Guillaume Canet col quale volevo fare il film da molto tempo. Era molto entusiasta dell'idea. Nel frattempo era anche diventato papà, come me, cosa molto importante. È stato tutto deciso in pochi secondi mentre discutevo del film con lui. Gli ho detto: «Guillaume, voglio seguire una semplice idea fino alla fine. Il tuo personaggio è un uomo assente che è sempre in viaggio. Torna a casa e scopre delle cose che non sapeva. Immaginiamo una situazione nella quale tu come attore scopriresti gradualmente la verità senza conoscere la sceneggiatura. Saresti disposto a rischiare?». Ho visto che l'attore che è in Guillaume Canet era assolutamente eccitato all'idea di vivere un'esperienza simile. Ne abbiamo riparlato e abbiamo deciso che non volevamo solo un protagonista che non conoscesse la sceneggiatura, ma anche una ripresa in tempo reale o quasi. Affidare tutto al momento.
Cosa ti ha spinto a dirigere per ben tre film sempre lo stesso attore, Guillaume Canet?
Per imbarcarci in un progetto come quello di Mio Figlio avevamo bisogno di un carattere forte come lui. È un attore generoso e vedo quanta profondità abbia acquisito dal 2008 quando abbiamo girato L'AFFAIRE FAREWELL. Mi piace l'impegno che mette, il suo approccio fisico alla recitazione che è anche pieno di angoscia. Guillaume lavora sodo ed è davvero divertente che in questo caso io gli abbia chiesto di non prepararsi in alcun modo. Non è da lui gettarsi a capofitto in un film senza preparazione perché lui è un perfezionista. Un altro motivo che mi ha spinto a scegliere lui è che lo conosco e che posso prevedere le sue reazioni, cosa che si è verificata nell'80% dei casi. Sapevo che c'è violenza dentro di lui, come in tutti noi del resto. Mi affascinava vedere un uomo che a confronto con la situazione della storia si lascia andare ad azioni chiaramente non buone, fuori dalla norma, esecrabili, addirittura illegali e punibili dalla legge. Ma non pensate nemmeno per un istante che Mio Figlio sia un'apologia del farsi giustizia da soli. Mio figlio non è Il Giustiziere della notte e Canet non è Charles Bronson.
Quindi sei stato molto attento mentre scrivevi la sceneggiatura a non fare l'apologia di chi si fa giustizia da sé?
Sì perchè sapevo che era un rischio. Ma il film è il viaggio di un uomo che si perde da qualche parte lungo la strada, che è vittima della paranoia e che è sopraffatto dalla colpa dovuta alla sua assenza – colpa che lo fa impazzire – e finisce con l'agire in maniera irrazionale. Spero che lo si possa comprendere senza dover accettare ciò che fa.
Per questo film hai cambiato stile e scelto un altro direttore della fotografia, Eric Dumont. Perché?
Christophe Rossignon mi ha consigliato di incontrare Eric Dumont che aveva lavorato a La legge del mercato di Stéphane Brizé e aveva un background di riprese "mosca-sul-muro" da tenere in considerazione.
Hai sviluppato lo stile del film – con qualche reminiscenza di Michael Mann – insieme a lui?
L'incontro con Eric è stato stimolante. È assolutamente pazzo! Sapeva che avremmo girato con camera a mano e subito ha suggerito di girare in Scope! Ha anche consigliato di usare una serie di lenti degli anni '70, le preferite di Coppola che poi abbiamo adattato alle nostre camere digitali. Il risultato è sublime ma la profondità di campo molto corta! E sì è vero che abbiamo parlato molto di Michael Mann. Abbiamo pensato a Insider con il suo stile bilioso, rapido – probabilmente il risultato di un'incredibile preparazione. Siamo arrivati alle riprese con queste idee generali in mente, ma le scelte stilistiche – ed è sempre così – sono il risultato di una necessità. Una volta che ci siamo ritrovati nell'edificio Rocher Blanc ho detto a Eric: "Non voglio che porti luce nei corridoi. Puoi aumentare l'intensità del verde dei segnali di emergenza, puoi fingere una finestra aperta in una stanza e portare un po' di luce, ma niente di più.
