Interstellar (2014)
InterstellarUn team di esploratori varca i confini della galassia attraverso un condotto spazio-temporale appena scoperto, per trovare tra le stelle il futuro dell'umanità.
In un futuro imprecisato, un drastico cambiamento climatico ha colpito duramente l’agricoltura. Un gruppo di scienziati, sfruttando un “wormhole” per superare le limitazioni fisiche del viaggio spaziale e coprire le immense distanze del viaggio interstellare, cercano di esplorare nuove dimensioni. Il granturco è l’unica coltivazione ancora in grado di crescere e loro sono intenzionati a trovare nuovi luoghi adatti a coltivarlo per il bene dell’umanità.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 6 Novembre 2014Uscita in Italia: 06/11/2014
Data di Uscita USA: venerdì 7 Novembre 2014
Prima Uscita: 07/11/2014 (USA)
Genere: Fantascienza
Nazione: USA, UK - 2014
Durata: 168 minuti
Formato: Colore
Produzione: Lynda Obst Productions, Paramount Pictures, Syncopy, Warner Bros.
Distribuzione: Warner Bros
Budget: 165.000.000 dollari (stimato)
Box Office: USA: 184.799.000 dollari | Italia: 10.627.818 euro
In HomeVideo: in DVD da mercoledì 1 Aprile 2015 [scopri DVD e Blu-ray]
Passaggi in TV:
• domenica 10 Dicembre ore 08:05 su Sky Cinema Suspense
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LA PRODUZIONE
“Questo mondo è una ricchezza, ma ci sta dicendo di andarcene” -Cooper
La razza umana ha sempre plasmato il suo destino, spingendosi oltre i propri limiti- salpando a bordo delle prime navi verso orizzonti ignoti, fino a muovere i primi passi sulla luna- ma la frontiera finale più allettante, rimane pur sempre quella oltre i propri confini. Il regista / sceneggiatore / produttore Christopher Nolan, con “Interstellar”, continua ad imperniare il quesito provocatorio di trovare un posto tra le stelle per l’umanità.
“Per me, l’esplorazione dello spazio rappresenta l’estremo assoluto dell’esperienza umana”, dice Nolan. “E’ per certi versi un modo per definire la nostra esistenza nell’ambito dell’ universo. Per un regista, la straordinarietà di pochi individui selezionati che si spingono oltre i confini della specie umana, verso l’ignoto o dove possono eventualmente arrivare, fornisce una risorsa infinita di opportunità. Ero elettrizzato all’idea di fare un film che avrebbe fatto vivere al pubblico quell’ esperienza attraverso gli occhi dei primi esploratori che viaggiano verso l’infinito della galassia- anzi attraverso tutta un’ altra galassia. E’ come un viaggio talmente grande, difficile da immaginare e raccontare”.
Ambientato in un futuro prossimo, in cui la crisi delle produzioni agricole ha messo il mondo in ginocchio, “Interstellar” racconta la missione audace di abbattere le barriere del tempo e dello spazio, nel disperato tentativo degli uomini di preservare la propria estinzione. “Sono sempre stato incuriosito da come potrebbe essere la nostra futura evoluzione. Se la Terra è un nido, come ci comporteremmo quando arriva il momento di lasciarlo?”.
Al di là dei limiti insiti in questa rischiosissima avventura interstellare, Nolan rivela che quello che alla fine muove il film, è la vicenda umana. “Sostengo che la grandezza e la magnificenza dello spazio è uno sfondo interessante per esplorare le relazioni interpersonali, che sono tanto forti e significative per noi, quanto trovarci una collocazione nell’universo”.
Al centro del film emergono le relazioni nell’ambito di una particolare famiglia. “In termini generici, ‘Interstellar’ è l’avventura spettacolare di un viaggio nell’universo” osserva la produttrice Emma Thomas, “ma nella sua essenza è la storia commovente di un padre e dei suoi figli. Si parla dell’affetto familiare, del senso del dovere e del sacrificio, e delle nostre profonde connessioni con gli altri esseri umani”.
Matthew McConaughey è rimasto coinvolto dai contenuti emozionali che genera lo spettacolo. “Ciò che è sorprendente per me è che, oltre all’emozione scaturita dalla storia – il brivido dell’ avventura e la scoperta dell’ignoto- una delle cose che preferisco di Chris Nolan è il cuore pulsante di umanità che dà ai suoi film”, afferma l’attore. “Nessuno gestisce la portata e la dimensione del mondo come fa lui, perché riesce sempre a dargli un taglio personale ed intimo”.
Anne Hathaway attribuisce questa peculiarità dei film di Nolan, all’attenzione del regista posta al genere umano, anche nelle imprese più eroiche. “Fin dall’inizio dei tempi, la volontà di espandere il nostro mondo o di evolversi civilmente, è sempre stata frutto di grandi sacrifici da parte di un gruppo ristretto di individui, che rischiano la propria vita per il bene dell’umanità. Questo film celebra veramente coloro che hanno il coraggio di farlo”.
Jessica Chastain aggiunge che il film celebra anche i legami che ci sostengono. “Questa storia è piena di nostalgia e dolore, ma al suo interno c’è l’idea meravigliosa che, anche se l’amore è qualcosa che non si può toccare e conservare, rimane con noi malgrado le distanze del tempo e dello spazio”.
Michael Caine, che ha lavorato con Nolan in varie occasioni, osserva che lo spirito umano presente in “Interstellar” rispecchia proprio la personalità del regista. “Nella vita privata, Chris è un padre di famiglia, e che sia impegnato in un thriller o in una grande avventura spaziale, i suoi film riflettono sempre il suo senso di umanità”.
Nolan conferma che pur volendo immaginare un viaggio ambizioso verso l’ignoto, il concetto di famiglia rimane il fulcro attorno al quale ruota tutta la trama. “Interstellar” riguarda un po’ tutto- chi siamo, dove stiamo andando- ma per me, prima di tutto approfondisce il concetto di paternità. Sono tutti questi concetti messi assieme che fanno la storia del film, non si tratta unicamente di godersi un viaggio intergalattico solo per amore dello spazio”.
Il co-sceneggiatore Jonathan Nolan ammette che le dimensioni quasi inconcepibili dell’universo li ha portati a dei percorsi narrativi molto affascinanti. “La realtà dell’universo è che, oltre ad essere magnifico da osservare e ad ispirare un grande senso di meraviglia, è freddo, privo di vento e vasto – talmente vasto che non abbiamo idea di quanto sia grande”, dice. “Quindi, lo sforzo è stato quello di renderne l’idea e lavorare al meglio per cercare di dare un senso il più possibile veritiero di come dovrebbe essere un viaggio interstellare, non solo come esperienza empirica, ma anche in termini emotivi, di come un viaggio pieno di pericoli e di isolamento possa suggestionare gli esseri umani”.
Nel tentativo di rappresentare lo spazio in modo realistico, più o meno come vengono rappresentati i personaggi della storia in carne ed ossa, i realizzatori si sono basati sulle teorie del fisico teorico Kip Thorne riguardo la possibilità di viaggiare tra vari sistemi solari attraverso un cunicolo spazio-temporale (wormhole), e che costituisce la spina dorsale scientifica dello script . “Kip è un autore, un docente ed una delle menti più brillanti del mondo”, afferma la produttrice Lynda Obst. “Ha compiuto studi sulle onde gravitazionali e lo scontro tra buchi neri, oltre a concepire le grandi possibilità dei viaggi nel tempo tramite i wormholes. Sono tutti concetti affascinanti da approfondire in un racconto”.
Per Thorne, che è anche uno dei produttori esecutivi del film, il processo è stato esilarante. “La storia è emersa dalle menti fertili degli sceneggiatori, ma sempre entro i confini stabiliti dalla scienza, o da ciò che possiamo ragionevolmente estrapolare sui concetti che vanno leggermente oltre le frontiere della nostra conoscenza”.
Christopher Nolan racconta che Thorne si è soffermato a testare ogni idea narrativa, per assicurarsi che avrebbe retto un eventuale esame scientifico. “Da vero scienziato coinvolto, Kip è consapevole del fatto che potrebbe delinearsi il contrario di tutto ciò che mi ha esposto. La scienza – in particolare quella legata all’ambito lavorativo di Kip- suggerisce spunti incredibilmente variabili ed affascinanti da un punto di vista narrativo, perché dettati da uno scienziato per il quale queste considerazioni sono sempre in espansione. L’ho trovata essere un’ atmosfera creativa straordinaria in cui lavorare”.
Il tentativo di trasformare lo script in un’esperienza cinematografica coinvolgente e vibrante, ha spinto tutte le persone coinvolte in un’avventura cinematografica a tutto campo e contro le regole, che seppur terrestre, a volte ha rispecchiato l’odissea che stavano portando in vita sullo schermo. “La cosa principale per me nel fare questo film, è stata cercare di trasportare il pubblico nello spazio”, afferma Nolan, “per metterli nei panni degli astronauti che vanno ad esplorare questi nuovi mondi e queste nuove galassie. E’ questo quel che più mi entusiasma: far sì che il pubblico possa vivere lo spettacolo di un grande viaggio interstellare”.
IL CAST ED I PERSONAGGI DI INTERSTELLAR
Un tempo alzavamo lo sguardo al cielo chiedendoci quale fosse il nostro posto nella galassia,
ora lo abbassiamo preoccupati ed intrappolati nel fango e nella polvere. -Cooper
In “Interstellar”, Matthew McConaughey interpreta il ruolo centrale di Cooper, un ex pilota collaudatore ed ingegnere formato secondo le regole adrenaliniche delle Giovani Aquile che sfidano continuamente i propri limiti aspirando ad aprirsi una strada nella galassia. Per Christopher Nolan, c’era solo un attore in grado di rappresentare facilmente questa figura archetipica. “Incarna tutto quello che cercavamo in Cooper -lo spirito di avventura, una spavalderia da cowboy, ed innanzi tutto il calore di un padre di famiglia”, afferma il regista. “Ha tutte qualità intangibili presenti nel personaggio, che viaggiano parallelamente alla sua incredibile professionalità ed al suo umorismo. E’ stata una bellissima esperienza lavorare con lui in questo film”.
