Locandina Frantz

Frantz (2016)

Frantz
Locandina Frantz
Frantz è un film del 2016 prodotto in Francia, di genere Drammatico diretto da François Ozon. Il film dura circa 113 minuti. Il cast include Paula Beer, Pierre Niney, Ernst Stötzner, Marie Gruber, Johann von Bülow, Anton von Lucke. In Italia, esce al cinema giovedì 22 Settembre 2016 distribuito da Academy Two. Al Box Office italiano ha incassato circa 412779 euro.

Frantz racconta una romantica storia d'amore ambientata alla fine della prima guerra mondiale costruita intorno all'incontro tra una giovane ragazza tedesca che ha perso il fidanzato in guerra e un misterioso uomo francese… Al termine della Prima guerra mondiale, in una cittadina tedesca, Anna si reca tutti i giorni sulla tomba del fidanzato Frantz, morto al fronte in Francia. Un giorno incontra Adrien, un giovane francese anche lui andato a raccogliersi sulla tomba dell'amico tedesco. La presenza dello straniero nella cittadina tedesca susciterà reazioni sociali molto forti e sentimenti estremi.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 22 Settembre 2016
Uscita in Italia: 22/09/2016
Prima Uscita: 07/09/2016 (Francia)
Genere: Drammatico
Nazione: Francia - 2016
Durata: 113 minuti
Formato: Colore Bianco e Nero
Produzione: Mandarin Films, X-Filme Creative Pool (co-produzione), FOZ (co-produzione), Mars Films (co-produzione), France 2 Cinéma (co-produzione), Films Distribution (co-produzione)
Distribuzione: Academy Two
Box Office: Italia: 412.779 euro

Recensioni redazione

Frantz, la recensione
Frantz, la recensione
redazione, voto 9/10
Con grande delicatezza ed eleganza, Frantz racconta una storia di sofferenza, di amore e di perdono al termine della Grande Guerra.

Immagini

[Schermo Intero]

Commento del regista

In Frantz si ritrovano molte delle mie ossessioni. Ma il fatto di affrontarle in un'altra lingua, con attori differenti, in luoghi diversi dalla Francia, mi ha costretto a reinventarmi e spero che questo abbia dato nuova energia e una nuova dimensione a quei temi. In questo film ci sono state molte sfide entusiasmanti. Prima di realizzarlo non avevo mai girato film di guerra o scene di battaglia, né avevo mai filmato una piccola città tedesca, Parigi in bianco e nero, in tedesco… Per me è stato molto importante raccontare questa storia dal punto di vista tedesco, dalla parte dei perdenti, attraverso gli occhi di coloro che furono umiliati dal Trattato di Versailles, in modo da poter illustrare come la Germania di quel tempo fosse terreno fertile per la diffusione del nazionalismo. Volevo anche giocare con temi tipicamente melodrammatici come la colpa e il perdono, per poi virare verso la desincronizzazione dei sentimenti.

Intervista a François Ozon

Da cosa nasce l'idea di realizzare Frantz?
In un'epoca ossessionata dalla verità e dalla trasparenza, desideravo da tempo fare un film sulla menzogna. Come allievo e ammiratore di Eric Rohmer, ho sempre trovato le bugie molto eccitanti da raccontare e da filmare. Riflettevo proprio su questo quando un amico mi ha parlato di uno spettacolo teatrale di Maurice Rostand, scritto subito dopo la Prima guerra mondiale. Facendo delle ricerche, ho poi scoperto che lo spettacolo era già stato adattato per il cinema da Lubitsch nel 1931 con il titolo Broken Lullaby. La mia prima reazione è stata quella di lasciare perdere. Come potevo competere con Lubitsch?!

Cosa le ha fatto cambiare idea?
Vedere il film di Lubitsch mi ha rassicurato, perché è molto simile allo spettacolo teatrale e adotta lo stesso punto di vista, quello del giovane francese. Il mio desiderio invece era di adottare il punto di vista della ragazza che, così come lo spettatore, non sa perché quel giovane francese si reca sulla tomba del suo fidanzato. A teatro e nel film di Lubitsch conosciamo fin dall'inizio il suo segreto, dopo una lunga confessione col prete. Alla fine, più del senso di colpa, ciò che mi interessava era la menzogna Il film di Lubitsch è magnifico, da rivedere nel contesto pacifista e idealista del dopo guerra. Ho tenuto infatti alcune scene che ha creato adattando lo spettacolo teatrale. È il suo film meno conosciuto, il suo unico film drammatico, e anche il suo fallimento più grande. La sua messinscena è impeccabile come sempre e piena di inventiva ma allo stesso tempo, è il film di un cineasta americano, di origine tedesca, che non sa che una seconda guerra mondiale si sta profilando all'orizzonte e che vuole fare un film ottimista, di riconciliazione. La guerra 14-18 era stato un tale massacro che tante voci politiche e artistiche, sia in Francia sia in Germania, si erano alzate per difendere l'ideale pacifista: "mai più". Il mio punto di vista da francese che non ha conosciuto nessuna delle due guerre invece era per forza diverso. 

