Primo giorno dell’ultimo anno per gli studenti di un liceo scientifico, ma a scuola c’è una novità: alcuni ragazzi sono stati spostati dalle rispettive classi in una sezione creata appositamente per loro, la sezione H. Gli studenti della sezione H non sono stati scelti a caso, sono infatti elementi notoriamente problematici, troppo esuberanti e svogliati. Tra loro c’è Ricky (Enrico Oetiker) che è sveglio e non perde occasione per fare irritanti scherzi che poi condivide sul suo canale Youtube, Stella (Greta Menchi) il cui unico interesse è il suo look e Viola (Alice Pagani) intelligente ma sempre in guerra con il mondo. Per i ragazzi la vita nella nuova sezione è una pacchia, i professori sembrano aver perso con loro ogni speranza e non provano nemmeno più a farli studiare. L’unico professore che si presenta alla classe con sincero entusiasmo e pronto a vivere il suo ruolo da supplente come una sfida importante è Marco Andreoli (Andrea Pisani) il prof d’italiano che ha come modello di riferimento il Professor Keating de L’Attimo fuggente. Dopo molti tentativi per cercare di coinvolgere e appassionare i ragazzi, esasperato dal disinteresse e dalle continue umiliazioni a cui lo sottopone la classe, Andreoli abbandona il lavoro a metà anno. Prima di andarsene però, svela ai ragazzi che la creazione della sezione H è stata un’idea del Preside (Alessandro Preziosi) che aveva deciso di isolarli in una classe “ghetto”, sicuro di poter dimostrare che il rendimento delle altri classi sarebbe migliorato. A cento giorni dall’esame di maturità, i ragazzi si accorgono di essere spacciati, non riusciranno mai a superare l’esame. Il solo modo per salvarsi è farsi aiutare dall’unica persona che credeva in loro, il professor Andreoli. Riusciranno con il suo aiuto a ottenere la tanto attesa maturità?
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 30 Marzo 2017Uscita in Italia: 30/03/2017
Genere: Commedia
Nazione: Italia - 2017
Durata: N.d.
Formato: Colore
Produzione: Colorado Film
Distribuzione: Medusa
Box Office: Italia: 708.774 euro
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Intervista a Guido Chiesa
Come è nata l’idea di questo film?
La Colorado Film ci ha chiesto di sviluppare una storia ambientata nel mondo della scuola. In questo processo, abbiamo conosciuto i responsabili del portale Scuola Zoo, nato alla fine dello scorso decennio grazie ad uno studente, Paolo De Nadai, che per denunciare lo scarso impegno di alcuni insegnanti aveva postato su Youtube il filmato di un suo professore che dormiva in classe. Il video ebbe un successo clamoroso. Questo ragazzo è oggi un imprenditore di successo, che con Scuola Zoo si rivolge a una platea di milioni di studenti, muovendosi tra aspetti più goliardici (come i viaggi post maturità) e altri più seri (come quello di realizzare le campagne elettorali di aspiranti rappresentanti di istituto, al fine di migliorare la scuola sia dal punto di vista delle strutture che didattico). I promotori del portale ci hanno raccontato la realtà del mondo scolastico dal punto di vista dei ragazzi, delle loro aspettative e problemi. Su questa base, Alessandro Aronadio, Renato Sannio ed io abbiamo elaborato varie idee. Tra queste, la Colorado ha scelto “Classe Z”, decidendo al contempo di continuare la collaborazione con Scuola Zoo, che è co-produttore minoritario del film. La scelta di proporre la sceneggiatura a Medusa, infine, nasceva dal comune desiderio di continuare il felice rapporto nato con il successo di “Belli di papà”. Per quanto mi riguarda, avevo un interesse personale molto forte, perché ho due figlie che frequentano il liceo, una delle quali alle prese quest’anno con gli esami di maturità. L’obiettivo era di realizzare una commedia che parlasse del mondo della scuola attraverso il conflitto tra due idee di didattica: una più orientata verso l’efficienza, la meritocrazia e la selezione; un’altra più attenta agli studenti in quanto “persone”, alla loro crescita e creatività. Ovviamente, dovendo dar vita ad una commedia, abbiamo volutamente esasperato i toni ed “estremizzato” le situazioni”.
