Dopo un difficile viaggio attraverso l’Europa, Aleksei (Franz Rogowski) raggiunge Parigi per arruolarsi nella Legione straniera francese, un corpo militare altamente selettivo che consente a qualsiasi straniero, anche privo di documenti, di ottenere un passaporto francese.
Nel delta del Niger, Jomo (Morr Ndiaye) combatte contro le compagnie petrolifere che minacciano la sopravvivenza del suo villaggio. Sua sorella Udoka (Laëtitia Ky), invece, sogna di scappare, sapendo che lì tutto è perduto.
Al di là dei confini, oltre la vita e la morte, i loro destini si intrecceranno.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 9 Marzo 2023Uscita in Italia: 9 Marzo 2023 al Cinema; 13 Luglio 2023 in DVD
Genere: Drammatico
Nazione: Francia, Italia, Belgio, Polonia - 2023
Durata: 91 minuti
Formato: Colore; formato 1.85, DCP, ProRes, h264; suono 5.1/stereo
Lingua: francese, russo, polacco, igbo, inglese nigeriano
Produzione: Dugong Films (co-produzione)
Distribuzione: Lucky Red
In HomeVideo: in DVD da giovedì 13 Luglio 2023 [scopri DVD e Blu-ray]
Cast e personaggi
Regia: Giacomo AbbruzzeseSceneggiatura: Giacomo Abbruzzese
Fotografia: Hélène Louvart
Scenografia: Esther Mysius
Montaggio: Fabrizio Federico, Ariane Boukerche, Giacomo Abbruzzese
Costumi: Pauline Jacquard, Marina Monge
Cast Artistico e Ruoli:
Franz Rogowski
Aleksei
Morr Ndiaye
Jomo
Laëtitia Ky
Udoka
Leon Lucev
Paul
Matteo Olivetti
Francesco
Robert Wieckiewicz
Gavril
Michał Balicki
Mikhail
Produttori:
Lionel Massol (Produttore), Pauline Seigland (Produttore), Giulia Achilli (Coproduttore), Marco Alessi (Coproduttore), André Logie (Coproduttore), Gaëtan David (Coproduttore), Maria Blicharska (Coproduttore), Arno Moria (Coproduttore), Juliette Sol (Produttore associato)
Sound Design: Marta Billingsley, Piergiorgio De Luca, Simon Apostolou | Musica: Vitalic | Distribuzione internazionale: Charades | Trucco: Géraldine Belbeoch.
NEWS E ARTICOLI
Immagini
Curiosità
Film realizzato con il supporto di: Canal+, Ciné+, Centre national du cinéma et de l’image animée, MIC Direzione generale Cinema e audiovisivo, Eurimages, La Région Île-de-France, La Région Réunion, Podkarpacki Regionalny Fundusz Filmowy, Centre du Cinéma et de l’Audiovisuel de la Fédération Wallonie-Bruxelles, Charades, KMBO, La Sacem, Arte Cofinova 17, Cinéaxe 2, Cinémage 15, Movie Tax Invest, ARTE Kino
Intervista a Giacomo Abbruzzese
La gestazione di Disco Boy, il suo primo lungometraggio, è stata molto lunga. Qual era l’obiettivo iniziale del progetto? Il film è cambiato molto dalla fase di scrittura?
Era da tempo che volevo realizzare un film di guerra atipico, un film in cui l’Altro esistesse veramente, in modo completo, e non fosse semplicemente un nemico o una vittima. Essendo un progetto molto ambizioso e dispendioso per un primo lungometraggio, ci sono voluti dieci anni tra ricerche, scrittura, finanziamenti, realizzazione. Il film però è rimasto molto vicino a come l’avevo immaginato all’inizio: la storia di un bielorusso che attraversa l’Europa, arriva a Parigi e si arruola nella Legione Straniera, e poi la storia del suo antagonista, che si batte per difendere il suo villaggio in Nigeria dallo sfruttamento petrolifero. Nel profondo è la storia di una metamorfosi, di una comunione con l’altro, che apre alla fine verso un’utopia.