Ha quindi aggiunto una seconda parte alla storia originale?
Nello spettacolo teatrale e nel film di Lubitsch, la menzogna non viene svelata ai genitori, il francese è ben accetto nella famiglia tedesca, prende il posto del figlio, suona il violino per loro e tutto finisce bene. Nel mio film, Adrien prova ad integrarsi nella famiglia ma ad un certo punto la menzogna e il senso di colpa sono troppo pesanti e racconta tutto ad Anna. Contrariamente al film di Lubitsch, Anna lo può accettare solo dopo un lungo percorso iniziatico. La seconda parte si apre sulla partenza di Adrien e la depressione di Anna. Al contrario dei melodrammi classici, Adrien non si innamora di Anna o comunque non è pronto ad accettarlo. Anna e Adrien condividono la morte di Frantz, ma devono per questo condividere sentimenti amorosi? Pensa sia inevitabile all'inizio, poi di fronte alla verità, qualsiasi sentimento nei confronti di Adrien le sembra impossibile. Alla fine ci crede di nuovo, finché non si trova di fronte ad un'altra realtà, in Francia. Ciò che è bello in Anna è il suo accecamento, sa cosa ha fatto Adrien ma la sua reale sofferenza è di non accettare il suo desiderio per lui e quando finalmente lo va a raggiungere in Francia è perché vuole credere nel loro amore, malgrado tutto. Adrien invece non sa dove cercare il suo desiderio. Avevo voglia di giocare sulle tematiche classiche del melodramma, il senso di colpa e il perdono, per poi deviare su una de-sincronizzazione dei sentimenti.

A forza di inventarsi un'amicizia con lui, Adrien fa suo una specie di desiderio per Frantz…
Come Anna dice alla madre di Adrien: "non sono io a tormentare suo figlio, Signora, è Frantz". Frantz come soldato tedesco, ma anche come doppio di sé stesso, come amico o amante potenziale… 

"Non abbiate paura di renderci felici" dice la madre di Frantz a Adrien prima che inizi a suonare il violino..
I genitori hanno un desiderio tale di credere ad Adrien, a questa finzione di amicizia franco-tedesca, alla possibilità che possa prendere il posto del figlio scomparso, che accettano inconsciamente la bugia. Tutto si basa su un malinteso a cui si abbandona Adrien. Ed è un modo per lui di imparare a conoscere Frantz, di fare del bene a loro e a se stesso. Una menzogna riparatrice. Cosa frequente in tante storie di lutto: ci si sente sollevati e si ha bisogno di parlare della persona scomparsa idealizzandola. Per Adrien, dare loro questo piacere è un modo di calmare anche il suo senso di colpa. 

Adrien è un personaggio complesso… Adrien è un ragazzo tormentato e perso. Nei suoi desideri, nel suo senso di colpa, nella sua famiglia. All'inizio si sa molto poco su di lui, è abbastanza misterioso. Più il film va avanti, più è una delusione agli occhi di Anna. Il trauma della guerra l'ha lasciato in una forma di impotenza, manca di coraggio e si autocommisera in una nevrosi che non può superare. La sua ossessione o il suo amore per Frantz sono diventati deleteri e non ha la forza di tirarsene fuori. 

In un certo senso Anna comincia veramente a fare i conti con la morte di Frantz quando Adrien va via dalla Germania: depone un ritratto di lui sulla sua tomba e cade in depressione.
Fino a quel momento, Anna ha tenuto duro per i genitori di Frantz. Il padre ad un certo punto le dice "grazie di averci sostenuti, ora tocca a noi aiutarti." Ma con la bugia e la partenza di Adrien, è come se venisse a galla tutto il dolore, rivive l'abbandono in modo più crudele. Forse perché si è impersonato in modo più fisico con Adrien. 

Più che un lavoro sul lutto e sul perdono, il film è la scoperta e l'apprendimento dell'amore per Anna…
La sceneggiatura del film è costruita come un Bildungsroman, come un romanzo di formazione. Non ci conduce in un mondo di sogni o di evasione ma segue l'educazione sentimentale di Anna, le sue disillusioni riguardo alla realtà, alla bugia, al desiderio, alla maniera di un racconto iniziatico. Anna era destinata a Frantz, era un amore romantico, di giovinezza, forse di convenienza, sicuramente mai consumato. Ma quello slancio è stato spezzato. E un altro principe azzurro arriva per miracolo, più passionale. Non è ancora la persona giusta, ma grazie a lui inizierà a conoscere i grandi eventi dell'esistenza (la morte, l'amore, l'odio, l'alterità).

