I tre moschettieri – D’Artagnan – Poster

I tre moschettieri - D'Artagnan (2022)

Les trois mousquetaires: D'Artagnan
Locandina I tre moschettieri - D'Artagnan
I tre moschettieri - D'Artagnan (Les trois mousquetaires: D'Artagnan) è un film del 2022 prodotto in Francia, di genere Azione e Avventura diretto da Martin Bourboulon. Il film dura circa 121 minuti. Il cast include François Civil, Vincent Cassel, Romain Duris, Pio Marmaï, Eva Green, Louis Garrel, Vicky Krieps, Lyna Khoudri, Jacob Fortune-Lloyd, Eric Ruf, Marc Barbé, Patrick Mille. In Italia, esce al cinema giovedì 6 Aprile 2023 distribuito da Notorious Pictures. Disponibile in homevideo in Digitale da mercoledì 30 Agosto 2023.

D’Artagnan, giovane e vivace guascone, viene dato per morto dopo aver cercato di salvare una ragazza da un rapimento. Quando arriva a Parigi, cerca in tutti i modi di scovare gli aggressori ma non sa che la ricerca lo condurrà nel cuore di una vera guerra che mette in gioco il futuro della Francia. Alleandosi con Athos, Porthos e Aramis, tre Moschettieri del Re, D’Artagnan affronterà le macchinazioni del Cardinale Richielieu. Ma, innamorandosi di Costance, la confidente della Regina, si metterà in serio pericolo guadagnandosi l’inimicizia di colei che diventerà il suo peggior nemico: Milady.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 6 Aprile 2023
Uscita in Italia: 6 Aprile 2023 al Cinema; 30 Agosto 2023 in TVOD
Genere: Azione, Avventura, Storico
Nazione: Francia - 2022
Durata: 121 minuti
Formato: Colore
Produzione: Chapter 2, Pathe Films, M6 Films (co-produzione), Constantin Films Produktion (co-produzione), ZDF (co-produzione), Deaplaneta (co-produzione), Umedia (co-produzione)
Distribuzione: Notorious Pictures
In HomeVideo: in Digitale da mercoledì 30 Agosto 2023

Cast e personaggi

Regia: Martin Bourboulon
Sceneggiatura: Matthieu Delaporte, Alexandre de la Patellière
Musiche: Guillaume Roussel
Fotografia: Nicolas Bolduc
Scenografia: Stéphane Taillasson
Montaggio: Célia Lafitedupont
Costumi: Thierry Delettre

Cast Artistico e Ruoli:
foto François Civil

François Civil

D'Artagnan
foto Eva Green

Eva Green

Mylady
foto Louis Garrel

Louis Garrel

Luigi XIII
foto Vicky Krieps

Vicky Krieps

Anna d'Austria
foto Lyna Khoudri

Lyna Khoudri

Constance
foto Jacob Fortune-Lloyd

Jacob Fortune-Lloyd

Duca di Buckingham
foto Eric Ruf

Eric Ruf

Richelieu
foto Marc Barbé

Marc Barbé

Capitano Tréville
foto Patrick Mille

Patrick Mille

Conte di Chalais
foto Julien Frison

Julien Frison

Gastone di Francia



Produttori:
Dimitri Rassam (Produttore)


Basato sul romanzo di: Alexandre Dumas | Costumi: Thierry Delettre.

Recensioni redazione

I tre moschettieri - D'Artagnan, recensione del film
I tre moschettieri - D'Artagnan, recensione del film
Giorgia Tropiano, voto 7/10
I tre moschettieri - D'Artagnan è la prima parte di un dittico che vedrà la sua conclusione a dicembre con Milady protagonista. Questa prima parte è ben realizzata, equilibrata e con un cast spettacolare e molto azzeccato.

Immagini

[Schermo Intero]

Curiosità

In contemporanea con l’uscita cinematografica, I tre moschettieri – D’Artagnan esce nelle librerie con il romanzo e il manga ufficiali tratti dal film, entrambi editi da Gallucci.

Intervista con il Regista Martin Bourboulon

Che gioia si prova nell’affrontare un’opera così emblematica come I tre moschettieri? Cosa significa per te questo romanzo?
C’è un doppio piacere – come spettatore e come regista – che si scatena contemporaneamente. Poi è arrivata la fatidica domanda: come si fa a fare un film di cappa e spada nel 2022? Si trattava quindi di ricreare un contatto con questi grandi film d’avventura, che narravano di viaggi individuali e di Storia con la S maiuscola. Tutti ricordiamo la trama de I tre moschettieri, il senso dell’onore e della fratellanza che vi è raccontato, la grandiosità delle battaglie. Quando ripenso a ciò che questo romanzo rappresentava per me quando ero bambino, mi viene in mente qualcosa di grande.

In che misura pensi che questa storia abbia ancora una risonanza ai giorni nostri?
I film di cappa e spada, così come li immaginiamo, si rifanno ai grandi film degli anni ’60 e ’70 che ci hanno fatto sognare. Ma non è un genere che si è rinnovato così frequentemente. Per questo c’era una certa responsabilità nel riprodurlo oggi. Alcuni temi de I tre moschettieri, come il cameratismo e il tradimento, sono assolutamente senza tempo. Ma considero questo film anche come un grande film d’avventura.

Matthieu Delaporte e Alexandre De La Patellière sono gli sceneggiatori del film. Tu sei intervenuto anche nel processo di scrittura?
La scrittura è avvenuta in diverse fasi. Innanzitutto, c’è stato un impulso molto forte da parte dei produttori Dimitri Rassam e del gruppo Pathé, guidato da Jérôme Seydoux e Ardavan Safaee, a recuperare un certo patrimonio letterario, come hanno fatto a suo tempo Claude Berri e altri grandi produttori. In un momento in cui il consumo di immagini sta cambiando rapidamente con la presenza delle piattaforme, tutti noi condividevamo questo forte desiderio di un grande film per il cinema. Da quel momento, Matthieu e Alexandre hanno lavorato all’adattamento dell’opera, condensandola. Molto rapidamente, hanno avuto l’idea di dividere la narrazione in due parti, D’Artagnan e Milady, e di collegare le due storie in una linea temporale. Sono intervenuto riprendendo la loro prima versione… siamo molto complementari e ci conosciamo bene, il dialogo è sempre fluido tra noi. È stato a questo punto che abbiamo potuto confrontare i nostri punti di vista in modo che la loro scrittura fosse in linea con il film che volevo dirigere.