Come hai diretto Guillaume Canet? Portava un auricolare? Ti nascondevi nel retro dell'auto?
Quasi! All'inizio pensavo di usare un auricolare ma visto che avevamo dei microfoni wireless il tecnico del suono non ha potuto garantire che avrebbe funzionato. E Guillaume ha detto che non ce l'avrebbe fatta se qualcuno gli parlava nell'orecchio. Così ho deciso che sarei stato ovunque, tutto il tempo! Infatti quando Guillaume sta guidando, il direttore della fotografia è accanto a lui mentre il primo assistente operatore e il tecnico del suono sono dietro. Visto che non c'era spazio per me, io sono rimasto sul camion con un monitor che mi permetteva di seguire la scena.
Quindi hai parlato con Guillaume Canet solo durante le riprese?
Sì, e quando eravamo pronti lo chiamavo. E lui mi ha detto: «è assolutamente assurdo per me perché so che siete tutti preparati ma non so a cosa e non so cosa sta per accadere in questo edificio!»
Esistono dei punti oscuri nel film, in particolare sulle ragioni del rapimento. È intenzionale?
Non c'era alcun punto oscuro nella sceneggiatura. La spiegazione era nella scena della tortura nel garage. Ma visto che abbiamo deciso di non fare alcuna prova, Guillaume non sapeva che l'attore di fronte a lui era lì per dargli quell'informazione. Alla fine della scena, quando Guillaume afferra la catena per colpirlo, per me, era un'esecuzione. Ma non gli ho chiesto io di farlo. Non sapevo cosa avrebbe fatto e nemmeno l'attore che era stato legato lo sapeva. Guillaume è tornato indietro e giuro che la catena ha mancato la testa dell'attore per un millimetro. Guillaume è stato preso dal furore del momento e l'altro attore non ha avuto la possibilità di dargli quell'informazione. Adesso penso che sia stato meglio così: è molto più spaventoso non sapere esattamente perché tuo figlio è stato rapito. Secondo alcuni c'era di mezzo il traffico di esseri umani, per altri no. Non importa. Un mio amico mi ha detto: è soprattutto la storia di un uomo che diventa padre». Non ci avevo pensato ma è esattamente così.
La musica è un altro elemento che contribuisce a creare tensione.
All'inizio ho chiesto a Philippe Rombi col quale avevo già collaborato di comporre la colonna sonora, ma aveva già altri impegni. Abbiamo quindi deciso di mettere in competizione tre compositori ognuno dei quali ha fatto una proposta. Laurent Perez Del Mar che ha composto le musiche de La tartaruga rossa ha proposto l'ouverture. Era molto potente, diretta. Ho pensato che fosse magistrale… l'abbiamo usata nel film senza cambiare una nota.
Devi essere molto ansioso di mostrare Mio Figlio, un nuovo genere…
Sì, è vero. Non conosco alcun regista che non desideri mostrare il proprio lavoro al pubblico. Per me Mio Figlio è un film di genere. E allo stesso tempo è la prima volta che non ho una vera storia da sostenere. Questo film mi ha concesso una libertà e un piacere nel giocare con i codici del genere mai provati. Una delle mie più grandi preoccupazioni era che il pubblico avrebbe capito tutto prima della fine. E ho provato a scartare questa ipotesi. Giocando appunto! Mio Figlio ha rappresentato per me la gioia di tornare ai miei primi desideri cinematografici senza dovermi attenere alle regole del plot, senza che ci fossero piani iniziali. Ed è stato divertentissimo!