L'inizio del film si concentra su Anna, che vediamo camminare tra la tomba di Frantz e la sua casa.
Mi piace molto riprendere i tragitti percorsi, è un modo concreto di materializzare l'idea del movimento dei personaggi e di mettere il film e i protagonisti in un luogo geografico. Era importante mostrare quella cittadina tedesca, quei tragitti dalla casa al cimitero, e poi fino alla Gasthaus. Guardare quel tragitto è interrogarsi sul personaggio, capire il suo percorso. All'inizio Anna è un po' ferma, gira su se stessa in questa cittadina. Per poi affrontare il grande viaggio che la porterà in Francia e la farà andare oltre le apparenze.

Ritroviamo in FRANTZ molte tematiche a lei familiari il lutto di SOTTO LA SABBIA, il piacere ambiguo di raccontare storie in NELLA CASA, l'educazione sentimentale di una giovane donna come in GIOVANE E BELLA… ma contemporaneamente esplora molte cose nuove.
Inconsciamente, parecchie mie ossessioni sono presenti. Ma affrontarle in un'altra lingua con altri attori in luoghi altri, fuori dalla Francia, mi ha obbligato a rinnovarli e spero che prendano una nuova forza, una nuova dimensione. C'erano tante sfide eccitanti da raccogliere in questo film, non avevo mai girato un film in lingua tedesca, con scene di guerra, né ripreso una cittadina tedesca o Parigi in bianco e nero. Una delle cose più importanti per me era raccontare questa storia dal punto di vista tedesco, dalla parte dei perdenti, di chi è umiliato dal trattato di Versailles e raccontare che questa Germania è anche il "terriccio" di un nazionalismo che nasce.

Già con GOCCE D'ACQUA SU PIETRE ROVENTI, adattato da Fassbinder, si sentiva il suo interesse per la Germania. La Germania è il primo paese straniero che ho scoperto da bambino, ne sono rimasto affascinato e ho sempre avuto da allora un interesse per la lingua, la storia e la cultura tedesca. Da tanto tempo volevo raccontare il lato fraterno di questi due popoli europei, l'amicizia che può legarli, e quel film era l'occasione perfetta. Me la cavo abbastanza con il tedesco per fare conversazione e dirigere una troupe. Poi mi sono fidato degli attori, ho chiesto loro aiuto e consigli per i dialoghi. Sono stati molto collaborativi. 

Come ha pensato la ricostruzione storica?
Molto diversamente da ANGEL, dove cercavo di ricostituire il mondo della ragazza così come lo sognava, per FRANTZ non avevo questa volontà di stilizzazione, al contrario bisognava essere ancorati ad un realismo forte. Quel periodo storico è ideale perché abbiamo accesso a molti documenti fotografici e cinematografici. Ma mi sono accorto presto che non avevo il budget necessario per una ricostruzione precisa come avrei voluto farla. Durante le ricerche delle location con Michel Barthelemy lo scenografo, trovavamo ambientazioni interessanti ma che necessitavano di interventi troppo cari. Un giorno, ho avuto l'idea di mettere in bianco e nero le foto delle nostre ricerche. Miracolosamente tutto funzionava alla perfezione e grazie al bianco e nero guadagnavamo paradossalmente in realismo e veridicità, poiché tutti i nostri riferimenti di quell'epoca erano in bianco e nero. è stata una scelta artistica e economica difficile da far accettare alla produzione, ma alla fine credo che il film ci guadagni tanto. 

Da dove è venuta l'idea di mettere punti di colore in certi momenti?
Lavorare in bianco e nero per la prima volta è stata una sfida eccitante, ma allo stesso tempo un colpo al cuore, perché per mia inclinazione naturale, ho sempre scelto il colore e il technicolor. Mi sembrava quindi difficile rinunciarci per alcuni luoghi e alcune scene, specialmente per la sequenza della passeggiata nella natura, che faceva riferimento alla pittura romantica di Caspar David Friedrich. Ho quindi deciso di utilizzare il colore come un elemento di messinscena e di integrarlo alle scene di "flash back", di bugie o di felicità, come se la vita tornasse all'improvviso in questo periodo di lutto; come il sangue che scorre nelle vene, il colore sarebbe venuto ad irrigare i piani in bianco e nero del film.

Dove avete girato la parte tedesca?
Abbiamo girato in pieno centro della Germania, a circa 200 km da Berlino, a Quedlinburg e a Wernigerode per la cittadina- e a Gorlitz, al confine con la Polonia per il cimitero. Sono tutti posti dell'ex Repubblica Democratica Tedesca che sono rimasti così come erano, nè troppo distrutti e neanche ricostruiti, al contrario delle città dell'Ovest. 

Come ha trovato Paula Beer?
Ho fatto un casting in Germania, ho incontrato molte giovane attrici. Appena ho visto Paula, ho pensato che avesse un'aria sbarazzina e allo stesso tempo molto malinconica. Era molto giovane, 20 anni, ma c'era maturità nella sua recitazione. Poteva incarnare sia l'innocenza di una giovane ragazza che la forza di una donna. La sua gamma interpretativa è molto ampia, riesce subito a immedesimarsi, ed è incredibilmente fotogenica.

