Grace Jones: Bloodlight and Bami (2017)

Grace Jones: Bloodlight and Bami
Locandina Grace Jones: Bloodlight and Bami
Grace Jones: Bloodlight and Bami è un film del 2017 prodotto in Irlanda e UK, di genere Documentario diretto da Sophie Fiennes. Il film dura circa 115 minuti. Il cast include Grace Jones.

Grace Jones: Bloodlight and Bami è un viaggio attraverso la carriera pubblica e la vita privata dell'icona della musica e della cultura pop Grace Jones. L'audace estetica di Jones emerge nell'intera pellicola grazie al lavoro della regista Sophie Fiennes, accostando a contrasto sequenze musicali, riprese più intime e materiale inedito per ritrarre la persona che si nasconde dietro la maschera indossata dall'artista sul palco. Il film include, tra gli altri, frammenti di performance uniche tratte dalle sue canzoni più famose come Slave To The Rhythm e Pull Up To The Bumper, ma anche brani autobiografici e più recenti come Williams' Blood, This Is e Hurricane. 

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita in Italia: 30/01/2018
Genere: Documentario
Nazione: Irlanda, UK - 2017
Durata: 115 minuti
Formato: Colore
Produzione: Blinder Films, Sligoville, Amoeba Film
Distribuzione: Officine Ubu

Cast e personaggi

Regia: Sophie Fiennes

Cast Artistico e Ruoli:

Immagini

[Schermo Intero]