Che cosa si racconta in scena?
Il primo giorno dell’ultimo anno, un gruppo di studenti di un liceo scientifico trova ad attenderli una strana sorpresa: sono stati spostati dalle rispettive classi nella neonata sezione H, creata ex novo per loro. Motivo: il sovraffollamento delle classi. Lo spostamento non turba più di tanto i ragazzi e nessuno sentirà la loro mancanza. Sono infatti elementi altamente individualisti e notoriamente problematici. C’è la ragazza che va bene a scuola ma litiga con tutti; la fashion victim che va avanti grazie alle raccomandazioni della mamma; una coppia di gemelli cinesi che parla con accento romano e non lega con nessuno. E poi lo spaccone pluriripetente, il “casinista” continuamente dedito agli scherzi, l’erotomane apatico, l’introverso cronico spesso assente. Per i ragazzi, la vita nella nuova classe è una pacchia. Nella neonata sezione, infatti, i professori tendono a non essere molto severi o a disinteressarsi completamente della didattica. L’unico professore apparentemente intenzionato a cavare qualcosa di buono da questo gruppo di “sfigati” e piantagrane è il giovane supplente d’italiano, Marco Andreoli, ossessionato dalla figura del professor Keating di L’attimo fuggente. Ma anche lui deve scontrarsi con il disinteresse e la facinorosità degli studenti, i quali lo bersagliano di scherzi e lo deridono per il suo idealismo. A metà anno, dopo l’ennesima beffa ai suoi danni, Andreoli svela ai ragazzi che la storia del sovraffollamento è una bugia. La verità è che il preside (Alessandro Preziosi) a inizio anno, nel pieno rispetto della legge, ha deciso di fare un esperimento al fine di capire se, togliendo gli alunni “difficili” dalle rispettive classi, il rendimento degli altri studenti sarebbe migliorato. Come minimo, mettendoli in una classe “speciale”, li poteva tenere sotto controllo. Rivelato ciò agli studenti, Andreoli, il quale aveva aderito pieno di entusiasmo al progetto del preside, lascia la scuola riconoscendo il proprio fallimento, pieno di risentimento verso quei ragazzi che non è riuscito ad aiutare. L’abbandono è così radicale che Andreoli non avvisa nessuno, e per questo viene deferito ad una commissione disciplinare per abbandono del posto di lavoro. I ragazzi all’inizio non danno peso alle sue parole, ma poco per volta si rendono conto che ha detto la verità: tutti li considerano dei vuoti a perdere, e neanche i trucchetti per copiare, con cui se la sono cavata negli anni precedenti, riescono a fargli prendere la sufficienza. Non resta che studiare! Il problema è che, individualisti come sono, non riescono a darsi una mano e ormai mancano poco più di 100 giorni all’esame…
Pensa che dal racconto, oltre al divertimento, emergano anche riflessioni su temi civili e sociali?