E la scelta di Pierre Niney?
Avevo notato la sua vivacità e il suo charme lunare in J'aime regarder les filles. Lo avevo anche apprezzato a teatro, alla Comédie Française, e nella parte di Yves Saint Laurent. Pierre è un grande attore, capace di giocare su vari registri, specialmente la commedia di cui possiede naturalmente il ritmo, ma è anche a suo agio in uno stile più drammatico e tormentato, che era fondamentale per recitare la parte di Adrien. Ha anche la qualità che pochi attori maschi hanno alla sua età, ossia quella di non aver paura di mettere in evidenza la sua parte femminile, la sua fragilità, i suoi difetti anche nella voce e nel modo di muoversi.

Come ha scelto i genitori tedeschi?
Avevo notato Ernst Stötzner che recita il padre, in un film di Hans Christian Schmid. Mi piace molto il suo viso e l'autorità naturale che emana nel suo modo di essere e nella sua voce. Con la sua barba bianca, rappresenta la legge, il rigore e la severità tedesca. Vedendolo in bianco e nero, avevo l'impressione a volte di avere di fronte un attore di Dreyer o Max von Sydow in un film di Bergman. Per la parte della madre, per compensare la rigidità del padre, ci voleva un'attrice agli antipodi, che potesse sprigionare un calore materno, più umano, più latina. Marie Gruber è stato una vera rivelazione durante il cast, mi è piaciuta prima di tutto la sua voce, e poi la sua umanità, il suo carattere e il suo sguardo che mi facevano pensare a Giulietta Masina.

E Johann von Bulow nella parte di Kreutz?
Ha la parte ingrata del "cattivo" del film. Rappresenta la piccola borghesia tedesca nazionalista che si sente umiliata e sogna di vendicarsi. Allo stesso tempo, è innamorato di Anna e soffre perché lo rifiuta. Johann era perfetto, perché ha una grande finezza di gioco e di ambiguità, senza mai cadere nella caricatura.

E per recitare la madre di Adrien?
Volevo una bellissima donna per rappresentare questa signora aristocratica, che tesse le trame come un ragno e madre castratrice. Ha tessuto la sua ragnatela, manipola la gente intorno a lei, non si fa ingannare e vuole a tutti i costi tenere suo figlio per sé e allontanarlo dalla "tedesca". Cyrielle Clair, con la sua naturale eleganza ed apparente freddezza, era perfetta per interpretare l'aspetto mostruoso di questa madre incestuosa.

Fanny, la fidanzata di Adrien è un personaggio moderno…
Fanny è un personaggio ambiguo, non si sa bene cosa pensare. Sotto un'apparenza di fragilità e di amabilità, sa cosa vuole: tenersi Adrien. Ha molto carattere, è vestita e pettinata in modo più moderno, molto alla maschietta. Di fronte a lei, Anna si sente una campagnola, ancora più straniera, rinforzata nel suo ruolo di "piccola tedesca". Il film si costruisce molto in modo speculare, gioca sui contrasti tra Anna e Fanny, la Francia e la Germania, la casa di Frantz e il castello di Adrien, i canti patriottici dei due paesi, ecc

E la musica di Philippe Rombi?
All'inizio del film, c'è austerità sia nella messinscena che nell'utilizzo della musica, poco presente e discreta, che gioca su tensioni drammatiche. Poco a poco, prende forza il lato romantico, con la storia d'amore che nasce, le speranze di Anna, e poi le sue disillusioni. La musica segue il suo corso con rare boccate di romanticismo nello spirito dei compositori dell'epoca come Malher e Debussy.

E il nome Frantz che dà il titolo al film? È venuto naturalmente, come una eco, che suona come "France". In tedesco, il nome si scrive senza "t", è un errore molto francese mettercela, e questo divertiva e affascinava i tedeschi, cosa che mi ha incoraggiato a non correggerla. Mi sono inventato che era il personaggio di Frantz ad avere aggiunto questa "t", perché era un grande francofilo.

Alla fine del film, Anna perpetua la menzogna per proteggere i genitori di Frantz ma non mente più a se stessa e accede ad un'altra forma di menzogna come può essere l'arte, contemplando il quadro "Il suicida" di Manet…
Era importante per me finire il film con questo dipinto. Anche l'arte è una menzogna, un mezzo per sopportare la sofferenza. Ma è una menzogna più nobile, virtuale, che ci può aiutare a vivere. Nello spettacolo teatrale di Rostand, si parla di un dipinto di Courbet, con un ragazzo che ha la testa buttata indietro. Ho cercato nei dipinti di Courbet, ma ho trovato solo opere troppo romantiche, non abbastanza violente. Facendo altre ricerche su rappresentazioni di morti, mi sono imbattuto in questo dipinto sconosciuto di Manet, "Il suicida", incredibilmente moderno. Dopo averlo fatto vedere in bianco e nero, lo volevo mostrare con tutti i suoi colori, in particolar modo il rosso del sangue che macchia la camicia bianca del suicida. Tutto ad un tratto, prende forza e potenza e permette di mettere a fuoco tutto il dramma, di ripensare a Frantz e ad Adrien. Di ricordare tutto quel periodo del dopoguerra con due milioni di morti in Francia e tre milioni in Germania, i cui sopravvissuti sono tornati mutilati, traumatizzati, potenziali suicidi. Per me, quel peso della Storia era molto importante, bisognava che Anna si trovasse di fronte a quel dipinto che la evocava anche se, in realtà, riporta la data del 1881 e evoca un atto passionale. Finalmente le cose sono chiare, proiettate davanti a lei.

