La paranza dei bambini (2019)
La paranza dei bambiniNapoli 2018. Nicola, Tyson, Biscottino, Lollipop, O'Russ, Briatò vogliono diventare ricchi alla svelta, comprare abiti firmati e motorini nuovi. In particolare Nicola, la cui madre gestisce una piccola tintoria non resiste alla tentazione di entrare a far parte di una 'famiglia' camorrista.
Napoli 2018. Sei quindicenni vogliono fare soldi, comprare vestiti firmati e motorini nuovi. Giocano con le armi e corrono in scooter alla conquista del potere nel Rione Sanità. Con l’illusione di portare giustizia nel quartiere inseguono il bene attraverso il male. Sono come fratelli, non temono il carcere né la morte, e sanno che l’unica possibilità è giocarsi tutto, subito. Nell’incoscienza della loro età vivono in guerra e la vita criminale li porterà ad una scelta irreversibile: il sacrificio dell’amore e dell’amicizia.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: mercoledì 13 Febbraio 2019Uscita in Italia: 13/02/2019
Genere: Drammatico
Nazione: Italia - 2019
Durata: 110 minuti
Formato: Colore
Produzione: Vision Distribution (co-produzione), TIMVision (in collaborazione con), Sky Cinema (in collaborazione con)
Distribuzione: Vision Distribution
Box Office: Italia: 1.513.896 euro
Note:
Tratto dal romanzo 'La paranza dei bambini' di Roberto Saviano. Presentato il 12 Febbraio 2019 al Berlin International Film Festival.
Classificazioni per età: ITA: 16+
Conosciuto anche come: Piranhas [USA]
In HomeVideo: in Digitale da lunedì 3 Giugno 2019 e in DVD da giovedì 13 Giugno 2019 [scopri DVD e Blu-ray]
Recensioni redazione
Immagini
NOTE DI REGIA
La paranza dei bambini racconta il rapporto tra adolescenza e vita criminale: l’impossibilità di vivere i sentimenti più importanti dell’adolescenza, l’amore e l’amicizia, nell’esperienza del crimine. Il film mostra la perdita dell’innocenza di un quindicenne e dei suoi amici coetanei. La scelta criminale di Nicola, il protagonista, diventa passo dopo passo irreversibile e totalizzante e impone il sacrificio del primo amore e dell’amicizia. Vivere i sentimenti fondamentali dell’adolescenza nella vita criminale è impossibile: è un bisogno che esplode nel protagonista ma che non può essere più vissuto. Anche se il percorso di malavita non è un desiderio innato nei ragazzi, ma nasce come conseguenza di una condizione di illegalità diffusa, il film non vuole avere un punto di vista sociologico. Scegliamo il punto di vista dei ragazzi, senza giudicarli, e mostriamo i loro sentimenti di adolescenti in relazione all’esperienza del crimine e all’ambizione del potere: la narrazione della parabola criminale è sempre in funzione del racconto delle loro emozioni, delle storie di amicizia e di amore che proprio a causa della vita criminale sono destinate a morire. Nonostante i quindici anni dei protagonisti, i ragazzi sono costretti al rapporto quotidiano con la morte, al pensiero di essa come possibilità reale: vivono l’ambizione della conquista e scelgono la guerra nell’incoscienza. Nel desiderio di potere dei nostri ragazzini c’è anche il paradosso ingenuo, proprio della loro età, di voler fare il bene attraverso il male: il sogno di un potere giusto, l’illusione di una camorra etica. I figli uccidono i padri, si sostituiscono a loro e per farlo sono costretti ad abbreviare il tempo della loro crescita, a sacrificare la spensieratezza, a considerare la morte o la galera come una realtà vicina e quotidiana.