L’idea originale viene da una conversazione che ebbi con un ballerino in una discoteca: mi disse che prima era stato un soldato. La cosa mi colpì molto anche per via dei punti di contatto inattesi tra queste due realtà: la grande disciplina, una sorta di piacere per lo sforzo estremo, il bisogno di arrivare a fine giornata completamente esausti. Aleksei, il protagonista, nasce da questa idea: un soldato che diventa ballerino, compiendo quello che era il sogno del suo nemico.
Il personaggio di Jomo guida una lotta armata sul delta del Niger. Perché ha scelto di ambientare la sua storia in Nigeria?
Mi sono interessato a questo movimento una quindicina d’anni fa, era uno dei primi movimenti ecoterroristi al mondo. In quasi tutti i miei film mi sono interessato alla lotta armata: fino a che punto ci si può spingere, precipitare nella violenza, per ragioni che si ritengono giuste. Non era un caso che questa avanguardia ecologista venisse dal delta del Niger, uno dei luoghi più inquinati del mondo.
Nel film non è raccontata la cronistoria del MEND (acronimo inglese del Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger), ma all’inizio si trattava di un movimento pacifista il cui leader fu ucciso in carcere. Dopo la sua morte, il gruppo si è armato e ha cambiato approccio: operazioni commando legate a rapimenti e richieste di riscatto, con alcune derive mafiose, tipo racket. Nei video e nelle interviste ai leader, emergeva però un discorso politico lucido, che mi ricordava un po’ Thomas Sankara, leader carismatico del Burkina Faso.
Sono nato e cresciuto a Taranto, e mi porto sempre dietro la mia città, nel bene e nel male. E in Disco Boy Taranto è nelle fabbriche del Delta del Niger, nella devastazione dell’ambiente.
C’è una frase che risuona potente nel film, quando il reclutatore della Legione Straniera chiede ad Aleksei se è pronto a correre rischi e lui risponde: “Chi ha paura, resta a casa.”
Riassume bene il film e il personaggio, la sua identità e il suo esilio, che lo portano però a finire apolide quando rifiuta ciò che gli propone la Legione. C’è un momento cruciale in cui si legge, nella caserma militare, un’iscrizione a proposito della Legione. Si parla di “uno straniero divenuto figlio della Francia non per il sangue ricevuto, ma per quello versato”.
In effetti la frase di Aleksei è una riflessione molto personale, legata anche al mio percorso. La voce che effettua l’interrogatorio è la mia. In questo film volevo portare sulla Francia uno sguardo diverso, quello dell’Altro, ma senza vittimismo. La Legione Straniera mi è parsa il luogo ideale, al contempo mitologica e assolutamente reale: si accoglie lo straniero, si dimentica il suo passato e gli si offre la possibilità di riscrivere la propria vita. Una sorta di patto faustiano. Non tanti anni fa, anche i terroristi italiani – sia rossi che neri – hanno trovato rifugio nella Legione Straniera in Francia. Si ricomincia da zero e si cancella tutto sulla carta, a livello ufficiale, ma il proprio passato comunque rimane: dentro di sé, nelle proprie azioni, proiettato nei conflitti e nella guerra.
Dietro tutto questo c’è qualcosa che sento molto vicino, dal momento che sono tanti anni che non vivo più nel mio Paese. Non volevo raccontare o descrivere questo aspetto personale in modo realistico, ma portarlo all’estremo attraverso questa storia, e nella realizzazione stessa del film. La parola “passaporto” è la prima che si sente nei dialoghi, quando i passeggeri del bus sono sottoposti ai controlli alla frontiera, ma Disco Boy è un film senza passaporto, realizzato da persone di una quindicina di nazionalità diverse, tra cast artistico e troupe… Quasi nessuno degli attori di Disco Boy recita nella propria lingua nativa. È una scelta artistica che dà tutta un’altra musicalità e che inscrive l’alterità nell’uso stesso della lingua.