NOTE DI PRODUZIONE

La produzione del film GRACE JONES: BLOODLIGHT AND BAMI si compone di due momenti differenti. Il primo momento consiste nella raccolta delle riprese messe insieme da Fiennes tra il 2005 e il 2009. Si tratta di scene filmate su mini cassette DV con telecamere VX1000, VX150, Panasonic DVX100A. Il secondo momento consiste nella creazione e nella registrazione delle performance uniche di Grace e la sua band, riprese nel settembre del 2016 all'Olympia Theatre di Dublino.
Fiennes era convinta che la chiave del film dovesse essere la performance di Grace, non sarebbe stato possibile completare il film senza di essa. Per farlo sarebbero state necessarie delle ingenti risorse di produzione, così Fiennes e Jones hanno deciso di collaborare con Katie Holly, di Blinder Films a Dublino, in veste di capo produttrice, e Shani Hinton (che aveva già lavorato con Fiennes in ambito legal nel 2001). James Wilson invece è il produttore esecutivo per quanto riguarda la parte inglese della produzione. Emilie Blezat, di Sciapode in Francia, si è occupata delle diverse fasi di sviluppo del progetto. Una volta raccolti i fondi per la realizzazione del film, grazie al contributo di THE BRITISH FILM INSITUTE, BBC FILMS, THE IRISH FILM BOARD e agli investitori privati ROADS ENTERTAINMENT e FRANCESCA VON HABSBURG, è stato possibile intraprendere il completamento del progetto.
Fiennes ha lavorato per molti mesi a un montaggio preliminare del girato, da gennaio a giugno del 2016, per delineare una struttura base che facesse da scheletro per la realizzazione del film. Partendo da lì, ha poi selezionato una lista brani che sarebbero stati inclusi; successivamente è stata determinate l'impronta visiva da dare al girato sul palcoscenico.
Blinder Films ha supervisionato il processo di produzione e postproduzione. Il Direttore della Fotografia l'olandese Remko Schnorr, già collaboratore in passato di Fiennes, è entrato nel progetto nella primavera del 2016. Schnorr e Fiennes hanno visitato insieme alcune possibili location a Dublino dove filmare, ma non è stata una scelta difficile dato che fin da subito hanno avuto la stessa impressione che l'Olympia Theatre sarebbe stato perfetto, è un luogo intimo ma allo stesso tempo è dotato di ampio proscenio e soffitto. Non a caso l'Olympia Theatre è stato a lungo il luogo prediletto da molti artisti e musicisti per le loro esibizioni, da Johnny Cash a David Bowie. La sua storia ha inizio con il cabaret e gli spettacoli di varietà, con le esibizioni di Laurel&Hardy e Charlie Chaplin. "Scegliere il luogo giusto è fondamentale per avere un buon pubblico" – afferma Holly – "Sophie e io conosciamo molto bene il pubblico irlandese e sappiamo che è il migliore al mondo, infatti il primo concerto è andato sold out in pochi minuti e l'atmosfera durante lo spettacolo era elettrica. Ho provato una sensazione fantastica nell'essere lì." "Volevamo realizzare qualcosa di diverso dalle solite riprese tipiche dei concerti" afferma Schnorr. "Per ottenere la massima profondità dei colori e la migliore resa dei tessuti, abbiamo deciso di usare una pellicola da 16mm. Così facendo abbiamo potuto allargare l'inquadratura e il campo visivo, riprendendo per intero il corpo di Grace e i suoi movimenti sul palco".  Fiennes si è ispirata alla sequenza del film Gilda in cui Rita Hayworth intona Amado Mio, ha cercato di ricreare gli stessi movimenti della telecamere che indugiano lenti ed eleganti sul suo corpo. "La semplicità e l'eleganza di quei movimenti ci sono state di grande ispirazione", rivela Schnorr.
Fiennes ha studiato a lungo le performance di Grace Jones, osservando con attenzione le riprese dei suoi concerti e filmini privati che ripercorrono in tutto 12 anni di vita dell'artista. Fiennes ha inoltre alla spalle molte conoscenze relative alla danza. Nei primi anni '90 Fiennes ha lavorato con la Michael Clark Company, realizzando film sia con Clark sia con il belga Alain Platel. Per la regista era fondamentale poter assicurare a Jones tutto lo spazio necessario per muoversi liberamente sul palco e dare visibilità ai movimenti del corpo.
Nel 2009, Jones aveva messo in piedi un progetto teatrale a cui avrebbe collaborato per la realizzazione di costumi il designer Eiko Ishioka. Il progetto però non fu portato a compimento a causa della scomparsa nel 2012 di Ishioka, ma riuscirono lo stesso a realizzare una serie di costumi stravaganti che Jones utilizzò in seguito nei suoi spettacoli a New York e a Londra. Ishioka lasciò anche alcuni suggerimenti per la realizzazione del progetti, che a sua volta Jones ha esposto a Fiennes. Questi sono stati gli elementi da cui è partita l'idea di realizzare il progetto BLOODLIGHT AND BAMI.
Fiennes e Schnorr hanno deciso di coinvolgere anche il tecnico delle luci Sinead McKenna, la cui spiccata sensibilità artistica per luci e colori ha dato forma all'aspetto visivo del progetto. McKenna suggerì l'inserimento di luci al LED all'inteno di pannelli sospesi e elaborò poi un piano di illuminazione innovativo. Nel giro di sei giorni, lavorando alacremente nel Black Box Draíocht Theatre, sono riusciti a ricreare la giusta atmosfera e illuminazione per ogni canzone.
"Durante il processo di programmazione delle luci abbiamo testato differenti pellicole Kodak", rivela Schnorr. "Inizialmente pensavamo di utilizzare la 200T (7213), ma durante le prove abbiamo notato che l'illuminazione del palco era cambiata. A causa dell'uso intensivo di luci al LED, l'equilibrio tra i colori era stato modificato passando da un colore simile al tungsteno a un'illuminazione in pieno giorno. Quindi abbiamo deciso di usare la 250D (7207). Mi piace molto questa luce per realizzare riprese di esterni e interni, ma non pensavo che utilizzarle qui avrebbe reso così bene sia per l'illuminazione del palco sia per il colore della pelle di Grace. E' stata una sorpresa per me, nonostante io abbia lavorato a lungo sulle pellicole". Le telecamere utilizzate comprendevano tre Arri 416s e due SR3. Le lenti di ingrandimento Angenieux erano adatte a tutte le telecamere; abbiamo usato tre 7-81mm, una 25-250mm HR e una 4-290mm Optimo. "Ogni sera abbiamo variato la posizione delle telecamere e gli elementi ottici. La prima sera abbiamo sistemato la telecamera su di un elevatore Movibird, posizionato sul palco. La seconda sera abbiamo spostato l'elevatore in platea, per avere una visione frontale", dice Schnorr. "E' difficile lasciare la telecamera in mano ad altri, girare è qualcosa di molto personale, ma siamo stati molto fortunati ad avere degli ottimi collaboratori. Eravamo tutti molto motivati ed eccitati, la stessa Grace era molto emozionata. La produttrice Katie Holly ricorda, "Girare questo film è stata un'esperienza unica, ed è stato fantastico vedere le varie fasi di realizzazione prendere forma e passare in mano a una nuova generazione, ovvero al nostro assistente operatore Danny. La nostra postazione di lavoro era situata all'interno di una piccola stanza all'ultimo piano dell'Olympia, e il nostro assistente operatore ha calcolato di aver salito in una sola sera più di 40.000 gradini correndo avanti e indietro per sistemare le telecamere".
"Eravamo così indaffarati che io non sono nemmeno riuscita a vedere lo spettacolo", ricorda Fiennes, "Remko e io eravamo seduti in una stanza piccolissima, intenti a osservare gli schermi collegati alle telecamere e a dare indicazioni agli operatori che si trovavano sul set". Fiennes ha lavorato al girato realizzato nelle due sere da fine ottobre 2016 a giugno 2017, quando il montaggio del film è stato completato. La produzione è stata realizzata in collaborazione con Cinelab a Londra e con Outer Limits a Dublino, quest'ultima si è occupata della parte digitale e della gradazione dei colori. La selezione di immagini è stata poi lavorata con lo scanner. Per quando riguarda la parte sonora, lo spettacolo è stato registrato dal tecnico del suono, due volte vincitore di Grammy Award, Cameron Craig, il quale ha lavorato anche con Ivor Guest alla realizzazione dell'album Hurricane. La direzione musicale di Ivor è stata molto importante per avere un'ottima resa musicale. Anche l'arrangiamento è un aspetto molto importante, e Ivor lo sa bene fin dai tempi in cui formò la Grace Jones Band.