McConaughey descrive Cooper come “un sognatore ed un uomo fuori dal tempo. Non dovrebbe essere un agricoltore. Dovrebbe essere altrove. Perché la sua testa è li”. Ma in “Interstellar”, il mondo ha bisogno di agricoltori, non di piloti. Dopo che una grave crisi ha decimato l’approvvigionamento di cibo, la civiltà è costretta a dedicarsi totalmente allo sfruttamento della terra con l’unica coltura praticabile: il granoturco. “La vita è focalizzata alla coltura del cibo ed all’approvvigionamento di acqua pulita”, continua l’attore. “Non c’era bisogno di esploratori, di astronauti, né di qualche idea brillante. Ma Cooper fa del suo meglio per sopravvivere in questo mondo, e salvaguardare i beni necessari ai suoi figli”.
In un podere circondato da ettari di granoturco, Cooper sta crescendo i suoi bambini con l’aiuto del suocero Donald, interpretato da John Lithgow. “Questa famiglia vive da generazioni in quella fattoria, e Donald stesso ha vissuto in prima persona tutti gli straordinari cambiamenti che ha subìto la terra”, dice Lithgow. “Malgrado le crisi la vita è proseguita in modo tranquillo, magari più provinciale, ma comunque con una sorta di serenità. Quello che mi piace di questa storia è che si dispiega contro le nostre paure più oscure, ma con un velo di ottimismo. Ci si trova di fronte a degli esseri umani, che non solo cercano di capire come sopravvivere, ma che vogliono farsi valere”.
Come suo nonno, Tom il figlio adolescente di Cooper, interpretato da Timothée Chalamet, ama la fattoria ed aiuta suo padre a mantenerla. Chalamet ricorda che il giorno prima dell’inizio delle riprese, McConaughey ha voluto gettare le basi di quello che poi sarebbe stato il loro rapporto sullo schermo. “Matthew mi ha chiesto: ‘Cosa ne sai della lubrificazione delle mietitrebbiatrici e delle modalità in cui i pesticidi vengono spruzzati su campi di grano?'”, ricorda Chalamet. “Quella notte, mi sono documentato su tutto per esser sicuro il giorno dopo di saper rispondere a tutte quelle domande, ma quell’episodio con Matthew mi ha fatto capire che tipo di rapporto avrebbe dovuto avere Tom con suo padre. Cooper in fondo vuole sapere se può contare su di lui per la gestione del raccolto, e Tom vuole dimostrargli di essere all’altezza”.
La figlia di Cooper, Murph, interpretata da Mackenzie Foy, è molto più simile a suo padre di quanto lo sia Tom. “Murph è appassionata di razzi e dello spazio, anche se non sono argomenti di cui la gente parla”, dice la Foy. “Potrebbe sentirsi fuori posto in questo mondo, ma suo padre incoraggia la sua curiosità e la sprona ad essere impavida”.
Emma Thomas rivela: “Cooper ama profondamente entrambi i suoi figli, ma ha un legame speciale con Murph, data la loro passione comune per la scienza e la scoperta. Ma, come accade a molti genitori e figli, ciò che li unisce a volte può anche allontanarli”.
Chiuso in un bunker sotterraneo, un piccolo gruppo di scienziati ed ingegneri vogliono andare oltre il fango e la polvere che ricopre la terra, che a sua volta non sembra più sufficiente a sostenere la specie umana, e mettendo a rischio le loro vite, sono intenzionati a scoprire un pianeta nell’universo che invece potrebbe essere adatto alla coltivazione. Il progetto si è innescato dopo la misteriosa comparsa di alcune turbolenze nei pressi di Saturno – un wormhole che apre una strada attraverso una dimensione superiore dello spazio e del tempo, verso una galassia che per raggiungerla non basterebbe una vita intera. Quindi, per affrontare un viaggio simile, questo gruppo ha assemblato la migliore tecnologia disponibile del programma spaziale per costruire le tre navicelle utili per la missione: lo shuttle Ranger, il veicolo di lancio (HLV) Lander, e la Endurance, la navicella d’appoggio situata nell’ orbita Terrestre bassa.
L’unica cosa che manca alla missione, è un pilota esperto. McConaughey aggiunge: “Improvvisamente, il sogno che Cooper ha inseguito per tutta la vita bussa alla sua porta. E non rappresenta solo l’opportunità di poter nuovamente essere un pilota, ma di guidare la missione più importante di tutti i tempi. Ma d’altro canto questo significava dover lasciare i suoi due figli, senza che nessuno possa stabilire per quanto tempo”.
“Pur essendo degli attori molto giovani, è stato impressionante il coinvolgimento emotivo che Timothée e Mackenzie hanno apportato alla loro performance” , loda Thomas. “Il momento in cui Cooper saluta Murph è straziante, perché non gli crede quando le dice tornerà presto, e Mackenzie con la sua interpretazione ha spezzato il cuore a tutti”.
Ma Cooper non è l’unico padre che si sacrificherà. La missione nasce da un’idea del Professor Brand, interpretato da Michael Caine, la cui figlia, Amelia, sarà un membro dell’ equipaggio che ha selezionato. “L’onere di Brand è pesante perché sta spedendo sua figlia verso l’ignoto. Questo è il punto: nessuno sa cosa c’è là fuori, e se qualcosa va storto, la responsabilità è proprio la sua”.
Il Professor Brand rappresenta il sesto ruolo di Caine in un film di Nolan, e forse il più emotivamente complesso. “Michael è una delle star del cinema più importanti di questa generazione”, conferma Nolan. “Apporta un livello di gravitas e carisma che non è secondo a nessuno. Nel caso di ‘Interstellar,’ è stato molto emozionante vederlo incarnare questo personaggio proiettato in luoghi che da attore non ha mai interpretato. All’apice della sua carriera, immagino debba esser stata un’esperienza sorprendente da vivere”.
Ad interpretare la dottoressa Amelia Brand è Anne Hathaway, che si ricongiunge al regista dopo la loro collaborazione in “Il Cavaliere Oscuro- Il Ritorno”. “Anne è un talento straordinario, capace di calarsi totalmente in un personaggio”, osserva Nolan. “E’ colta ed appassionata di scienza, quindi è stato naturale vederla nei panni della Brand, un personaggio che vede il mondo proprio attraverso la scienza. Ma, allo stesso tempo, il calore sottile che cela Anne e la versatilità della sua performance che ha arricchito il suo ruolo, fa sì che il suo personaggio lungi dall’essere solo uno scienziato”.
La Hathaway ammette di esser stata letteralmente “catturata” dall’ evocazione dello spazio a cui si rifà il film, ma è stato soprattutto il percorso emozionale dei personaggi ad averla colpita. “I concetti fondamentali alla base di questo film fanno passare notti insonni, ma la storia è anche una bella meditazione sull’amore”, dice. “Se si considera l’evoluzione della specie umana, è necessario prendere in considerazione l’amore come parte fondamentale dell’equazione, e come questa idea è insita nell’ esperienza della Brand, di quanto questa missione sia sentita e commovente. Penso che Chris abbia fatto una cosa coraggiosa e straordinaria, nel tessere l’esistenza dell’amore nel DNA di questa grande avventura nello spazio”.
David Gyasi, che interpreta Romilly, l’astrofisico del team, è pienamente d’accordo, e nota: “Il mio personaggio vive e respira la scienza, ma per molti versi non si sente un uomo completo. Una volta svolto il proprio lavoro e trascritto delle equazioni per cercare di comprendere l’universo, cos’altro rimane? Qual è che mi ha sorpreso è stato come questo viaggio gli abbia fatto scaturire una sorta di rispetto per il lato mistico delle cose – verso tutto ciò che è intangibile e che ci unisce”.
Il quarto membro dell’equipaggio è Doyle, interpretato da Wes Bentley. “Doyle è stato istruito come pilota di navicelle, facendo esperienza però solo su un simulatore”, dice Bentley. “E’ principalmente uno scienziato, quindi si sente sollevato quando Cooper decide di prende il timone, permettendogli di concentrarsi sul suo vero lavoro. Tuttavia, oltre al suo interesse scientifico, crede nella missione e ha assunto la leadership pienamente consapevole degli eventuali rischi, conscio inoltre che ogni decisione che prende non riguarda solo la vita dell’equipaggio, ma la vita di tutti esseri umani della Terra”.
Lanciati attraverso il wormhole nella massiccia navicella Endurance, sono presenti anche il quinto ed il sesto membro dell’equipaggio – due macchine militari, delle intelligenze artificiali, denominate CASE e TARS- progettati per emulare le loro controparti umane. “La loro maggiore funzione è l’ esprit de corps“, afferma Jonathan Nolan. “Sono stati progettati per sollevare il morale tra le fila con un gran senso dell’umorismo ed una raffica di coraggio. C’era qualcosa di molto toccante per me dietro l’idea che probabilmente abbiamo creato questi due ‘soldati’ che incarnano il meglio di noi, e nel momento in cui non sono più necessari, vengono fatti a pezzi e riciclati in mietitrebbiatrici. TARS e CASE sono una sorta di ultimi esemplari della loro specie”.
Entrambe le macchine sono state mosse sul set da Bill Irwin tramite un sofisticato impianto meccanico, inoltre l’attore sullo schermo dà la voce a TARS, mentre Josh Stewart doppia CASE nel film. Irwin reputa CASE più guardingo di TARS, la cui voce l’attore l’ha fatta nascere dalla sua interazione con il Cooper di McConaughey. “Ci siamo esercitati insieme; Cooper diceva: ‘Mi parli come un ex-militare’, e da lì è nato il tono dell’interpretazione di TARS”, ricorda Irwin. “Così, ho dato vita ad una sorta di ufficiale brizzolato di medio livello con il senso dell’umorismo di un ex-Marine”.
La loro interazione è stata una gioia per McConaughey. “Bill ha arricchito TARS di ironia e personalità, e ho trovato molto interessante metterci qualcosa di personale, che esula dalla loro relazione”, dice. “Ci sono cose di TARS che Cooper apprezza- è un malandrino, ma concreto – e, in un certo senso, diventa il migliore amico di Cooper sulla navicella”.
