In guerra per amore (2016)
In guerra per amoreIl film è ambientato nel 1943 quando, mentre il mondo è nel pieno della seconda guerra mondiale, Arturo vive la sua travagliata storia d'amore con Flora. I due si amano, ma lei è la promessa sposa del figlio di un importante boss di New-York. Per poterla sposare, il nostro protagonista deve ottenere il sì del padre della sua amata che vive in un paesino siciliano. Arturo, che è un giovane squattrinato, ha un solo modo per raggiungere l'isola: arruolarsi nell'esercito americano che sta preparando lo sbarco in Sicilia, l'evento che cambierà per sempre la storia della Sicilia, dell'Italia e della Mafia.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 27 Ottobre 2016Uscita in Italia: 27/10/2016
Genere: Drammatico
Nazione: Italia - 2016
Durata: 99 minuti
Formato: Colore
Distribuzione: 01 Distribution
Box Office: Italia: 3.697.192 euro
Passaggi in TV:
• mercoledì 06 Dicembre ore 04:45 su Sky Cinema Comedy
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NEW YORK 1943
Mentre gli Stati Uniti sono nel pieno della Seconda Guerra, Arturo Giammarresi, un umile lavapiatti palermitano emigrato a New-York, deve risolvere una difficile situazione sentimentale. Arturo ha una relazione clandestina con Flora, la bellissima nipote di Alfredo, il proprietario del ristorante per cui lavora. A ostacolare il loro amore è Carmelo: non un rivale qualunque, ma il figlio del potente boss Don Tano Piazza, il temuto e rispettato braccio destro di Lucky Luciano. Al rampollo di casa Piazza, lo Zio Alfredo ha promesso in sposa la bella nipote. E, nonostante le ritrosie della ragazza, non può e non vuole rimangiarsi la parola data. È una situazione disperata. Arturo e Flora sembrano destinati a un destino infelice. Ma non tutto è perduto, perché c'è qualcuno che può ancora opporsi a questo matrimonio: il padre di Flora. Sembra tutto risolto se non fosse per un piccolo inconveniente…l'uomo non abita a New-York, ma in uno sperduto paesino siciliano! Arturo, che è un giovane squattrinato, ha un solo modo per raggiungere l'isola: arruolarsi nell'esercito americano che sta preparando lo sbarco in Sicilia, l'evento che cambierà per sempre la storia della Sicilia, dell'Italia e della Mafia. E così la notte del 10 luglio del 1943 tra i soldati statunitensi che arrivano sull'isola c'è anche Arturo. Mentre gli alleati sono lì per liberare l'isola dai nazifascisti, il suo unico obiettivo è trovare il padre della ragazza e ottenere il suo sì. In Sicilia Arturo incontrerà il tenente Philip Catelli che porta con sé informazioni top-secret. Fra i due nasce una sincera amicizia: Arturo aiuterà il tenente a fraternizzare con i siciliani e a capirne i lati più contorti della loro lingua e della mentalità. Il tenente Catelli, invece, farà scoprire ad Arturo una verità sullo sbarco che doveva rimanere segreta: l'aiuto chiesto dai servizi militari americani a Cosa Nostra. Attraverso la romantica storia d'amore tra Arturo e Flora, il film racconta uno degli eventi simbolo della seconda guerra mondiale e l'origine dell'ascesa della mafia nel dopoguerra.
INTERVISTA A PIF
Pif, In guerra per amore è legato a un doppio filo al suo primo film ma è anche figlio della commedia all'italiana più classica.