PREPARAZIONE E RIPRESE – Claudio Giovannesi
Anche se ispirato da fatti di cronaca, il film non vuole essere la descrizione di eventi realmente accaduti. L’obiettivo del film non è la ricostruzione puntuale di un evento di cronaca accaduto in un determinato quartiere, né il racconto della delinquenza minorile nella città di Napoli. Napoli è solo l’ambientazione, ma il tema del film è oltre il luogo della sua messa in scena: quello che è al centro del nostro racconto è l’età dei protagonisti in relazione a una scelta criminale irreversibile. Un’età innocente nella quale si vive l’esperienza della scelta di cosa è il bene e cosa è il male. Questi argomenti sono stati il cuore del lavoro che ho fatto con i miei giovani attori nella preparazione dei personaggi e delle scene. I desideri reali sono quelli che la società dei consumi propone: i vestiti firmati, gli orologi preziosi, le moto, il tavolo in discoteca, le bottiglie di champagne. Il bisogno di soldi, subito, per realizzarli. La possibilità reale, a portata di mano, di guadagnare con il crimine, l’incoscienza di non considerare le conseguenze. Questo è il percorso dei personaggi: la soddisfazione immediata dei desideri, l’euforia, l’ambizione, i reati, il superamento del punto di non ritorno, l’impossibilità di tornare indietro, la caduta. La costruzione dei personaggi si è basata sulla condivisione di questi temi, sulla riflessione collettiva nel gruppo degli otto ragazzi protagonisti, portando l’attenzione sui sentimenti dei personaggi: l’amicizia, il primo amore, il rapporto con la famiglia. Come si vive a quindici anni un percorso criminale? Quali sono le rinunce? I sentimenti ritenuti puri, i legami di fratellanza, gli amori che sembrano eterni e assoluti, quando iniziano a perdersi, a distruggersi, a entrare in conflitto con l’ambizione, con la lotta per il potere? Queste sono state le riflessioni tematiche che ho portato avanti con Francesco e gli altri ragazzi durante la preparazione e le riprese del film. Abbiamo scelto di ambientare il film nel Rione Sanità e nei Quartieri Spagnoli, perché Napoli, a differenza di Roma e di molte altre città italiane, conserva ancora un centro storico popolare, che mantiene viva la sua identità e non è stato ancora divorato dal turismo, dalla messa in scena del folclore. Il rione è protagonista del film insieme ai ragazzi: il mercato, la folla, i negozi, l’appartenenza a un quartiere in cui si è nati e cresciuti. Le riprese sono durate nove settimane e sono avvenute in sequenza: il primo giorno di riprese abbiamo girato l’inizio del film e l’ultimo giorno di riprese abbiamo girato il finale. Nessuno dei ragazzi protagonisti ha letto la sceneggiatura, né il romanzo da cui è stata tratta: questo perché i ragazzi dovevano vivere l’esperienza dei loro personaggi, giorno dopo giorno, dall’inizio alla fine. Non dovevano conoscere le conseguenze delle loro azioni, dovevano semplicemente viverle: vivere la nascita della fratellanza, il divenire un gruppo, il significato della guerra, l’illusione dell’ambizione, della conquista del potere, le conseguenze irreversibili delle azioni criminali, la perdita dell’innocenza, l’impossibilità di tornare indietro, di restare adolescenti spensierati, vivere la sconfitta.
