Il condominio dei cuori infranti (2015)
Macadam StoriesUn palazzo di periferia in una cittadina francese. Un ascensore in panne. Tre incontri improbabili. Sei personaggi insoliti. Il vecchio Sternkowitz e l’infermiera, l’attrice in pensione Jeanne, il giovane Charly, l’astronauta McKenzie e la signora Hamida. Dei solitari che si troveranno uniti da un grande sentimento di rispetto e compassione.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 24 Marzo 2016Uscita in Italia: 24/03/2016
Prima Uscita: 17/05/2015 (Cannes Film Festival)
Genere: Commedia
Nazione: Francia - 2015
Durata: 100 minuti
Produzione: La Caméra Deluxe, Maje Productions, Single Man Productions, Emotions Films UK (co-produzione), Jack Stern Productions (co-produzione), Film Factory (co-produzione)
Distribuzione: CINEMA
Box Office: Italia: 672.848 euro
Note:
Presentato Fuori Concorso alla 68esima edizione del Festival di Cannes
Immagini
Ispirato ai racconti del regista Samuel Benchetrit “Cronache dall’asfalto” (pubblicato in Italia da Neri Pozza), il film è pervaso di una piccola comicità sentimentale. “Avevo voglia di raccontare la periferia in modo diverso – afferma Benchetrit – attraverso personaggi insoliti […] Se dovessi riassumere il film direi che si tratta di storie di cadute. Come si può cadere – dal cielo, da una sedia a rotelle o da un piedistallo – e riuscire a risollevarsi? Ecco la questione che attraversa ogni istante del film. Perché gli abitanti delle periferie hanno grandi capacità di recupero. So, perché ci ho vissuto, che in nessun altro luogo esiste una solidarietà così forte come nella banlieue”.
NOTE DI REGIA – Samuel Benchetrit
Il film è tratto da due dei racconti di “Les Chroniques de l’Asphalte”, che avevo scritto nel 2005, ai quali ho aggiunto la storia di un’attrice che vuole andare a vivere nello stesso condominio semi abbandonato di un quartiere popolare. Con questo film avevo voglia di raccontare la banlieue in modo diverso attraverso dei personaggi che non siamo abituati a vedere quando parliamo di periferie. E se dovessi riassumere il tema della pellicola dire che si tratta di tre storie di caduta: come si può cadere – dal cielo, da una sedia a rotelle o dal proprio piedistallo – e ricevere un aiuto per rialzarsi? È questa la domanda che percorre in ogni istante IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI poiché la gente delle periferie sa essere molto brava a recuperare. Ho vissuto la mia giovinezza in un quartiere popolare e posso affermare di non avere mai conosciuto un senso di solidarietà così forte come in periferia. 8Avevo voglia di mostrare il legame invisibile che si crea tra le persone, fatto di silenzi e di sguardi. I miei personaggi sono individui autenticamente solitari e in teoria non hanno alcun motivo per parlare con gli altri. E questo vale per Stemkowitz dalla morte della madre, per la Signora Hamida da quando suo figlio è in prigione o per Jules la cui madre è irreperibile, come per coloro che il caso metterà sulle loro strade: l’infermiera di cui percepiamo il malessere, il cosmonauta tagliato fuori dal mondo da diverse settimane e un’attrice in piena crisi depressiva. E la macchina da presa svolge il ruolo del narratore principale del racconto e, a seconda delle situazioni, assume una posizione distaccata, discreta o sarcastica. Ci sono pochissime battute a tono nel film: prevalgono i piani sequenza e i silenzi. Probabilmente anche perché acquisendo esperienza riesco ad esprimere quello che voglio dire con meno parole. IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI è il film che mi assomiglia di più. Un film di un cantastorie ebreo, come mi ha carinamente detto Raphaël che ha composto le musiche.
INTERVISTA CON SAMUEL BENCHETRIT
Cosa le ha fatto venir voglia di realizzare un film come IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI?