"Mi dà voglia di vivere" dice Anna guardando il quadro…
Mi piace questo paradosso: di fronte al quadro di un suicida, ha finalmente attraversato lo specchio, malgrado la guerra, i drammi, i morti, le bugie, è cresciuta, ha superato delle prove, ha percorso un lungo viaggio e ha acquisito una grande forza. Attraverso Frantz e Adrien, ha superato il lutto di un amore perduto e la fine di un amore fantasticato. Forse ora sarà capace di amare e di incontrare la persona giusta? 

Colloquio con Pierre Niney

Quale è stata la sua reazione leggendo la sceneggiatura di Frantz?
Sono stato rapito dalla storia, da quelle finzioni che mi hanno fuorviato. La sceneggiatura mente cosi come i personaggi del film non smettono di mentire. Ero tanto sorpreso perché non mi aspettavo una trama del genere da parte di François Ozon. Mi affascina il tema della bugia salvatrice o distruttrice. Ho subito amato il personaggio di Adrien, questa storia d'amore impossibile e il contesto "classico" del film, in cui il nazionalismo latente del dopoguerra fa eco a qualcosa di molto attuale e moderno.

Com'è andato l'incontro con François Ozon? Molto semplicemente.
Abbiamo fatto una prima lettura della sceneggiatura. Abbiamo subito iniziato a lavorare insieme. François ha un universo molto personale e allo stesso tempo una grande consapevolezza di quello che funziona oppure no. Mi è molto piaciuto questo primo incontro-lettura perché ho avvertito che pur essendo molto costruita, la sceneggiatura rimaneva una materia viva, modificabile, trasformabile, anche dalle nostre impressioni e dai nostri desideri.

E l'incontro con Paula Beer?
Abbiamo fatto una giornata di prova con varie attrici per la scena del lago in Germania e del bacio bloccato dall'arrivo della famiglia di Adrien alla fine del film. Paula è stata sorprendente. Aveva la grazia e la sincerità del suo personaggio. È un'attrice immensa. La sua prestazione nel film è notevole e rimane a lungo impressa. Ha una classe e una semplicità molto forti, è molto diretta nell'interpretazione. Lavorare con lei è stato molto naturale e intenso.

Come ha approcciato il suo personaggio?
Per me il personaggio di Adrien è un essere molto sensibile distrutto dalla guerra. Era importante che il mistero di questo personaggio si traducesse nel suo aspetto tormentato e nella sua fragilità, ha richiesto un lavoro molto attento per evitare di far capire troppo nella prima parte del film, tenendo sempre a mente l'immenso trauma che ha vissuto. Ho guardato a lungo i dipinti di Egon Schiele prima e durante le riprese. Trovavo nei suoi ritratti di giovani uomini una ferita che mi parlava di Adrien. Recitare questa parte era una sfida perché ho dovuto imparare il violino, il tedesco… e il valzer! Cimentarsi con il violino è molto difficile, perché erano 3 pezzi molto complicati. E François voleva riprendere entrambe le mani, gli arpeggi e l'archetto nello stesso tempo. Ho lavorato tanto con un coach per arrivare al risultato finale.

E recitare in tedesco?
Anche questo ha rappresentato una sfida. Paula Beer mi ha aiutato molto. Lavoravo a un altro film prima di iniziare Frantz e sul set ascoltavo sul mio iPod le registrazioni che lei mi mandava tutti i giorni dei miei dialoghi. Era la cosa migliore perché ha una voce molto dolce ed è un'attrice eccellente. Mi ispirava molto, soprattutto per iniziare una lingua che non ha una buona fama in termini di sonorità e fluidità. Conti fatti, ho adorato recitare in tedesco. La scena in cui Adrien racconta la sua visita inventata al Louvre con Frantz è una delle scene che ho preferito girare. Instaura un legame molto forte tra il francese e il tedesco, che rappresenta anche uno dei soggetti del film.