La post-produzione del suono è stata realizzata ad Ardmore Sound, in Irlanda. "Adoro lavorare ad Ardmore Sound", confessa Fiennes, "la struttura di questa sala di doppiaggio, costruita negli anni '70 ci ha permesso di realizzare un incredibile varietà di suoni, ma anche di dare spazio alle atmosfere giamaicane e di esprimere alla massima potenza il piacere, la potenza e le pulsioni che risiedono e caratterizzano la musica di Grace Jones".

CONVERSAZIONE CON SOPHIE FIENNES E LEONIE GOMBRICH

Ci sono molti motivi per cui i fan aprezzeranno sicuramente la pellicola, ma questo film vuole andare oltre. La pellicola offre un ritratto ricco e sfaccettato tanto dell'artista quanto della persona in sé. Come è nata l'idea della pellicola?
Inizialmente ho incontrato Grace per parlarle di un mio film incentrato sulla Chiesa di Los Angeles di suo fratello maggiore Noel (Hoover Street Revival, 2001) e in quell'occasione mi aveva detto "Tu capisci da dove io provengo". Improvvisamente si è alzata in piedi, ha battuto le mani e ha detto "Amo il profumo del tuo film". Ci siamo sentite da subito molto vicine, ci accomuna l'avere una famiglia numerosa alle spalle, entrambe sappiamo cosa significa avere dei fratelli. In quel periodo Grace stava registrando l'album Hurricane, ma non volevamo che il film si concentrasse solo su quel lavoro, volevamo andare oltre. Così decisi di essere aperta a ogni possibilità, di raccogliere più immagini, testimonianze e materiale possibili. Quando ti trovi a realizzare un documentario, devi essere completamente aperto e disponibile alla vita, pronto a registrare tutto ciò che accade e si evolve intorno a te. Non c'è nulla che tu possa controllare se non il tuo istinto creativo. La mia valigia era sempre pronta, e non appena Grace chiamava, la seguivo ovunque, a Mosca, nello studio di registrazione, a New York… Era come se fossi un membro del suo entourage. Grace desiderava esplorare attivamente la sua relazione con la Giamaica e la sua famiglia e decise di portarmi con lei. Sono anche stata a Parigi mentre scattava assieme a Jean-Paul Goude. Per cinque anni ho raccolto materiale, un'enorme quantità di materiale. Successivamente è arrivato il momento di selezionare e pensare a cosa avrei potuto creare per raccontare tutto quello che avevo raccolto su Grace.

Le riprese di Grace e la sua famiglia in Giamaica sono il fulcro del film: c'è una storia nascosta che viene fuori pian piano durante il film.
Ci sono quattro piani della narrazione nel film e il viaggio in Giamaica è certamente uno di questi. Sono livelli interconnessi tra di loro e che portano lo spettattore all'interno della storia. La pellicola è strutturata come una cipolla: strato dopo strato si combina l'intero ortaggio, allo stesso modo i diversi piani danno un senso all'opera. La pellicola non vuole essere nostalgica, non è un bio-pic finalizzato a raccontare in modo frammentato l'intera vita dell'artista. Il passato di Grace si ripresenta continuamente nel suo presente, ma il materiale raccolto in Giamaica è fondamentale per riportarci alle sue origini, alle radici e alla terra che l'ha vista crescere e dove ha trascorso la sua infanzia. Una volta raccolto il materiale, mi sono resa conto di quanto fossi affascinata dal forte contrasto tra ciò che era estremamente naturale – in termini di luce, pelle, suoni e colori – e di ciò che invece era artificiale – ovvero tutto ciò che riguardava Grace nella sua vita reale, lavorativa e pubblica di tutti giorni, ossia la metropoli, il trucco in volto, le suites degli hotel, i palcoscenici.