“Classe Z” è un film “ad altezza ragazzi” e questa è una grande differenza rispetto a tanti altri titoli sul mondo della scuola, in genere raccontati dal punto di vista dei professori. Agli occhi degli adulti, i giovani che raccontiamo appaiono ribelli senza causa, senza ideologia, casinisti per il gusto di esserlo. Oppure apatici, ossessionati dai social, superficiali. In entrambi i casi, incomprensibili. Sono i protagonisti delle nostre cronache sociologiche o di best seller come “Gli sdraiati” di Michele Serra. Noi abbiamo cercato di metterci dalla loro parte, non per “compiacerli”, ma per provare a capire che cosa c’è dietro questi atteggiamenti. Il mondo della scuola è uno straordinario strumento di lettura dell’universo giovanile: è lì che, fuori dal rapporto con i genitori, i ragazzi fanno esperienza dei loro primi conflitti “sociali”, delle prime relazioni sentimentali, dove mettono alla prova la loro ancora fragile identità. Personalmente ritengo che il nostro sistema scolastico sia decisamente in crisi. Si fonda su un modello ottocentesco nato per eliminare l’analfabetismo e permettere a fasce sempre più vaste della popolazione di emanciparsi tramite l’istruzione. Un modello che aveva come punto di approdo privilegiato il mondo del lavoro industriale, tecnico-scientifico o al massimo accademico. Questo modello oggi non ha più senso. Prima l’Università, adesso la scuola media superiore sono diventati dei grandi parcheggi in cui i ragazzi, in mancanza di posti di lavoro, vengono relegati in attesa di non si più che cosa. Gli unici che possono ancora ambire a un impiego adeguato ai loro studi sono i laureati delle materie tecnico-scientifiche. Soprattutto se di famiglie benestanti o con appoggi. Per tutti gli altri, il destino è segnato: corsi di laurea con poche prospettive, abbandono degli studi o fuga all’estero. Il nostro modello scolastico non favorisce in alcun modo la creatività, l’inventiva, i talenti che non si inquadrano nella logica programma/verifica/voto. Non dico che a scuola si debba insegnare “Youtube”, ma la noiosa processione di interrogazioni e pagelle con professori e studenti demotivati, che senso ha? E’ un sistema che penalizza la persona (sia il ragazzo che il docente) e che si adatta solo a chi si comporta da bravo soldatino. Tutti gli altri rischiano di diventare solo dei vuoti a perdere. Ciò detto, “Classe Z” non è un film di denuncia, ma nemmeno un divertimento fine a se stesso. Abbiamo cercato di realizzare un film per i giovani ma non giovanilistico. Non ho mai pensato di girare un film come se fosse realizzato di uno di loro, ma ho cercato di dar vita ad un’opera in cui i ragazzi si potessero rispecchiare. Ho tentato di mettermi alla loro altezza, cercando di guardarli negli occhi, pur nell’ambito di una commedia.
Come ha scelto i suoi attori?
Tutti attraverso dei provini. Alcuni li conoscevo già, come Armando Quaranta, che interpreta la parte di Yuri e che aveva avuto un piccolo ruolo in “Belli di papà”. Tra gli altri, Greta Menchi, la giovane youtuber star del mondo giovanile, è la candidata che ha sostenuto il maggior numero di provini. Non scelgo mai gli interpreti solo perché sono popolari. L’importante è che siano giusti per i personaggi: quando Maurizio Totti mi propose di valutare Francesco Facchinetti con un provino per “Belli di papà” rimasi perplesso, ma dopo avergli fatto un provino lo trovai perfetto per il ruolo. Per quanto riguarda poi Andrea Pisani posso dire che, dopo averlo diretto in “Belli di papà”, vorrei sempre lavorare con lui. E’ un attore che trovo straordinario. Sapevo che sarebbe stato l’interprete giusto per un personaggio complesso come Andreoli. Stessa cosa per Antonio Catania: il suo funzionario della commissione disciplinare genera momenti di comicità irresistibile nel rapporto con gli studenti, ma è altrettanto efficace quando si scontra con il preside Alessandro Preziosi. Quest’ultimo, invece, è arrivato nel cast dopo una ricerca faticosa. Quando Preziosi ha letto il copione mi ha confessato che, oltre a recitare, è anche preside onorario di un istituto privato. Era molto stimolato dalla prospettiva di interpretare quel personaggio sebbene fosse il “cattivo” della storia.
Che rapporti ha avuto in questa occasione con la Colorado Film?
Tra me e i produttori Maurizio Totti e Alessandro Usai c’è sempre massima trasparenza. Mi hanno sempre lasciato ampia autonomia decisionale. Grazie a loro riesco a fare sempre i film che voglio, anche quando, come nel caso di “Belli di papà”, sono nati come “film dei produttori”. Io non sono dell’idea che essere il regista di un film significhi che hai sempre ragione… “Belli di papà” non era una mia idea, ma ho fatto di tutto per renderla anche “mia”: quando a montaggio finito loro si sono resi conto che era venuto fuori un film non solo comico, ma anche un racconto emotivo sul rapporto tra genitori e figli, Totti e Usai sono stati sorpresi e contenti. Non avevo mentito, avevo rispettato le indicazioni di partenza, ma ero arrivato a regalare loro qualcosa in più, di inaspettato.
Intervista ad Andrea Pisani
Come si è sviluppata nel tempo la sua attività nel cinema e come è stato coinvolto in questo progetto?