"Non abbiate paura di renderci felici" dice la madre di Frantz a Adrien prima che inizi a suonare il violino. Come interpreta questa frase?
È una delle ragioni che spinge Adrien a costruire la sua bugia. La famiglia Hoffmeister e Anna hanno un evidente bisogno di amore e di vita in questo momento doloroso di lutto. È proprio ciò che spinge Adrien ad inventare quest'amicizia con la sua vittima. Sente il bisogno di dare loro questo, di renderli di nuovo felici, di mentire per farli rivivere, anche solo un istante. Mi interessa molto questa visione salvifica della menzogna.

Per Adrien, Frantz rappresenta il senso di colpa ma è forse anche colui che gli rivela una sorta di desiderio omosessuale. Come ha approcciato quest'ambiguità del suo personaggio?
Adoravo quest'ambiguità e volevo seminare, nel percorso del mio personaggio, particolari che facessero interrogare lo spettatore, lo aprissero verso questo possibile desiderio di Adrien verso Frantz. È un amore fraterno? O un amore specchio perché riconosce la propria disperazione negli occhi di Frantz? O un amore passionale? Una delle forze più grandi del film è quella di nascondere sotto la sua bellezza classica molte domande su Adrien. Allo stesso modo, quando alla fine conosciamo la madre e la sua fidanzata, ci chiediamo quali sono le loro vere intenzioni e quale potere esercita realmente la madre sul figlio?

Per la sua parte, si è documentato sulla gioventù sacrificata nei campi di battaglia della Prima guerra mondiale?
Per capire appieno lo shock vissuto da Adrien, mi sono immerso in ciò che sapevo fosse una guerra abominevole. Gli archivi testimoniano con tanta forza dei danni umani e psicologici che i soldati hanno vissuto. Tedeschi o francesi. Come Adrien, tantissimi soldati si sono ritrovati, molto giovani, buttati in questa guerra di una violenza inaudita. Il film racconta anche questo: come una nazione possa aver mandato i propri figli pacifisti a morire.

Per la sua parte, si è documentato sulla gioventù sacrificata nei campi di battaglia della Prima guerra mondiale?
Per capire appieno lo shock vissuto da Adrien, mi sono immerso in ciò che sapevo fosse una guerra abominevole. Gli archivi testimoniano con tanta forza dei danni umani e psicologici che i soldati hanno vissuto. Tedeschi o francesi. Come Adrien, tantissimi soldati si sono ritrovati, molto giovani, buttati in questa guerra di una violenza inaudita. Il film racconta anche questo: come una nazione possa aver mandato i propri figli pacifisti a morire. Adrien ha un lato nascosto. Non è stato ucciso in guerra ma qualcosa è morto in lui. In particolar modo, forse la sua capacità di amare? Per me ha sempre questa capacità. È ciò che dice lui stesso nella scena al cimitero: conoscendo la sua fidanzata, la sua famiglia e la loro vita ha imparato ad amare sempre di più Frantz. E anche Anna, indirettamente e in modo maldestro, come testimonia il loro primo ed ultimo bacio sul binario della stazione alla fine. È attratto da lei, percepisce una possibile storia che potrebbero vivere assieme. Ma è distrutto, conosce la sua colpa e non potrà mai dimenticarla. Sente l'amore, ma non si concederà di viverlo. Il ritorno dalla madre e il matrimonio con l'amica d'infanzia possono essere percepiti come un'espiazione, una punizione che infligge a se stesso. Mi piace che il film sia ricco di tutti questi dubbi e interpretazioni sulle reali motivazioni di ogni personaggio, anche quelli secondari.

Colloquio con Paula Beer

Com'è andato l'incontro con François Ozon?
Ero in vacanza quando mi ha contattata la produzione. Tre giorni dopo, mi hanno mandato da leggere due scene e il giorno dopo facevo il provino. Non conoscevo la sceneggiatura ed era la mia prima audizione in francese. La situazione era quindi molto strana per me. Ma appena mi sono trovata di fronte a François, tutto è andato molto bene. Ci siamo subito intesi, abbiamo lavorato sulle due scene insieme e mi ha parlato della storia, di Anna, del film che voleva fare. Due settimane dopo ero a Parigi per un'audizione con Pierre Niney. E qualche giorno dopo, François mi ha chiamata per dirmi che aveva scelto me per la parte di Anna.

Qual è stata la sua reazione leggendo la sceneggiatura?
È eccitante leggere una sceneggiatura sapendo che si interpreterà un determinato personaggio. La storia mi ha commosso, tutte le domande che pone la sceneggiatura e i temi importanti che affronta: l'onestà, l'amore, la perdita, la menzogna, la capacità di lasciarsi andare, la volontà, la voglia di vivere e tutto ciò, in una grande calma, con forte vulnerabilità e malgrado quello con una certa leggerezza che impregna la relazione tra Anna e Adrien e che la rende così complessa. L'evoluzione di Anna è sconvolgente. All'inizio è un essere tranquillo che in seguito alla morte del fidanzato si lascia andare ma non del tutto. Solo grazie all'incontro con Adrien riscopre la gioia di vivere e ricorda la sua vita prima della morte di Frantz. A quel punto, fiorisce letteralmente. Ma la sua sofferenza diventa più forte quando scopre la verità, e nella seconda parte della storia, rivela una forza davvero notevole. Ero molto felice di poter recitare questo ruolo meraviglioso.