Il loro obiettivo di raggiungere la galassia è dettato dalla volontà di cercare dei nuovi pianeti che offrano una sorta di speranza per l’umanità, ma non ci sono garanzie. “La nostra Terra è una risorsa molto preziosa ed unica, e nessuno sa se ci siano o meno posti simili, lassù”, osserva Thomas. “Ovviamente, nell’ambito dell’universo, ci potrebbero essere altri luoghi abitabili, ma chissà se si potrà mai trovare un posto perfetto come questo. La possibilità di non trovare niente è uno dei rischi che i pionieri di questa avventura devono preventivare”.
Un altro rischio è il tempo stesso. “Sono sempre stato affascinato dal tempo inteso come esperienza soggettiva”, afferma Nolan. “Ma nel caso di ‘Interstellar,’ il tempo è un fattore esterno che è parte della storia, piuttosto che la percezione di un singolo personaggio. E’ quasi un antagonista di questi personaggi, ma non è l’unico pericolo che devono affrontare. Quando ci si avventura in una storia in cui l’uomo va contro gli elementi naturali, le possibilità di trovarsi in pericolo diventano molto più frequenti”.
Jessica Chastain, che interpreta l’allieva del Professor Brand, rappresenta la crescente disperazione di coloro che cercano di sopravvivere sulla Terra, ed il suo personaggio sollecita l’urgenza della missione per trovare una soluzione. “Lei è consapevole, forse più di chiunque altro, di quanto sia prezioso il tempo”.
Lavorando con Christopher Nolan per la prima volta, la Chastain ha trovato un ambiente sorprendente sul set. “Questo è il più grande film che abbia mai fatto, anche se a volte si aveva l’impressione di fare un film indipendente”, osserva. “Chris è fantastico nel dirigere un film su grande scala, ma è altrettanto eccezionale nei rapporti umani, e in mezzo a questa enorme produzione è riuscito a ritagliarsi dei momenti con gli attori. E’ geniale e meticoloso, e sotto la sua regia anche solo pronunciando un paio di parole, riusciva ad elevare le nostre prestazioni”.
Casey Affleck è d’accordo, aggiungendo inoltre che il regista lo ha immediatamente messo a proprio agio. “Chris crea un ambiente molto rilassato sul set, e penso che sia una costante sua e di Emma, in tutti i loro film”, sostiene. “Ogni volta che la gente fa qualcosa di apparentemente semplice, è perché sono incredibilmente bravi a svolgere il loro compito”.
Kip Thorne ha trascorso molto tempo assieme ai membri del cast, per impartire loro alcune nozioni scientifiche utili al film. Emma Thomas nota: “Kip è un grande maestro, e avendo trascorso così tanto tempo con il nostro cast, ha fatto sì che tutti fossero in grado di svolgere un lavoro incredibile, nel rappresentare delle teorie scientifiche in modo umano e facilmente riconoscibile, coinvolgendo lo spettatore emotivamente in tutto l’arco del film”.
Hanno anche avuto il privilegio di toccare la realtà con mano, con la visita sul set dell’astronauta statunitense Marsha Ivins, durante la produzione. Thomas continua: “Marsha Ivins è un astronauta veterana, ed è stata molte volte nello spazio. E’ davvero una fonte d’ispirazione, e ci ha messo a disposizione la sua esperienza. Chris ed io abbiamo avuto la possibilità di consultarci con lei, ed inoltre ha parlato a lungo con gli attori. La sua presenza è stata davvero preziosa per aiutarci a dare autenticità ad un film ambientato nello spazio”.
INIZIA IL VIAGGIO
“Troveremo una soluzione. L’abbiamo sempre fatto”. -Cooper
La scelta di Christopher Nolan di fare delle riprese su pellicola piuttosto che in digitale è diventato un marchio di fabbrica dei suoi film. La sua ristretta cerchia di collaboratori, molti dei quali hanno lavorato fianco a fianco con il regista per quasi un decennio, sono giunti ad agevolare la realizzazione della sua visione attraverso tecniche innovative di ingegneria, per catturare il maggior numero di azioni possibili attraverso la telecamera. Il vasto campo di applicazione e la coinvolgente narrazione visiva che immaginava per “Interstellar”, tuttavia, ha costretto tutti gli addetti ai lavori a spingersi oltre i loro limiti.
“Siamo sempre stati interessati a dar vita alle nostre idee con le immagini, ma quello che volevo ottenere dalle persone coinvolte nel film, era dare al potere delle immagini una predominanza mai vista in precedenza, in modo che il pubblico ne sarebbe stato totalmente e direttamente travolto, al di là della visione dei personaggi”, spiega Nolan. “Da un punto di vista tecnico, ci ha impegnato in una direzione molto più avventurosa”.
A telecamere spente per le sequenze dello spazio, il regista ha agevolato una collaborazione unica nel suo genere tra Kip Thorne ed il supervisore agli effetti visivi Paul Franklin, per fornire un livello senza precedenti di autenticità dell’universo in cui i personaggi si addentrano nel film. Thorne si è recato a Londra per incontrarsi con il team addetto agli effetti visivi, presso la Double Negative, e ha lavorato a stretto contatto con i designer della compagnia ed i software developers per riprodurre degli oggetti il più fedele possibile agli standard scientifici, come ad oggi sono concepiti. “Lavorare con Kip è stato fenomenale, perché lui è ovviamente uno dei più grandi fisici del XX° secolo, ma tuttavia possiede un’ anima creativa ed artistica”, asserisce Franklin. “Si è reso disponibile e si è impegnato con noi per utilizzare queste teorie ed idee straordinarie ai fini della narrazione della storia. Vogliamo che la gente partecipi a quel viaggio, e ci ha concesso tanto del suo tempo per impartirci le sue teorie matematiche relative al wormhole ed il buco nero”.
Usando le teorie gravitazionali reali di Thorne – degli effetti della gravità sulla luce intorno al buco nero, ed il viaggio attraverso un wormhole- Franklin ed il suo team del Double Negative le hanno tradotte con i software in effetti speciali, e sono stati in grado di plasmare questi elementi assolutamente sconosciuti, con una risoluzione altissima ed una precisione scientifica pertinente più di quanto non fosse mai stato tentato in precedenza. Per Thorne, l’osservazione della loro realtà fisica ha portato a nuove scoperte rivelatrici. “Tutto quello che posso dire è che abbiamo visto delle cose che mi hanno stupito”, afferma Thorne meravigliato. “Abbiamo imparato nuove cose riguardo l’aspetto visivo dei buchi neri e dei wormhole durante il processo di creazione di questo film”.
“Abbiamo reputato necessario discostarsi dal rigore scientifico per rendere questi oggetti più comprensibili al pubblico, e comunque, di fronte ai risultati, le teorie che ci ha fornito Kip hanno dato vita a qualcosa di spettacolare”, dice Nolan. “Con il particolare effetto gravitazionale dato da una sfera di cristallo che riflette l’universo, un buco sferico nello spazio-tempo, abbiamo notato alcune anomalie molto sconcertanti su come il suo aspetto cambia quando lo si guarda da un angolo leggermente diverso o da una distanza diversa”.
La Double Negative ha ulteriormente migliorato la realtà dello spazio ispirandosi all’ astrofotografia proveniente dagli archivi del Royal Observatory del Regno Unito, ed alle immagini ad alta definizione dal telescopio spaziale Hubble. Essi hanno inoltre esaminato la banca dati della NASA di 2,5 milioni di stelle, per riprodurre l’universo reale che fa da sfondo al film.
Mentre la realtà dell’universo veniva realizzata attraverso il CGI, Nolan ha riunito i suoi capi dipartimento per iniziare a gettare le basi per la spedizione interstellare al centro del film. “Alcune cose si possono ottenere solo con gli effetti visivi”, dice “ma si hanno a disposizione anche tanti altri tipi di trucchi per convincere il pubblico della visceralità delle immagini che stanno vedendo”.
Per “Interstellar”, Nolan ha voluto coniugare l’intimità e l’immediatezza propria dello stile di un documentario con dispositivi portatili, e la bellezza e la texture possibile solo con il formato widescreen della pellicola IMAX, che ha spinto il regista ed il direttore della fotografia Hoyte van Hoytema ad utilizzare nuovi metodi rivoluzionari di utilizzazione della telecamera. “Era chiaro che volessimo delle immagini in widescreen per i panorami – il nostro primo avvistamento del buco nero o wormhole – girando con la telecmera IMAX”, afferma il regista. “Non credevamo di poter utilizzare la telecamera IMAX anche in ambienti più piccoli, date le sue dimensioni gigantesche ed il peso. Ma Hoyte era determinato a portarla in spalla, a prescindere da quanto pesasse. Come abbia fatto, non ne ho idea, ma ciò ci ha permesso di girare molte più scene la telecamera IMAX di quanto inizialmente pensavamo fosse possibile”.
Per van Hoytema, questa tecnica è stata una progressione naturale dalle emozioni che ha vissuto attraverso lo script. “Questa è una storia prettamente visiva, ma ha in sé un’ anima, e questa è una cosa che bisogna preservare”, afferma il direttore della fotografia. “Volevamo trovare un modo per utilizzare la telecamera IMAX quasi come la pesantissima Go-Pro, ma ci sono voluti molti aggiustamenti per ottimizzare la tecnologia. In questo modo, ci siamo sentiti liberi di osare con i primi piani e le scene dei dialoghi, sempre all’interno della magnifica cornice IMAX. Chris si è mostrato aperto e fiducioso, lasciando che la magia di quegli elementi spontanei fluissero, aggiungendo solo vitalità e realtà all’immagine”.
Mentre la sceneggiatura era ancora in fase di sviluppo, Nolan e lo scenografo Nathan Crowley, con il quale vanta una collaborazione di lunga data, hanno iniziato il processo di mappatura del paesaggio di un futuro prossimo di “Interstellar” nel garage / ufficio / laboratorio del regista, un luogo che ha visto nascere tutti i mondi dei film di Nolan. “Chris ha una grande passione per il design”, dice Crowley. “Per noi, si tratta sempre di un viaggio, e in ‘Interstellar’ questo viaggio è stato particolarmente intenso”.
Dai primi design al mix finale, il regista ed il suo team hanno optato a metodi innovativi per mostrare al pubblico la Terra ricoperta dalla polvere, la vastità dello spazio, ed il territorio alieno di altri mondi.