Ne parlano benissimo Deleuze e Guattari a proposito di Kafka, che si definiva nei termini di una letteratura “minore”, legata ad una minoranza. Utilizzando il tedesco di Praga, scarno, Kafka deterritorializza il linguaggio. E al contempo, il fatto individuale diventa subito un fatto politico, al contrario dei grandi romanzi dell’Ottocento, dove la narrazione si sviluppa sempre in un contesto storico-politico. La letteratura minore è l’elemento di tutte le rivoluzioni all’interno delle grandi letterature. E penso che lo stesso concetto valga anche per il cinema realizzato dalle minoranze. Gli italiani a Hollywood, gli arabi in Francia…
Oltre all’esilio e al divenire apolide, c’è anche la storia di un lutto, la perdita di un amico durante l’attraversamento di un fiume, e in parallelo, in Nigeria, quella del suo nemico. A partire dalla sua sopravvivenza, comincia l’evoluzione interiore di Aleksei a proposito del concetto di doppio, di corpo perseguitato dalla morte. Questo percorso, e l’universo che il film gli costruisce attorno grazie alla giungla, fanno pensare a Conrad.
Cuore di tenebra di Conrad è uno dei romanzi che mi hanno segnato di più durante l’adolescenza. Anche Apocalypse Now è uno dei miei filmdi riferimento. Volevo girare un film di guerra che fosse anche un viaggio interiore. C’è una grande permeabilità tra la scena e il personaggio, i luoghi che attraversa e in cui vive raccontano lo stato d’animo di Aleksei e la sua evoluzione.
In fase di montaggio, ho cercato di creare una struttura sensoriale con una sorta di vortice al centro del film, la danza. Attorno a essa, le cose riecheggiano, i temi del film ritornano, magari quando lo spettatore non se l’aspetta: la giungla che rientra a poco a poco nel giardino della discoteca, il corpo di Mikhail che si scorge con la coda dell’occhio nella Senna o Aleksei che brinda all’amico scomparso con un calice di Bordeaux. Il Bordeaux faceva parte dell’elenco di cose che per loro rappresentavano la Francia, al momento della traversata del fiume. E’ una cosa piccola, ma ci fa entrare in empatia con Aleksei.
Perché lo scontro nel fiume in Nigeria è girato con la telecamera termica?
Volevo che la parte di film che si svolge nella giungla virasse progressivamente verso qualcosa di psichedelico, di sciamanico. Avevo una giustificazione diegetica per usare la camera termica, perché a volte la si utilizza in ambito militare per le operazioni notturne. Volevo evitare di restare in un’ambientazione concreta, con le immagini di un soldato con il suo equipaggiamento militare in spalla che affronta in acqua un rivoluzionario a torso nudo… Ho sempre saputo che non avrei mai girato quella scena così. Non è Rambo! La camera termica era già indicata nel copione, fin dall’inizio. E’ un altro prisma, un’altra elaborazione dei colori, che ci fa entrare in una dimensione in cui questo scontro mortale, corpo a corpo, ricorda una danza.
I colori della camera termica tornano poi nella discoteca. E al momento dell’ultimo ballo, subito prima dei titoli di coda, si vede una sorta di presenza finale ripresa con la camera termica. È un modo per suggerire che, quando Aleksei e Udoka ballano, il fantasma di Jomo è con loro.
Com’è approdata a questo progetto Hélène Louvart, direttrice della fotografia?