Il ritmo è sostenuto: le avversità sono permanenti; ci sono anche molte emozioni contrastanti.
Questo è dovuto all’opera stessa di Dumas e alla sua struttura seriale. I conflitti – emotivi o politici – e gli ostacoli sono formidabili motori drammaturgici. Matthieu e Alexandre, nella loro scrittura, hanno conservato il meglio del romanzo, con aggiunte intelligenti. Il tutto conferisce la sensazione di un film che non si arresta mai, che è ciò che tutti volevamo.

Il vostro film contiene riprese in sequenza, come la prima grande battaglia nella foresta, che è molto coreografata e dà la sensazione di passare da un personaggio all’altro con fluidità.
Volevo che fossimo sempre in contatto con i personaggi, che potessimo vivere le scene d’azione dal loro punto di vista, sempre con la massima immersività. Che lo spettatore fosse guidato più dalle emozioni e dalle reazioni dei personaggi che dall’azione stessa. Si è trattato di una sfida tecnica importante, ma che a mio avviso conferisce molto realismo e verità a queste scene.

In due sequenze – quando la regina è in trappola e quando Athos è tenuto prigioniero – mantenete il combattimento fuori dallo schermo. Questa specie di anticamera crea un contrappunto alle sequenze di combattimento vere e proprie…
In queste due sequenze, sperimentare la solitudine della regina, la paura o lo sgomento di Athos, mi è sembrato più importante e interessante che filmare l’azione stessa. La posta in gioco è alta a questo punto della storia e può cambiare il destino di questi due personaggi. Rimanere con loro, incollati ai loro punti di vista e in tempo reale, mi è sembrato più “giusto” in termini di messa in scena. Soprattutto perché, bloccati all’interno, non possono vedere ciò che accade all’esterno. Inoltre, trovo sempre molto interessanti i fuori campo nei film. Ciò che non viene mostrato è spesso più forte e misterioso, aggiunge intensità alle scene. Ho voluto lavorare su questo principio della messa in scena per dare un aspetto formale più contemporaneo a questo nuovo adattamento de I tre moschettieri.

Com’è stato il processo dei casting?
Il casting è sempre un momento un po’ magico. Sono stato davvero viziato! I moschettieri, François Civil, Vincent Cassel, Pio Marmaï e Romain Duris… tutti incarnano immediatamente il ruolo con talento non appena appaiono sullo schermo. Sono stato anche molto felice di lavorare con Eva Green, Vicky Krieps e Lyna Khoudri. È stata un’occasione per riunire in un unico film queste tre attrici di grande talento provenienti da contesti diversi. Ognuna di loro apporta forza alla storia. Per quanto riguarda Louis Garrel, è riuscito a creare un re magnifico! Il film ha un grande cast, con tanti grandi attori come Eric Ruf, Marc Barbé e Patrick Mille. Dovevamo raccontare la storia del XVII secolo e, per credere alla storia, ogni attore presente doveva avere una presenza forte e un “volto”!

D’Artagnan è appassionato. Athos, malinconico. Porthos, un viveur. E l’ambiguo Aramis diventa un personaggio rock!
Romain Duris è un attore camaleontico che può interpretare qualsiasi cosa. È pazzesco! Lo trovo perfetto, sexy e seducente nel ruolo di Aramis. Ha una civetteria che gli appartiene. Abbiamo costruito insieme il suo stile e il suo look. Pio era ideale come Porthos: è un viveur, eccessivo, uno che ha ancora fame quando si alza da tavola! La personalità allegra e generosa di Pio rende facile proiettarlo in questo personaggio. Con Vincent Cassel, l’immagine di un lupo grigio per rappresentare Athos è emersa rapidamente durante le nostre discussioni. C’è una frase molto bella nel film scritta da Matthieu e Alexandre che mi piace molto: “Athos cerca di affogare i suoi demoni nell’alcol, ma con il tempo hanno imparato a nuotare”. Vincent ha saputo creare questo personaggio solitario e malinconico. Ho trovato interessante anche il confronto tra una nuova generazione di attori, rappresentata da François Civil e Pio Marmaï, e quella di Romain Duris e Vincent Cassel, che sono nel mondo del cinema da più tempo.
Per quanto riguarda François, non avremmo potuto fare questo film con un D’Artagnan diverso da lui. Ha una rara precisione nel recitare, oltre a una fortissima forza fisica. È un D’Artagnan meraviglioso, affascinante, spensierato e insolente allo stesso tempo.

Dai vita a bellissimi personaggi femminili. Sono loro che fanno girare l’azione.
Mi piacciono molto questi tre personaggi femminili e le attrici che li interpretano. Le donne in questa storia sono molto importanti. Il destino della Francia è legato a quello della Regina.
Milady de Winter è una spia straordinaria, indipendente e sfuggente. Mi ha fatto molto piacere che Eva Green abbia potuto interpretarla, perché c’è qualcosa di misterioso in lei e la sua interpretazione è molto potente. Ha assunto un aspetto un po’ da supereroe nella sua recitazione, ed è interessante vederla interpretare questa donna speciale. Per il ruolo di Constance, sono stato felice di dirigere Lyna Khoudri, che avevo già notato in diversi film. Dovevamo affezionarci alla sua storia con D’Artagnan, che costituisce anche il legame con la seconda parte.
Per quanto riguarda Vicky Krieps, è una grande attrice, che ho amato scoprire ne Il filo nascosto. Sono rimasto molto colpito dalla sua interpretazione; riesce a far capire che è innamorata del Duca di Buckingham e che si trova in un terribile dilemma sentimentale con un semplice gesto della mano quando tocca una lettera.