Ho recitato soprattutto in teatro e in tv insieme a Luca Peracino nel duo comico “I Panpers”. La mia esperienza nel cinema è nata quasi per caso nel 2013 con un ruolo nella commedia di Paolo Ruffini “Fuga di cervelli”, un passo importante nella mia carriera visti gli esiti del film. Risultati poi confermati dal successivo ruolo in “Belli di papà”, dove ho interpretato un personaggio meno leggero e più drammatico. “Classe Z” è il film per cui ho dovuto, forse, prepararmi di più, impegnandomi con maggiore intensità perché il ruolo che mi è stato proposto aveva tante sfaccettature. Questa nuova occasione si è rivelata un bel banco di prova che spero di avere superato nel modo migliore possibile e che mi auguro possa aprirmi la strada per nuove possibilità e nuove sfide. Fortunatamente Guido alla fine era molto contento, ma l’eventuale merito del mio rendimento in scena è da condividere pienamente con lui. Ormai siamo collaudati, ci troviamo bene insieme, ci fidiamo pienamente uno dell’altro.
Chi è il Marco Andreoli che lei interpreta?
E’ un giovane professore alla sua prima supplenza lunga, è entusiasta del nuovo lavoro, pensa di essere un innovatore, è convinto di saper come parlare ai ragazzi e di poter sintonizzarsi con il loro linguaggio come un complice ideale. Gli succede però di finire in una classe che è una specie di rifugio/contenitore di disadattati presi da altre classi, una sorta di “Avengers della sfiga”. Marco si illude di poter utilizzare i suoi metodi con un gruppo di studenti che non hanno alcuna voglia di ascoltarlo, nonostante lui tenda a comportarsi da amicone. Col tempo accumula una notevole frustrazione, fino a quando i ragazzi gli fanno uno scherzo terribile, ridicolizzandolo pubblicamente. Per questo decide di abbandonare l’insegnamento, dispiaciuto e ferito perché era davvero convinto che avrebbe potuto salvare dal baratro i suoi alunni. Nei mesi successivi però, quando la prospettiva di non essere ammessi alla maturità comincia a diventare una tragica realtà, gli studenti si rendono conto che Andreoli è stato davvero l’unico ad aver creduto in loro e decidono di chiedergli aiuto.
Che cosa le è piaciuto di più del suo personaggio?
Soprattutto il fatto che fosse un docente. Mi sarebbe piaciuto insegnare e quando ho iniziato a recitare ho sempre sognato di poter interpretare un professore. Sono stato fortunato a trovarne uno con un carattere estroverso ed entusiasta che ben mi si addice. Mi ha molto intrigato che Andreoli fosse un fan de “L’attimo fuggente” e che pensasse di poter applicare nella vita tutto quello che succede nel celebre film. Anche se – come gli fanno notare i ragazzi a un certo punto della nostra storia – quello del professore interpretato da Robin Williams non è esattamente un “modello perfetto”, perché a pensarci bene finisce per far suicidare un ragazzo… Sui set dei film che ho interpretato finora ero sempre stato “l’attore giovane” che chiedeva consigli agli attori più esperti, mentre questa volta sono stato io a dover dare dei chiarimenti agli altri giovani interpreti. Mi ha fatto piacere che qualcuno potesse chiedermi suggerimenti, soprattutto sui tempi comici, ma mi ha fatto anche capire che sto invecchiando….
Come si è ritrovato sul set con Guido Chiesa?
Con Guido abbiamo da sempre un rapporto di fiducia e di confronto reciproci, caratterizzato da una grande serenità. E’ convinto che il lavoro di gruppo porti sempre a migliorare il risultato. Guido mi ha reso felice dicendomi che il personaggio che interpreto in alcuni momenti, oltre a far ridere, è anche molto toccante. Speriamo di essere riusciti a dar vita ad un felice compromesso fra i suoi tratti più leggeri e spiritosi e gli altri più intensi.
Che tipo di commedia è “Classe Z”?