Ho incontrato Hélène Louvart quand’ero alla Cinéfondation, e’ legata al progetto da molto tempo. È una persona straordinaria, per me è un modello di dedizione e di professionalità, e poi è sempre di buonumore. È stata una vera collaborazione: nonostante i suoi trent’anni di esperienza, non mi ha mai fatto sentire che per me era il primo lungo. Lavorare con lei è stata una scelta artistica vera e propria: nei suoi film, la luce è sempre in movimento, non c’è mai il sentimento di qualcosa di troppo posato, di staged. Hélène è totalmente al servizio di un progetto, senza l’ossessione di una firma fotografica. La sua impronta è reale ed enorme, ma sottile. Ricerca una bellezza diversa, lontano da quella delle pubblicità e dei videoclip. Ha una sensibilità molto vicina alla mia.
La scena nella stanza d’hotel di Udoka è particolarmente bella, con il passaggio a un altro mondo, all’Africa…
L’arredamento di quella camera era già incredibile di per sé, grazie alla tappezzeria originale. Poi il lavoro sulla luce e gli interventi di scenografia l’hanno reso ancora più forte, ci si impregna di quel luogo. Abbiamo passato una notte intera a girare lì dentro. È una scena importante, perché Aleksei fa irruzione nello spazio di Udoka. La missione apparente, la ricerca di questa donna, vira verso qualcos’altro grazie a questa stanza d’hotel. Permette un viaggio nel tempo e nello spazio e ci riporta nella giungla, al faccia a faccia tra due volti con gli occhi di colori diversi: l’inizio della metamorfosi di Aleksei in Jomo.
In quale momento ha pensato a Franz Rogowski, attore decisamente di grande impatto, per il personaggio di Aleksei?
È un attore che in Francia è noto per i suoi lavori con Christian Petzold, soprattutto La donna dello scrittore e Undine – Un amore per sempre, e con Michael Haneke (Happy End), in Italia più per Freaks Out di Mainetti. Ma Franz mi aveva colpito già in precedenza, in un film tedesco di Sebastian Schipper, Victoria, in cui aveva un ruolo secondario. Era un’esplosione di violenza e di energia, ma al tempo stesso riusciva a non scivolare nel cliché, ad avere una grande profondità. Mi aveva davvero impressionato. In lui ho visto subito il personaggio del mio film. E poi recita con tutto il corpo, dalla testa ai piedi. Viene dal mondo del circo, è un ballerino. Nella sua recitazione si percepiscono il suo percorso e il suo vissuto.
E per il ruolo di Jomo?
La storia del mio incontro con Morr Ndiaye, che interpreta Jomo, è completamente diversa, dato che il suo percorso è stato estremo e traumatico. È arrivato in Europa quand’era ancora minorenne: è emigrato su un barcone, passando per la Libia, dov’è stato chiuso in un centro di detenzione. Il centro era controllato da nigeriani, motivo per cui inizialmente nel film non voleva interpretare il ruolo di un personaggio della stessa nazionalità dei suoi aguzzini. Gli ho parlato a lungo del progetto per convincerlo. L’avevo notato in un documentario dei miei produttori italiani a proposito dei rifugiati in un centro d’accoglienza in Sicilia, ai quali erano stati dati dei cellulari perché filmassero la loro vita. Fin da subito si vedeva che lui era diverso dagli altri, per la sua presenza scenica e per quello che diceva. Lo chiamavo “il poeta”. All’inizio pensavo di assegnargli un ruolo minore, ma visto che emanava una vera forza e un gran carisma, ma anche fragilità e cicatrici, ho pensato a lui per Jomo. Ho dovuto difendere questa scelta, ma si è impegnato molto, rivelandosi un ottimo attore. E’ diventato un professionista con il mio set e ne sono fiero.
In Disco Boy, i suoni, i rumori, formano un tutt’uno inscindibile con la musica, come un dialogo a distanza, fatto di echi.