NOTE DI ROBERTO SAVIANO
Qual è il nostro punto di vista e la prospettiva da cui guardiamo il mondo che ci circonda? Quali sono le nostre paure? Cosa vorremmo cambiare? È la visione del mondo che ciascuno di noi ha che, inevitabilmente, finisce per essere la sostanza di ciò che produciamo. E se il nostro mestiere è quello di scrivere, il racconto risponderà a un desiderio, quello di modificare, attraverso le parole, ciò che vediamo attorno a noi e che crediamo non funzioni. Quando da giovane iniziai a scrivere, mandavo i miei racconti a un intellettuale italiano che stimavo molto. Glieli mandavo stampati su carta, via posta ordinaria. E lui con una lettera, che conservo ancora, mi rispose: “Scrivi bene, ma scrivi stronzate. Ho visto il tuo indirizzo: apri la finestra, guarda fuori e scrivi ciò che vedi”. Così feci, e iniziai a scrivere di criminalità organizzata, e non perché guardando fuori dalla finestra fosse l’unica cosa che vedessi, ma perché era forse l’unica cosa a non essere visibile a occhio nudo, ma a essere comunque presente in ogni aspetto della vita non solo di chi campa in certe province del sud Italia. E quello sguardo, il mio sguardo sulla criminalità non era il primo, non era il migliore, ma era sicuramente nuovo. Nuovo perché ho provato a non fare cronaca, a non essere asettico ed equidistante, ma a raccontare con empatia la storia di terre martoriate dai clan, dagli affiliati e dai boss che non erano e non sono diversi da noi, ma identici a noi e spesso indistinguibili. E allora servivano strumenti per identificarli, serviva capire che la criminalità organizzata non è solo pistole e onore, ma anche e soprattutto soldi, soldi e ancora soldi. Poi è accaduta, presso certi ambienti che osservano il mondo senza la dovuta lucidità, una cosa assolutamente normale e che accade a chiunque racconti ciò che non si vuol vedere, ciò che ci si vergogna ad ammettere, ciò che fa male pensare che possa rappresentare un popolo e una nazione verso altri popoli e altre nazioni: hanno accusato i miei scritti di infangare, di volta in volta, la mia terra, il nord Italia, Spagna, Francia, Germania, perché responsabile non è chi appicca l’incendio, ma chi spegnendolo rende visibili le macerie lasciate dal fuoco; perché il problema non è il cancro che uccide, ma l’oncologo che, curandolo e facendo il suo lavoro, si “arricchisce” sulle disgrazie altrui. In questo clima nasce il libro La paranza dei bambini, in un contesto che non voleva ammettere, nonostante una violenza inaudita, arresti, omicidi e condanne, che nei vicoli di Napoli l’età degli affiliati ai clan camorristici si fosse drasticamente abbassata, che le vecchie famiglie erano state marginalizzate da giovani imprenditori del crimine il cui obiettivo era solo fare soldi, ottenere potere e regnare sulla città. E per ottenere soldi e potere qualunque mezzo sarebbe stato lecito. Se la consuetudine criminale, ovvero l’esistenza di un know how criminale diffuso, è alla base della presenza delle paranze di giovanissimi a Napoli, è vero anche che l’adolescenza distrutta dalla fame di potere e soldi è un tratto comune di tutte le periferie del mondo. Osservando più da vicino ciò che accade, il sillogismo banale secondo cui sei figlio di camorrista, sarai camorrista, oggi cade. A compiere azioni efferate e inspiegabili sono spesso ragazzi che non appartengono a famiglie criminali, con buona pace di chi vorrebbe che vi fosse una separazione netta tra i per bene e i per male. E questo accade essenzialmente perché l’invenzione della violenza senza alcun fine predatorio è la risposta al vuoto. A un vuoto che è pressoché totale, che non è solo percepibile, ma anche tangibile. Non c’è sistema, non c’è attenzione. Non c’è Stato in nessuna delle forme sotto cui lo conosciamo, stabilito che arresti e repressione non sono la cura, non sono la soluzione. E cosa significa questo? Significa che dopo non aver imparato a scuola, si sta in strada senza far nulla. Si sta in strada e si sperimenta la solitudine. Da qui bisognerebbe ripartire: innanzitutto nella cura delle persone. Se si vuole arginare un fenomeno come quello delle bande di ragazzini, si cominci con l’interrogare questi giovanissimi, conoscerne le difficoltà, comprenderne i bisogni profondi. Dove c’è educazione si rinuncia alla violenza, dove c’è vuoto di cultura c’è violenza. E in un dibattito che si vuole costruttivo non si dovrebbe parlare mai di emulazione, di violenza vista e quindi riprodotta. E non se ne dovrebbe parlare non perché l’emulazione