LA GEOGRAFIA DI “INTERSTELLAR”
“Dobbiamo affrontare la realtà: non c’è niente nel nostro sistema solare che possa aiutarci“. -Professor Brand
LA FATTORIA
Prima di raggiungere le stelle, “Interstellar” è ambientato sulla Terra, nel cuore dell’America, dove piccole comunità di agricoltori si dedicano alla coltivazione del grano. Questo concetto è stato fondamentale per la ricerca della fattoria in cui Cooper vive con i suoi figli ed il suocero, un percorso obbligato che ha portato i realizzatori nella regione di Okotoks, poco a sud della città di Calgary, in Alberta, Canada.
“Volevamo dare un vero e proprio segnale visivo, che il grando veniva coltivato in un territorio che probabilmente non era adeguato, e Calgary era perfetta in questo senso”, afferma Nolan. “Ha un enorme paesaggio sullo sfondo, con delle colline che precedono le Montagne Rocciose canadesi”.
Il desiderio di Nolan per attenersi strettamente alla realtà visiva del film, imponeva di effettuare delle riprese separate di una fattoria, di un campo di grano e delle montagne, per poi unirle digitalmente. Ha voluto creare un vero e proprio senso dell’ambiente, il che significava partire da una tela bianca del paesaggio ideale, e quindi congiungere il resto da zero.
Questo sforzo monumentale ha innescato una delle tante sfide della produzione contro il tempo: unire le location, e poi calcolare il tempo di programmazione delle riprese di quattro mesi per la disponibilità delle telecamere in ogni set. “Abbiamo girato questo film praticamente in sequenza, in modo che i mesi che hanno preceduto le riprese sono stati, a dir poco, molto importanti”, ricorda Emma Thomas ridendo. “La grande sfida del Canada era quella di dover coltivare del grano, in un luogo dove normalmente non cresce, per ovvie ragioni, a quanto pare. Così, abbiamo avuto un bel daffare in un periodo relativamente breve di preparazione. La cosa buona per noi è stata che il grano nel film non doveva avere un aspetto rigoglioso, perché l’idea era che la Terra non fosse più così fertile”.
In mezzo ad un turbinìo di ricerche effettuate su internet sulle condizioni climatiche ed i modelli di crescita, e le informazioni fornite dal Dipartimento dell’Agricoltura del Canada, i realizzatori e lo scenografo Nathan Crowley sono saliti su un aereo per Calgary e si sono diretti alla volta della città di Longview per incontrare un allevatore di nome Rick Sears, proprietario di una vasta tenuta che soddisfaceva tutte le esigenze. “Ci siamo trovati di fronte un paesaggio collinare con un fiume che scorreva fino ad una zona pianeggiante, e sullo sfondo era circondato dalle montagne”, ricorda Crowley: “Era davvero spettacolare”.
E così, Nolan ed il team si sono dedicati al business del grano, assicurandosi del consenso del proprietario del ranch per costruire una strada fino alla location, e seminare 500 acri di terra. Le piante di grano dovevano impiegarci poco meno di sei mesi per crescere in tutta la loro altezza, durante i quali è comparso un freddo gelido seguito da inondazioni devastanti su Calgary. Nelle ultime settimane, tuttavia, è uscito il sole, il grano è cresciuto vertiginosamente, e quando l’unità principale è giunta per le riprese, l’aspetto era quello di un campo esistito da sempre.
Nolan ha immaginato la fattoria della famiglia di Cooper in stile contemporaneo, non futuristico, con un’architettura atemporale ispirata ai dipinti di Andrew Wyeth. “Cooper è un uomo fuori dal tempo”, descrive Crowley. “E’ un uomo d’altri tempi e vive in un mondo realistico post-tecnologico. Quindi, qualsiasi tipo di architettura futuristica non sarebbe stata opportuna, doveva rispecchiare la sua reale personalità”.
Crowley ha progettato l’aspetto della casa come una dimora abitata da quella famiglia da molte generazioni, e poi ha arruolato il suo reparto artistico per allestirla esteticamente e strutturalmente come una casa vivibile, fatta eccezione per l’impianto idraulico. Dato che era la prima location in programma per le riprese, la sfida è stata completarla in sole 10 settimane e, Crowley aggiunge: “Il grano era già in crescita, quindi non c’era nessun piano B”.
Poiché la fattoria è stato concepita per essere un set d’interni ed esterni, Crowley ha collaborato con van Hoytema sul layout, facendo particolare attenzione alle texture reali, alla luce naturale ed agli sfondi. “Per Cooper, la fattoria fa parte dei suoi ricordi, e per noi è un mezzo per conoscerlo”, osserva van Hoytema. “Così, abbiamo optato per delle riprese che sembravano dargli un aspetto tangibile e familiare. Non volevamo riprendere il paesaggio circostante, ma volevamo seguire le persone presenti; ed il bello del design di Nathan è stato proprio dare al set l’aspetto di un luogo reale. Il design di Nathan era talmente perfetto per incamerare la splendida luce naturale dell’ Alberta, che spesso veniva voglia di prendere la cinepresa ed iniziare a fare delle riprese, a prescindere”.
“La fattoria è un elemento fondamentale nel film”, sostiene Nolan. “Doveva essere un’autentica casa di famiglia, molto pratica ed essenziale. Ci siamo dovuti attenere ai colori ed alle tonalità del suo design per ragioni estetiche, ma in realtà sembrava che fosse stata allestita secondo le esigenze di quel paesaggio e delle persone che vivevano e lavoravano lì. Racchiudeva la storia, ed è stato realmente un posto meraviglioso da vivere”.
Ma questo ambiente bucolico svanisce di fronte al richiamo costante dei tempi in cui vivono Cooper e la sua famiglia. Mentre il viaggio spaziale in “Interstellar” riflette quella che potrebbe essere la svolta possibile per il futuro, i realizzatori si sono ispirati all’era della Grande Depressione per rappresentare il trauma umano che fa scaturire l’esigenza del viaggio nel film: il Dust Bowl occorso negli Stati Uniti. Nolan aveva recentemente visto la serie della PBS del documentarista Ken Burns, sul più grave disastro ecologico dell’uomo nella storia del Nord America, quando una serie di tempeste di sabbia -causate da decenni di tecniche agricole inappropriate che ha trasformato lo strato del terreno superficiale in polvere- si sono abbattute sui terreni agricoli del paese trasformando le praterie in vasti deserti, con conseguenti colossali “bufere di neve nera” che ha reso l’aria soffocante e ha gettato milioni di persone in diaspora e carestia. I filmati strazianti di Burns, le interviste con i sopravvissuti al Dust Bowl ed i testimoni oculari, hanno avuto un effetto scioccante su Nolan e, in ultima analisi, sul film stesso.
“Dopo le sei ore di documentario, sono rimasto colpito dall’immaginario che Ken aveva mostrato: molto più straordinario di ogni altra cosa che appare in un film di fantascienza”, osserva il regista. “In effetti, alcune parti erano così inverosimili da sembrare fin troppo fantasiose per la fantascienza. Abbiamo incorporato alcuni elementi direttamente nel film perché ci tenevo a sottolineare che questo genere di cose possono realmente accadere. La gente l’ha realmente vissuto, ed i loro figli ne hanno un ricordo, e le hanno raccontate nel film di Ken”.
Oltre ad incorporare dei contenuti reali del documentario originale, Nolan ha rivolto le testimonianze originali a coloro che stanno vivendo gli eventi di “Interstellar”. Tra loro, la mitica Ellen Burstyn. “Le idee a cui Chris si rifà per la storia, sono affascinanti”, riflette la Burstyn. “Bisogna riflettere sul nostro rapporto con il pianeta. Qui ci troviamo di fronte ad un ritratto convincente di un pianeta che è a corto di cibo, e a delle persone che stanno ancora cercando di riprendere una vita normale in un’ atmosfera minacciata costantemente dalla polvere”.
Le tempeste di polvere di “Interstellar” si alzano in aria corpose oltre l’orizzonte, si infiltrano in ogni crepa e ricoprono ogni superficie del mondo di Cooper. Nolan sapeva che non avrebbe mai potuto raggiungere la perfezione dei risultati attesi attraverso il CGI, così si è rivolto al coordinatore degli effetti speciali Scott Fisher per avere delle idee. La risposta di Fisher è stata: C-90- del materiale biodegradabile non tossico fatto di particelle di cartone adatto come riempitivo di alcuni alimenti trasformati, e abbastanza leggero per ottenere l’effetto fumogeno ricercato da Nolan.
“Per Chris, tutto deve essere pratico e tangibile”, dice Jonathan Nolan. “Quindi, se ci troviamo di fronte ad un enorme campo di grano finto, accanto ad una splendida ma totalmente casa colonica falsa, al centro di una tempesta di sabbia completamente artificiale, stiamo sicuramente assistendo ad un film di Chris Nolan”.
La polvere ha avuto anche un effetto drammatico sulla qualità dell’illuminazione delle scene, il che ha permesso ai realizzatori di riprodurre visceralmente le immagini testimoniate dai sopravvissuti del documentario di Burns. “Abbiamo cercato di mostrare la visione di coloro che hanno assistito a queste mura di oscurità che si sono abbattute sulle aziende agricole e le persone”, nota van Hoytema.
Fisher ha utilizzato degli enormi ventilatori per innalzare la polvere di C-90 nell’aria: la macchina da presa IMAX è stata protetta con dei rivestimenti plastici appositamente realizzati, e gli attori si sono ritrovati coperti totalmente da uno strato irto di materiale, al termine delle giornate di riprese sul set. Casey Affleck ricorda: “Quando aprivo la bocca per parlare, mi si riempiva immediatamente di polvere. Eppure, Chris, il nostro impavido leader, andava in giro senza maschera o occhiali, con i capelli in ordine: quindi non potevo certo lamentarmi di tutta questa polvere”, sorride.
I campi di grano hanno avuto una presenza scenica più forte della polvere, nelle sequenze in cui Cooper si fa strada nelle coltivazioni con il suo pick-up all’inseguimento di un drone di sorveglianza indiano. Il drone stesso è stato progettato da Crowley, e poi realizzato sia come oggetto di scena di dimensioni eccezionali, non adatto al volo, sia come un drone radiocomandato in scala 1/3 con un’apertura alare di circa 4 metri e mezzo in grado di volare, che è stato manovrato dal pilota professionista di modellini R/C, Larry Jolly.