Louis Garrel, nei panni di Luigi XIII, apporta un tocco anticonformista.
È un tono morbido, ambiguo e strano quello che abbiamo trovato insieme sul set. È stato pericoloso, perché la linea era sottile. Doveva anche stare attento a non perdere troppa autorità. Louis Garrel è riuscito a rendere il re inafferrabile. È un ruolo di composizione, Louis è un grande attore.

In questo film convivono diversi toni, diversi generi.
Sì, e la difficoltà è stata quella di sposare tutte queste tonalità. Il duello realistico e duro nella foresta doveva coesistere con la storia d’amore di Constance e D’Artagnan, e in alcuni punti con un tono più leggero. Da questa grande eterogeneità emerge, credo, una certa coerenza che tutti volevamo.

Come hai lavorato con i tuoi attori su questo linguaggio del XVII secolo?
Questa è stata una delle sfide del film. Si trattava di essere fedeli a questo linguaggio, che è molto bello, pur conferendogli una certa modernità. Non amo fare troppe prove, mi piace mantenere questa sorta di insicurezza, a rischio di scombussolare alcuni attori. Mi piace individuare il momento magico durante le riprese. Sul set, nelle scenografie e nei costumi, abbiamo cercato insieme il giusto tono affinché i dialoghi suonassero bene. Dovevamo riuscire a gestire questo linguaggio senza mai “forzare” la storia.

Questa è la tua seconda collaborazione con Thierry Delettre, il costumista.
Le sue creazioni sono magnifiche! È stato in grado di analizzare il XVII secolo con una nuova prospettiva. Temevo l’aspetto scontato dell’abito dei moschettieri. Al contrario, cercavo sporcizia e autenticità!
Il tema del cappello di piume ci ha tenuti molto occupati. All’inizio ne avevo paura, poi alla fine erano così belli che li volevo ovunque!
Credo che abbiamo trovato il giusto equilibrio posizionandoci a metà strada tra i moschettieri e i cowboy. Per la sequenza del ballo in maschera, l’idea era quella di immaginare una festa a cui si potesse partecipare oggi. Con il suo team, hanno inventato maschere straordinarie.

Avete girato su set reali.
La Francia ha un patrimonio eccezionale e non avremmo potuto immaginare di girare questo film altrove. Abbiamo girato nell’Île-de-France, in Bretagna, nelle Hauts-de-France e in Normandia per la prima parte, e in Borgogna, nel Grand Est e nella regione dell’Auvergne-Rhônes-Alpes per la seconda parte.
Ci è sembrato, insieme ai produttori, che girare in ambienti naturali e in luoghi molto suggestivi, come agli Invalides, nel cortile del Louvre, nella cattedrale di Meaux, nel castello di Chantilly, a Fontainebleau e Compiègne, anche se più complicato, avrebbe contribuito al realismo del film.

Come hai lavorato al suono e alla musica del film?
Il suono è fondamentale per conferire l’immersività che volevo per questo film. Per esempio, il suono dei colpi di polvere da sparo è stato molto difficile da trovare. Doveva essere barocco e avere un certo fascino per lo spettatore, ma anche “risuonare” con i codici sonori di oggi. Per la musica è stato decisivo l’incontro con Guillaume Roussel, che ha trovato subito il tono e i temi del film.

E per quanto riguarda la fotografia di Nicolas Bolduc?
Durante le prime discussioni con Nicolas, abbiamo cercato la “patina” del film. Questa parola cinematografica molto particolare ha guidato la nostra fase di preparazione! Oggi siamo tutti abituati a immagini molto definite e ad alta risoluzione. Noi volevamo un’immagine più imperfetta e rovinata rispetto agli standard odierni. Per questo abbiamo cercato di “sporcare” l’immagine, con polvere, fumo, tanti trucchi che aiutano la resa particolare di un film d’epoca.
Ma lavorare su un’immagine significa anche curare la scelta delle scenografie, il lavoro sui costumi, il trucco degli attori… È un pacchetto completo, e ho sempre fatto in modo che i diversi responsabili dei reparti potessero essere in costante dialogo.

Intervista con François Civil

Che posto occupano I tre moschettieri e Dumas nel tuo pantheon emotivo?
Questa è stata più o meno la prima domanda che Dimitri Rassam, il nostro produttore, mi ha posto nel suo ufficio all’inizio del 2020. Ammetto di aver un po’ bluffato quando ho detto che questo romanzo di Dumas era il mio libro della buonanotte da bambino… Sono andato a questo incontro con i baffi ben curati e i capelli legati, insomma, ho giocato bene le mie carte per ottenere questo ruolo. Forse nel modo audace di un D’Artagnan che affronta Tréville per diventare moschettiere…
La forza narrativa di questo romanzo, i suoi temi, i suoi personaggi iconici, i loro percorsi che influenzano direttamente la grande storia della Francia, fanno di questo libro, a mio avviso, il più grande romanzo d’avventura della letteratura francese.

Qual è stata la tua reazione alla lettura della sceneggiatura di Alexandre De La Patellière e Matthieu Delaporte?
Tra l’incontro di cui sopra e la prima lettura della sceneggiatura sono trascorsi diversi mesi di scrittura. Mesi durante i quali ho riletto il romanzo, poi ho visto diversi adattamenti in film o serie. Senza volerli denigrare, bisogna dire che nessuno di questi adattamenti ha reso giustizia alla sensazione che ho provato leggendo l’opera. Tutti avevano una certa distanza o leggerezza con l’azione e i personaggi, non ho trovato l’oscurità, il pericolo dell’epoca e il respiro epico che permea il romanzo.
È stata una gioia leggere la sceneggiatura di Alexandre De La Patellière e Matthieu Delaporte. Per me è stato un tour de force che ha saputo coniugare la fedeltà all’opera con intelligenti libertà che hanno modernizzato la storia. Era molto fluido, intenso ma mai pesante, divertente ma mai scontato, pieno di suspense, epico e pieno di battute che già non vedevo l’ora di recitare! Ho letto il copione come si legge un ottimo romanzo, come si legge Dumas!