Ho sempre difficoltà a trovare una definizione adeguata per i diversi tipi di film brillanti. Qui insieme al divertimento c’è una forte parte emotiva. Rispetto alle altre commedie che ha interpretato questa volta c’è più spazio per l’emozione: dove ad esempio? Soprattutto nei momenti in cui il professor Andreoli è attraversato da umori che cambiano in modo repentino e vanno dall’entusiasmo iniziale alla delusione per la mancata adesione dei ragazzi. Quando poi decide di tornare per aiutarli a un certo punto “crolla” di fronte alle loro personalità “ingestibili” e si lascia andare ad una reazione brusca. Sono questi secondo me i momenti più profondi della storia, quelli in cui tutti i ragazzi rivelano la loro interiorità, abbandonando le loro maschere .
Intervista ad Alessandro Preziosi
Che cosa l’ha spinta ad accettare questo impegno? Ha sentito vicini un personaggio e dei temi che le stava a cuore portare in scena?
E’ la prima volta che interpreto una commedia che abbia come protagonisti dei ragazzi. Mi divertiva l’idea di confrontarmi con loro affiancandoli senza essere l’interprete principale della storia. Ho due figli giovani, uno di 21 anni e l’altro di 10, e una certa esperienza come spettatore di commedie brillanti giovanili in onda su Disney Channel tipo “Alex and Co.” o le prime storie corali “scolastiche” di Fausto Brizzi. In questo film il ruolo del preside che interpreto era stato scritto con delle caratteristiche precise, ma io e il regista Guido Chiesa ci siamo posti il problema su come rendere meno prevedibile un personaggio che poteva sembrare solo negativo. Secondo me siamo riusciti a dargli una sorta di legittimazione, cercando di rappresentare verosimilmente la scuola come un luogo fatto di regole e di protocolli, ma anche dove l’insegnamento e i valori da trasmettere possono andare di pari passo con le disposizioni da rispettare. Per questo motivo i giovani protagonisti, pur essendo prigionieri dell’esperienza negativa di essere figli di un “menefreghismo” più che diffuso, arrivano a capire col tempo che una scuola fatta solo di regole, interrogazioni e verifiche rischia di non insegnare granché. Tutto questo arriva loro grazie al professor Andreoli interpretato da Andrea Pisani che li aiuterà a superare l’anno scolastico in maniera non convenzionale, al di fuori dei “binari” di sempre.
Chi è il preside Frigotto che lei interpreta e che cosa gli succede in scena?
E’ un uomo tutto di un pezzo, un preside che ha “rottamato” le vecchie generazioni di dirigenti scolastici (la cui età media fino a poco tempo fa andava dai 50 anni in su) ed è un convinto sostenitore dell’idea che la scuola debba essere organizzata secondo criteri di efficienza senza troppi romanticismi. Ci tenevo che si capisse che questo dirigente austero non ha sentimenti negativi, ma è un uomo che porta con sé una sua visione della vita e del mondo. Frigotto è una di quelle persone che mantengono sempre il self control, ma poi alla fine “esplodono” e perdono la testa…
Come si è trovato con Guido Chiesa?
Nel copione era già stabilito un ottimo percorso, ma io e Guido abbiamo aggiunto in scena di comune accordo nuove situazioni e nuove battute. Nella messinscena andava creato un equilibrio tra quello che c’era scritto nella sceneggiatura e i punti in cui volevamo che arrivasse al pubblico il divertimento e la sottigliezza del rapporto che lega il preside agli alunni e al commissario esterno (Antonio Catania). All’inizio i due dirigenti sembrano vicini e solidali, ma poi prendono ognuno la sua strada e diventano avversari. Il perno sono i ragazzi che si presentano nel modo peggiore possibile, mettendosi automaticamente dalla parte del torto e facendo gongolare il preside pronto a punirli. Nei loro confronti Frigotto ostenta in principio una certa magnanimità, ma finisce presto con l’accorgersi che situazione che si sta capovolgendo a suo sfavore.
Che ricordi ha della lavorazione di questo film?