"Cercavo un racconto che, mantenendo lo spirito del mio primo film "La mafia uccide solo d'estate", mostrasse un piccolo uomo davanti a grandi eventi storici. Un film che, nella migliore tradizione della commedia italiana, facesse scorrere su un binario parallelo una storia privata e la Storia. La nostra ambizione era dar vita – pensando con rispetto, umiltà e senso delle proporzioni – a un capolavoro come "Tutti a casa " di Luigi Comencini, e abbiamo cercato di farlo con una commedia ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale. Romantica, divertente ma anche amara perché mostra come un evento storico, apparentemente distante, abbia creato le condizioni per l'ascesa della mafia segnando la storia del nostro Paese. Lo spunto iniziale nasce dalla tormentata storia d'amore del giovane siciliano Arturo (il mio personaggio) che, all'inizio degli anni '40, si trasferisce a New York e inizia a lavorare in un ristorante dove si innamora della bella nipote del proprietario, Flora (Miriam Leone). Vorrebbe sposarla ma lo zio della ragazza l'ha promessa al figlio del boss mafioso locale. Arturo allora, su indicazione di Flora, parte per un paesino della Sicilia per chiederla in sposa al padre. Squattrinato e disorientato, il giovane, pur di arrivare a destinazione, si arruola in maniera bizzarra nell'esercito americano che sta preparando lo sbarco in Sicilia, un evento che cambierà per sempre la storia dell'isola, dell'Italia e della mafia. Si troverà così ad essere testimone di un patto di collaborazione che l'esercito degli alleati angloamericani stipulò con Cosa Nostra e finirà con l'affiancare il tenente Philip Catelli (Andrea Di Stefano), aiutandolo a decifrare la mentalità locale, cercando di spiegargli come vanno le cose in Sicilia e come sono fatti i suoi conterranei. Sullo sfondo, altre storie, come quella di Teresa (Stella Egitto), una giovane donna determinata e fiera che aspetta il ritorno del marito prigioniero di guerra e vive con il figlio e il suocero e quelle di Saro e Mimmo (Sergio Vespertino e Maurizio Bologna), che aiuteranno Arturo ad incontrare il padre della donna che ama".
"Come è nato questo film?"
"Ho scritto ancora una volta il soggetto e la sceneggiatura con Michele Astori e Marco Martani con l'intento di ambientare una storia nel periodo della Resistenza e in particolare su un momento della Liberazione di cui non si è mai parlato abbastanza, lo sbarco delle forze alleate in Sicilia nel 1943 (un anno prima rispetto a quello in Normandia) che ha segnato indelebilmente il nostro Paese, caratterizzato da un patto di collaborazione e di alleanze strette con la mafia, destinate a durare nel tempo. Volevamo raccontare un fatto inedito, relativo a un periodo storico che si sarebbe rivelato decisivo per decenni. Un aspetto della liberazione poco indagato dal cinema: in "Patton generale d'acciaio", un film del 1970 scritto da Francis Ford Coppola e diretto da Franklin J. Schaffner, ad esempio, il racconto delle vicende belliche del celebre comandante americano che si spostava dal Nord Africa a Napoli evitando qualsiasi riferimento al periodo da lui trascorso con gli Alleati in Sicilia. Nello stesso anno era poi uscita nelle sale anche una commedia di Nanni Loy con Nino Manfredi e Peter Falk intitolata "Rosolino Paternò soldato" che, pur essendo ambientata al momento dello sbarco del 1943, non faceva alcun riferimento alla mafia. L'argomento era assolutamente inedito anche se, in fase di scrittura, abbiamo pensato che forse stavamo ragionando con un'ottica da osservatori dei nostri giorni, dotati di un senso antimafia che all'epoca non esisteva. Dubbi che sono svaniti quando, durante le nostre ricerche, abbiamo scoperto a Londra un documento originale recentemente desecretato che ci ha tolto ogni preoccupazione".
"Di quale scoperta si tratta?"