Cosa ti ha stimolato di questo progetto?
La sfida! Cercare di fare un film d’avventura, con una portata per il grande pubblico. Riconsiderare la mitologia dei Moschettieri e scuotere l’immagine epocale presente nell’inconscio collettivo. Assumere un ruolo iconico e magnifico e lasciare qualcosa dietro di sé. Essere all’altezza degli standard che tutti noi ci siamo imposti.
In questi film c’era talento su tutti i livelli, ambizione ovunque e per tutto il tempo. Come si fa a non essere stimolati?

Chi è D’Artagnan? Come lo percepisci? Cosa diresti della sua evoluzione? In cosa si differenzia dai suoi compagni? Come si completano a vicenda?
Dumas mette un po’ di sé in tutti i suoi personaggi. Tanto nel lato viveur di Porthos quanto nell’ardore di D’Artagnan o nella seduzione di Aramis. La loro complementarità deriva anche dal fatto che sono frutto dello stesso autore.
D’Artagnan si distingue innanzitutto per la sua giovinezza. È un giovane guascone di famiglia nobile ma squattrinato. Il suo nome e il suo temperamento sono la sua unica ricchezza. Trovo questo personaggio bellissimo per la sua lealtà, la sua onestà, la sua insolenza, la sua temerarietà, il suo ardore e la sua ingenuità. Tutto è nuovo per lui. Parigi, il corpo dei moschettieri su cui ha fantasticato tanto, l’amore improvviso che lo colpisce, i misteri e gli ingranaggi del potere…
La sua freschezza è stata il mio punto di partenza.
È l’eroe di un racconto iniziatico di rara intensità. In meno di 24 ore, quasi muore, viaggia, sfida, si innamora, quasi muore una seconda volta, uccide un uomo, incontra un re e si fa degli amici che manterrà per sempre… È una giornata particolare!
Inoltre, mi è piaciuto far crescere questo personaggio facendogli mettere in discussione l’ammirazione che prova per i suoi compagni moschettieri. Diventare adulti significa anche mettere in discussione i propri modelli di riferimento e affermare se stessi. Penso che abbiamo esplorato sottilmente la differenza del punto di vista sull’amore tra D’Artagnan e Athos. Quest’ultimo è diffidente nei confronti delle donne a causa di una ferita narcisistica, per questo abbiamo voluto che D’Artagnan fosse più moderno. Tutte le certezze e gli aspetti che riguardano D’Artagnan nel primo film diventano più intensi e oscuri nella seconda parte… Interpretare tutte queste sfaccettature e questa evoluzione è stato meraviglioso.

Come ti sei preparato per questo ruolo? Hai fatto delle ricerche? Come ti sei allenato fisicamente?
Prima di tutto, ho dovuto liberarmi del peso delle interpretazioni passate…
Noiret, Belmondo, Fairbanks, Gene Kelly, Jean Marais, Gabriel Byrne… è un fardello pesante! Per cominciare, ho semplicemente cercato di immaginarmi al posto di un giovane dell’epoca. Matthieu Delaporte e Alexandre De La Patellière mi hanno dato un grande aiuto. La loro conoscenza dell’epoca, della vita nel XVII secolo, delle forze in gioco, dello stato d’animo della gente, mi è stata utile.
Inoltre, ci siamo seduti tutti e quattro con Martin per analizzare questi due momenti molto intensi, dato che avremmo girato entrambi i film contemporaneamente. Dovevamo quindi avere una visione chiara della storia e delle varie traiettorie prima delle riprese, per non perdere nulla durante gli otto mesi di riprese.
Ho dovuto anche preparare il ruolo fisicamente. Prima di tutto, dovevo essere in una forma fisica che mi permettesse di tenere il passo durante questi lunghi mesi, ma soprattutto dovevo imparare la scherma, le coreografie di combattimento e diventare il miglior cavaliere possibile. Ambiti in cui ero totalmente inesperto. Poco più di sei mesi prima dell’inizio delle riprese ho iniziato a fare pratica al ritmo di due o tre volte alla settimana. Scherma sportiva con Yannick Borel (campione olimpico) e “voltige” a cavallo con Marco Luraschi, che in realtà è la mia controfigura nei film. L’idea era che diventassi il miglior cavaliere possibile per poter eseguire da solo alcune acrobazie, cosa che abbiamo fatto!
Una volta che ho consolidato queste basi, è stato il momento di lavorare sulle coreografie con Dominique Fouassier e la sua squadra di stuntman. L’eccellenza delle persone che mi hanno accompagnato mi ha spinto a pretendere di più da me stesso.

Che ruolo hanno avuto i costumi nella costruzione del tuo personaggio? In che misura le ambientazioni reali in cui hai girato hanno influenzato il tuo stato d’animo e la tua recitazione?
Tutta la preparazione personale che ho fatto è stata teorica fino al giorno in cui ho indossato il costume per la prima volta. Thierry Delettre, il nostro costumista, è un artista di talento ed è accompagnato da squadre di artigiani eccezionali. Su sollecitazione di Martin, Thierry è riuscito a rinnovare l’immagine abusata di quest’epoca e dei moschettieri stessi. Il lavoro svolto sui diversi materiali lascia senza fiato. Non solo i costumi sono sublimi, ma sono anche “utilizzabili”. A prova di polvere, di pioggia, di combattimento, di corsa, di caduta… Ci hanno dato la nobiltà di un moschettiere.
Il suo lavoro si combina con quello di Stéphane Taillasson, il capo decoratore. Ogni giorno arrivavo sul set con gli occhi ben aperti. Il film era già impressionante sulla carta… ma le scenografie reali sono state ancora più straordinarie!

