Locandina Io Non Mi Arrendo

Io Non Mi Arrendo (2016)

Io Non Mi Arrendo
Locandina Io Non Mi Arrendo
Io Non Mi Arrendo è un film del 2016 prodotto in Italia, di genere Drammatico e Biografico diretto da Enzo Monteleone. Il film dura circa 200 minuti. Il cast include Giuseppe Fiorello, Massimo Popolizio, Elena Tchepeleva, Alessandro Riceci, Salvio Simeoli, Stefano Alessandroni.

Marco Giordano (Giuseppe Fiorello) non è campano, ma chi lo ricorda bene è pronto ad affermare che è come se lo fosse. In quella terra martoriata il vice commissario Giordano ci capita dopo un'indagine per usura iniziata dai controlli su una banca locale a Fondi. Marco si imbatte così in Gaetano Russo (Massimo Popolizio), avvocato di provincia, sempre pronto a cogliere buoni affari. Il corpulento avvocato fa incetta di terreni di scarso valore agricolo e senza apparenti prospettive di sfruttamento. Apparenti. Perché un obiettivo chiaro Russo ce l'ha. Usare quei terreni come discariche per rifiuti tossici. Marco, grazie al suo fiuto investigativo e ai piccoli aiuti di Vincenzino, un ragazzino del posto tanto sfrontato quanto coraggioso, intuisce il distruttivo business che sta per abbattersi su quella sfortunata terra e ingaggia con Russo una sfida che, alla resa dei conti, finirà per impegnarlo per quasi due decenni. Anni in cui trova l'amore di Maria (Elena Tchepeleva), una simpatica ragazza dell'est che sposerà e da cui avrà una figlia, Martina. Anni in cui le indagini di Marco proseguono solo grazie alla caparbietà sua e a quella del suo piccolo gruppo di affiatati colleghi. Ma non è facile indagare su un uomo come Russo, ricco di mezzi finanziari ma soprattutto ricco di relazioni nella pubblica amministrazione, nella politica, nell'economia e anche nella magistratura. Un uomo che realmente controlla il suo territorio. Indagini, intercettazioni appostamenti, tutto confluisce in un rapporto di 250 pagine e in allegati racchiusi in ben settanta faldoni. Anni di lavoro investigativo che Giordano sente di dover portare a termine specie dopo la morte per tumore di Vincenzino. La causa? Quelle discariche che si stanno mangiando la terra, l'acqua e l'aria. Si sono mangiate Vincenzino, si sono mangiate intere comunità e ora si stanno mangiando il corpo di Marco. Lui ha fatto la sua scelta. Far incriminare Russo e interrompere i suoi sempre più lucrosi e imponenti traffici. Quando la sua inchiesta viene frettolosamente archiviata e sepolta nei sottoscala del tribunale di Napoli tutto precipita. Marco Giordano accetta un incarico secondario al commissariato di San Lorenzo, a Roma, e soprattutto accetta di dover lottare contro il progredire della sua malattia. Con Russo lui ha perso la sua battaglia. Marco è ben voluto nel quartiere. Con Maria affronta gli alti e bassi di una malattia che lo costringe a periodici cicli di chemioterapia. Ammettere di fronte alla figlia la malattia non è facile ma lui è un uomo che non si arrende. Marco capisce che con Russo i conti non sono chiusi quando legge un articolo sull'inaugurazione di una scuola. Una scuola che sorgerà sopra una delle sue vecchie discariche. Marco non immagina neppure che un giovane magistrato della DDA di Napoli, Giovanni Cattaneo (Paolo Briguglia) ha deciso di riaprire la sua vecchia inchiesta. I faldoni del suo rapporto sono quasi tutti spariti. Dovrà ricostruire l'indagine. Pezzo dopo pezzo. Se la sente? Marco, sempre più provato dalla malattia, non è un uomo che sa arrendersi. Ricostruire l'inchiesta significa ricostruire il suo vecchio gruppo operativo. Lo fa. È il suo ultimo atto, pochi giorni prima che la morte se lo venga a prendere.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita in Italia: 15-16 febbraio 2016 (TV, Rai1)
Genere: Drammatico, Biografico
Nazione: Italia - 2016
Durata: 200 minuti
Formato: Colore
Produzione: PicoMedia, Ibla Film (in collaborazione con)

Immagini

[Schermo Intero]

ROBERTO MANCINI

la storia vera di un poliziotto eroe Roberto Mancini è morto il 30 aprile 2014. Nemmeno i disperati tentativi di nuove operazioni al midollo sono riusciti a strappare alla morte questo caparbio cinquantatreenne, servitore dello Stato prima nella Criminalpol e poi nelle indagini sul ciclo illegale dei rifiuti. Quello che i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli hanno scoperto sulle migliaia di tonnellate di rifiuti tossici sversati nell'ormai famosa Terra dei Fuochi si deve in buona parte a quest'uomo testardo e deciso. Impegnato a combattere questa spietata criminalità a tutti i costi, compreso quello della vita. "Io non mi arrendo" si ispira alle vicende di un uomo unico e di una terra martoriata in cerca di perenne riscatto.