"Quella del cosiddetto Rapporto Scotten, dal nome dell'ufficiale al quale, nel 1943, fu chiesta una relazione scritta sul tema "Il problema della mafia in Sicilia". Questo rapporto ci ha confermato che la questione mafia per gli americani in guerra era all'ordine del giorno e che, già durante la guerra, il capitano Scotten valutava l'opportunità di combattere la mafia per tenerla sotto controllo, oppure quella di accordarsi e allearsi con Cosa Nostra, ipotesi che avrebbe creato danni incalcolabili di cui il futuro avrebbe presentato il conto, o infine quella di abbandonare l'isola alla mafia e
chiudersi in enclave. La lucidità di questa analisi, per cui gli americani e gli inglesi erano pronti a scendere a patti con Cosa Nostra, ci ha colpito molto. Qualcuno potrebbe far notare che gli Stati Uniti, allora come oggi, in guerra si alleano sempre con le forze in campo locali di ogni tipo, scegliendo un ipotetico male minore per combatterne uno maggiore, ma anche loro col tempo hanno capito che il presunto male minore finisce col ritorcersi contro. La base storica su cui abbiamo lavorato durante le nostre ricerche è stata la relazione di una commissione d'inchiesta americana che stabilì – nero su bianco – come si creò l'alleanza, con i soldati americani che ammettevano di essere andati in occasione dello sbarco a chiedere esplicitamente supporto a Cosa Nostra, tanto che in molti paesi piccoli e grandi dell'isola l'elezione di sindaci mafiosi fu prassi proprio per garantire il controllo del territorio".
Lei sapeva qualcosa su questo argomento prima di documentarsi per il film?
"Non conoscevo questa storia, ho iniziato a studiarla circa due anni fa, mentre preparavo una serata speciale Rai condotta da Fabio Fazio in occasione dei 70 anni della Festa della Liberazione. Mi avevano chiesto di fare un collegamento dalla spiaggia di Gela, dove avvenne lo sbarco delle Forze Alleate. In quei luoghi ho incontrato parecchi novantenni che ricordavano benissimo i soldati americani sull'isola, attesi da tempo, e usavano tutti l'espressione "non si vedeva più il mare". Una località così importante da un punto di vista storico in altri Paesi sarebbe stata subito celebrata ma da noi finora non è mai successo, sarebbe interessante e importante invece poter allestire in zona un museo simile a quello che testimonia lo sbarco costruito a Catania, nell'ex zona industriale delle Ciminiere".
"Che cosa avete scoperto sugli "accordi indicibili" dell'epoca destinati a durare nel tempo?"
"Secondo la "vulgata" più nota, nel 1943 gli americani chiesero il permesso alla mafia per sbarcare sull'isola ma questo non è vero perché la decisione fu presa ad altissimi livelli da Churchill e Roosevelt insieme a Stalin. Può anche darsi che qualche storico sposi la tesi del male minore, essendo stata la Sicilia la prima zona dell'Italia e dell'Europa ad essere liberata dagli alleati. Dai documenti dei servizi segreti americani risulta evidente che la
mafia non è stata considerata come un'organizzazione da tenere alla larga in quanto criminale ma come un interlocutore alla pari. Quello che l'opinione pubblica non sa, o sa molto poco, è che la mafia dal 1943 in poi entra in un equilibrio mondiale che le permette di prosperare perché si pone in chiave anticomunista (nel 1943/44 in Sicilia il PCI è più forte della neonata Democrazia Cristiana e sta per essere realizzata la riforma agraria). Cosa Nostra ha avuto il compito di mantenere un equilibrio e un ordine prestabilito, in fondo gli alleati liberarono il Nord grazie ai partigiani e il Sud grazie alla mafia. Noi mostriamo come il boss Lucky Luciano venne scarcerato negli Stati Uniti ed estradato in Italia "per servizi resi durante la seconda guerra mondiale": gli americani non conoscevano la Sicilia e iniziarono a conoscerla tramite la mafia e questi contatti rappresentarono l'inizio di un patto destinato a protrarsi nel tempo, con la Repubblica italiana che avallò questa scelta. "In guerra per amore" potrebbe essere considerato il prequel del mio precedente "La mafia uccide solo d'estate" perché, in pratica, spiega come siamo arrivati alla mattanza… Il nostro racconto si ferma però al 1943, tutto arriva dopo, quando simbolicamente la mafia prende il potere, noi diamo solo un campanello d'allarme attraverso un monologo finale di un mafioso che prevede e annuncia quello che succederà nel nostro Paese nei decenni successivi: da allora in poi si apre un mondo che noi non affrontiamo anche se la logica porta direttamente a certe conclusioni. Sono state provate nel tempo le sistematiche repressioni delle attività sindacali, i legami della mafia negli anni '60 e '70 con i tentativi di golpe neofascisti, con associazioni e crimini di estrema destra, la loggia massonica P2 eversiva e reazionaria e le esecuzioni plateali degli esponenti progressisti di qualsiasi schieramento per cui è lecito concludere che sino alla fine degli anni 70 non c'è mai stata in Italia una reale volontà politica di combattere Cosa Nostra. Non è un caso che l'equilibrio generale si incrini dopo il 1989 quando con il Muro di Berlino in pezzi cade ogni paravento; due mesi dopo la sentenza definitiva del maxiprocesso a Palermo viene ucciso il politico di riferimento della mafia, Salvo Lima, e cambia il vento."
