Michel Racine è il temuto Presidente di una corte di assise. É molto severo con se stesso e con gli altri. É soprannominato il « giudice a due cifre » , perchè le sue condanne non sono mai inferiori a dieci anni. Ma ogni cosa viene sconvolta dalla comparsa di una donna, Ditte Lorensen – Coteret. Fa parte della giuria in un processo per omicidio. Sei anni prima, Racine si era innamorato di lei. Quasi in segreto. É lei l'unica donna che abbia mai amato.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 17 Marzo 2016Uscita in Italia: 17/03/2016
Genere: Commedia, Crimine, Drammatico, Romantico
Nazione: Francia - 2015
Durata: N.d.
Formato: Colore
Produzione: Albertine Productions (coproduzione), Gaumont (coproduzione), Cinéfrance 1888 (coproduzione), France 2 Cinéma (coproduzione), Canal+ (partecipazione), Ciné+ (partecipazione)
Distribuzione: Academy Two
Box Office: Italia: 84.187 euro
Note:
Presentato in Concorso al Festival del Cinema di Venezia 2015.
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CHRISTIAN VINCENT
Regia e Sceneggiatura Mostra del Cinema di Venezia – Premio migliore sceneggiatura
Quale è stata la genesi del progetto del film? Al principio di tutto c'era un desiderio condiviso con il mio produttore Matthieu Tarot di la- vorare ancora una volta con Fabrice Luchini, 25 anni dopo il film La timida. Ma lo avremmo fatto solo se avessimo trovato un personaggio e una storia. Mentre parlavamo di questo con Matthieu, che è appassionato di legge – abbiamo immaginato Fabrice Luchini come il Presi- dente di una corte di assise. Ho pensato subito che Luchini sarebbe stato bene con la toga ros- sa e il colletto di ermellino. Ai tempi io non sapevo niente sul mondo della giustizia, ho iniziato ad assistere ad un processo da giurato. Ho scoperto che la corte è un po' come un teatro, con il pubblico, gli attori, la sceneggiatura e le quinte. C'è un ordine prestabilito prima di essere ri- baltato. Ma principalmente è il regno della parola, fondato essenzialmente sulla natura orale del dibattito: un luogo dove coesistono quelli che padroneggiano il linguaggio con altri che non riescono neanche a capire il significato delle domande che gli vengono rivolte. Puoi os- servare tutto questo in un tribunale se fai parte della giuria. Angoscia umana, poetici voli della fantasia, lunghi momenti di noia, fugaci momenti di familiarità, rivali in campo ai ferri corti, bugie, verità che si contraddicono l'un l'altra e tante domande che rimangono senza risposta. Quando il processo finisce, la verità a volte trionfa.
Quale è stato il suo approccio alla sceneggiatura? Ho iniziato al tribunale di Bobigny. Quattro giovani uomini erano accusati di una rapina in un appartamento. Nonostante il fatto che il processo fosse a porte chiuse per desiderio di en- trambe le parti, ho avuto la possibilità di assistere da dietro le quinte al processo come ogni altro giudice. Ad ogni sospensione, io accompagnavo il Presidente e i due giudici associati, il commesso e i nove giurati tra quelle che potresti chiamare quinte. Ho visto i giurati porre le domande all'accusa, conoscersi e studiarsi, parlare di quello che avevano sentito. Ho notato come erano attenti i magistrati alle loro richieste, rispondere alle loro domande, cinque lun- ghi giorni… e poi ho immediatamente ripetuto l'esperienza, questa volta alla corte di assise di Parigi. Un giovane uomo era accusato di avere assassinato il suo amante. Questo accade- va quando ho iniziato a scrivere la sceneggiatura. Avevo gli elementi di cui avevo bisogno per scrivere. Se volevano che il film fosse credibile, tutta questa documentazione era necessaria.
Tutto quello che mancava era la storia… La storia è arrivata molto semplicemente. È scaturita spontaneamente dalla personalità del magistrato. Io ho immaginato il Presidente della corte di assise che si chiudeva in ritiro. Un uomo rispettato e temuto nella sua corte, ma disprezzato e ignorato a casa. A casa, eccetto che dal suo cane, non è tenuto in considerazione da nessuno, mentre in tribunale è chiama- to vostro onore. Così ho immaginato un piccolo uomo, senza molte gioie nella sua vita. Un uomo che è stato innamorato di una donna, una volta nella vita, cinque o sei anni prima. È stato in coma in seguito ad un incidente. Quando si è risvegliato c'era una donna accanto a lui. È stata un'apparizione. E ora questa donna è riapparsa nella sua vita. È uno dei giurati nel processo che lui presiede. Per giorni lui potrà vivere con lei al suo fianco…Avevamo trovato la nostra storia.