Sognavo sin dagli inizi di poter coinvolgere Pascal Arbez-Nicolas (noto con lo pseudonimo di Vitalic), la sua musica era esattamente quello che cercavo per il film. Gli avevo chiesto di comporre alcuni pezzi prima delle riprese; gli avevo fornito la sceneggiatura e qualche immagine e gli avevo parlato del tono del film, del genere di musica che desideravo, qualcosa di abissale, a volte soffocante, a volte lirica, quasi malinconica. In estate, prima delle riprese, ho ascoltato i suoi pezzi. Erano perfetti, ero stupito di come fosse riuscito in poco tempo ad arrivare al cuore dell’atmosfera che cercavo. Durante la preparazione li ho fatti ascoltare agli attori e alla direttrice della fotografia affinché si impregnassero di quelle sonorità. Per la scena del club abbiamo organizzato una festa vera e propria con Vitalic alla console!
Durante la post-produzione Vitalic ha creato altri brani legati alle immagini e al montaggio. E poi c’è stato il lavoro preziosissimo che ho fatto con un altro compositore, Maxence Dussère, su dei formati più brevi, con degli ultrasuoni usati nei momenti chiave, per collegare elementi come la scomparsa di Mikhail e la sepoltura di Jomo. Tutto il lavoro sul suono è stato concepito in modo che contenesse una dimensione mentale. Uno degli esempi più limpidi è nella scena del tunnel di luce nella giungla, a partire dalla stanza d’albergo. Prima che Aleksei incontri Udoka in sogno, abbiamo inserito dei suoni chiave che appartengono alla prima e alla seconda parte del film. E abbiamo creato una sorta di respiro composto da quello di Aleksei e quello di Jomo.
Tutto il lavoro sul suono è stato lungo e complesso; del montaggio sonoro e del missaggio si sono occupati dei collaboratori che avevano già lavorato ai miei film precedenti, come Piergiorgio De Luca e Simon Apostolou. Avevo anche pensato di realizzare Disco Boy con la tecnologia Dolby Atmos, immersiva e basata sullo spazio tridimensionale, ma sarebbe stato troppo costoso…
Oltre alle corrispondenze sonore, ce ne sono moltissime di visive: l’attraversamento del fiume in cui annega Mikhail e quello in cui Aleksei uccide Jomo. E la prima immagine di Parigi è il ponte Alessandro III che attraversa la Senna, con Aleksei che osserva le sue strane sculture.
Mi divertiva l’idea di filmare un bielorusso che attraversa un ponte donato dai russi alla Francia, oltre al fatto che quelle sculture ricordano dei mostri marini, delle chimere. È stata una scena molto importante per me. Mi sono chiesto come far entrare il film a Parigi, con quale immagine cominciare a mostrare il suo rapporto con la città… Dopo rilfessione – ma forse anche influenzato inconsciamente da un film che amo molto, Gli amanti del Pont Neuf di Leos Carax – mi è sembrato evidente che occorresse cominciare da un ponte.
Intervista realizzata a Parigi il 17 gennaio 2023 da Charles Tesson, ex direttore della Semaine de la Critique di Cannes, collaboratore storico dei Cahiers du Cinéma.
dal pressbook del film
Film della Critica dal SNCCI
Il film Disco Boy di Giacomo Abbruzzese è stato designato “Film della Critica” dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione: “Affidandosi a una struttura narrativa metaforica e a un impianto visivo stilizzato, il regista racconta una storia di sradicamento e simbiosi, in cui la flagranza dei temi della contemporaneità storica si intreccia alla statura morale dei personaggi. Grazie a una sapiente struttura visiva, che definisce in chiave astratta luoghi e figure, il film restituisce un prolifico intreccio di elementi fisici, reali, pulsionali e spirituali.”
Eventi
• Presentato nel concorso principale del Festival Internazionale del cinema di Berlino 2023, il 19 Febbraio 2023.
HomeVideo (beta)
info: 9 Marzo 2023 al Cinema; 13 Luglio 2023 in DVD.
Puoi cercare "Disco Boy" nelle principali piattaforme di VOD: [Apri Box]