A darne la caccia su strada, è stato Cooper alla guida del nuovo modello pick-up Dodge del 2014, che il reparto artistico ne ha appositamente modificato l’aspetto, invecchiandolo come se fosse stato guidato da tempo. Il pick-up è il mezzo di una sequenza mozzafiato, in cui Nolan ha voluto utilizzare la fotocamera IMAX al fianco degli attori, mentre il fuoristrada attraversa gli arbusti delle piantagioni di grano ad una velocità di 70 miglia orari.
Fisher, van Hoytema ed il coordinatore degli stunt George Cottle, si sono riuniti per riflettere su come fosse possibile realizzare questa corsa in sicurezza, e catturare il tutto sulla macchina da presa con l’energia ricercata da Nolan. Cottle ricorda: “Chris voleva che fossero gli attori, non gli stuntmen, alla guida del pick up lanciato ad alta velocità all’inseguimento del drone, quindi sapevamo già che la sequenza dell’ inseguimento sarebbe stata difficile, a causa della poca visibilità dovuta all’altezza delle piante di grano”.
Piuttosto che trainare il pick up tramite una camera-car, la squadra ha utilizzato un sistema “pod rig” – un roll bar montato sul tetto del fuoristrada tramite cui un pilota stunt opera sui comandi del veicolo- lasciando liberamente McConaughey al volante, Chalamet e Foy accanto a lui, e le telecamere ovunque Nolan le desiderasse. Cottle ricorda: “Con il pod rig, gli attori all’interno della vettura si trovano in mezzo al campo di grano con i vetri oscurati dalle piante, mentre il pilota stunt posizionato sul tetto aveva grande visibilità, quindi è stata una soluzione sicura al 100% , e un modo fantastico per effettuare le riprese necessarie per l’inseguimento del drone”.
Mentre Cooper apparentemente è alla ricerca del drone per riutilizzarne il motore per le sue mietitrebbie agricole, nel momento in cui intravede la possibilità farlo volare, la telecamera inquadra il cielo per la prima volta- un primo segnale visivo del cambiamento che sta avvenendo nel mondo di Cooper.
LA BASE DI CONTROLLO
La progettazione delle tute spaziali indossate da Cooper ed il team di astronauti che viaggiano nello spazio, usa come modello quelle reali. “Non volevamo discostarci troppo dalla realtà testata di ciò che è necessario per l’ambiente esterno dello spazio”, dice Nolan. “Così, le abbiamo pensate adattabili ad un astronauta del XX° secolo, collocabile in quel momento storico. Volevamo che i protagonisti apparissero con la tuta da astronauta tradizionale, e non quella presumibile di un futuro prossimo”.
“Chris ha un grande occhio ed aveva le idee ben precise riguardo ciò che voleva ottenere, ma avevamo solo 12 settimane a disposizione per trasformare la bozza del disegno in prodotto finito e completo, quindi siamo andati a tavoletta per tutto il tempo!”, ricorda la costumista Mary Zophres. “Abbiamo cucito tutti i vestiti da zero, lavorando praticamente ogni giorno, sottoponendo a Chris ogni piccolo dettaglio. In passato ho cucito dei costumi speciali, ma in questo caso mi trovavo di fronte ad un nuovo indirizzo del design”.
La Zophres si è documentata sull’evoluzione delle attrezzature degli astronauti dal 1960 ad oggi, – dalle tute d’argento del programma Mercury, a quelle rigonfiate indossate dagli astronauti della missione Apollo che hanno camminato sulla Luna- ed ha finito per ricavarne una sintesi di tutti gli elementi. “La tecnologia è più avanzata, ma l’estetica non è cambiata di molto”, dice. “L’ho un po’ aggiornata realizzando abiti più moderni, pur mantenendo sempre lo stile classico”.
La Zophres ha anche tratto ispirazione per tutti gli accessori che avevano la funzione di oggetti di scena, facenti parte dei costumi stessi, come i sistemi di ossigenazione, i guanti specializzati, ed i piccoli razzi alla base del gomito. Questi sono stati progettati utilizzando la modellazione in 3D, quindi creati e messi a punto in collaborazione con il dipartimento artistico degli effetti speciali. La Zophres e la sua squadra hanno poi integrato gli accessori ai pezzi morbidi della tuta, per agevolarne la funzionalità. “Tutto ciò che era applicato sulla tuta non aveva uno scopo decorativo; doveva servire per uno scopo”, sostiene.
Questo ha aggiunto un ulteriore livello di difficoltà, perché tutto – in particolare le unità di ossigeno- dovevano funzionare. “Gli attori indossavano le tute spaziali per più della metà del film, quindi se portavano il casco, dovevano essere funzionanti, altrimenti non avrebbero potuto respirare”, spiega. Poiché le tute degli astronauti non erano facili da realizzare, la Zophres ha contattato una società chiamata SPCS in grado di produrre la serie completa dell’attrezzatura applicata al tessuto.
La Zophres ha lavorato a stretto contatto con il regista per la realizzazione dei caschi del team sulla base della struttura ad anello e cuscinetto a sfera proprio del programma Gemini. In quattro mesi ha progettato, rifinito, e quindi invecchiato i caschi, applicando al loro interno un sistema audio operativo per facilitare la comunicazione tra gli attori ed il regista, e fra loro stessi durante un dialogo, da integrare successivamente nel mixaggio finale del suono.
I costumi, realizzati con tessuti estremamente pesanti, hanno costretto la Zophres ad integrare un sistema di raffreddamento con dei tubi di acqua fredda, per evitare il surriscaldamento corporeo degli attori. Il Supervisore ai costumi Lynda Foote ha effettuato delle ricerche sugli attuali sistemi utilizzati dagli astronauti nello spazio, traendo ispirazione per il sistema utilizzato nel film. Si sono inoltre avvalsi di alcuni ventilatori all’interno di uno zainetto, utili per il raffreddamento e per evitare l’appannamento dei vetri. Tutto sommato, il peso finale della tuta oscillava tra 13 ed i 15 chili, senza considerare le mute che avrebbero dovuto indossare a pelle durante le sequenze in acqua.
La Hathaway ricorda la prima volta che ha testato la sua tuta in acqua: “Dopo aver provato a nuotare per 3 metri in piscina, ho chiamato subito un ex-Navy SEAL che conosco e gli ho detto: ‘Mi devi allenare’. E durante le riprese in acqua, Matthew ed io ci dicevamo: ‘Sarà pure difficile, ma sembriamo forti’ “dice ridendo.
Il funzionamento delle sagome create per dare forma a TARS e CASE, i due astronauti meccanici del film, nasce da un lavoro ancora più duro. Le macchine sono state concepite come un hardware militare dismesso, e riproposto per il viaggio spaziale. “Questo film è ambientato in un futuro con scarsità di risorse, perciò le comunità scientifiche dipendevano fortemente da ciò che è sopravvissuto dalla tecnologia militare”, spiega Nolan. “Dal punto di vista del design, avevamo in mente una macchina articolata resistente alle esplosioni ed inespugnabile, con uno sguardo alla forza e la funzione, più che allo stile”.
Sebbene queste macchine pensino e parlino, Nolan ha voluto evitare qualsiasi tipo di caratteristica antropomorfica comune ai robot dei film. “Nel nostro approccio minimalista assoluto” dice, “siamo arrivati a quello che abbiamo chiamato il tipo di robot che l’architetto minimalista Mies van der Rohe avrebbe progettato”.
Per dargli forma, Nolan e Crowley hanno provato innanzi tutto ad incollare dei bastoncini del ghiacciolo, poi progressivamente sono arrivati a varie combinazioni tramite delle calamite, prima di arrivare alla scelta di un sistema fatto con una plancia robusta, alta 1 metro e mezzo che si aggancia magneticamente su tre punti di un perno centrale, impiegando un massimo di 64 divisioni geometriche.
Scott Fisher è stato quindi arruolato nella squadra di TARS e ha intrapreso un percorso di ricerca e sviluppo per creare un prototipo pratico che fosse autentico -dai perni alla schermata digitale sul petto- e permettergli i movimenti in poco meno di otto settimane.
Oltre al movimento, tuttavia, il regista voleva che questi astronauti meccanici fossero più di una semplice presenza in “Interstellar”, ma avessero uno spazio come gli umani. John Papsidera, il direttore del casting del film, aveva individuato la persona adatta per il ruolo: l’attore, il comico, il clown Bill Irwin. Nolan sostiene che: “Bill è il tipo di performer in grado di trasformare un qualsiasi oggetto goffo ed inespressivo, e dargli personalità attraverso i suoi movimenti, che rappresentava esattamente la nostra sfida con queste macchine”.
Irwin era incuriosito dall’idea di poter dare movimento ed un’anima a qualcosa di simile ad un pezzo solido di un hardware. “La mente di Chris Nolan è sempre in movimento”, osserva l’attore. “Mentre ascoltavo tutti gli eventi che si susseguivano nella storia, mi sono gradualmente reso conto che queste macchine- per mezzo dell’ intelligenza artificiale, qualche contatto nel sistema dei circuiti e l’ emulazione – riescono ad essere emotivi come chiunque altro nel racconto”.
In seguito a vari sopralluoghi presso la sede degli effetti speciali, Irwin ha partecipato attivamente al lavoro di gruppo per portare TARS e CASE sullo schermo, diventando molto abile con il controller utilizzato per attivare i vari annessi tramite un sistema ad aria compressa ed un sistema idraulico. “Mi sentivo come in un videogioco, con dei tasti di controllo dell’andatura ed i movimenti delle articolazioni”, dice Irwin. “Improvvisamente sono diventato una sorta di giocatore, e cercavo di muovere queste plance massicce tutt’intorno. E’ stato entusiasmante far parte di questo processo”.