Nota di Giuseppe Fiorello

Quando per la prima volta mi hanno raccontato la storia di Roberto Mancini, d'istinto ho provato rabbia e commozione nello stesso momento. Due sentimenti opposti che all'interno di questa avventura umana si alimentano a vicenda. Rabbia, perché la storia di Mancini è piena di ingiustizie, di imperizie, di silenzi, di valutazioni volutamente sbagliate. È impossibile non indignarsi di fronte alla mancanza di dedizione e vocazione alla giustizia da parte di certi organi dello Stato che avrebbero dovuto sostenere Roberto sin da subito nel suo lavoro, collaborando a un'indagine che avrebbe potuto – fin da allora – smascherare un piano scellerato, criminale e irresponsabile. Invece lo hanno lasciato solo. È impossibile non arrabbiarsi di fronte all'ignoranza di chi avvelena la terra sulla quale far crescere i propri figli, solo per ottenere potere e profitto. Ed è altrettanto impossibile non pensare che se il lavoro di Roberto fosse stato sostenuto fin da subito come meritava e come era giusto, forse avremmo evitato un disastro, ed oggi vivremmo in un paese migliore, più pulito e più civile. La commozione, invece, mi è arrivata pensando alla figura di Roberto, un uomo con uno straordinario senso civile, e una totale devozione nei confronti degli altri. Un uomo che ha sempre fatto del suo mestiere una missione. Non un eroe, ma un servitore dello Stato. Come faccio sempre, prima di interpretare un ruolo, ho provato a capire se c'era un buon motivo per raccontare questa storia e che messaggio avrei lasciato ai miei figli. Stavolta non potendo confrontarmi direttamente con il personaggio interpretato, ho immaginato il suo sguardo, la sua forza, la sua determinazione, e per fare questo è stato importante conoscere la sua famiglia. Monika, la moglie, è stata un'amica cara e disponibile, attenta e sensibile verso il mio lavoro. Mi ha dato la massima fiducia, regalandomi tanti consigli e tanti particolari che mi hanno aiutato a interpretare suo marito. Anche conoscere la figlia di Roberto, una ragazza dolce e determinata come il padre, è stato importante. Sono certo che sarà lei a continuare da dove lui ha lasciato. Sono certo che sarà capace di riscattarlo. Un giorno è venuta a trovarmi sul set la madre di Roberto, una donna forte e simpatica che porta ancora nel cuore un peso enorme, perché è consapevole di aver perso un figlio per il solo fatto che faceva bene il suo dovere. Perché questa è la verità: lui aveva scoperto qualcosa che non si poteva dire, qualcosa che dava noia a troppe persone. Per questo è stato lasciato solo, e per me è stato un onore ridare vita a un grande uomo e rivelare a tutti una storia insabbiata che avrebbe potuto fare luce sul più grande disastro ecologico del nostro paese. Lo stesso fanno queste pagine, scritte in punta di penna, che da un lato raccontano la vita del «poliziotto comunista » e dall'altro scoperchiano alcuni aspetti di una realtà inedita e sconvolgente: il silenzio delle istituzioni e l'assenza dello Stato. Un testo che contiene anche una bellissima lettera dello stesso Mancini; il principio di un libro che aveva cominciato a scrivere poco prima di lasciarci e che oggi diventa l'inizio di questo importante lavoro degli autori. Roberto diceva la verità, per questo è morto, stroncato da una malattia ma prima ancora di questo lo ha ucciso l'indifferenza, la connivenza e l'omertà di quegli uomini senza anima, senza fede, legati a giri di interessi che non guardano in faccia a nessuno. Come tutti i grandi martiri, che hanno voluto bene all'Italia, Roberto è morto per noi e deve stare tra le eccellenze del nostro Paese, perché è una bandiera della legalità e dell'onestà civile, e ha dimostrato che ci sono valori per affermare i quali vale la pena di andare avanti contro tutto e tutti, a qualsiasi costo. Questo è ciò che lascio ai miei figli. Anzi, questo è ciò che lascia loro Roberto Mancini. 

Nota di Regia

Quando Roberto Sessa e Giuseppe Fiorello un anno fa mi hanno proposto di realizzare un film su Roberto Mancini, il poliziotto che per primo indagò sui veleni della Terra dei Fuochi, ho subito accettato: Mancini rappresenta il meglio degli italiani che servono il nostro Paese. Dopo L'angelo di Sarajevo avevamo l'occasione di portare sullo schermo un'altra storia importante. Con la sua squadra romana della Criminalpol Mancini già negli anni '90 aveva indagato a fondo sui clan camorristici che gestivano il traffico di rifiuti. Un disastro ambientale che all'epoca poteva essere arginato, ma che fu sottovalutato. La sua inchiesta rimase lettera morta per almeno una decina di anni. Ora, invece, rimangono solo i dati in rapida ascesa dei tumori che stroncano le vite di chi abita nella Terra dei Fuochi. Una storia amara: Mancini aveva trovato le prove per inchiodare i boss di Gomorra molti anni prima che diventasse di dominio pubblico, ma la sua ricompensa è stato un male terribile che lo ha minato nel corpo per undici lunghi anni. Una storia di valore e intelligenza, ma anche un dramma, una lotta per non arrendersi. Con Giuseppe Fiorello abbiamo cercato di rendergli giustizia. Roberto Mancini aveva fatto della lotta alle ecomafie la sua principale ragione di vita. Noi abbiamo fatto un film per ricordarlo. Enzo Monteleone

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