Come hai trovato la tua cadenza, il tuo movimento, la tua andatura?
Ad essere sincero, non mi sembrava che D’Artagnan fosse così lontano da me… Oltre, naturalmente, al suo sconfinato coraggio, condivido con lui la gioia di vivere in gruppo, l’ottimismo, la lealtà, l’ingenuità e la testardaggine.
A ben guardare, ho l’impressione che Martin abbia scelto degli attori che già possiedono alcuni dei tratti caratteriali dei loro personaggi. Pio è un viveur come Porthos, Romain è seducente e affascinante come Aramis e Vincent ha la statura e il carisma di Athos. La sfida è stata quella di crederci e di vedere tutto attraverso l’ottica dei nostri personaggi, delle situazioni che vivono e dei loro legami.
 
E la tua voce?
Ho risparmiato al pubblico l’accento di Béarn… È così la mia voce! (Ride)

Come hai fatto a dare vita con fluidità ai dialoghi e al linguaggio del film?
Ho trovato i dialoghi di Alexandre e Matthieu squisiti, ben collegati al contesto storico. Volevo rendergli giustizia, pur assumendo uno stile più contemporaneo. Soprattutto, non volevo mettermi in imbarazzo con uno spettacolo “d’epoca”. Ricordo la mia prima scena di dialogo con Romain (l’incontro tra Aramis e D’Artagnan nella strada davanti alla locanda dei moschettieri), eravamo entrambi molto incerti su quello che stavamo facendo. Era difficile non sentirsi recitare! Strada facendo, ognuno ha trovato il proprio posto e il proprio strumento e presto ci siamo trovati in sintonia. Si trattava di fidarsi l’uno dell’altro.
Tanto che, alla fine, a volte siamo stati infedeli al testo, quando una delle nostre idee ci sembrava più pertinente.

Come hai lavorato con Martin Bourboulon? Come ti ha guidato?
Martin mi ha colpito molto. La sua coerenza, i suoi standard elevati in ogni momento e la sua direzione vivace hanno portato avanti il progetto. È riuscito a non lasciarsi mai bloccare dai mezzi a sua disposizione e a mettere sempre i personaggi e la storia al centro del processo creativo.
Il rapporto di fiducia che abbiamo avuto tra noi è stato prezioso per me. È un piacere lavorare sotto la sua direzione!

Come hai collaborato con gli altri attori? Come avete fatto ad andare d’accordo?
Con i tre moschettieri ci siamo conosciuti quasi come nel romanzo:
incrociando le spade. Ci siamo incontrati per la prima volta a un corso di scherma…
Devo ammettere che non ho vinto nemmeno un incontro! In seguito, la nostra immediata buona intesa è stata sufficiente a consolidare il cameratismo della storia.
Ho incontrato Eva più tardi, a una lettura della sceneggiatura. Mi ha colpito la sua capacità creativa. A differenza degli altri tre, Eva è molto diversa dal suo personaggio nella vita. Guardarla lavorare è stato molto producente. Provare insieme le coreografie di combattimento è stato intenso e impegnativo, e ho potuto constatare la sua dedizione e generosità.
La complicità con Lyna è stata immediata. Che gioia creare questo rapporto, questo amore nascente, cercare le sfumature con un’attrice così brava!

Il film ha diversi toni (dramma, commedia, avventura, romanticismo). Ciò ha influenzato la tua recitazione?
Ho cercato di interpretare tutto con la massima sincerità possibile. Martin è stato la nostra bussola per provare diversi livelli di registro. Siamo stati attenti a proporre sistematicamente diverse tonalità. Avendo visto i suoi film precedenti, sapevo che questo metodo ci avrebbe permesso di bilanciare i diversi toni e di dare ricchezza e accuratezza alla commedia.

Intervista Con Vincent Cassel

Hai qualche ricordo legato a I tre moschettieri di Alexandre Dumas?
Sì, perché quando ero più giovane ho accompagnato mio padre sul set de
I tre moschettieri di Richard Lester, in cui interpretava Luigi XIII. Ricordo un set allucinante, e Michael York, Oliver Reed e altre grandi figure del cinema dell’epoca. La grandiosità del progetto mi aveva segnato, soprattutto perché ero un ragazzino.

Anche Jean-Pierre Cassel ha interpretato D’Artagnan sotto la direzione di Abel Gance nella sua commedia Cyrano e D’Artagnan. Entrambi siete sicuramente legati a questo universo!
Perché siamo francesi! Ricordo di aver visto questo adattamento un po’ strampalato quando ero giovane anch’io. In realtà, questo nuovo adattamento diretto da Martin Bourboulon è il primo prodotto in Francia da molto tempo. Molti anglosassoni se ne sono impossessati. Quindi è un po’ un ritorno alle origini.

Cosa rappresenta per te il personaggio di Athos? Come lo hai percepito?
Mi piace molto, perché è quello che meglio collega i diversi episodi della saga dei Moschettieri di Dumas. È un uomo tormentato, che porta sulle spalle il peso del suo passato, che è perseguitato dal rimorso, dalla vergogna e dal senso di colpa: è un vettore di molte emozioni.

In che modo è oppresso dai suoi tormenti?
Athos dice che vorrebbe poter sorridere come D’Artagnan, ma non riesce più a essere felice. Crede di avere il controllo di ciò che gli accade.
Si dà il caso che io sia più vecchio di Athos. La mia età doveva essere integrata nel ruolo in modo vantaggioso. Così ho giocato con questo aspetto. Mi piace associare un personaggio a un animale: per me Athos è un vecchio lupo. Quindi ho settato i miei conflitti in questo senso, tenendo presente che la sua esperienza ha la precedenza sulla sua performance.
I nostri personaggi dovevano anche essere caratterizzati in modo esatto per poterli distinguere, il che ha dato a ciascuno di noi degli aspetti precisi da interpretare. Porthos è libero. Aramis ha dei principi, ma questo non gli impedisce di essere volubile. D’Artagnan è sottile e diretto come una spada. E Athos è esperto: è un riferimento per i suoi compagni.

Come ti sei preparato per queste riprese, tu che sei abituato a ruoli molto fisici…
Il vantaggio di fare questo lavoro da quarant’anni è che si finisce per avere un background: ho già maneggiato armi e sono andato spesso a cavallo. Dovevo solo rimettermi in gioco, perché i movimenti dovevano essere perfetti. I primi giorni sono difficili, ma poi la fiducia torna. A seconda che si stia girando un western o un film di cappa e spada, il modo di cavalcare è diverso. Athos è un vero nobile. La sua cavalcata ricorda il suo rango; la sua mano è bassa, vicino alla sella.