La preoccupano le reazioni di politici e storici?
"Probabilmente non andrà tutto liscio come per il mio primo film ma storicamente quello che raccontiamo è inattaccabile: ho sottoposto la sceneggiatura a vari storici e tutti mi hanno dato il loro assenso. I libri pubblicati sull'argomento non sono moltissimi, ma tendenzialmente i fatti sono quelli e rivelano, ad esempio, che il governatore della Sicilia Charles Poletti, neoeletto dopo lo sbarco e responsabile degli affari civili e militari, una volta trasferitosi a Napoli aveva accanto a sé come braccio destro e interprete il boss Vito Genovese. Alcune fonti, poi, affermano anche che l'allora diciannovenne Vito Ciancimino, futuro sindaco di Palermo condannato per mafia, all'epoca aiutava Charles Poletti come traduttore a Palermo, ma sono in corso dispute tra studiosi, questa parte storica è stata tenuta volutamente tra parentesi".
"Come ha scelto i suoi attori?"
"Tutti attraverso vari incontri e provini filmati, tranne Miriam Leone perché ero sicuro, fin dall'inizio, che la Flora che cercavo fosse lei, la conoscevo un po' e non avevo dubbi. Una certa difficoltà si è manifestata per il ruolo di Philip Catelli, mi serviva un attore che parlasse bene l'italiano e l'inglese senza accento, non c'erano molti candidati ma poi mi hanno suggerito Andrea Di Stefano e sono stato fortunato, quando l'ho incontrato e filmato durante le prove ho capito che era perfetto per il ruolo. Stella Egitto l'avevo conosciuta in occasione del mio primo film quando cercavo l'attrice giusta per interpretare il ruolo della protagonista da grande (per cui poi ho scelto Cristiana Capotondi) e ne ero rimasto molto colpito, poi la bambina scelta era bionda e Stella era bruna e ancora troppo giovane e non se ne fece nulla. Ma stavolta era giusta e ho pensato subito a lei. Stella nella parte funziona benissimo, credo sia destinata a una grande carriera perché è un'attrice seria e appassionata che studia, si documenta e si impegna molto. Per il ruolo di don Calò, impegnato nel monologo finale, ho scelto poi Maurizio Marchetti perché era tendenzialmente giusto e intonato. Mi piacerebbe lavorare sempre con gli stessi attori, come se fossimo un gruppo di amici che ogni tanto si riuniscono e decidono di fare qualcosa di concreto insieme".
Un po' come sta accadendo anche con Wildside…
"Volevo che questo mio secondo film fosse più piccolo e agile rispetto al precedente, ma il produttore Mario Gianani mi ha detto "facciamone uno grande". Accettando mi sono ritrovato a vivere la mia prima vera e propria impresa da regista: ho imparato tanto nel lavoro di documentazione e ricerca e in fase di sceneggiatura e, inoltre, il set è stato sempre molto impegnativo con decine di comparse. È un film visivamente molto ricco, oltre gli standard dei recenti film italiani: c'è stata una sorta di vena di incoscienza che, se va tutto bene, ci premierà."
Dove avete girato?