Il film è tratto da due dei racconti di “Les Chroniques de l’Asphalte”, che avevo scritto nel 2005, ai quali ho aggiunto la storia di un’attrice che vuole andare a vivere nello stesso condominio semi abbandonato di un quartiere popolare. Con questo film avevo voglia di raccontare la banlieue in modo diverso attraverso dei personaggi che non siamo abituati a vedere quando parliamo di periferie. E se dovessi riassumere il tema della pellicola dire che si tratta di tre storie di caduta: come si può cadere – dal cielo, da una sedia a rotelle o dal proprio piedistallo – e ricevere un aiuto per rialzarsi? È questa la domanda che percorre in ogni istante IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI poiché la gente delle periferie sa essere molto brava a recuperare. Ho vissuto la mia giovinezza in un quartiere popolare e posso affermare di non avere mai conosciuto un senso di solidarietà così forte come in periferia. Malgrado il fatto che con il passare del tempo, come è accaduto ovunque, la solitudine e l’isolamento stiano pian piano guadagnando terreno.
Quando è nato esattamente questo progetto?
Ho scritto la sceneggiatura 4 anni fa, subito dopo aver terminato le riprese di J’AI TOUJOURS RÊVÉ D’ÊTRE UN GANGSTER. Ma non mi sono subito dato da fare per mettere in piedi la produzione perché mi ero impegnato a realizzare CHEZ GINO e solo dopo aver girato quel film ho cominciato la ricerca dei finanziamenti. I miei primi produttori erano convinti che sarebbero riusciti a reperire 5 milioni di euro solo grazie al mio nome. E come io non ho mai smesso di ripetere loro, hanno ovviamente fallito. A quel punto ho girato UN VOYAGE per conto mio, producendolo con i miei mezzi. Ed è stato subito dopo quell’esperienza al tempo stesso dolorosa e salvifica che ho avuto la fortuna di incontrare altri tre produttori: Julien Madon, Marie Savare e Ivan Taïeb. IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI deve moltissimo a queste tre persone che hanno creduto fin dall’inizio nel progetto e sono stati sempre pronti ad affrontare tutti i rischi che abbiamo incontrato.
Quali sono stati i primi attori a cui ha pensato per IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI?
Valeria Bruni-Tedeschi e Michael Pitt si sono dichiarati disponibili fin dall’inizio e non mi hanno mai abbandonato. Inoltre, era da molto tempo che desideravo lavorare con Valeria. È una donna che mi commuove profondamente. Guardando i film che realizza, aspetto sempre con ansia il momento in cui appare sullo schermo perché so che di sicuro sta per avvenire qualcosa. Ero quindi convinto che con la sua bellezza, la sua energia e il suo disagio avrebbe animato il mio film in ognuna delle sue apparizioni, malgrado il suo personaggio dell’infermiera abbia poche scene. È sempre una fortuna starle accanto.
E per quale ragione ha scelto Michael Pitt per interpretare il cosmonauta che atterra sul tetto del condominio?
Anche lui mi ha colpito moltissimo. Sul set, non smette mai di cercare e di proporre nuove idee. È un instancabile lavoratore e quando recita emana un’energia potente e straordinaria.
Michael è stato il primo attore a cui ho pensato per questo ruolo. Avevo un asso nella manica: il premio vinto dal mio film J’AI TOUJOURS RÊVÉ D’ÊTRE UN GANGSTER al Sundance Film Festival mi ha permesso di aprire alcune porte. Ho mandato la sceneggiatura a tre attori diversi e Michael è stato il primo a rispondere e a dirmi di sì.
Come ha acconsentito anche Isabelle Huppert…
Esatto. Avevo sempre sognato di girare con Isabelle. È stato il suo assenso a mettere in moto questa avventura. Dal primo scambio che abbiamo avuto fino ad oggi, ho vissuto un’esperienza meravigliosa con lei. È una grandiosa professionista che sa esattamente quello che vuole e dedica un’enorme dose di impegno ed energia per riuscire a ottenerlo. Ha la capacità di mettere un regista in una condizione di lavoro elegante. Crea quella distanza perfetta che rende le riprese sacre e il testo prezioso. Si è creato un legame davvero speciale tra mio figlio Jules e lei. Si sono voluti molto bene.
E ha subito pensato a Jules per interpretare il ruolo del giovane vicino?