In che misura i costumi ti hanno aiutato a incarnare Athos?
Hanno influito molto. Abbiamo subito concordato con Martin e il suo team che Athos dovesse essere vestito con colori scuri. Abbiamo sviluppato il suo aspetto man mano che procedevamo. Dovevamo giocare con i codici del western, ma senza cadere in essi.
Volevo che Athos avesse i capelli lunghi, perché mi permetteva di giocare con la sua età e i suoi stati d’animo, come quando lo troviamo dopo una notte d’amore o quando sta per essere colpito. Quando gli tagliano i capelli prova vergogna, diventa come gli altri. Ero reduce da un servizio fotografico in cui avevo i capelli molto corti e non avevo i baffi; quindi, avevo tutta la libertà di inventare l’aspetto di Athos e mi ci sono applicato. La tinta sale e pepe dei capelli e dei baffi è stata misurata per trovare l’aspetto di questo lupo grigio, triste e stanco. Data la mia esperienza, volevo anche che il mio costume fosse comodo, cioè caldo, morbido e leggero, perché ci saremmo mossi molto all’esterno. Ho anche chiesto di indossare una sciarpa, perché non mi dispiace giocare con i peli del petto che sembrano rendere il mio personaggio sexy, ma non voglio congelarmi il sedere durante le riprese di notte con una temperatura di 5 gradi! Inoltre, la sciarpa aggiungeva nobiltà al mio personaggio, quindi era perfetta.

È stato facile appropriarsi del linguaggio del film?
Sì, l’abbiamo adattato con Martin sul set. È stato un adattamento costante per non cadere in qualcosa di troppo moderno o sofisticato. C’è una tale naturalezza nel cinema che non è facile parlare un linguaggio molto “scritto”. A questo proposito, trovo che la sceneggiatura di Alexandre e Matthieu sia notevole.

Come ti ha diretto Martin Bourboulon?
Quando gli facevo troppe domande, mi diceva: “Dillo e basta”. Questo gli si addiceva molto. Martin aveva una grande fiducia nella sua sceneggiatura e non ha cercato di fare nulla di stravagante. Ci ha lasciato libertà, ma si è sempre assicurato di ottenere tutto ciò di cui aveva bisogno nel montaggio.

Come hai lavorato con gli altri attori?
Per questo film era fondamentale che la chimica tra gli attori funzionasse.
Ero molto curioso di incontrare Pio Marmaï e François Civil, e felice di rivedere Romain Duris. Tra noi quattro si è sviluppato un sincero cameratismo. Eravamo come i moschettieri del film! Siamo rimasti uniti. Credo che ci fosse un’ammirazione reciproca tra tutti noi. Ho scoperto Pio e la sua folle energia. Mi ricorda Patrick Dewaere, ma senza la depressione. Romain, l’ho sempre trovato incredibilmente affascinante. È perfetto nel ruolo di Aramis. E chi meglio di François Civil può interpretare D’Artagnan oggi? Ha un aspetto da cane rabbioso e ostile, misto a candore, che è ideale per questo ruolo. Eva Green, con cui avevo appena trascorso tre mesi e mezzo per un altro film, mi ha fatto molto piacere rivederla, perché la ammiro molto e andiamo molto d’accordo. È stato un piacere incrociare di nuovo le spade con lei. Sapevo che sarebbe stata straordinaria nel ruolo di Milady.
Da quando Louis Garrel ha interpretato Godard, ha acquisito un’immaginazione incredibile e qui fa di Luigi XIII un re cresciuto troppo in fretta, goffo, un po’ patetico e commovente. Penso che sia meraviglioso.

Intervista con Eva Green

Conoscevi il mondo di Dumas?
Ho letto I tre moschettieri a scuola, ma sono rimasta colpita soprattutto dall’incandescente interpretazione di Lana Turner nel ruolo di Milady nell’adattamento di George Sidney. Il suo senso dell’avventura e del romanticismo mi ha entusiasmato.

Cosa ti ha colpito quando hai letto la sceneggiatura di Alexandre De La Patellière e Matthieu Delaporte?
Ho notato che sono riusciti a dare più corposità al personaggio di Milady e, in questo modo, si è allontanata dall’immagine tradizionale che abbiamo di lei. Hanno chiarito il motivo per cui è diventata Milady.
Hanno anche dato spessore ai moschettieri, che in vari adattamenti sono spesso rappresentati come infantili. Ho trovato la loro scrittura moderna e umoristica, fedele allo spirito di Dumas.

Come percepisci la figura di Milady?  
Nell’immaginario collettivo, Milady è malvagia, misteriosa, impavida, diabolica, pronta a tutto per raggiungere i suoi scopi. Nel secondo film capiremo perché è diventata questa donna senza scrupoli. Scopriremo il suo tallone d’Achille e, quindi, una nuova Milady, che trovo più umana. È questo viaggio interiore che vediamo in questo adattamento e che mi ha fatto dire di sì a questo progetto. Milady è anche una guerriera. È forte e maneggia le armi come gli uomini. È un’eroina moderna, libera, indipendente, che prende in mano il proprio destino. Mi piace il fatto che sia un’anticonformista e che non si preoccupi delle convenzioni sociali.

Le tre figure femminili, Milady, Constance e la regina, svolgono un ruolo centrale nella storia.
Questo mi piace molto. Queste donne sono meno sottomesse rispetto al romanzo; tutte e tre hanno una maggiore struttura in questo adattamento.