Come ha immaginato il personaggio di Ditte? Esattamente come l'opposto del carattere di Racine. Racine è la notte, il lato oscuro di ciascuno di noi, mentre Ditte è la luce. Racine punisce mentre Ditte riporta le persone alla vita. Mentre stavo scrivendo questo personaggio, avevo in testa un personaggio di un altro film. Christine – interpretato da Nora Gregor – nel film La regola del gioco di Jean Renoir. Un avia- tore si innamora perdutamente di lei, semplicemente perché lei è stata carina con lui. "Per- ché in Francia non avete il diritto di essere gentili con un uomo?" chiede lei ad Octave, in- terpretato da Jean Renoir. "No, tu non avevi il diritto" rispose lui. "Così è tutta colpa mia", concluse lei.
Perché ha scelto Sidse Babett Knudsen per interpretare il ruolo di Ditte? Mentre stavo scrivendo la sceneggiatura, non sapevo ancora quale attrice avrei scelto per il ruolo. Tanti nomi di attrici mi venivano in mente ma nessuno mi convinceva veramente. Chi poteva aver fatto innamorare il giudice Racine un bel po' di anni prima? Non avevo idea. Non mi veniva in mente nessuno. Il canale Arte aveva appena trasmesso la terza serie di Borgen e non mi ero perso neanche un episodio. Avevo amato l'attrice. Era allo stesso tempo sexy e virile. Mi ricordava le eroine di John Ford. Lo stesso giorno, digitai il suo nome su Google. Ho trovato una serie di interviste che aveva concesso ad Arte. Così ho scoperto che parlava benissimo il francese. Subito ho chiamato il mio produttore per comunicargli che avevo tro- vato l'attrice giusta.
25 anni dopo il film La timida cosa l'ha spinta a lavorare di nuovo insieme a Fabrice Luchini? Fabrice sapeva che avevo in mente lui mentre scrivevo il film. Un giorno, il produttore Matthieu Tarot ed io pensammo che avremmo voluto far leggere qualcosa a Luchini, così ho chiesto un appuntamento. Ci siamo recati nel suo appartamento nel 18esimo arrondissement a Parigi. Abbiamo incontrato Shiba, il suo cucciolo di 2 anni. Abbiamo preso un caffè nella sua cucina, mi ricordo che parlammo soprattutto del prezzo delle case nel suo quartiere, dove lui aveva sempre vissuto. Prima di andar via, gli diedi una copia della sceneggiatura del film. Il giorno dopo mi chiamò e mi disse che gli sarebbe piaciuto fare il film.
Luchini interpreta il ruolo del giudice molto solennemente. Le ha chiesto lei questo tipo di interpretazione? Non è stato necessario. Come attore Fabrice Luchini è anni luce lontano dal metodo dell'Ac- tor's Studio e da qualsiasi tecnica che comprende l'introspezione, la ricerca psicologica o l'i- dentificazione. Prima di iniziare le riprese ha voluto incontrare il Presidente della corte di as- sise che avevo già incontrato un paio di volte. Così un giorno si è recato al tribunale di Parigi per assistere ad un processo. E ha visto la sobrietà con cui il Presidente istruiva il suo processo. Non una parola di troppo. Alla fine della prima ora aveva capito.
Come è stato lavorare con Fabrice e Sidse… Incredibilmente normale, direi quasi terribilmente professionale. Ciascuno di loro proviene da un universo totalmente differente. E questo li ha aiutati ad andare d'accordo, a sentirsi complici. Sisde non aveva mai interpretato un film in Francia prima. Era meravigliata dal nostro modo di lavorare, dai nostri ritmi di lavoro, le pause per pranzare, la capacità di rilas- sarsi, la nostra apparente improvvisazione… tutto questo l'ha disorientata e divertita allo stesso tempo.