No. I produttori avevano subito suggerito il suo nome, ma all’inizio io ero assolutamente contrario e quindi ho visto molti altri adolescenti. Ma poiché i produttori insistevano, ho finito col cedere e fargli fare un provino. E a quel punto ho dovuto arrendermi all’evidenza. Oggettivamente era più bravo degli altri perché aveva subito capito tutto del personaggio e quindi gliel’ho affidato senza la minima esitazione. Questo però non mi ha impedito di essere un po’ preoccupato per lui. Nella prima scena che ha girato, si è comunque ritrovato in mutande a prendere a calci un ascensore davanti a Isabelle Huppert! (ride) Nella vita, Jules è un tipo piuttosto schivo. Sullo schermo possiede al tempo stesso una violenza che riversa nella recitazione e un’incredibile disinvoltura. Il suo personaggio fa eco alla sua vita privata, in particolare nel rapporto con la madre assente. Dietro la macchina da presa, mi capitava a volte di considerarmi un pazzo a chiedergli di interpretare certe situazioni. Ma mi sbagliavo, perché l’eleganza che ha regnato su quel set ha permesso a tutte le cose non dette di planare magnificamente sopra tutti noi. Penso che Jules abbia imparato molto da Isabelle che per ogni scena si prepara nel suo angolo, lontana dal tumulto del set. Jules ha seguito lo stesso metodo e non si è mai lasciato distrarre dalla troupe che conosce da quando è nato. A onor del vero, ho fatto pochissime riprese con lui e Isabelle: tutto quello che cercavo era già presente fin dal primo ciak.
Continuiamo ad esplorare il cast del film. Perché ha scelto Gustave Kervern per interpretare Stemkowitz?
Inizialmente avrebbe dovuto essere Jean-Louis Trintignant a incarnare quel ruolo, ma è stato costretto a rinunciare per motivi di salute. Non riuscivo a trovare un sostituto e così ho deciso di ringiovanire il personaggio. Cercavo qualcuno di romantico e Gustave mi è apparso come un’evidenza. È un romantico duro e puro! Possiede un’umanità di una forza infinita.
L’ultimo componente del sestetto risponde al nome di Tassadit Mandi. Interpreta la donna che accoglie il cosmonauta nel suo appartamento. Come l’ha scovata?
Ho impiegato molto tempo a trovare l’attrice adatta per incarnare una madre che ha un figlio in prigione. Finché un giorno Eric Pujol, il mio primo aiuto regista, mi ha parlato di una conoscente di una conoscente che a quel punto ho contattato. Conosco a memoria il personaggio che interpreta: quella donna è realmente esistita nella mia vita. Non ho mai dimenticato il suo sguardo scaltro, la sua dolcezza, la sua determinazione che ho ritrovato in Tassadit. In realtà è stata la prima volta che ho girato con così tante persone che non conosco e dotate di personalità molto forti. E mi sono davvero lasciato andare a filmare il loro carattere senza cercare di farle entrare di forza nel mio universo.
Si affronta un film in modo diverso dopo due insuccessi come lo sono stati CHEZ GINO e UN VOYAGE?
No, perché IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI è il film che mi assomiglia di più. Un film di un cantastorie ebreo, come mi ha carinamente detto Raphaël che ha composto le musiche.
Si percepisce anche piuttosto in fretta un’altra differenza tra IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI e i suoi precedenti film: la parola si cancella e lascia maggiormente spazio al silenzio…
In effetti è il mio film meno parlato. Avevo voglia di mostrare il legame invisibile che si crea tra le persone, fatto di silenzi e di sguardi. I miei personaggi sono individui autenticamente solitari e in teoria non hanno alcun motivo per parlare con gli altri. E questo vale per Stemkowitz dalla morte della madre, per la Signora Hamida da quando suo figlio è in prigione o per Jules la cui madre è irreperibile, come per coloro che il caso metterà sulle loro strade: l’infermiera di cui percepiamo il malessere, il cosmonauta tagliato fuori dal mondo da diverse settimane e un’attrice in piena crisi depressiva. E la macchina da presa svolge il ruolo del narratore principale del racconto e, a seconda delle situazioni, assume una posizione distaccata, discreta o sarcastica. Ci sono pochissime battute a tono nel film: prevalgono i piani sequenza e i silenzi. Probabilmente anche perché acquisendo esperienza riesco ad esprimere quello che voglio dire con meno parole.