non esista, ma perché la censura non è la soluzione. Sapete cosa significa censurare? Significa dire questo: “Dal momento che riteniamo una parte di voi incapace di discernere cosa sia bene e cosa non lo sia, meglio che non abbiate accesso a determinati contenuti. Se vedrete prostitute in televisione inizierete a prostituirvi, se vedrete criminali al cinema commetterete crimini. Non dovete sapere, non dovete vedere, non dovete conoscere. Vi devono mancare strumenti, perché quando vi vengono dati li usate male”. Ma chi sono i censori per decidere cosa mostrare e cosa vietare? Chi sono i censori per sapere preventivamente quali effetti produrrà la censura? E così, nel passaggio da Paranza libro a Paranza film, dalla parola concepita per essere letta a quella concepita per essere rappresentata, il faro che ha guidato me, Claudio Giovannesi e Maurizio Braucci è stato il racconto della strada e dei ragazzi che la popolano. Del modo in cui ci stanno dentro, di come se la sentono addosso, di come la penetrano, la feriscono e ne vengono a loro volta feriti. Di come si trovano immersi in qualcosa che prescinde da loro e che prescinde perfino dalle loro famiglie. Ma che non prescinde da tutti noi, dall’insieme delle persone che dovrebbero prendere atto dell’esistenza di una piaga per dare attenzione e trovare insieme una cura, senza nasconderla per vergogna. Di Giovannesi mi aveva colpito lo sguardo di Fiore sui ragazzi e sulla loro precarietà, precarietà nei sentimenti prima ancora che materiale. La loro incapacità di immaginarsi nel futuro. Questo mi sembrava il tassello che alla mia analisi andava aggiunto, necessariamente. Un approccio emotivo che mostrasse come, prima di essere criminali, i paranzini siano ragazzi che, in conseguenza della loro scelta criminale, hanno smesso di essere adolescenti e bambini per diventare qualcos’altro. E cosa nessuno lo vuole davvero capire, né le famiglie, non la comunità cui appartengono, tantomeno la società civile, che archivia le loro esistenze come effetti collaterali di una società che non può avere tutto sotto controllo: vittime e carnefici allo stesso tempo. Maurizio Braucci ha fornito alla mia analisi dei fatti criminali e all’indagine sui sentimenti di Claudio Giovannesi la malta, i mattoni, le travi, le impalcature. Maurizio Braucci è stato il collante tra me e Giovannesi, tra il mio modo di studiare e descrivere le paranze di camorra e la vicinanza emotiva di Claudio al mondo degli adolescenti. Questo è stato il lavoro fatto per La paranza dei bambini: un lavoro che ha avuto come obiettivo portare attenzione non solo sulle dinamiche criminali, ma anche e soprattutto sul complesso universo della criminalità giovanile. E Napoli? Napoli ancora una volta funge da laboratorio a cielo aperto, da ferita, una ferita attraverso cui guardare per capire ciò che sta accadendo, in questo preciso istante, agli adolescenti nelle periferie di Berlino, di Parigi, di Londra, di Johannesburg, di New York, di Città del Messico.
NOTE DI SCENEGGIATURA – Maurizio Braucci
La scrittura della sceneggiatura de La paranza dei bambini è iniziata a New York nel febbraio 2017, là io mi sono rincontrato con Roberto e lui e Claudio si sono conosciuti. All’inizio cercavamo il film nel libro e una cosa è stata sempre chiara: che tutto dovesse essere raccontato in velocità, allo stesso ritmo sfrenato, incalzante di quei ragazzini di Napoli che vivono sugli scooters e sfrecciano su di essi ovunque. A New York abbiamo messo giù il tema principale della storia e che riguarda il conflitto di un adolescente che deve scegliere tra diventare un capo rispettato o un ragazzino felice, abbiamo deciso di lavorare sul suo immaginario scolpito da modelli criminali e allo stesso tempo da pulsioni d’amore e di generosità. Quando siamo tornati in Italia, Claudio è venuto a stare a Napoli e da quel momento è stato tutto un entrare nella ricostruzione dei fatti, nelle logiche del mondo camorristico e nelle dinamiche di quello giovanile, abbiamo incontrato e ascoltato tante persone, dai prossimi e contigui al crimine fino ai poliziotti. Scrivendo le scene, man mano che entravamo nella mente del nostro protagonista e della sua ascesa al potere, davamo spazio anche ai sentimenti e ai legami che sapevamo appartenere agli adolescenti. Alla fine, ne è venuta fuori una storia che cerca di raccontare l’immaginario di tanti ragazzi sparsi nelle metropoli povere del mondo, lì dove il crimine può diventare l’unica possibilità per essere esistiti prima di morire.