Stavo girando nello stesso periodo delle riprese anche una fiction per la Rai e mi sono ritrovato impegnato a mezzo servizio tra un set e l’altro… Non è stato facile recitare con la dovuta concentrazione, ma sono molto soddisfatto del lavoro compiuto. Mi sono trovato molto bene sia da un punto di vista professionale che umano con Antonio Catania, un grande attore che stimavo fin dai tempi di “Mediterraneo”, che ha rappresentato uno dei motivi per cui ho accettato di mettermi in gioco in questo progetto. Ma è accaduta la stessa cosa anche con i ragazzi, che rappresentano una sorta di “blocco unico” con modalità di recitazione diverse. La vicenda che portiamo in scena è incentrata su un lungo flashback e Guido Chiesa voleva che le reazioni di tutti in scena fossero conseguenziali a quello che nel corso del racconto era avvenuto subito prima o sarebbe accaduto subito dopo, mentre invece i ragazzi non erano stati informati dell’evoluzione della storia e per poter poi rendere al meglio scalpitavano con grande curiosità e voglia di capire i passaggi di trama precedenti e successivi alla scena del momento. C’è stato quindi uno scambio interessante tra l’esperienza di attori più collaudati come eravamo noi adulti e la spontaneità, l’aderenza e il modo di agire dei giovani, che non avevano bisogno di fingere ma in scena erano davvero se stessi..”
Si è sentito comunque a suo agio nell’interpretare una commedia?
Mi piace la leggerezza delle commedie italiane, mi stimola e mi fa ridere molto, anche se in genere mi offrono ruoli più seri o seriosi come quelli di preti buoni o uomini di legge. Avevo già lavorato con Fausto Brizzi in “Maschi contro femmine” e in “Il seme della discordia” di Pappi Corsicato e in entrambe le occasioni mi ero divertito tanto. Una certa leggerezza estemporanea rientra da sempre nel mio modo di essere e quando riesco a carburare nel modo giusto viene spesso fuori una disinvoltura divertente e divertita. “Classe Z” a mio parere può sembrare una commedia giovanilista americana, ma è qualcosa di diverso. E’ ben confezionata, c’è un gruppo di ragazzi ben assortito, è fresca, ha una sua autenticità. Gli spettatori di ogni generazione potranno identificarsi in persone e situazioni di un’età che non torna più, ma potranno anche, ognuno a modo suo, utilizzarla come primo momento di riflessione su una maturità necessaria.
Intervista ad Antonio Catania
Come è entrato nel cast di questo film?
Ho incontrato Guido Chiesa che mi ha spiegato con attenzione sia la storia che stava per portare in scena, sia il personaggio del commissario che avrei dovuto interpretare. Bisognava mettere a fuoco il contrasto tra la figura di un preside che crede solo nel merito e nei voti, e quella del commissario che arriva nell’ istituto per valutare la posizione di un professore fuori dalle righe (Andrea Pisani) e scopre strada facendo che era molto amato dagli alunni (gli stessi che all’inizio lo rifiutavano facendolo oggetto di scherzi pesanti). Il mio personaggio proviene dalla generazione del ’68 e dei primi anni’ 70, che ha prodotto una serie di persone diventate oggi disincantate e un po’ ciniche. Ma la vicenda che raccontiamo finisce con il riaccendere nel mio personaggio certe fiamme sopite, perché rimette in gioco certi temi che sembravano scomparsi da tempo. Credo che si tratti di un’operazione interessante. Ho vissuto da vicino gli anni della contestazione studentesca e quel periodo sfociato nei terribili “anni di piombo” e poi il successivo silenzio e il ritorno della restaurazione. Sono momenti molto distanti dal presente, ma una cosa in comune tra loro ce l’hanno: allora come oggi, il sistema scolastico non funzionava.
Che cosa succede in scena?
C’è una commissione formata da preside, professori e rappresentanti di genitori e studenti che devono decidere se sospendere o riammettere all’insegnamento un giovane professore dai metodi anticonvenzionali, Marco Andreoli, il quale a metà dell’anno ha abbandonato di punto in bianco le sue classi. Io sono il commissario esterno inviato dal Ministero per presiedere la riunione. Quando tutto sta per incominciare irrompono in scena tre ex allievi del professore i quali chiedono di essere ascoltati per raccontare la loro versione dei fatti. La storia prende forma e gli equilibri si spostano: mentre gli insegnanti rimangono quasi tutti fedeli al preside che vuole sospendere l’anomalo supplente, il mio ispettore si schiera man mano dalla parte dei ragazzi…
Ha trovato il suo personaggio congeniale alle sue corde?