Nel film sono circondati da attori che interpretano ruoli secondari che recitano in manie- ra molto realistica. Come li ha scelti? Ho un grosso problema… non sono fisionomista, praticamente sono agnosico, però scelgo
gli attori in base alle loro caratteristiche fisiche. Questo per spiegarvi il motivo per cui scelgo sempre attori così diversi tra di loro. La mia più grande paura è che il pubblico possa confon- dere un personaggio con un altro. Dopo tutto, io scelgo per i miei film attori che sembrano persone normali o se preferite, attori che non sembrano attori. Tanto che quando io cammi- no per la strada, sia che stia preparando un film o no, tutte le persone che incontro mentre cammino mi fanno venir voglia di filmarle…
Come prepara le scene in cui un grande attore professionista recita con un attore quasi amatoriale? Lavoro con gli attori professionisti come lavoro con i bambini. Dieci minuti prima delle ripre- se gli fornisco alcune informazioni sul loro carattere, sul contenuto della scena, su cosa do- vrebbero dire. Senza fornirgli però le battute da memorizzare. Non c'è niente di peggio che ripetere qualcosa imparato a memoria. La recitazione potrebbe essere talvolta non perfetta. Ma il più delle volte rimani piacevolmente sorpreso.
Cosa rappresenta per lei questo film? Non molto tempo fa, quando mi chiedevano perché facevo film, rispondevo che mi sembrava il modo migliore di usare il mio tempo, alternavo momenti di solitudine, quelli in cui scrivevo, alla frenesia delle riprese, quando sei sempre circondato da una schiera di collaboratori, ai giorni pieni di dubbi dedicati all'edizione del film. Oggi, quando mi chiedono perché faccio un film, rispondo che così posso filmare il mio paese, la diversità del nostro territorio, i suoi linguaggi e le sue culture. E se decido di filmare in un tribunale, c'è una ragione. Un processo con una giuria è uno dei rari posti nella nostra società dove tutti possono ascoltare quello che viene detto, dove tutte le culture coesistono e dove tutte le classi sociali si mescolano. L'opposto di stare ognuno con i propri simili.
FABRICE LUCHINI
Mostra del Cinema di Venezia 2015 – Coppa Volpi
Cosa le piace di Michel Racine, il personaggio che ha interpretato? La sua sgradevolezza! Lo chiamano il giudice a due cifre, perché non con- danna mai nessuno a meno di dieci anni. Mi piacciono i personaggi che non si rivelano imme- diatamente, che non suscitano immediata compassione. Viviamo in un'era di compassione globale. Si suppone che siamo tutti straordinari e piacevoli… il mio personaggio è un buon Presidente di corte di assise. Odioso, ma bravo a fare il suo mestiere. È il simbolo dell'autori- tà, ma non hai mai usato il suo potere per influenzare una giuria. E poi c'è la storia d'amore, un'atipica storia d'amore! Racine si era innamorato di una anestesista, ora la incontra di nuo- vo, per caso, perché lei è stata scelta per far parte di una giuria. Questa donna illuminerà la sua vita, lo farà elevare.
Cosa hanno in comune lei e il giudice? Sono molto romantico. Anche io potrei dire quello che lui dice. Ma in generale, io non vedo me stesso nei personaggi che interpreto, anche se metto sempre un pizzico di me stesso. Realizzo quello che mi chiede il regista senza dover per forza cercare una ragione. Provo ad accontentare le richieste del regista nel miglior modo possibile.
Come si prepara? Non ho seguito tanti processi. Ne ho visto uno, presieduto da Olivier Leurent. Lui mi disse: il nostro compito è ascoltare, capire e decidere. Osservando il Presidente della corte di assise, ho notato che si rivolgeva ai difensori e ai testimoni molto semplicemente, molto educata- mente e provava ad incoraggiare la confidenza e la fiducia.
Il ruolo del Presidente di corte di assise è come se lo era aspettato? È un ruolo reale ma è sempre più conveniente in un film, suggerire che mostrare. E poi c'è il modo in cui sono stato diretto. Io sono perfezionista, attento alle piccole cose ma sul set faccio quello che mi viene chiesto. Divento obbediente. Non posso preoccuparmi sul set di essere mal vestito o di sembrare un idiota, anche se nella vita reale sono molto attento al mio modo di vestire.