INTERVISTA A Guillaume Canet
Christian Carion ti ha parlato di Mio Figlio per la prima volta sul set di JOYEUX NOEL – UNA VERITÀ DIMENTICATA DALLA STORIA…
Sì, mi aveva accennato della storia di un bambino scomparso e del padre che lo stava cercando. Pur senza aver fatto la stessa esperienza del personaggio, credo abbia toccato un nervo scoperto in Christian Carion; un padre assente che ha perso gli anni cruciali della crescita del figlio. Sono stato colpito a mia volta dalla storia, anche se in modo diverso poiché non ero padre all'epoca. Il tempo passava e io continuavo spesso a chiedergli novità sul progetto, nonostante sapessi che stava lavorando ad altri film. Poi abbiamo girato insieme L'AFFAIRE FAREWELL. La scorsa estate stavamo cenando quando Christian disse: "Vorrei fare Mio figlio. L'ho scritto e lo vorrei filmare in autunno". Io continuavo a fare un film dopo l'altro, ero esausto, e dovevo ancora fare la post-produzione di ROCK'N'ROLL… Così gli dissi che non potevo. La conversazione finì su VICTORIA, quel film tedesco filmato in un unico piano-sequenza che Christian mi consigliò. Così gli dissi: "Non conosco la sceneggiatura né la storia, ma tu lo vorresti girare in un unico piano-sequenza?", vidi un bagliore nei suoi occhi ma rispose che non era possibile. Così suggerii di girarlo in tempo reale: "Tu prepari tutto prima, arrivo e giriamo". Disse: "Ci sto!".
Dunque era già stato menzionato che non avresti letto il copione?
Sì, Christian mi disse: "Se lo facciamo in questa maniera, non devi leggere il copione. Poiché questa è la storia di un uomo che non sa a cosa va incontro, vorrei che anche tu ti trovassi nella stessa situazione; quella di un uomo che si trova sorpreso, senza alcun modo di prevedere cosa succederà, che sia scioccato, commosso, che passi attraverso ogni tipo di emozione mentre fronteggia l'ignoto". Ecco cosa trovai davvero eccitante come attore, immergermi in un'avventura del genere.
Come ti prepari per un ruolo di cui sai poco o niente?
È davvero molto strano. Invece del copione, Christian mi ha inviato un documento, mi sembra si chiamasse "idea di base", che spiegava la vita del personaggio fino alla scomparsa del figlio. Così sapevo che il suo nome era Julien, che lavorava come geologo per la Véolia, che incontrò sua moglie (Mélanie Laurent) a Grenoble quando era ancora uno studente, che cominciò a voler viaggiare subito dopo la nascita del suo primogenito, e cominciò a lavorare per Véolia, che gli permise di allontanarsi da casa più spesso. Gradualmente si ritrovò sempre più coinvolto dal lavoro, finché un giorno non prese la difficile decisione di abbandonare il figlio, con tutti sensi di colpa che una decisione del genere comporta… E sapevo che il film iniziava mentre era in viaggio, quando riceve un messaggio in segreteria che lo avvisa che il figlio è stato rapito. Questo è tutto ciò che sapevo. Così la mia preparazione al personaggio prevedeva di guardare documentari sulla geologia, sulla Véolia, perché pensavo che mi sarebbe tornato utile ad un certo punto… Che ne avrei dovuto parlare.
Chiesi a Christian: "Dovrei fare delle ricerche?", e mi rispose di sì quando invece non c'entrava assolutamente nulla! Così guardai tonnellate di filmati, preoccupato che avrei dovuto fornire qualche informazione scientifica di rilievo. Ci ho veramente lavorato su. Dieci giorni prima dell'inizio delle riprese, ero pietrificato dalla paura perché non avevo idea di cosa sarebbe successo. E poi c'era la questione del copione: sarebbe anche potuto essere terribile, ma lo avrei scoperto solo durante le riprese. Christian è un mio vecchio amico e mi fido di lui, ma ero comunque teso.
In quei dieci giorni la tensione salì molto, e per il momento in cui iniziammo le riprese ero preparato come mai per alcun film che avevo girato in passato. Ero ossessionato da un aspetto: non sapevo che cosa mi sarebbe successo! Così ero sempre all'erta, calandomi nella mente di un padre a cui capiterà qualcosa di terribile. Penso che la preparazione sia avvenuta a livello subconscio, psicologico.