Come ti sei preparata per questo ruolo?
Mi sono allenata per due mesi per le scene con la spada e il pugnale. Sono andata a cavallo prima con Mario Luraschi, poi con la cavallerizza Margot Passefort, che lavora con lui e che mi ha aiutato a non avere paura dei cavalli. Ho praticato anche l’aikido. Tutto questo mi ha aiutato a trovare la forza interiore del personaggio. Mi sono divertita molto a lavorare con le controfigure del film. Sono stati tutti molto pazienti, perché ero goffa.
Anche i magnifici costumi di Thierry Delettre sono stati molto preziosi per me. È stata una vera e propria collaborazione tra me e lui e ne ero molto entusiasta. Thierry voleva dare l’impressione che Milady avesse viaggiato, attraverso la scelta di certi tessuti e attraverso dettagli, gioielli orientali. Ha avuto l’idea di farle indossare dei pantaloni sotto gli abiti per darle un aspetto pratico, moderno, da “in caso di battaglia”. È anche camaleontica, il che è molto divertente da interpretare. Mi sono divertita molto a recitare le scene in cui Milady finge di essere Isabelle de Valcour. Ha un’aria preraffaellita con il suo aspetto etereo e sofferente.

Questo personaggio è un cassetto a doppio fondo a tutti gli effetti!
Con Milady c’è sempre un secondo fine. È imperscrutabile. Spero soprattutto che anche il pubblico sia dalla sua parte e capisca chi è realmente. È sempre divertente interpretare un cattivo, e quando si sa perché agisce così, è ancora più interessante.

Perché è divertente interpretare un personaggio malvagio?
Perché spesso c’è qualcosa di irriverente. I cattivi si spingono oltre i limiti. È trasgressivo e divertente da interpretare, perché è così lontano da chi sei nella vita di tutti i giorni. Ti permette di lasciarti andare, è liberatorio!

Hai lavorato sulla tua voce per questo film?
Ho cercato di mantenere la mia voce in un registro basso e di modularla quando Milady si trasforma. Quando finge di essere Isabelle de Valcour, la mia voce è più alta, più sofferente, più giovane. Quando parlo in inglese con il Duca di Buckingham, la sua voce cambia in modo che non la riconosca. È stato molto divertente, perché è raro poter interpretare più personaggi nello stesso film.

Come vi siete appropriati dei dialoghi del film?
Martin voleva che non declamassimo e che proferissimo i dialoghi in modo diretto. Mi è piaciuto molto questo lavoro sul testo in questo film, perché trovo questa lingua molto bella. Come parlavano bene!

In che modo sei stata ispirata dalle ambientazioni reali in cui hai girato?
Che lusso girare in questi ambienti, in questi castelli, in queste foreste centenarie!
È raro in queste produzioni ed è davvero magico. Quando si entra nei costumi, si sgranano gli occhi! È davvero molto stimolante.

Come hai lavorato con Martin Bourboulon?
Ho avuto alcune sessioni con Martin in cui abbiamo analizzato le sequenze. Ho fatto anche delle letture con François Civil, dato che ho avuto il maggior numero di scene con lui. Milady ha una relazione travagliata con D’Artagnan, che cerca di sedurre. Con lui sembra giocare un po’ meno che con gli altri. Sul set, Martin aveva in mente il suo film e si fidava di noi. È stato facile lasciarsi andare sotto la sua direzione.

Come hai collaborato con gli altri attori?
Avevo fatto queste letture con François, che sono state molto utili, perché ci hanno permesso di cogliere l’energia dell’altro e ci hanno dato fiducia. François è un attore intenso e appassionato; è molto attento, istintivo e perfezionista, il che è contagioso. È anche molto umile e ha una grande presenza. È un grande attore.
Ho avuto il vantaggio di conoscere già Vincent Cassel, il che mi ha aiutato, perché appena arrivata sul set, avevo una sequenza importante da recitare con lui. Avevo girato Arsenio Lupin con Romain Duris, ma ci siamo incontrati poco sul set. Éric Ruf, che interpreta Richelieu, ha molto carisma e mi ha fatto sentire subito tranquilla. Milady non interagisce con tutti i personaggi. Spesso è sola e non ha amici!

C’è una scena in particolare che ti ha colpito?
Mi è piaciuto molto interpretare il ballo in mezzo alle comparse, i mangiafuoco, le splendide maschere e i veri musicisti nel castello di Saint-Germainen-Laye. È stato straordinario. Un ricordo magico.

Intervista con Louis Garrel

Che posto occupano I tre moschettieri e Alexandre Dumas nel tuo pantheon emotivo?
È una sorta di matrice infantile: lo associo alla nozione di travestimento per eccellenza e all’idea di avventura che si ha quando si è bambini. Nell’immaginario collettivo, la storia della collana della regina mi sembra fortemente ancorata. Per me, I tre moschettieri era anche la storia della monarchia raccontata ai bambini.

Cosa ti stimolato di questo progetto?
Quando mi è stato offerto il ruolo del re, la mia prima domanda è stata: chi interpreterà la regina? Quando ho scoperto che era Vicky Krieps, sono stato felicissimo, perché ho capito subito che saremmo riusciti a rappresentare una coppia. Poi mi sono concentrato su Luigi XIII. Ho letto la sua biografia scritta da Jean-Christian Petitfils, che è molto empatico con il personaggio e che si schiera contro Alexandre Dumas, contro il carattere presumibilmente docile del re e influenzato da Richelieu. Ho trovato questo libro entusiasmante. Ne ho tratto diversi elementi che mi hanno aiutato a sviluppare il personaggio.

Per esempio?
Il fatto che Luigi XIII sia figlio di Enrico IV, che fu assassinato ed ebbe altri figli illegittimi. Alla sua morte, la madre, Maria de’ Medici, fu nominata reggente di Francia e Luigi XIII fu mandato in un luogo per essere educato con i suoi fratelli, tra cui Gastone, il preferito della madre. Nel corso degli anni, Luigi si fa degli amici e, all’età di quindici anni, organizza un colpo di stato contro il Primo Ministro della madre, che fa assassinare. Manda in esilio la madre e Gastone. Deve affrontare i problemi con gli indipendentisti. La madre organizza un nuovo colpo di stato con l’aiuto di Gastone, che fallisce. Luigi XIII li reintegra nel palazzo reale e li perdona. La storia personale di questo re è quindi come un’opera di Shakespeare! Ho immaginato che ammirasse suo padre e che avesse anche dei complessi nei suoi confronti. Voleva essere un buon re, ma a quindici anni si può supporre che avesse bisogno di sostegno e che il suo compito non fosse facile. È stata la genesi della sua ascesa al potere a interessarmi. Ne I tre moschettieri, deve decidere se dichiarare o meno la guerra e se la moglie lo tradisce o gli è fedele. Questo doppio aspetto, politico e personale, mi ha affascinato.