Come ha lavorato con il suo direttore della fotografia Pierre Aïm?
Avevo preparato il film con un altro direttore della fotografia che a causa del cambiamento delle date delle riprese ha dovuto rinunciare all’incarico. Impegnato sul set di un altro film, Pierre ha potuto succedergli a sole due settimane dal primo ciak. E io ho deciso di non mostrargli alcun riferimento, in primo luogo perché si tratta del quarto film che realizziamo insieme e dunque ci conosciamo molto bene, ma anche perché avevo un’idea molto semplice e molto precisa di quello che volevo. Dal momento che avrei girato in ambienti piccoli, ci tenevo per esempio ad utilizzare il formato 1:1.33 poiché sarebbe stato impossibile usare il Cinemascope in spazi così ristretti. A dire il vero le limitazioni non hanno mai smesso di nutrire le riprese!
Questo gioco con le limitazioni assume tutto il suo significato nelle scene in cui vediamo il cosmonauta a bordo della sua navicella. Come è riuscito a ricreare così tanto realismo con un budget così piccolo a disposizione?
Ho preparato meticolosamente quelle scene a monte, prima incontrando un astronauta e poi lavorando intensamente con Alain Carsoux che ha sempre curato gli effetti speciali dei miei film. Avevo un’ossessione: in nessun momento quelle scene sarebbero dovute apparire cheap sullo schermo. È necessario adottare una forma molto seria e molto realista affinché tutto sia credibile.
L’improbabile incontro tra un cosmonauta americano e una donna di origini arabe le permette anche di parlare di politica…
La voglia di parlare di un quartiere periferico di alloggi popolari in modo diverso è stata una delle scintille principali che ha messo in modo il mio desiderio di fare questo film, perché quando si parla di periferie vengono in bocca sempre le stesse parole: punizione, religione, scontro… E non si parla mai di amore. Eppure mi sembra evidente che la mancanza di amore sia la causa di numerosi mali che oggi affliggono quei quartieri.
Non riusciamo bene a identificare l’epoca precisa in cui è ambientato il film. Perché questa scelta?
In effetti, la vicenda può svolgersi ai nostri giorni o negli anni ’80, il periodo in cui erano ambientati i racconti “Les Chronique de l’Asphalte”. Un vecchio televisore Grundig, il poster di DIE HARD o un walkman giallo stanno accanto a dvd dei film attuali. Questo miscuglio è una mia precisa volontà. Quando oggi mi capita di tornare nel quartiere popolare dove sono cresciuto negli anni ’80 non mi sento spaesato, perché la periferia è stata profondamente segnata da quel decennio. Dunque è logico che IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI abbia una patina anni ’80.
Poco fa ci ha detto di aver affidato le musiche del film al suo amico Raphaël. Come si è svolta la vostra collaborazione?
Raphaël si è mostrato molto entusiasta fin dalla prima lettura della sceneggiatura che gli ha ispirato una quindicina di brani. E io mi sono fissato su quello che si sente nel film. Durante le riprese ascoltavo incessantemente la sonata “Chiaro di luna” di Beethoven. Quel brano mi ha aiutato a definire con maggior precisione quello che stavo cercando per IL CONDOMINIO DEI CUORI INFRANTI: un ritornello molto dolce. Raphaël ha lavorato a partire da questa mia indicazione e io ho scelto quel suo brano specifico perché mi è particolarmente piaciuto il suono sintetico degli strumenti a corda e del pianoforte. Eric Heumann, il distributore del film, mi ripeteva spesso una piccola frase: “non dimenticare la piccola musica”. E io ho appunto voluto che il film fosse dominato da una musica discreta e non onnipresente.
Il film è cresciuto molto durante il montaggio?
No, in quella fase il vero pericolo era scivolare nell’autocompiacimento. Peraltro ho girato numerose scene di Gustave pensieroso nella sua cucina, di Isabelle seduta, sprofondata nel divano, di Jules che prova i cappotti di sua madre, di Michael che entra nella camera della Signora Hamida… Ma le ho tagliate tutte perché avevo ben presente che era necessario dare informazioni e non essere ripetitivo o fornire spiegazioni. Una volta tracciato il filo conduttore di ciascun personaggio è inutile appesantirlo.
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