Poi è arrivato il momento di prepararsi a partire…
Christian venne a casa mia, aprì l'armadio e disse: "Ok, avrai bisogno di scarponi da escursione, un paio di jeans, un maglione, una maglietta di ricambio, vestiti che si potrebbero indossare in Canada, e un vestito. Hai un vestito?". Così durante i sei giorni di riprese continuai a chiedermi quando avrei dovuto indossare quel cazzo di vestito nel bagagliaio della macchina! Sono salito sul treno con la valigia e il portabiti pensando che mi sarei ritrovato faccia a faccia con qualche pezzo grosso, magari uomini della compagnia che mi aveva assunto, che ci sarebbe stato un rinfresco… Ogni giorno arrivavo sul set chiedendomi come mi sarei dovuto vestire. E mi sentivo rispondere: "Come ieri, hai dormito in macchina l'ultima notte"… Ma allora perché il vestito? Christian mi disse: "Nessuna ragione, hai un vestito, ecco tutto". Così preparai la valigia e mi preparai per il primo giorno di riprese. Lasciai casa ed ero il personaggio.
E le riprese cominciarono subito?
Quando arrivai alla Gare de Lyon c'erano quattro persone ad aspettarmi: Christian, il direttore della fotografia, il tecnico del suono e il produttore esecutivo, Eve Machuel. Mi montarono un piccolo microfono a clip e partimmo. Prendemmo il treno, Christian mi disse: "Siediti qui, guarda il paesaggio e aspetta". Mi diedero un telefono e ad un certo punto squillò e, come faccio di solito su un treno, mi alzai e uscii, senza che la camera mi seguisse – mi filmarono attraverso il vetro… Prima che il treno partisse chiesi a Christian se fossi libero di fare ciò che volevo e mi disse: "Quando sei in macchina e ti senti di fermarti, fermati; se vuoi andare a comprare le sigarette, fallo". Fu straordinario, proprio come un gioco di ruolo.
Un gioco dove ti sei sentito solo?
Sì, perché non parlavo con la troupe. Si erano preparati per due settimane ma divennero audience perché non sapevano che cosa avrei fatto. Così ci controllavamo a vicenda, osservandoci. Avrei voluto stare con loro, ma avevano ricevuto istruzioni di non parlarmi, non si avvicinavano… Ero del tutto solo.
Sei mai stato strapazzato?
Sì, per esempio quando pensi che la giornata sia finita – poiché stai girando dalle 8 di mattina e sono le 11 di sera – giri una scena e il regista all'improvviso esclama: "Colpisci quell'uomo!" e l'attore di fronte a te si solleva la maglietta, esponendo il suo abbigliamento protettivo e dice: "Dai fallo, puoi persino colpirmi in faccia se vuoi!".
E l'hai fatto?
Sì! Si tratta della scena con Olivier de Benoist. Lo colpii, allora Christian mi chiese di legarlo, ma non sapevo con cosa! Vidi una lampada, strappai via il cavo e lo legai con quello. Christian mi disse: "Mettilo nel bagagliaio della tua macchina!". Sembra facile nei film – "Mettilo nel bagagliaio". Ma in quell'occasione capii cosa significa davvero trasportare un uomo, trascinarlo sul terreno e infilarlo nel bagagliaio! Ero esausto. Erano le 11 di sera e dissi a Christian: "Quindi abbiamo finito per oggi?". "No, andiamo alla stazione di polizia".
Ti sei mai rifiutato di fare qualcosa?
Dormire in una cella! Ero pronto a tutto, persino dormire in macchina, ma non a dormire lì. Te lo immagini? Così dissi a Christian di no. Esiste il metodo di recitazione di Laurence Olivier e quello di Dustin Hoffman… Conosci la storia? Durante le riprese de IL MARATONETA, entrambi gli attori dovevano cominciare una scena con il fiatone, così Hoffman corse attorno all'isolato per tre volte, tornò senza fiato e chiese a Olivier: "Tu non corri?" e Oliver rispose di no. Cominciarono a girare e Olivier finse il fiatone! Raccontai questo aneddoto a Christian e dissi: "Stasera userò il metodo di Olivier!".
Nonostante tutto ciò, la completa immersione nella situazione ti ha permesso di vivere pienamente un'esperienza così significativa?