NOTE SUL CASTING (Chiara Polizzi – Casting Director)
Il lavoro di Casting a Napoli per la ricerca dei giovanissimi protagonisti di La paranza dei bambini è durato mesi. Abbiamo incontrato più di 4000 ragazzi tra i 14 e i 18 anni prima di individuare i nove componenti del gruppo. È stato un lungo, estenuante, bellissimo viaggio. Claudio Giovannesi nella scelta del cast applica una formula che si basa su tre requisiti fondamentali: la prossimità, il talento, l’immagine. Prossimità con i contesti, le storie e i caratteri dei personaggi. Un grande talento interpretativo innato, volti e corpi capaci di restituire in modo prepotente l’innocenza e la bellezza dell’adolescenza. Per questo progetto la grande sfida è stata quella di trovare non uno ma nove ragazzi che rispondessero contemporaneamente a queste caratteristiche. Io e i miei collaboratori abbiamo così iniziato a mappare il territorio, individuando quartieri e ambienti della città in cui, verosimilmente, sarebbe stato più facile venire a contatto con l’adolescenza narrata in sceneggiatura. Abbiamo organizzato casting aperti nei quartieri periferici della città ma anche nel cuore della Napoli storica. Abbiamo fatto visita a circa venti Istituti Superiori, passando in rassegna classe per classe. Ma alla fine è stato lo street casting a dare i frutti migliori. Nessuno dei ragazzi protagonisti del film si è infatti presentato spontaneamente ad uno dei casting aperti organizzati e solamente Pasquale Marotta (Agostino) e Alfredo Turitto (Biscottino) sono stati trovati tra i banchi di scuola; studiavano all’Alberghiero per diventare chef. Gli altri sono stati letteralmente pescati nella loro quotidianità, tra i vicoli e le piazze di Rione Traiano, Sanità, Forcella, Scampia, Afragola e Quartieri Spagnoli.
L’incontro con Francesco Di Napoli (Nicola) è stato molto particolare. Un pomeriggio perlustrando il Rione Traiano, un quartiere non facile della periferia ovest di Napoli, abbiamo conosciuto la sua comitiva di amici. Francesco non c’era, era di turno al bar. All’epoca si occupava delle consegne, mentre oggi fa il pasticcere e si sveglia tutte le mattine alle cinque. Il caso ha voluto che mi capitasse sott’occhio il cellulare di uno dei ragazzi e che notassi una sua foto. Il volto di Francesco mi ha subito colpita. Per il personaggio di Nicola, Giovannesi mi aveva chiesto di lavorare a contrasto e di cercare un volto aggraziato con un che di angelico. Il desiderio era quello di allontanare il più possibile l’immaginario comune del baby gangster. Il volto di Francesco aveva quella grazia, così ho convinto i ragazzi e ho avuto l’indirizzo del bar dove lavorava. Sono andata a conoscerlo, ma lui ovviamente non mi ha presa sul serio e il giorno del primo provino in ufficio non si è presentato. Non è stato facile convincerlo. Fin dal primo provino, Francesco ha dimostrato di avere i tre requisiti che stavamo cercando. Non aveva mai recitato prima, ma non smetteva di vivere in scena. Provino dopo provino lui ha convinto noi e noi lui, è stato un percorso d’avvicinamento reciproco. Per lui in modo particolare, come per gli altri ragazzi de “La paranza”, nonostante una naturale predisposizione interpretativa, è stata necessaria una preparazione in vista delle riprese. La regista e attrice Eleonora Danco e l’acting coach Tatiana Lepore hanno lavorato per alcuni giorni, in due distinti laboratori intensivi con i ragazzi, aiutandoli a entrare in contatto in modo profondo con le loro emozioni, indicandogli una strada per esternare in scena i sentimenti. Giovannesi ha fatto tutto il resto, prima stabilendo con ciascuno un rapporto umano e professionale basato su fiducia e rispetto, poi dirigendoli.