"Abbiamo utilizzato il Cinecittà World, un parco di divertimenti alle porte di Roma, per filmare diverse scene ambientate nella finzione a New York mentre è stato difficile ricreare i luoghi e le atmosfere dell'epoca in Sicilia, perché non volevo località dove fossero stati girati altri film in passato: ho deciso di inventare una cittadina che non esiste e ho scelto Erice, un paesino sopra Trapani, a 700 metri sopra il mare. Gli altri set del film sono la Scala dei Turchi, nell'agrigentino, e Segesta, nella Sicilia nord occidentale di fronte al cui Tempio si racconta che il generale Patton abbia detto: "Ma come mai manca il tetto? Lo abbiamo bombardato noi?"
INTERVISTA A MIRIAM LEONE
Come è andato il suo incontro con Flora?
"Io e Pif avevamo voglia di lavorare insieme e ne avevamo parlato spesso. Un desiderio che un giorno si è materializzato attraverso un pacco giallo che mi ha spedito senza preavviso: conteneva la sceneggiatura, era il suo modo di presentarmi Flora…".
Che cosa l'ha colpita del copione e del suo personaggio?
"La possibilità di interpretare una donna siciliana e di tornare alle mie radici, e poi quella di indagare l'anima del migrante e di poter prendere parte a un progetto che, con intelligenza e ironia, denunciasse un fatto storico che ha favorito la mafia. Da siciliana tutto questo ha per me un valore molto forte e importante".
Ma c'è anche un aspetto romantico molto forte…
"Flora è stata mandata dal padre a lavorare nel ristorante dello "Zio d'America" e viene catapultata dal paesino siciliano alla ruggente New York per cercare pane, fortuna e marito…Ma tra lei e il promesso sposo arriva Arturo e i due si innamoreranno. È a lei che viene in mente il piano: ed è per lei che Arturo andrà in guerra per amore".
Conosceva il periodo storico raccontato nel film, ha fatto un lavoro di ricerca personale per documentarsi su storia, mentalità, costumi e abitudini dell'epoca?
"L'amore e la passione per la Storia, per le storie, mi accompagnano da sempre, anche in questo mestiere. In questo caso, però, sono andata a cercare nelle radici della mia famiglia, negli album delle foto delle mie nonne. Ho ascoltato le storie di mia nonna Angela, che ha 91 anni e mi ha raccontato la sua giovinezza in quegli anni. Poi ovviamente con Pif c'è stato uno scambio continuo che mi ha dato indicazioni precise sul personaggio e sul periodo storico".
"Che tipo di collaborazione e di amicizia è nata tra lei e Pif prima e durante le riprese?"
"Ho sempre ammirato il lavoro di Pif, la sua capacità di fare denuncia "planando sulle cose", per dirla alla Calvino. Abbiamo subito instaurato un ottimo rapporto, veniamo dalla stessa isola e siamo entrambi lontani da casa, felici di tornarci, quando possiamo. Radicati eppure in viaggio. È stata un'occasione di arricchimento lavorare con lui".
Ricorda qualche momento della lavorazione più significativo o impegnativo di altri?
"Abbiamo girato delle scene a Fiumicino, al porto, alla fine di un pontile, un giorno in cui si erano scatenati tutti i venti gelidi dell'inverno, battevamo i denti e non riuscivamo a dire le battute. Allora qualcuno ci ha offerto un goccio di grappa (ah, Pif è astemio!). Ci è venuta la più classica ridarella, tipo quelle dei tempi di scuola, e non riuscivamo comunque a dire le battute perché ridevamo con le lacrime senza ragione. Forse eravamo semplicemente felici di essere lì".
INTERVISTA AD ANDREA DI STEFANO
Quale interesse e quale curiosità le è nata leggendo il copione e entrando in contatto col personaggio che doveva interpretare, il tenente americano Philip Catelli?
"Philip è un uomo coraggioso, idealista, sincero. La sceneggiatura mi ha emozionato per le stesse qualità. Racconta una storia importante ma attraverso i meccanismi della migliore commedia italiana, come i grandi film del passato. Monicelli, Risi, Comencini e Scola sarebbero fieri di questo film".
La figura di Catelli è ispirata a quella del capitano Scotten, autore all'epoca dello sbarco in Sicilia di un rapporto che documentava l'esplicita collaborazione con la mafia: si è informato su di lui, ha trovato informazioni utili per la costruzione del personaggio?