Le performance dei suoi concerti prendono vita nel film grazie a immagini sensuali e riprese voluttuose. Vedendole si ha la graduale rivelazione che le sue canzoni siano lì a commentare la sua stessa vita – immagino sia stato proprio questo lo scopo di averle inserite nel film.
Grace pensa a se stessa come una narratrice, quindi mi sono avvicinata alle sue performance tenendo presente questo, immaginando che le canzoni servissero a dare forma alla narrazione. Ho lavorato a lungo sul montaggio del film, cercando di utilizzare le canzoni in modo che esprimessero al meglio il loro significato, dalla ipnotica furia di Nipple to The Bottle, all'inno a far festa che è Pull Up To The Bumper. Una volta Grace mi ha detto: "La musica dice molto di me, anche più di quanto posso dire io sulla musica". Spero di essere riuscita a trasmettere questo nel film. Lo stare sul palco ha dato a Grace lo spazio e la libertà di muoversi e conservare il suo linguaggio estetico: forte, grafico ed elegante. Grace non ha mai fatto prove sul set. E' come dice nel film: "L'artista deve correre il rischio lì fuori sul palco". Il suo istinto è fondamentale negli spettacoli dal vivo, ed è il suo modo per relazionarsi con gli spettatori. Le sue performance sono cambiate negli anni da quel One Man Show degli anni 1980, allora era molto più distaccata e distante.
Grace si sente molto potente quando è nuda; non è motivo di paura né di vulnerabilità per lei. Jasper Conran ha lavorato con i costumisti della Royal Opera House per realizzare un corsetto che la facesse sentire libera nei movimenti e a suo agio. C'è qualcosa di aggressivo e vigoroso nei suoi movimenti, come una ballerina, ma i suoi movimenti sono influenzati anche dalla carriera di modella. Grace ha un fuoco vitale unico e in questo senso è veramente erotica. Come non citare poi i copricapo di Philip Treacy. Abbiamo fatto indossare a Grace questo incredibile soggolo proveniente dai suoi archivi e poi lei ha intonato Williams' Blood; era lo stesso indossato quando ha cantato assieme a Pavarotti.
Ho lavorato a lungo con Ivor Guest, produttore dell'album Hurricane. Ivor appare anche nel film, inoltre ne è direttore musicale, si è occupato del montaggio delle registrazioni e della musica dal vivo. Ivor ha formato la Grace Jones Band, con cui Grace è in tour dal 2008. Ho lavorato anche con il direttore della fotografia Remko Schnoor e abbiamo girato con pellicole Super 16 mm. Avevo impressa in mente la semplicità e la bellezza delle straordinarie sequenze con Rita Hayworth nel film Gilda, dove la camera segue armoniosamente il movimento del corpo. La pellicola è un mezzo così sensuale. Spero la gente possa vedere il film nei cinema per vivere un'esperienza immersiva nei suoni e nelle immagini.

Sebbene la musica sia un elemento importantissimo, Jones non è solo una pop star. Non è questo l'unico elemento che la definisce come persona e artista.
Credo che sia un'artista a tutto tondo. Ha autoprodotto l'album Hurricane. Come afferma nel film: "Volevo essere libera di fare la musica che desidero". E' molto personale e intimo. Come ogni artista, sei qui fuori e lotti per la tua esistenza creativa. E' questo che vediamo fare anche a Grace.  E mentre lo fa vediamo il piacere che prova nel fare musica, specialmente in quei momenti creativi con Ivor Guest e Sly & Robbie.