Cosa l'ha convinta ad accettare questo ruolo? Quale criterio ha seguito? È arrogante sostenere di avere un criterio… in questo caso è stata la sceneggiatura a convincermi. Sono molto attento alla scrittura, alla struttura e alle parole. Il film è molto ben scritto e ho trovato la premessa di partenza molto interessante. Un courtroom drama potrebbe facilmente risultare noioso. Ma Christian Vincent si assicura che il punto di vista umano sia più forte degli elementi tragici. Il film è un affascinante e divertente sguardo sulla natura umana. I giurati sono la personificazione della partecipazione democratica e potreb- bero essere uno di noi. E poi ci sono i difensori e gli accusati, e quello che è particolarmente interessante è che possiamo riconoscere noi stessi in alcuni di loro. Ovviamente nessuno di noi ha mai chiuso un bambino in un armadio, ma forse se fossimo esasperati un giorno po- tremmo farlo. Non c'è un perché ringraziare o chiedere perdono, ma non dovreste sentirvi troppo lontani dai criminali, perché apparteniamo tutti alla razza umana capace di compiere atti terribili. E soprattutto è stata importante la scelta della mia partner nel film, Sidse. Ho visto Borgen è l'ho trovata incredibile. Mi piace sempre l'idea di lavorare con persone di na- zionalità diverse.
Che tipo di attrice è Sidse Babett Knudsen? Una attrice favolosa! Nella cultura nordica le persone sono molto più dirette di noi latini. Alla nostra prima lettura, faceva domande su ogni cosa, cercava sempre i punti di riferimento o una spiegazione razionale. Anche se parla francese meravigliosamente, non è la sua lingua, così per giorni e giorni le ho fatto quasi da interprete verbalizzando i suoi dubbi, mi piace essere un traduttore, una guida. Spero di esserle stato utile.
Molti dei testimoni della giuria sono attori non professionisti. C'è qualcosa di particolare nella loro recitazione? La loro innocenza. Noi attori cerchiamo di ottenere volontariamente quello che loro otten- gono inconsapevolmente. Essendo un attore, tu cerchi di ridimensionare, di cancellare gli effetti, di non far sembrare nulla artificioso. Al cinema non si deve vedere la tua tecnica di at- tore ma solo la tua anima. È una scansione a raggi x della tua anima. Puoi provare ad imbro- gliare, ma la telecamera cattura sempre quello che sei veramente. Come disse Louis Jouvet "raccontami cosa stai recitando e ti dirò chi sei". Puoi essere straordinariamente credibile in un film, e sgradevole in quello seguente, perché il ruolo non è giusto per te. Un buon casting equivale ad una buona recitazione. Ci sono attori che sono orgogliosi del lungo studio che fanno sul personaggio e altri che hanno l'ardire di non farlo….
Questo film ha vinto due premi a Venezia. Qualche anno fa La timida è stato il suo primo film di successo… Christian Vincent ed io abbiamo realizzato qualcosa di miracoloso 25 anni fa. I ragazzi sugli scuolabus ripetevano le battute del film. Rohmer mi ha aiutato. Ma La timida era come un film di Rohmer per un pubblico molto più ampio. Per 15 anni nessuno voleva lavorare con me, ero troppo magniloquente per qualcuno, troppo isterico per altri, qualcuno pensava che fossi effeminato. Con La timida la maggior parte delle persone ha ripreso a considerarmi in modo corretto. Quel film ha cambiato la mia vita.
Lei e Christian Vincent non lavoravate insieme da 25 anni. Come è stato incontrarsi di nuovo sul set? Ho trovato la stessa atmosfera del Cafè de la Mairie in La timida, il modo molto personale che ha Christian di immortalare le storie d'amore. Ha una profonda consapevolezza di tutte le potenzialità erotiche che può avere un appuntamento in un caffè, come nel teatro di Mari- vaux, o qualche volta nei film di Rohmer. Ed è anche nelle mie corde! Ma da La timida in poi, Christian ha ampliato molto la sua tavolozza di colori. Vuole raccontare i suoi contempora- nei, come Ken Loach. E lo fa molto bene.
SIDSE BABETT KNUDSEN
Premio César come migliore attrice non protagonista
Chi è Ditte, il personaggio che interpreta? Una donna sicura di se stessa. Vive sola con la figlia adolescente. Stanno bene, lei ha una vita piena. Al processo incontra casualmente un sua vecchia conoscenza: il Presidente della corte di assise, interpretato da Fabrice Luchini. I testimoni e la giuria, della quale Ditte fa parte, ruotano attorno a lui. Lei è molto riservata, ma di mente aperta ed è curiosa di tutto quello che succede in un tribunale. Nel bel mezzo di questa storia, che avrebbe potuto essere piut- tosto grigia, io impersono un raggio di luce in carne ed ossa!