"Sì, mi sono documentato, ho fatto le mie ricerche, ho visionato molti filmati sugli sbarchi delle Forze Alleate, in Sicilia ma non solo. Mi sono divertito molto ad esempio a guardare Peter Falk e Robert Mitchum nel kolossal bellico "La battaglia di Anzio".
Come entra in relazione Catelli con il protagonista Arturo e che tipo di dinamica si crea tra di loro?
"Philip e Arturo sono la classica "strana coppia": diversissimi tra loro costruiscono a poco a poco un'amicizia sincera e profonda".
"Che tipo di rapporto di collaborazione e di amicizia è nata invece tra lei e Pif prima e durante le riprese?"
"Pif è venuto a trovarmi a Los Angeles, dove ora vivo, e abbiamo provato insieme le nostre scene ma non riuscivamo mai a finire di leggerle perché scoppiavamo a ridere in continuazione. L'aiuto regista – il grande Alberto Mangiante che ha accompagnato Pif in California – ci guardava perplesso e serissimo. E' stato molto divertente, eravamo assolutamente convinti che alla prima del nostro film almeno due persone in sala avrebbero riso: io e lui."
"Ricorda qualche momento della lavorazione più significativo o impegnativo di altri?"
"In un film tutti i momenti sono significativi e impegnativi, raccontare storie è un duro lavoro. Ma su questo set ho incontrato persone generose e di grande talento, ho vissuto un'esperienza che porterò dentro di me a lungo".
INTERVISTA A STELLA EGITTO
"Come è stata scelta per "In guerra per amore?"
"Pif mi aveva fatto un provino per La mafia uccide solo d'estate e anche se non andò come avrei voluto lo ricordo come un incontro bellissimo. Ancora oggi ricordo le battute a memoria. Ricordo allo stesso modo l'emozione di questo secondo provino e il risvolto comico: all'uscita mi sono accorta che avevo lasciato i fari accesi e dunque la batteria si era scaricata. Per il provino avevo indossato una gonna a fiori anni 40 e così conciata sono andata in giro a cercare un meccanico…".
"Che cosa accade in scena a Teresa?"
"Teresa è mamma. Teresa è un recipiente di amore e di protezione. Teresa è una donna che aspetta, una donna che aspetta il ritorno del suo amato tenendo per mano il frutto del loro amore e cercando di proteggerne il cuore e lo sguardo. Teresa è tutte quelle donne che hanno la forza di andare avanti nonostante tutto".
"Conosceva il contesto della Seconda guerra mondiale raccontato nel film?
"Per prepararmi al progetto e al personaggio, oltre che una ricerca sull'epoca, ho rispolverato i ricordi dei racconti di famiglia. Mia nonna che aveva vissuto quegli anni se li ricordava benissimo. La città di Erice, io ho girato interamente lí, è stata complice a rendere questa magia. Un paesino arroccato, governato dalle nuvole e popolato da tante anime che quel 1943 lo avevano vissuto davvero, che ogni giorno, lavorando accanto a noi come comparse ci regalavano con generosità i racconti delle loro esperienze personali. Ed ecco che il lavoro diventava ancora più profondo, ancora più toccante, ancora più delicato e responsabile. Non dimenticherò mai le lacrime di commozione di una signora anziana un giorno, durante le riprese della scena di un bombardamento. È stata un'esperienza molto forte".
E con Pif, come è andata?
"Credo sia nato un rapporto speciale. Lui è stato un direttore d'orchestra eccezionale e sempre pronto a prendermi per mano e ad ascoltare con attenzione ogni mia proposta. Costruivamo insieme, con la collaborazione di tutti i grandissimi professionisti coinvolti nel progetto. È un regista che stimo e con un'autorialità particolarissima, unica probabilmente. Sul lavoro ha una sensibilità attenta, autorevole e mai autoritaria, così come nella vita è un grande interlocutore: una timidezza irriverente corredata da una dolcissima autoironia".
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