A mio parere con questo film Guido Chiesa dà vita ad una specie di racconto morale che “flirta” con la commedia. In genere la figura del commissario viene rappresentata in modo grottesco: in fondo non è né un insegnante né un preside ma una sorta di ispettore. Di solito si tratta di gente indifferente e sfiduciata che non ha più niente da chiedere al mondo della scuola. Quello che interpreto io, invece, finisce col rimanere colpito e sensibilizzato da quello che vede e ascolta. I ragazzi gli risvegliano una coscienza che aveva dimenticato, lo spingono a ricordare di credere in qualche cosa che nel tempo aveva rimosso, e noi rappresentiamo in scena la sua progressiva evoluzione. Almeno nelle intenzioni, poi bisognerà vedere il risultato…”.
Che tipo di intesa si è creata questa volta con Chiesa con cui aveva già recitato nella sua precedente commedia, “Belli di papà”?
Tra noi era tutto molto chiaro. Prima di ogni scena, Guido ribadiva i passaggi da percorrere, dato che abbiamo girato il film in sequenza, ma tra ognuna delle scene che dovevamo realizzare, c’erano in mezzo i flashback che raccontavano l’anno scolastico appena trascorso. C’era bisogno di qualcuno che avesse chiaro in mente il percorso del film e lo ricordasse costantemente a tutti. Guido, ad esempio, ci diceva spesso certe indicazioni tipo: “in questo punto ancora non ti importa niente di quello che succede, qui invece hai già preso coscienza”, e così via. Secondo me molto si deve anche ai giovani interpreti, tutti bravi, intonati e con delle belle facce, e ad Andrea Pisani, che è molto bravo in un ruolo meno comico rispetto ai suoi soliti. Questa volta si è dimostrato un attore completo: penso che sarebbe perfetto per interpretare nel prossimo futuro una fascia di personaggi recitati abitualmente fino a qualche anno da Fabio De Luigi nelle sue commedie.
Che tipo di commedia è secondo lei “Clazze Z?
E’ un film che diverte, emoziona e coinvolge. All’inizio il supplente interpretato da Andrea Pisani è vittima di scherzi e vessazioni da parte degli allievi, ma poi quando a poco a poco lui riesce a entrare nell’animo di questi ragazzi, inizia un percorso emotivamente forte: è bello vedere dei ragazzi indifferenti o peggio aggressivi, che finiscono con l’appassionarsi allo studio o ad abbandonare gli atteggiamenti conflittuali. C’è una bella evoluzione, ci sono sentimenti forti in campo e si passa presto da un tipo di divertimento puro a un altro “con sentimento”.
Come si è trovato con Alessandro Preziosi?
Molto bene, Alessandro è un ottimo attore e una bella persona. Sul set il contrasto tra i nostri due personaggi era acuito dal fatto che mentre recitava era fermamente convinto della validità delle tesi del suo preside, mentre io lo ero di tutto quello che diceva e faceva il mio commissario: c’era una perfetta coincidenza tra personaggi e persone, anche se per il mio ruolo l’evoluzione è stata più graduale.
Intervista a Greta Menchi
Come è nata questa sua prima esperienza nel cinema?
E’ stato il mio primo impegno importante dopo due esperienze come doppiatrice. Prima di ottenere il ruolo, ho sostenuto diversi provini. Poi, dopo essere stata scelta, con Guido Chiesa abbiamo parlato a lungo del personaggio. Guido è una persona molto diretta e ha tenuto a rassicurarmi di avermi scelto soltanto perché ero giusta e adeguata per il personaggio, e non perché ero popolare sul web. Sul set con il resto del cast abbiamo dato vita da subito ad un gruppo affiatato e abbiamo vissuto a stretto contatto 5 settimane intense e piacevoli.
Chi è la ragazza che lei interpreta e che cosa le accade in scena?