Lei è la protagonista della serie danese Borgen. Ma è la prima volta che ha girato in Fran- cia. Cosa l'ha convinta ad accettare questo ruolo? Christian Vincent è arrivato a Copenaghen con il suo produttore Matthieu Tarot, erano pieni di entusiasmo. Io non diedi subito una risposta ma loro mi risposero: " Noi saremmo così feli- ci se tu accettassi". Il loro entusiasmo mi ha sedotto. E la sceneggiatura pure. Ho pensato che fosse una storia d'amore molto originale. C'è una sorta di equivoco tra Ditte e il giudice. Lui si innamorò al loro primo incontro, ma lei no. Mi piaceva il ruolo, positivo, è molto piacevole interpretare un carattere complesso, a tutto tondo, qualcuno che non è bisognoso o in cerca di qualcosa. Questa è la prima volta che qualcuno mi offre un ruolo come questo.
Come è stato il suo primo incontro con Fabrice Luchini? La prima volta ho visto solamente l'uomo di spettacolo. Il suo linguaggio era troppo compli- cato per me. Io non capivo tutto, ma ero impressionata dall'energia di Luchini. Mi ricordava una macchina in cui cambi di continuo le marce. Quando l'ho incontrato il giorno dopo, mi ha detto: ma tu sei una grande star!
Come si è preparata? Ho visto La regola del gioco, il film di Renoir, a cui si è ispirato Christian per il mio ruolo. Io di solito lavoro molto sul mio personaggio. Ditte è una proiezione del desiderio del giudice. Ero terrorizzata di diventare niente di più di una specie di fantasma. Ho parlato con Christian di questo, e lui mi ha rassicurata, voleva che interpretassi il personaggio di una donna reale.
Come è stato lavorare con Fabrice Luchini? Ci siamo trovati bene. Lo rispetto moltissimo. Come attore sente su di sè una grande respon- sabilità per il suo personaggio, per la storia, ma anche per l'atmosfera. Sul set non ha mai smesso di divertirsi. Appena il livello di energia si abbassava lui faceva qualcosa di inaspet- tato che coinvolgeva tutti.
Che tipo di regista è Christian Vincent? Non è un maniaco del controllo. Ha fiducia nella professionalità degli attori e ci lascia liberi di trovare la nostra strada. Ma io ero particolarmente impressionata dal suo lavoro con gli attori non professionisti. La sua calma li metteva a loro agio. Li preparava in un modo che sembrava che le battute fossero spontanee. Uno di loro era una donna che interpretava la madre di uno dei testimoni. Era così commuovente che abbiamo applaudito tutti alla fine della scena.
Lei è danese. Come ha imparato il francese? A Parigi. Quando avevo 18 anni ho vissuto a Parigi lavorando come ragazza alla pari per un anno. Alla fine sono rimasta a Parigi 5 anni e mezzo. Sapevo già che avrei voluto fare l'attrice, così ho seguito alcuni corsi di regia. Ho imparato il francese grazie a questi corsi. Sono stati anni molto formativi. In Danimarca la formazione per attori è basata soprattutto sulla psico- logia. In Francia, è più fisico che psicologico. Il giorno delle riprese, arrivo sempre prima, per riscaldare il corpo e la voce. Questo non si fa di solito in Danimarca. In Francia sei educato a essere attento al pubblico, loro pagano e vogliono qualcosa in cambio. Ho anche imparato che fare l'attore non è una professione ma un lusso. Devi essere intraprendente, non puoi sederti e aspettare che vengano a cercarti. Quando sono ritornata in Danimarca, mi sentivo uno straniero perché avevo un leggero accento francese, ma anche un diverso modo di lavo- rare.
Cosa rappresenta questo film per lei? Ho sempre sognato di lavorare in Francia. Ed è la prima volta che sono rientrata dopo 25 anni. Ero molto emozionata. Questo film mi ha permesso di iniziare a lavorare in Francia con un ruolo che non aveva molti dialoghi. Ora sono pronta a girare altri film in Francia.
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