Sul set, Irwin ha mosso l’attrezzatura ed ha interagito con gli altri membri del cast, sia come CASE che come TARS, alternandosi in base alla scena da interpretare. Thomas sostiene che l’attore ha svolto il lavoro più impegnativo del film. “Questo gigante dalla struttura monolitica era davvero pesante, ma malgrado ciò è riuscito a fare una brillante performance”. Per alcune sequenze, è stato lo stuntman Marco Fichera ad eseguire le mosse fisicamente più faticose, dato che arrivava a pesare quasi 90 chili.
Non c’è stato bisogno di implementare il CG, e presto anche Paul Franklin si è unito al team di TARS per migliorare l’immagine delle sequenze d’azione, come ad esempio eliminare ogni traccia degli esecutori. Il risultato finale è stato una totale armonia dei movimenti dei personaggi, e l’idea di Nolan su queste macchine si è trasformata in sagome di pupazzi idraulici diversi da qualsiasi altra cosa che i realizzatori avessero mai azzardato.
TARS lascia la Terra insieme all’equipaggio umano, non appena il razzo che trasporta la navetta Ranger si dirige verso lo spazio, una sequenza di effetti visivi progettato per emulare le immagini un tempo onorate, dei lanci dei razzi della NASA. “Volevamo che la gente riconoscesse il linguaggio della cinematografia in questa sequenza”, afferma Paul Franklin. “Perciò Chris ci ha fatto guardare tutti i vecchi filmati del lancio di Apollo nello spazio, con tutte le sue caratteristiche. E’ diverso dai booster moderni perché nelle missioni degli anni ’60 sono stati utilizzati dei razzi colossali, alti circa 110 metri. E’ questa la scala che ricercavamo, combinata con quelle palle massicce di fuoco arancione che fuoriuscivano dai motori”.
Come TARS, la Ranger e le altre navicelle sono nate dagli esperimenti fatti nel garage di Nolan su larga scala fino alla realizzazione pratica.
IL VIAGGIO INTERSTELLARE
Nolan e Crowley hanno iniziato il processo di progettazione della triade delle navicelle del film – la Ranger, la Lander, e l’Endurance- documentandosi sulle spedizioni passate, il presente ed il futuro del settore spaziale, con la visualizzazione di ore ed ore di documentari IMAX sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), di sopralluoghi sul complesso dello SpaceX dell’imprenditore Elon Musk ed il Dragon, e facendo una passeggiata all’ombra della navetta spaziale Endeavour, ora ferma al California Science Center. “Siamo entrambi cresciuti con la NASA ed abbiamo vissuto l’emozione di un lancio di un razzo, quindi eravamo alla ricerca di qualcosa di nuovo e tecnologicamente avanzato, ma al tempo stesso familiare e facilmente riconoscibile”, dice Crowley.
La Ranger – il veloce shuttle dell’Endurance- è stata la prima a prendere forma. Per perfezionare il modello generato dalla stampante 3D, Crowley ha convocato un team di scultori per apportare ulteriori dettagli al suo telaio, al carrello di atterraggio, ai motori, alla chiusa d’aria ed altri elementi senza comprometterne l’ elegante forma ricurva.
In seguito è nata la Lander: un colosso di forma angolare più massiccio che veloce. “Se la Ranger è una macchina da corsa tedesca che può sfrecciare su un pianeta e tornare indietro, la Lander è un pesante aereo cargo russo”, descrive Crowley. “E’ un ‘cavallo da tiro’ adibito al trasporto di carichi dall’ Endurance per depositarli sulla superficie di un pianeta, e lo fa a testa in giù. Così i sedili degli astronauti dovevano ruotare di 360 gradi, e la cabina di pilotaggio è stretta per fare spazio al cargo”.
La Ranger e la Lander sono state entrambe progettate per adattarsi perfettamente al modulo circolare della navicella madre Endurance: una sfida del design su molti fronti per Crowley e Nolan, che hanno sapientemente affrontato utilizzando metodi low-tech. “Abbiamo utilizzato dei blocchi acrilici, che abbiamo combinato in vari modi, fino ad ottenere una forma geometrica circolare formata da 12 moduli”, dice Crowley.
Il modulo circolare della Endurance appare come grande ruota segmentata, con un mozzo centrale, che gira ad una velocità di cinque volte al minuto, per generare 1G di gravità attraverso la forza centripeta. Collegate attraverso un sistema di chiuse d’aria ed un pavimento ricurvo continuo, ciascuna delle 12 capsule della navicella ha uno scopo ben preciso nell’ambito della missione – quattro sono i motori, le altre quattro contengono le zone vivibili, la cabina di pilotaggio, la criogenia ed il laboratorio medico, e le quattro rimaste servono all’atterraggio ed all’istallazione sulla superficie di un pianeta.
Una volta che i disegni della navicelle sono stati visualizzati in 3D ed i loro particolari ad incastro sono stati accuratamente progettati, il passo successivo è stata la realizzazione delle stesse. Crowley ha riunito un team di artigiani altamente qualificati per costruire a mano con acciaio e polistirolo la Ranger lunga 14 metri, e la Lander della lunghezza di 15 metri. Scott Fisher e la sua equipe addetta agli effetti speciali hanno quindi progettato i portelli del carrello di atterraggio e le parti idrauliche e le chiuse d’aria a tenuta stagna degli scafi di entrambe le navicelle. Sono state poi impermeabilizzate con uno strato irto di fibra di vetro: una necessità dettata dall’uso che Nolan aveva in mente per loro. Fisher ha anche voluto allestire dei lettini per la crioconservazione, per porre gli astronauti in uno status di animazione sospesa durante il lungo viaggio, così come dei sedili idraulici che ruotato di 360 gradi.
Quando le parti delle navicelle sono state trasportate nei teatri di posa presso gli Studios Sony, Fisher li ha montati per il Waldo – un giunto cardanico a sei assi collegato ad un sistema di controllo che permette all’operatore di manipolare il suo movimento con un altissimo grado di stabilità e precisione. “Ogni volta che preparavamo questo giunto sospeso, Chris passava tutto il tempo a simulare il volo”, ricorda Fisher. “Penso che gli sia piaciuto molto farlo”.
Sull’esempio di un reale filmato IMAX di un viaggio interstellare, Nolan e van Hoytema volevano anch’essi cimentarsi nell’arduo compito di montare una telecamera IMAX sulle navicelle stesse, una libertà che sia il sistema Waldo che le reali dimensioni delle navi, hanno concesso loro. Il direttore della fotografia afferma: “Si finisce per creare le piattaforme più strane, per far sì che tramite la telecamera si possa assistere a qualcosa di molto simile alla realtà, piuttosto che dare delle immagini generiche della situazione. Abbiamo in aggiunta mantenuto l’hard mount, montando delle telecamere sui caschi e sui corpi”.
Gli hard mount e Waldo sono stati essenziali per soddisfare la volontà di Nolan di evitare i green screen per “Interstellar”. Piuttosto, Nolan ha voluto dare dinamicità a queste navicelle dalle grandi dimensioni, piazzando sullo sfondo delle incisioni raffiguranti lo spazio e delle piastre di diffusione di luce, con dei veri modelli di razzi, bagliori ed artefatti idonei all’illuminazione dell’ambiente. Racconta Nolan. “E’ stato un lavoro molto impegnativo, ma avendo già costruito le navicelle per altri motivi, la cosa migliore da fare era ottimizzare il loro utilizzo. Quindi, quella che sarebbe stata una ripresa piatta molto statica, si è invece trasformata in una delle cose più importanti che avvalora il linguaggio visivo del film”.
L’animazione sospesa è un rallentamento delle normali funzioni vitali dell’individuo senza causarne la morte, indotto mediante mezzi esterni. Il respiro, il battito cardiaco e altre funzioni involontarie possono ancora essere presenti in un soggetto sottoposto ad animazione sospesa, ma la loro rilevazione può essere effettuata solo mediante strumenti di misura. Temperature estremamente basse possono essere utilizzate per accelerare il rallentamento delle funzioni vitali; questo principio è alla base della scienza nota come criogenia.
La proposta di sottoporre gli astronauti all’animazione sospesa è stata avanzata per permettere agli uomini di raggiungere la destinazione di un lungo viaggio interstellare eliminando la necessità di una nave generazionale (fonte: wiki)
I realizzatori hanno tra l’altro utilizzato la tecnica dell’hard mount per rappresentare la complessa operazione di aggancio, tutte le volte che gli astronauti devono tornare con la Ranger o la Lander all’Endurance, con il Waldo pronto a sincronizzare perfettamente i giunti. “Non è il tipo di film di fantascienza in cui l’attracco è una fase da saltare per focalizzarsi su eventi altrettanto straordinari”, spiega Nolan, “ci sono altri generi di film – a cui ‘Interstellar’ voleva appartenere- che fonda le sue credenziali per mostrare i viaggi nello spazio, e che nasce da uno sforzo in scala molto comprensibile ed umano. L’operazione di aggancio era un’impresa ardua per l’equipaggio, e poteva non andare a buon fine. Così, la prima volta che attraccano la Ranger all’Endurance si sono presi tutto il tempo necessario per girare l’intera sequenza, anche se nello script era solo accennata. Ed in fase di montaggio, sono stati rispettati i tempi impiegati”.
Mentre le miniature nel corso degli anni sono state protagoniste dell’ animazione degli effetti visivi, Nolan le ha utilizzate per offrire l’immagine migliore e più tangibile delle navicelle nello spazio. In questo caso, tuttavia, le miniature create per “Interstellar” presso gli Studios New Deal di Los Angeles, sono state costruite su larga scala, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “maxatures”. Tra loro c’era una miniatura in scala 1/15 del modulo circolare dell’ Endurance che misurava 7 metri, così come un modello pirotecnico di una porzione della navicella costruita in scala 1/5, e varie miniature in scala della Ranger e della Lander – tutte costruite in meticoloso dettaglio per mantenere la loro consistenza durante le riprese sugli sfondi galattici di Paul Franklin.
I realizzatori hanno voluto migliorare ulteriormente questo effetto utilizzando un impianto di controllo del movimento più piccolo, ed impiegando una ratio di esposizione con telecamere VistaVision in large format, che ha permesso all’obiettivo di catturare tutti gli artefatti spontanei, appena le navi si muovevano contro la fonte di luce. “Queste sono cose che si potrebbero lavorare in CG dove necessario, ma la cosa meravigliosa delle riprese sulle miniature è che mostrano cose non prevedibili né pianificabili”, dice Nolan. “Mi riferisco alla casualità, una qualità che dà all’immagine una certa vitalità”.