Il romanzo de I tre moschettieri ha diversi toni e, per certi aspetti, Luigi XIII, come tu lo interpreti, ricorda un personaggio di Molière e porta un tocco di comicità.
Ho sempre pensato che Luigi XIII si trovasse in una posizione intermedia: allo stesso tempo, questa posizione di re gli è toccata e l’ha desiderata. È allo stesso tempo legittimo, perché è di sangue reale, e illegittimo, perché sua madre voleva vedere il fratello al suo posto. Da spettatore tendo sempre a pensare che un personaggio che abbia il potere e sembri goderne suoni un po’ falso. Ho preferito interpretare Luigi XIII con un leggero ritardo, come se avesse una certa instabilità caratteriale e fosse capace di prendere decisioni impulsive. L’umorismo, quando nasce dalle situazioni, non mi spaventa mai, perché non distorce la profondità delle cose. E ciò non mi ha impedito di tenere presente la gravità della situazione politica in cui si trovava Luigi XIII. Inoltre, non dimentica che suo padre era protestante e che fu ucciso da un cattolico, il che complica ulteriormente le decisioni che deve prendere. Ho tenuto presente questo passato doloroso quando l’ho interpretato.

Luigi XIII completa la lista dei grandi personaggi che hai interpretato!
Mi piace interpretare grandi personaggi, è vero. La cosa divertente è che ho interpretato anche Robespierre: ho interpretato un monarca e un rivoluzionario. Quando ho interpretato Luigi XIII, mi sono sentito un traditore di Robespierre!

Come hai fatto a diventare un tutt’uno con il tuo costume e con lo splendore che ti circondava?
È più che mai utile. I costumi molto pesanti e rigidi di Luigi XIII danno una postura. Più si è trasformati fisicamente, più ci si dimentica di se stessi e più l’immaginazione può dispiegarsi. La cosa più complicata, soprattutto a Fontainebleau, era passare dal camerino al palcoscenico attraverso un enorme cortile lastricato… con i tacchi fatti per il pavimento! Quando inciampavo davanti ai tecnici e alle comparse, avevo un aspetto diverso da quello del re… Xavier Beauvois, che interpretava Luigi XVI, mi aveva avvertito che all’inizio, con un costume regale, si tende a essere esaltati e che era importante scendere con i piedi per terra. Quindi il modo migliore per farlo era camminare sul set e perdere la calma inciampando davanti a tutti. La scena con i moschettieri nel vero cortile quadrato del Louvre è stata molto impressionante. Ci sembrava davvero di vivere quel momento. Quando ho fatto inginocchiare i moschettieri davanti a me, compreso Vincent Cassel, che è più anziano di me, ho cercato di rimanere umile e di non sovrastare nessuno!

Come hai lavorato al fraseggio di questo personaggio, che si dice fosse balbuziente?
Ho subito suggerito a Martin Bourboulon di usare un fraseggio un po’ particolare, che raccontasse la libertà e il viaggio un po’ strano di Luigi XIII. Mi piaceva pensare che ciò lo facesse come risaltare. Non volevo interpretare la balbuzie in sé, ma volevo che si percepisse che parlare era uno sforzo per lui.

Come ti sei appropriato del linguaggio del film?
Mi piaceva giocare con il linguaggio, come nella sequenza in cui il re inciampa nel tappeto e dice: “Un re non ha piedi per camminare all’indietro”. Ho quindi proposto delle piccole modifiche nell’interpretare Luigi XIII, alle quali Martin si è gradualmente affezionato e che mi ha suggerito di moltiplicare. Mi ha quindi lasciato abbastanza libero sul set e mi sono divertito molto a comporre questo personaggio. Questa discrepanza, ancora una volta, mi è sembrata interessante da trovare nell’interpretare un uomo che ha un tale peso sulle spalle e a cui spetta la decisione finale.

Come hai lavorato con i tuoi partner?
In maniera molto naturale. Io e Vicky Krieps ci conoscevamo già un po’. Eravamo felici di interpretare questa coppia reale. Eravamo d’accordo sul fatto che la regina e il re si amassero davvero, che la regina fosse consapevole dei problemi di Luigi XIII e che lui volesse renderla felice. Ho ritrovato Eric Ruf, che era stato il mio insegnante durante il primo anno al Conservatorio. Quando lo incrociai sul set, gli dissi: “Ciao, maestro, sai che sono il tuo re? “. Mi è piaciuto molto recitare con lui, perché lo ammiro come attore e come regista. In un contesto storico come quello, è stato davvero esaltante. Eric è divertente perché nella vita ha una voce morbida e quando recita ha un lato barocco che mi piace molto. Sono stato felicissimo quando sono riuscito a farlo ridere.
Per quanto riguarda i moschettieri, conoscevo Vincent Cassel e Romain
Duris, che mi ha fatto piacere incontrare di nuovo, e ho conosciuto Pio Marmaï e François Civil.

C’è una scena in particolare che ti ha colpito?
La scena dell’attentato al re in chiesa. È stata una scena molto lunga da girare. Avevo paura perché Vincent Cassel doveva fare un’acrobazia: doveva saltarmi addosso e buttarmi a terra. Gli ho chiesto di andarci piano, poi l’ho visto arrivare come un mammut su di me! Il re era spaventato, ma lo ero anch’io!


dal pressbook del film

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STREAMING VOD, SVOD E TVOD:
I tre moschettieri – D’Artagnan disponibile in Digitale da mercoledì 30 Agosto 2023
info: 6 Aprile 2023 al Cinema; 30 Agosto 2023 in TVOD.


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