Come ha approcciato questo personaggio, le sue prime esperienze d'amore e il passaggio dall'essere una ragazza a diventare una donna?
Dato che Anna evolve tantissimo durante la storia era importante per me capire bene le diverse tappe che attraversa. Come la guerra ha trasformato la sua vita? Come era prima? Che influenza ha avuto Adrien su di lei? Quali desideri risveglia? Le relazioni con chi le sta intorno erano decisive per me, così come il dolore che la accompagnava dalla morte di Frantz e il desiderio di vivere e di amare di nuovo.

Una dei passaggi fondamentali avviene quando scopre la bugia di Adrien…
Si, è uno shock inconcepibile per lei. Decide di risparmiare il dolore ai suoceri. Porta da sola il fardello della bugia e la grande responsabilità che ne consegue. Perché decide di coprire Adrien? È un momento cruciale in cui si pongono tante domande.

Come sono andate le riprese in Francia?
È formidabile girare in Francia. C'è una differenza sottile, difficile da spiegare rispetto alla Germania. Era una grande gioia. La troupe era fantastica! Fin dalla preparazione ho sentito che sarebbe stata una grande sfida per me recitare in francese. Non ho vissuto tante cose in questa lingua, e così il mio corpo non reagisce allo stesso modo alle parole francesi come a quelle tedesche. Ho lavorato a lungo per creare questa connessione emozionale, per essere libera nel gioco, pur recitando frasi scritte.

In che modo François Ozon dirige gli attori?
Ho scoperto un metodo di lavoro nuovissimo. Fin dall'inizio, François mi ha molto coinvolta nella preparazione. Ha chiesto il mio parere, quali fossero i miei sentimenti rispetto al personaggio e alla storia. Ha dimostrato molta fiducia in me e mi ha dato una grande libertà interpretativa. Non ne sono stata subito consapevole, ero un po' turbata dal suo modo di "lasciarmi fare come mi pareva". Ma molto presto, abbiamo trovato un modo di comunicare e in seguito il lavoro è diventato molto facile e soprattutto piacevole.

Le ha dato riferimenti ad altri film?
Ci ha chiesto di vedere Il nastro bianco di Haneke per farci immergere nel contesto molto duro e severo dell'epoca, e Splendore nell'erba di Kazan. Perché è una storia molto romantica. Questi due ragazzi che si amano sono magnifici, François voleva sicuramente ritrovare un po' di quella giovinezza, di quell'amore passionale, di quell'atmosfera di desiderio, di quella tensione intralciata dal mondo esterno.

Si è trovata bene con gli altri attori?
È stato meraviglioso recitare con Ernst Stötzner e Marie Gruber, due attori molto intensi e allo stesso tempo così gentili. Ho avuto l'impressione che mi proteggessero. Come dei genitori! È stato appassionante anche lavorare con Pierre Niney, vedere quanto riesce ad esprimere solo con un piccolo cambio nello sguardo. Quell'arte di lavorare così sottilmente è magnifica. Io e Pierre abbiamo lavorato in sintonia con tutti, eravamo una squadra, ognuno di noi ha dato tutto se stesso per dare vita al proprio personaggio. Credo che anche per questo Frantz sia un film molto onesto, come il personaggio di Anna.

È l'unica in effetti che, a un certo punto, rifiuta la bugia e affronta la verità e i propri desideri.. Quando Adrien la bacia sul binario della stazione, crede che anche lui sarebbe capace di accettare una storia tra di loro?
Mi sono chiesta soprattutto se Anna lo volesse. Non ne sono sicura, credo che sia cresciuta troppo per Adrien. È lui ad aver suscitato il suo desiderio, ad averla colpita, si è innamorata di lui, ha fatto un "grande'' viaggio per ritrovarlo. Ma così "grande'' che è andata oltre. Quando arriva nella famiglia di Adrien, certo è felice di rivederlo, ma qualcosa non funziona più tra di loro, Adrien è bloccato nella sua situazione, non ha forza a sufficienza. Anna invece, ha un cammino da percorrere.

Cosa le evoca "Il suicida" di Manet?
In questa storia, Adrien ha ucciso una parte di se stesso e il quadro evoca questa forma di suicidio. Adoro i dipinti di Manet, e in generale i pittori di quel periodo. Quel quadro ha un soggetto drammatico ma lotratta con la leggerezza dello stile degli impressionisti. Adoro questa miscela.

"Mi fa venir voglia di vivere", dice Anna guardando il quadro.
Questa frase offre tante possibilità interpretative. Credo che Anna pensi che se qualcuno o qualcosa non c'è più non è così importante. Tutto può rinascere dalle proprie ceneri come una fenice, come lei che era "morta'' e che grazie ad Adrien ha avuto la forza di tornare a vivere, di fare quel viaggio in Francia. Alla fine del film, Anna ha imparato tanto, è davvero cambiata.