La stessa Endurance – nello specifico un segmento della sua struttura circolare, lungo 60 metri – è stata costruita all’interno del cavernoso stage 30 degli Studios Sony. Questo immenso arco è stato appoggiato da una gru su un giunto cardanico di 150 metri montato su tre punti di snodo, con una meccanica colossale, in grado di inclinare la struttura di 180 gradi per le sequenze del volo spaziale.
La rigorosa praticità dell’estetica degli esterni delle navi, è stata mantenuta anche nella progettazione dei loro interni. “Abbiamo voluto integrare il maggior numero di componenti aerospaziali esistenti, sempre rimanendo realisti”, rivela Nolan. “Quando hai a che fare con delle navicelle spaziali e la galassia, il pericolo è che si perda l’elemento umano, e Nathan ed i suoi ragazzi si sono moderati, pensando alla praticità e la funzionalità degli ambienti”.
Per la Hathaway, camminare sulla navicella l’ha emotivamente colpita. “La storia inizia su una Terra che ha delle risorse limitate, ed è facile immaginare che il meglio che avevano le persone era proprio su questa navicella spaziale”, dice. “Suscita un meraviglioso senso di speranza”.
L’influenza della NASA è particolarmente evidente nei sistemi di stoccaggio, con particolare attenzione alle dimensioni compatte, l’intercambiabilità e l’efficienza. “L’Endurance riflette veramente ciò che abbiamo imparato alla ISS, e la Endeavor nello spazio, non ha una cima e un fondo, un soffitto ed un pavimento, tutto è ben posizionato ed intercambiabile, e viene utilizzata ogni superficie”, descrive Crowley. “Chris voleva che gli attori utilizzassero ogni cosa, così all’interno della nave i monitor e gli interruttori sono stati tutti progettati per servire ad uno scopo.”
Come per il progetto della fattoria, Crowley ha dovuto soddisfare le esigenze tecniche dell’equipaggio chiave. Ha collaborato a stretto contatto con van Hoytema per ottenere la giusta illuminazione di fondo del set, in modo tale che la fotografia potesse regolarsi con i bagliori delle piastre di diffusione durante il volo, ed aggiustare l’ illuminazione necessaria per una determinata scena. Il direttore della fotografia riferisce: “I design di Nate sono così meticolosi che ovunque ti trovi, credi di essere in un posto reale, quindi era importante che l’illuminazione fosse pertinente”.
Gli stessi effetti di luce sono andati sorprendentemente evolvendosi con la progressione della produzione. Gli effetti visivi e l’avanzamento tecnologico delle proiezioni hanno valorizzato i film. Ma l’evoluzione di queste tecnologie ha suggerito dei modi nuovi ed audaci di utilizzazione, in sostanza, si è arrivati ad integrare il filmato interstellare sbalorditivo creato da Paul Franklin e la Double Negative, alle riprese. Nolan afferma: “Se si utilizzano le tecniche del passato, per creare nuovi espedienti, siamo come ‘nani sulle spalle dei giganti’, quindi in grado di realizzare qualcosa di nuovo ed insolito”.
Con uno schermo gigante fuori dalle finestre del set, Franklin ha inventato un sistema di precisione allineando due proiettori per creare una singola immagine con una grado sufficiente di luminosità e chiarezza, da riflettere all’interno del frame IMAX. Il sistema si è evoluto in ultima analisi, incorporando più proiettori, con carrelli elevatori che posizionavano dei dispositivi che pesavano più di 500 chili, in una matrice che proiettava un fascio luminoso sufficiente a far penetrare la luce dalle finestre della navicella ed illuminare i volti degli attori. “Da un punto di vista oggettivo, creare questa situazione è stato cruciale per gli astronauti, che in un ambiente così circoscritto rischiavano la claustrofobia”, aggiunge il regista. “Abbiamo potuto muoverci sul set con una telecamera a mano per delle riprese a lunga durata, ed effettuare delle inquadrature da più angolazioni. E’ stato straordinario”.
Franklin ed il suo team addetto agli effetti visivi hanno utilizzato un programma che ha permesso loro di combinare e manipolare le immagini istantaneamente sui computer dei proiettori, in modo che Nolan potesse orchestrare i cambiamenti nel panorama spaziale in tempo reale sul set. Franklin descrive l’effetto della prima apparizione del buco nero come “affascinante, e un po’ inquietante. Aveva un aspetto quasi tridimensionale, come se uscisse dallo schermo”.
Le proiezioni hanno dato agli attori un aspetto reale del buco nero, ed hanno simulato la luce del nostro sole, e hanno contribuito ad avvalorare i design di van Hoytema dello spettacolo infuocato della luce solare libera nelle riprese dello spazio. Il direttore della fotografia ricorda: “Le proiezioni frontali del sole ci indicavano la sua posizione durante il tragitto per raggiungere il punto Zero-G. La maggior parte del tempo abbiamo cercato di replicare il sole o la luce emessa dal buco nero in modo veritiero e corretto. Non ho mai girato un film con tanta luce così difficile come questo, ed è stato divertente giocare con i modelli ed i contrasti di quella luce singolare”.
Queste tecniche innovative hanno molto impegnato il cast e la troupe, ma ha permesso loro di calarsi pienamente nella realtà del viaggio. “La sensazione a bordo di quelle navicelle, era quella di sentirsi sigillati in un vero e proprio veicolo in movimento”, descrive Nolan. “Era come se la sequenza si stesse svolgendo per davvero, con il panorama fuori dalle finestre che cambiava proprio come se i protagonisti lo stessero attraversando in volo”.
Lontani dalla Terra, i personaggi di “Interstellar” hanno anche provato l’esperienza dell’assenza di gravità in volo. Nolan aveva già affrontato l’illusione dello Zero G in “Inception”, e ha lavorato con il coordinatore degli stunt George Cottle, per ampliare le tecniche già utilizzate. Per “Interstellar”, Cottle ha sviluppato una combinazione di arrangiamenti che fornivano al regista ed al cast, la massima flessibilità ed il miglior comfort possibile per le molte scene di mancanza di gravità presenti nel film.
Per una migliore comprensione del movimento in assenza di gravità, Cottle ha visionato molteplici filmati di astronauti, al fine di progettare gli impianti che emulassero la tecnica del galleggiamento, e le varie azioni e reazioni. Da lì, insieme al suo team ha intrapreso un periodo durato mesi di indagini e ricerche, con l’obiettivo di realizzare e massimizzare i risultati possibili sul set. “Abbiamo testato varie attrezzature con gli stuntmen su diverse piattaforme, a partire da quelle verticali che abbassano gli attori quando tutto il set è sottosopra, fino ad attrezzature più piccole che potevamo manipolare con i fili. Ma Chris ricercava dei primi piani ravvicinati, in spazi ristretti”, afferma.
Perciò Cottle ed il supervisore agli effetti speciali Scott Fisher hanno utilizzato un impianto complesso chiamato parallelogramma- un’imbracatura con cosciali o un asse da mettere sotto la pancia, attaccata ad una gru controllata manualmente. L’operatore che più sovente era ai comandi del parallelogramma è stato Nolan stesso. “Penso che la teoria di Chris è che per ottenere il risultato che vuole, se può farlo da solo, allora è meglio che lo faccia”, sorride Thomas. “Quindi, ebbene sì: gli attori erano su un’attrezzatura folle che li faceva galleggiare nello spazio, e Chris era colui che li faceva muovere”.
Lo sforzo logistico monumentale di riempire questi set giganteschi con i particolari, la funzionalità e la coesione fisica, hanno ripagato il regista con i progetti ambiziosi che aveva in mente Nolan, perlomeno due in particolare. “Quello che cercavamo erano location che ti facessero sentire su un altro pianeta”, dice. “E se l’intenzione era quella di girare mezzo mondo per fare delle riprese di un paesaggio, allora bisognava organizzarsi per bene.”
Nolan una decina d’anni fa aveva visitato l’Islanda per girare le sequenze di “Batman Begins”, ed aveva la sensazione, prima ancora di fare i sopralluoghi per questo film, che avrebbe trovato terreno fertile per i personaggi di “Interstellar”. “Volevamo che gli ambienti ultraterreni fossero reali e tangibili come questo”, dice. “Così, per far sì che il pubblico accompagnasse gli astronauti che muovono i primi passi su altri pianeti, sapevamo che avremmo dovuto fare delle riprese stando sul posto, ed i paesaggi dell’Islanda sono davvero dei posti estremi”.
Nolan e Crowley sono saliti su un aereo con destinazione l’Islanda, per vedere se il ghiacciaio che si ricordavano avrebbe funzionato cinematograficamente per rappresentare il pianeta di ghiaccio che esplorano i personaggi. Così hanno scoperto che il ghiacciaio Vatnajökull era stato colpito dalle recenti eruzioni vulcaniche, lasciando un effetto surreale di grigio marmorizzato sul ghiaccio. “In realtà ci ha aiutato a descrivere l’atmosfera del film: avevamo immaginato infatti un ambiente grezzo, cupo, ostile”, descrive Crowley. “Non doveva essere magico; doveva essere triste. I personaggi stanno prendendo in considerazione l’idea di lasciare la Terra per una nuovo posto in cui vivere, ma la sensazione che dà il ghiacciaio è piuttosto dura. Il che ha alimentato nuovamente l’idea di continuare il viaggio epico verso l’inferno e proseguire quest’ardua missione”.
Fu chiaro che il particolare territorio Islandese ha fornito la location ideale per due delle destinazioni planetarie della storia, e nei dintorni si scorgevano le acque basse ma apparentemente infinite della laguna Brunasandur, che avrebbe rappresentato la zona d’atterraggio sul pianeta d’acqua del film. Sebbene l’ambiente fosse perfetto, senza litorale visibile nelle varie direzioni, la produzione ha dovuto costruire una strada di 15km per allestire un campo base abbastanza ampio per le roulotte del cast, e le attrezzature della troupe sulla laguna.