Si chiama Stella, è molto esuberante, fa credere a tutti di essere molto sicura di sé e di pensare di poter conquistare l’ammirazione generale solo grazie al proprio look, ma poi si scopre che ha dentro di sé qualcosa che la fa soffrire. E’ la “reginetta” di bellezza di tutti quei ragazzi che credono di essere il “meglio del peggio”, ma sa benissimo che non tutti la vedono e la considerano come lei vorrebbe, per quello che è. Il gruppo di otto ragazzi di cui lei fa parte nella finzione scenica è stato formato selezionandone i diversi componenti da classi diverse, per dimostrare che senza avere accanto quei cattivi elementi tutti gli altri alunni sarebbero migliorati mentre loro potevano soltanto peggiorare. Si tratta di ragazzi con caratteri forti e particolari, destinati allo scontro. Poi, grazie all’anomalo professore Marco Andreoli (Andrea Pisani) riusciranno a formare un gruppo coeso che permetterà loro di farsi forza a vicenda e di scoprire il valore dell’amicizia e del rispetto reciproco.
Che sensazione ha provato quando era in scena?
Noi otto siamo sempre stati vicini. Ad esempio era normale che anche coloro che non erano in scena in quel momento assistessero alle riprese degli altri. Il tifo reciproco ha rappresentato per tutti un supporto molto forte, che ci ha unito tanto.
Che tipo di regista è stato Guido Chiesa?
Un direttore di attori che dà ai suoi interpreti molta possibilità di esprimersi e di lavorare sul proprio personaggio secondo la propria sensibilità. Ci siamo molto divertiti perché c’era sempre la possibilità di aggiungere una battuta o un “codino” spiritoso. Abbiamo sempre conservato la linea stabilita dal copione, cercando però di “cucirci” addosso le varie situazioni. Guido non interviene mai direttamente per importi qualcosa, però ti offre tutte le indicazioni necessarie per arrivare al miglior risultato possibile. Fin dall’inizio gli ho chiesto di non avere nessuna paura di “sgridarmi” e, se necessario, di essere duro con me. La sua severità mi sarebbe servita di stimolo, perché io sono sempre molto critica con me stessa, ma dato che il mio personaggio era assai diverso da quella che io sono nella vita, volevo renderlo al meglio. Guido è stato sempre molto professionale, ha mantenuto costantemente una sua linea, anche nei momenti di maggiore pressione e tensione. In 5 settimane succedono tante cose, anche nella vita personale degli attori, ma lui ha saputo creare un gruppo coeso, tenendolo saldamente in pugno durante tutta la lavorazione e restando vicino ad ognuno di noi.
Ricorda qualche momento particolare delle riprese?
La scena più difficile per me è stata quella cui il mio personaggio, Stella, una fashion victim sicura di sé ma che non può mostrare all’esterno alcuna défaillance, si lascia vedere dagli altri come non era mai accaduto in precedenza. Per me sono stati difficili anche alcuni momenti in cui ti accorgi che davanti a te non c’è solo la cinepresa, ma l’intera troupe. E’ difficile in questi casi rimanere super disinvolti, ma per me però è stato semplice perchè Guido mi ha aiutata molto. Con lui mi sono sentita sempre a mio agio e alla fine sono molto soddisfatta del risultato, credo di aver superato bene l’esame…
Le piacerebbe continuare su questa strada, a questi livelli?
Molto. E’ stata un’esperienza incredibile, capivo di far parte di una “macchina” che andava a pieno regime e mi sentivo forte. Mi piacerebbe cercare col tempo di ripercorrere le orme di un’attrice che ammiro infinitamente come Mariangela Melato. Poi, a seconda dell’umore del momento, sogno di misurarmi un giorno con il musical, che fra tutti i generi è il mio preferito. Quando ero solo una bambina mi ero esibita in una recita scolastica di “Natale in casa Cupiello” di Eduardo e già allora avevo capito che il mio sogno sarebbe stato quello di fare un giorno l’attrice. Chiacchieravo già parecchio fin da allora… In seguito, da adolescente, una mia amica aveva vinto un concorso importante con una sceneggiatura che raccontava la mia generazione: provammo a casa sua e subito dopo recitai quel testo davanti a tante persone. Anche se all’epoca non giravo dei video che spopolavano su Internet, il mio percorso era già segnato…
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