Colloquio con Ernst Stötzner

Conosceva il cinema di François Ozon?
Sì, avevo visto CINQUE PER DUE, GOCCE D'ACQUA SU PIETRE ROVENTI, e REGARDE LA MER, che mi piacciono molto. Sono stato molto colpito che mi proponesse la parte. Nel leggere la sceneggiatura, avevo l'impressione di scorrere un romanzo di Julien Green come "Adrienne Mesurat", con quel personaggio di donna che prova un amore forte che non può esternare. Anche in Frantz, i personaggi hanno tutti sentimenti molto profondi, nascosti, che non riescono ad esprimere perché sono bloccati.

In particolar modo il suo personaggio, per lo meno all'inizio del film…
Si, è impossibile per questo padre parlare del dolore di aver perso il figlio. È come se la sua vita fosse finita. Deve malgrado tutto continuare a vivere, ma in che modo? Non ci si riprende mai dalla morte di un figlio. E all'improvviso con l'arrivo di Adrien, grazie alle bugie di quello sconosciuto e alla possibilità di un nuovo amore per Anna, quel padre ritrova la speranza. L'arrivo di Adrien in famiglia apre nuove possibilità. È proprio grazie a lui che le parole possono venir fuori e che la famiglia ricomincia a vivere.

Qual è stata la sua reazione rispetto al fatto che Ozon tratta la storia dal punto di vista tedesco?
Ero toccato, certo! Quell'epoca è molto interessante, soprattutto quando viene guardata da qualcuno che non l'ha vissuta, e nel modo in cui l'ha fatto Ozon. Frantz è un film sul senso di colpa di una generazione. È altrettanto essenziale guardare a questa generazione che a quella che è venuta dopo, quella dei miei genitori, quella della Germania nazista.

Come ha affrontato il suo ruolo?
Questa storia, mi sembra di portarmela dentro da sempre… Quando ero ragazzo ho letto tanti libri sulle due grandi guerre per cercare di capire come la generazione dei miei genitori fosse potuta arrivare fino a lì. Ma anche per aiutarmi a capire chi sono e per cercare di scoprire come avrei reagito io nella stessa situazione. Affrontare questo ruolo è stato per me molto naturale, mi somiglia, come se conoscessi già la parte prima di recitarla, come una melodia che si conosce da sempre e ritorna all'improvviso.

E girare con François Ozon?
È la prima volta che lavoro con un regista francese, è stato molto particolare tanto più che giravamo in pellicola. Era da molto tempo che non mi trovavo davanti a una cinepresa da 35 mm, ed era proprio François ad essere dietro la cinepresa!

Cosa cambia?
È più diretto. Di solito, c'è una terza persona che fa l'operatore e verso cui l'attore si gira per cercare di capire se sta andando bene, spesso l'operatore ha più influenza del regista. Con François, le due figure sono riunite in una sola, è veramente "l'occhio".

Come dirige gli attori?
Parla molto poco, utilizza poche parole: "yes, no…" Con lui si affinano i dettagli, nella pronuncia di una parola, nel semplice fatto di modificarne leggermente l'intonazione. Può sembrare senza importanza, ma improvvisamente queste sfumature aprono a nuove possibilità di interpretazione. L'attenzione di François ai dettagli della recitazione ti fanno comprendere che lui ha perfettamente percepito ciò che tu cercavi di esprimere. Per un attore è molto gratificante scoprire di riuscire a comunicare con chiarezza le emozioni, sapere che ciò che senti dentro produce un effetto visibile.

All'inizio, lei rappresenta il padre, la legge, il rigore… poco a poco il suo personaggio si umanizza.
Dite? Meglio! Il mio personaggio è molto introverso, è il suo carattere. I brevi momenti in cui fa trapelare le emozioni sono merito di François e del suo lavoro sui dettagli. Ero così felice di fare questo film, ero eccitato come un ragazzino, a volte pensavo che non mi stavo comportando in modo professionale!

Come è stato recitare con Paula Beer, Marie Gruber e Pierre Niney?
Eravamo tutti vicini fin dall'inizio. Soprattutto io, Paula e Marie. Dal momento in cui le ho incontrate, Marie è diventata mia moglie e Paula la fidanzata di mio figlio morto. La sensazione che fossimo realmente una famiglia era molto forte. Con Pierre era diverso, Pierre, cioè, Adrien, era per il mio personaggio, lo straniero, colui che non fa parte della comunitàs. Non ho provato con lui lo stesso legame che con la mia "famiglia"! Adrien e il padre di Frantz sono come due calamite, provano un misto di attrazione e diffidenza l'uno per l'altro. Per un attore, è complicato separare la vita dalla finzione, a un certo punto tutto si mischia.

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