Mentre l’unità principale stava girando in Canada, contemporaneamente venivano allestite le location in Islanda, richiedendo uno sforzo enorme per coordinare le due postazioni remote non solo per il cast e la troupe, ma anche per due delle navicelle spaziali. “Sia la Ranger che la Lander sono state costruite in toto, perciò poterle riprendere nell’ acqua o sulla cima del ghiacciaio è stato un enorme vantaggio per il film”, afferma Nolan.
Fresche di catena di montaggio, le navicelle – del peso di circa 4,5 tonnellate ognuna, sono state smontate, imballate in container e spedite nella stiva di un jet 747 cargo verso l’aeroporto di Reykjavik, poi caricate su camion, portate a destinazione, e poi rimontate in tende giganti.
Nel bel mezzo delle riprese sul ghiacciaio, la produzione si è dovuta blindare in hotel durante una potente tempesta che soffiava talmente forte da sradicare l’asfalto dalle strade. Ansiosi di controllare i set, Nolan e Crowley volevano sfidare le intemperie raggiungendo in auto il ghiacciaio. “Ma quando siamo arrivati dalla macchina, ci siamo resi conto di non riuscire a camminare, perché il vento era fortissimo”, ricorda Crowley.
Malgrado ciò, il regista – noto per essere sempre presente alla programmazione – era restio a perdere la giornata lavorativa. Thomas ricorda: “Chris si vanta di aver effettuato le riprese con qualsiasi condizione atmosferica, ma questa è stata la prima volta che abbiamo dovuto fermarci perché il vento era davvero pericoloso. Ma Chris, essendo Chris, non voleva che noi stessimo seduti con le mani in mano in albergo, così tutti ci ha fatto andare nel parcheggio dove abbiamo girato alcuni spezzoni”.
IL MIX FINALE
L’amore è l’unica cosa che trascende dal tempo e dallo spazio. -Brand
Negli annali del cinema di fantascienza, i propulsori dei razzi emettono un suono assordante, e l’ udibilità delle navicelle si perde nello spazio, ma con “Interstellar” Nolan è alle prese con l’assenza di suono. “Il suono non viaggia nello spazio, ed utilizzare gli effetti sonori per l’ambiente circostante ne avrebbe tradito la veridicità”, osserva.
Il lavoro di Nolan svolto con il sound designer nonché supervisione al montaggio sonoro Richard King per fare da cornice sonora alle scene, ben presto si è tradotto in un silenzio assoluto, per rafforzare la dimensione umana del viaggio. “Visivamente, siamo stati in grado di sottolineare l’effetto claustrofobico delle navicelle, mettendo in contrasto un ambiente confinato contro la vastità dello spazio fuori dalle finestre, quindi anche con il suono si doveva dare la stessa sensazione”, rivela Nolan. “Ogni volta che cala questo silenzio assoluto, sembra che nella stanza manchi l’aria. E’ un richiamo continuo all’idea che al di fuori di queste mura di metallo, ci sia un ambiente alieno ostile, e se qualcosa va storto, la morte istantanea è certa. Così, per descrivere un’emozione profonda, il silenzio totale in un film si è rivelata essere la scelta più stimolante”.
Questo contrasto è inoltre ben evidenziato anche con la musica, quella composta da Hans Zimmer, che con questo lungometraggio firma la sua quinta collaborazione con Nolan. “Ci sono momenti in cui Hans sceglie un approccio delicato ed intimo con la musica, quando invece ci si aspetterebbe un ritmo pomposo ed altisonante, e viceversa”, afferma Nolan, “che è un modo molto naturale per attirare l’attenzione del pubblico sulle scene che hanno di fronte, e talvolta rappresenta un semplice contrasto tra la dimensione umana e la scala interstellare”.
Tra le interpretazioni vocali della alternante grandiosa ed intima colonna sonora del film, c’ è un breve pezzo intitolato “Day One”, ispirata ad un’ insolita proposta di Nolan fatta al famoso compositore. “Hans è una parte molto importante del mio team creativo, e nel caso di questo film, gli ho chiesto di scrivere le musiche prima ancora di cominciare a ri-scrivere la sceneggiatura”, spiega Nolan. “L’ho tenuto all’oscuro di tutto, anche sul genere di questo film”.
Il regista ha dato seguito alla sua proposta con una busta contenente il dattiloscritto di una breve scena. Zimmer ricorda: “Era la storia meravigliosa di un padre e del suo rapporto con il figlio; e mi ha molto colpito, perché mio figlio non vuole diventare un musicista – e sogna di fare lo scienziato – era evidente che Chris aveva toccato tutti i tasti giusti con me”.
Il compositore si è seduto al pianoforte e ha cercato di ricordare le emozioni che vissuto da padre. Poco dopo, Nolan è venuto a sentire quel che aveva composto. Zimmer ricorda: “Gli ho chiesto cosa ne pensasse, e lui ha detto: ‘Beh, suppongo che ora farò sicuramente meglio il film’. E ‘stato solo allora che ha iniziato a descrivere questo film epico, e ho scoperto che non si trattava di un figlio, ma di una figlia. Ma per lui questo piccolo angolo d’intimità della mia esperienza con mio figlio, è racchiuso al centro della storia. E nel plasmare la colonna sonora, abbiamo scoperto che man mano che nella narrazione ci si allontana dalla Terra, si tornava ad evocare l’emozione di quel momento”.
Dopo aver trascorso quasi un decennio a lavorare sulla profondità delle tematiche dei film di Nolan, il compositore ha voluto evitare di ripetersi nelle eventuali espressioni musicali, inventando una melodia del tutto nuova per “Interstellar”. “Chris ed io ci siamo avvicinati all’intero processo musicale in modo avventuroso”, dice. “Abbiamo aperto le nostre menti per vedere cosa veniva fuori. Non sarei stato fedele alla storia se non avessi allargato le mie vedute”.
Zimmer ha individuato la spina dorsale della colonna sonora nelle note robuste ma esaltanti dell’organo, uno strumento che egli considera un trionfo dell’ invenzione umana. “L’organo racchiude un elemento umano, perché ha bisogno del soffio per emettere il suono”, dice. “Su ogni nota, si sente il respiro, ed all’apice del suono si avverte l’impeto dell’aria nell’ambiente che segue il plesso solare fino a far vibrare le finestre. Così, pur trattandosi di uno strumento complesso tecnologico, crea suoni di una qualità molto primordiale”.
Per arricchirne i suoni che emette, Zimmer ha aggiunto un coro di strumenti -fiati, archi, pianoforte ed ottoni – che, come l’organo, appartengono ad un’epoca in cui gli strumenti venivano suonati in modo analogico e meccanico, piuttosto che generati digitalmente. L’idea era quella di coinvolgere dei musicisti di talento che con i loro strumenti emulassero i suoni terreni – un riferimento costante che Cooper sta cercando di salvare dentro di sé, ma che rischia di perdere.
Il foro dell’esecuzione di questi suoni, che racchiudono la massima espressione dell’ascesa dell’uomo dal terreno al celestiale è il Temple Church, una chiesa attiva del XII° secolo nel cuore di Londra. “Il punto centrale della sua architettura è quello di trasportarci in altri mondi, e quindi abbiamo voluto sfruttare la qualità dei suoi spazi per farci trascinare in questo viaggio”. Detto ciò, Zimmer ha assemblato un’orchestra di artisti di fama mondiale, e li ha invitati a personalizzare la musica attraverso i loro strumenti, spesso secolari.
Dopo l’incredibile cifra di 45 sessioni sottoposte a Nolan, la musica è passata al mixaggio, in cui il regista ha lavorato assieme a Zimmer, King ed il supervisore al montaggio musicale Alex Gibson per armonizzare i suoni con le immagini. Nolan osserva: “Hans è partito dalle emozioni alla base della storia, ed è andato ampliandole, ottenendo dei risultati tra i più eleganti del suo lavoro. E’ davvero una colonna sonora straordinaria, e totalmente diversa da tutto ciò che abbiamo fatto insieme precedentemente”.
Anche per il compositore scrivere la musica in maniera inversa, e lasciare che il film stesso fosse il direttore d’orchestra, è stata una rivelazione. “La musica va al di là dei campi di grano”, dice. “Va oltre la situazione che vivono i personaggi, gira sempre intorno al concetto dell’amore. Al centro della storia di Cooper c’è l’idea che prima riesce a salvare il mondo, e prima riesce a riabbracciare i suoi figli: al contempo il suo cuore, la sua connessione spirituale, si fortifica”.
Dopo questo lungo percorso necessario per trasformare in potenziale cinematografico le teorie scientifiche di Kip Thorne, la produttrice Lynda Obst confessa di esser scoppiata in lacrime quando Nolan ha proiettato il film per la prima volta. “Chris è riuscito a tessere le teorie scientifiche nella narrazione, e tutto ciò appare evidente attraverso le emozioni dei personaggi”, dice meravigliandosi. “E si assiste a tutto ciò stando comodamente seduti sulla propria poltrona, pronti per questo giro mozzafiato nello lo spazio”.
“Tutto ciò che fa Chris – spronando anche tutte le persone coinvolte a fare altrettanto- è far vivere al pubblico un’esperienza completamente nuova in ogni film: niente di più vero con ‘Interstellar'”, aggiunge Emma Thomas. “La considera una storia molto personale, ma che in molti modi si aggancia a temi universali: dall’amore per la famiglia all’emozione dell’esplorazione, fino ad interrogarsi sul vero significato dell’essere umano”.
“Non c’è nessun altro che lavora allo stesso modo di Christopher”, dice Matthew McConaughey. “Ha un approccio originale in tutto, e segue sempre i suoi istinti. Credo anche che sia sempre proiettato a superare i risultati attesi. E guardando questo film, si noterà, perché penso che sia di gran lunga il film più ambizioso che abbia mai diretto”.
Per Nolan, la sua ambizione si è concentrata su un unico obiettivo. “Voglio che il pubblico si lasci trasportare dalla storia tramite lo schermo”, dice. “Il ‘Interstellar,’ ho avuto la fortuna di lavorare con un cast incredibile e dei partner di produzione cinematografica molto creativi. Eravamo tutti concordi nel far sì che ogni momento del film fosse reale, perché l’emozione di fare un film su grande scala riguardo un viaggio tra le stelle, deve farci rapire il pubblico”.
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info: 06/11/2014.
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