È stata una grandissima esperienza come attore, mai provato nulla di simile prima! In particolare quando sono arrivato alla casa del rapitore. È stato qualcosa di particolarmente folle per un attore, perché non stavo recitando la scena, la stavo vivendo! Quando arrivai davanti alla porta principale, provai ad aprirla ma era chiusa. Christian mi disse di darle un calcio. Ruppi il lucchetto, entrai e trovai la macchina. Fu straordinario perché cominciai a immaginare ogni possibile situazione: avevo paura di aprire il bagagliaio e trovarci dentro un bambino. Quando salii al piano di sopra era buio e stavo tremando, pensai: "Sta per succedere qualcosa…". A conferma di ciò, potevo vedere che la troupe era agitata. Fu un'esperienza elettrizzante anche per loro! Sapevano che qualcosa stava per succedere mentre io ero convinto che da un momento all'altro sarebbe spuntato fuori qualcuno e mi avrebbe colpito!
Come è stato recitare con attori che, come Mélanie Laurent, avevano letto il copione, fatto le prove e dovevano portarti in giro?
Riuscivo a percepire la loro tensione. Christian mi disse che il giorno prima dell'inizio delle riprese erano tutti spaventati a morte. L'aspetto più folle della scena di fronte al patio con Mélanie fu che lei stesse recitando: non pensava avrei reagito come ho fatto quando le dissi: "Hai intenzione di rompermi le palle ancora per molto?". Non pensava avrei usato quel tono di voce. La presi del tutto alla sprovvista e proseguì in una direzione diversa… Alla fine della scena chiese scusa a Christian perché non aveva detto quello che avrebbe dovuto! Fu da matti! Tutte le scene furono indebolite e spezzate, se la posso mettere in questa maniera. Ma allo stesso tempo risultano in un'impressione di vita reale, con qualche incidente di grande spessore.
Fino al punto di stravolgere il senso della storia che, grazie a scene ambigue, risulta più come la storia di un uomo che diventa padre piuttosto che una storia d'investigazione…
Sì, sono del tutto d'accordo, infatti riassume appieno il modo in cui abbiamo lavorato al film: alla fine, siamo sempre andati al cuore della vicenda.
C'erano molte sequenze in cui avremmo anche potuto parlare di più, per aggiungere dettagli… Ma il fatto che il film risulti ridotto all'osso viene dalle nostre reazioni. Nella vita reale non reagisci pensando allo stesso tempo a spiegare la situazione ad un pubblico. In una situazione reale ti ritrovi ad essere l'attore o lo spettatore, vivi la situazione ma non hai delle battute da recitare per spiegarla. Ecco cosa conferisce veridicità a un film.
Il sesto (e ultimo) giorno di riprese, dev'essere stato un momento intenso…
Prima di tutto il tempo atmosferico era perfetto. Aveva nevicato per due giorni prima che cominciassimo. Durante le riprese c'era la nebbia, poi la neve… E poi durante la notte del quinto giorno si è sciolta tutta! Il giorno successivo c'era un sole luminoso. Non lo scorderò mai: sono arrivato sul set, in questo prato, sono sceso dalla macchina, ho guardato Christian e ho esclamato: "Gli dèi sono con te!". Sapevo che avremmo girato l'ultima scena. Christian me lo aveva preannunciato la sera prima. Ma fu anche l'unico dettaglio che mi rivelò…
Ora che hai provato questa esperienza, essendo sia regista che attore…
La risposta è sì! Mi piacerebbe moltissimo rifarlo! L'ultimo giorno ho ringraziato tutti dal profondo del mio cuore per avermi permesso di vivere un'esperienza tanto intensa – la migliore esperienza cinematografica provata fino ad ora. Ho imparato tanto come attore, come mai prima. Ora sento che nulla sul set può più spaventarmi. È stata un'esperienza talmente folle che ora sento di essere pronto per qualunque cosa. In precedenza, un tecnico che parlava sul set mentre recitavo mi avrebbe infastidito, probabilmente perché non ci stavo dentro davvero… In quest'occasione ho recitato senza vedere o sentire cosa succedeva intorno a me perché ero completamente immerso nella parte. Questa esperienza mi ha insegnato tanto, mi ha fornito molte risposte ma soprattutto, mi ha ispirato a diventare un regista! Essere capaci di dare vita a un'esperienza del genere e offrirla ad un attore… È davvero un regalo speciale!
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info: 27/09/2018.
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