Hai fatto molti film su artisti e personaggi dello spettacolo. E' questo che ti ha spinto a lavorare con Grace?
Intanto, lavorare con Grace è stato anche solo semplicemente divertente! E' spiritosa, ho cercato di ridurre al minimo la mia presenza nel film in modo che lo spettatore potesse sentirsi per due ore a tu per tu con lei. Le performance sono parte centrale della persona e dell'artista ovviamente, quindi era necessario che ci fossero nel film. Mi interessa molto anche l'essere come performance quotidiana. "Chi devo essere oggi? Chi mi sento di essere oggi?". Questo è parte della vita di ogni uomo, e certamente lo è per ogni donna.
In questo senso Grace è un soggetto incredibile. Potrebbe essere un errore pensare che lei indossa una maschera per nascondere una versione sempre uguale di se stessa. Nel film vediamo il processo di costruzione della versione di Grace artista che salirà sul palco: il trucco e la maschera la fanno diventare Grace, ma è un continuo processo sperimentale che la porta a capire chi è e chi vuole essere in quel momento assecondando quello che prova in quell'istante. Una cosa che affascina il pubblico è certamente il suo modo di passare da un accento all'altro: francese, inglese, giamaicano, americano o ancora giapponese, oppure mentre parla in inglese con accento giapponese. Mi sono resa conto, dopo il montaggio del film, che la questione dell'identità si ripresenta per tutto iI film, oltre al tema dell'androginia che la accompagna da sempre. "A volte devi essere una stronza che vola alto" dice, o "Mi sento tribale," oppure "Hey, sono umana!" o ancora "La pantera che è in me sta venendo fuori", "Mi sento come una bambina di sei anni!", "Sono una Gypsy, please!". Può essere una lasciva 'Williams', una 'Jones' o l'autoritario 'Mas P'.
E' affascinante il modo in cui Grace realizza che inconsciamente a volte si trova a interpretare il terribile patrigno giamaicano 'Mas P'; in questo senso la sua performance è simile a un processo di trasformazione. E' l'affermazione e la realizzazione del suo impulso creativo. Grace non è una vittima e non ha paura. Grace trasforma la paura, la butta fuori e scaglia questa enegia sul pubblico.

Questo ci porta a un altro piano del film: la sua vita da girovaga per il mondo. Il luogo in cui si trova determina anche la sua identità.  E' costantemente in movimento, non riesci a capire dove sia per lei casa. Se qualcuno mi chiedesse dove vive Grace, potrei solo rispondere "Sul palco".
Il palco è la sua ancora, il punto fermo. C'è così tanta dissociazione tra spazio e tempo che il palco diventa l'unico luogo fisico a cui può ritornare.

La sua vita in giro per il mondo, sorseggiando una coppa di champagne avvolta in un cappotto di pelliccia a Parigi, contrasta fortemente con la realtà giamaicana dove si reca in Chiesa assieme alla madre, o ancora con I viaggi in Spagna assieme ai Fratelli.  
Credo sia questo il bello del "cinema verità" o di un documentario. Sto cercando un termine per definire questo nuovo tipo di genere, perchè è così frustrante che oggi si voglia per forza incasellare un film in un genere preciso. Non si tratta di finzione, ma nemmeno di giornalismo. Il valore dell'opera sta nella ricchezza di momenti ed episodi che sei riuscito a catturare. I contrasti che abbiamo affrontato con Grace non sono altro che gli stessi pazzi contrasti del mondo in cui viviamo. Durante il montaggio ci siamo sbizzarriti con effetti, giochi, alternanza tra giorno e notte e spostamenti repentini da un luogo all'altro.

E' vero, dopo una notte di party selvaggio in un locale notturno di una delle tante metropoli, ci svegliamo la mattina e ci troviamo improvvisamente in Giamaica e ci incamminiamo verso la Chiesa, dove scopriamo che la madre di Grace si esibiva.
Sì, e vediamo Grace mentre applaude la performance della madre in Chiesa. Che tu sia religioso o no, senti che c'è qualcosa di potente mentre le guardi. Io credo che questo accada per via della mancanza di intimità vissuta da Grace nei confronti dei suoi genitori durante l'infanzia – questo è un elemento cardine in tutta la parte del film che parla della Giamaica. Vediamo la madre di Grace intonare esultante "God's eye is on the sparrow, and I know He watches over you and me!", ma per Grace queste parole facevano riferimento all'occhio della madre e a quelle attenzioni che per molti anni preziosi sono mancate nell'infanzia di Grace.
Uno sguardo, un'occhiata, o semplicemente essere vista: questa esigenza emerge potente attraverso il materiale raccolto. Per chi si occupa di cinema è qualcosa di fondamentale, il cinema è un mezzo capace di catturare visivamente il mondo, ma ti permette di farlo in modo personale. Con la mia telecamera, posso dare uno sguardo intimo, il quale a sua volta passa attraverso lo sguardo di ogni persona che vede il film.

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