Ar Tem (Tyson) è un giovanissimo e promettente pugile. Ha origini ucraine ma è cresciuto a Salicelle, estrema periferia Nord di Napoli. Ar Tem forse è l’unico dei ragazzi che aveva già una curiosità nei confronti del cinema, qualche anno prima che lo incontrassimo aveva partecipato ad altri casting per comparse. Oggi dopo l’esperienza del film, si è iscritto a un corso di recitazione.
Alfredo Turitto (Biscottino) lo abbiamo trovato a scuola, studiava all’alberghiero. Ci ha colpito subito per la sua energia. Durante il primo colloquio in ufficio ci ha conquistati definitivamente proponendoci un’imitazione esilarante di Nino D’Angelo. Alfredo è nato in una chiesa, letteralmente. Sua madre entrò in travaglio durante la comunione della primogenita, l’ambulanza non fece in tempo ad arrivare e Alfredo nacque lì, in chiesa. Oggi Alfredo gioca a calcio ma vorrebbe continuare a recitare.
Viviana Aprea (Letizia) l’abbiamo incontrata invece l’ultimo giorno di casting, ci eravamo ormai spinti con la ricerca fuori Napoli, in provincia, perché in città non avevamo ancora trovato la ragazza ideale. Viviana era la prima della fila, era arrivata molto in anticipo rispetto all’inizio del casting. La cosa divertente è che in diverse occasioni avevamo organizzato dei casting a Napoli, non lontano da casa sua, ma lei non ne aveva avuto notizia. Viviana studia in un Istituto Turistico, aveva alle spalle solo qualche piccola esperienza da modella.
Pasquale Marotta (Agostino) vive a Scampia. Lo notammo tra i corridoi della sua scuola. Si è diplomato durante le riprese e oggi lavora in un ristorante del centro di Napoli. Il suo sogno rimane quello di aprire un suo locale a Miami.
Carmine Pizzo (Limone) è il più adulto del gruppo. È nato e cresciuto nel cuore di Napoli, tra via dei Tribunali e San Gregorio, a due passi da Forcella. Carmine aiutava il padre venditore d’abbigliamento nei mercati. Nonostante questo, con alcuni suoi amici venne a conoscerci durante un incontro che avevamo organizzato nel suo quartiere.
Ciro Pellecchia (Lollipop) si è presentato spontaneamente un giorno in ufficio chiedendo di poter sostenere un provino. Noi in realtà stavamo aspettando suo cugino, fermato per strada. I due, con un accordo privato, si sono scambiati i ruoli. Ciro da bambino aveva frequentato un laboratorio teatrale.
Ciro Vecchione (O’ Russ) era affacciato a un balcone in uno dei vicoli della Sanità. Lo abbiamo notato, invitato a scendere e partecipare al casting che avevamo organizzato nel Teatro del Rione. Nel film come nella realtà è soprannominato da tutti O’ Russ, per via della sua chioma.
Mattia Piano Del Balzo (Briatò) è un ragazzo dei Quartieri Spagnoli, apprendista barbiere. Il cinema non era nei suoi pensieri, ma quando lo incontrammo, per via del suo carattere estroverso e coinvolgente, capimmo subito che era nelle corde del personaggio di Briatò. Dopo il film è stato finalmente assunto come parrucchiere.
Luca Nacarlo (Cristian) e i bambini del film, li abbiamo invece incontrati durante dei sopralluoghi. Stavano accatastando legna e quant’altro da ardere per il Cippo di Sant’Antonio, in un complesso abbandonato e fatiscente del Rione Sanità. Insomma, erano già protagonisti di quella che sarebbe stata una delle scene del film.
HomeVideo (beta)
info: 13/02/2019.
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